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Autore: shesafeandsound    17/08/2012    3 recensioni
"Continuai la mia corsa ed una volta che fui fuori dallo stabilimento mi precipitai in macchina. La schiavai, lanciai la borsa blu nel sedile del passeggero e trattenni un grido quando mi misi seduta e una volta lasciato passare il dolore, uscii dal parcheggio senza curarmi troppo delle macchine che avrebbero potuto venirmi contro. Non vedo molta differenza fra essere morta e condurre la vita che facevo io."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il treno partì e vidi il panorama spostarsi, lasciando lì, definitivamente, le altalene dei bambini per dirigersi verso la città.
all'inizio il treno procedeva lentamente ma quest'andatura fu sostituita, in qualche minuto, da una molto più veloce e il panorama divenne solo una rapida successione di immagini sfocate.
 
"é occupato?" mi chiese un ragazzo con un ciuffo biondo che gli copriva gli occhi, indicando il posto libero davanti a me.
"oh,no,no" risposi ritornando sulla terra.
studiai a lungo il ragazzo mentre sistemava i suoi bagagli sul sedile accanto al suo.
sarà stato alto all'incirca un metro e ottanta, aveva i muscoli nei punti giusti ed era davvero un bel ragazzo. inclinai la testa verso destra e, sì, aveva anche un bel fondoschiena. dopo qualche pensiero non proprio casto sorrisi capendo quanto fossero squallidi i miei pensieri ma quando si girò e si mise seduto di fronte a me divenni subito seria.
non parlammo mai lungo il viaggio eccetto qualche osservazione sul tempo e su quanto facesse caldo in quest'ultima settimana.
tirò fuori un libro da una borsa marrone e si perse nella lettura. lo interruppi un secondo e gli chiesi se sapeva dove fossero le cuccette, mi mostrò la strada e poi lo congedai cortesemente.
mi chiusi là dentro intenta a non uscirne finchè non fossi arrivata a destinazione . mi gettai sul letto e solo dopo aver sentito un dolore risalire lungo la schiena mi ricordai che i tagli e le cicatrici erano ancora lì. l'ultima cosa che volevo fare era affogare nei ricordi quindi tirai fuori dalla tasca il mio telefono vecchio, ed ormai troppo scrauso per essere rivenduto ed avere un po' di soldi, e cominciai a giocare a snake. il mio amato snake in bianco e nero da cui ero diventata dipendente e che riusciva a salvarmi dai momenti di noia. dopo aver maledetto abbastanza i vari muri su cui andavo ripetutamente a sbattere, il telefono si spense prima ancora che potessi lanciarlo da qualche parte, lontano da me. bene, ora ero da sola. cominciai a rigirarmi nel letto con l'intento di addormentarmi così mi misi in ginocchio ed accostai le tendine rimanendo nel buio più cupo.
ora che non dovevo aver paura che mio padre entrasse o che qualcun'altro entrasse per picchiarmi potevo addormentarmi tranquilla. a quel proposito, mi alzai, girai la chiave nella serratura e mi buttai di nuovo sul letto.
i ricordi cominciarono ad affiorare, soffocandomi nella disperazione più totale. 
 
"mamma, ho freddo" urlai mentre la febbre saliva nel mio corpo.
sentii mia madre correre dalla cucina verso la mia camera ed una volta arrivata, mi rimboccò le coperte e si mise seduta vicino a me, mi prese la mano e cominciò a raccontarmi di quando lei era piccola
"sai, quando io avevo la tua età, 8 o 9 anni mio papà mi mandava sempre a cogliere  i limoni che crescevano nel pezzo di terra che aveva comprato quando era più giovane, così io mi incamminavo ed un giorno sai cosa mi ritrovai davanti?" mi chiese con un'espressione scioccata che lasciò poi spazio ad un dolce sorriso. mi guardò con quegli occhi verdi, grandi e dolci che fecero nascere un riso sul mio faccino ancora innocente.
"no, cosa?" domandai mettendomi seduta con la schiena appoggiata alla spalliera.
"e va bene, allora te lo dico, mi ritrovai davanti un enorme serpente che però, non mi mise paura, così lo avvicinai con un bastone ed una volta che si fu arrampicato lo presi fra le mani. sai? sembrava quasi il gattino che ogni tanto, qua di fuori ci passa a salutare, reclamando cibo. sì, proprio così, quel serpente mi fece innamorare ed io lo portai sino a casa" continuò a raccontare sistemandosi il grembiule con le mani poi si alzò e mi incitò a sdraiarmi di nuovo nel letto, mi tirò su le coperte fino al collo e si sedette sul letto proprio dove io le lasciai il posto spostando le mie gambe
"quando papà lo vide urlò così tanto per sgridarmi che la voce gli mancò per due giorni buoni e ancora adesso, se accenno a questa storia mi maledice e sai mia mamma cosa fece qua..." si interruppe quando vide i miei occhi chiusi, mi diede un bacio sulla fronte e mi sussurrò "dormi, piccola stella" lasciò scivolare i miei capelli lisci fra le sue mani e poi socchiuse la porta.
 
i singhiozzi cominciarono a soffocarmi, non riuscivo a respirare senza cadere in un pianto disumano. lo sguardo di mia madre era così puro e così vero che sembrava una bambina che non è capace di nasconderti nulla, mi raccontava tutto ed io facevo lo stesso. era la mia migliore amica. non mi aveva mai tenuto segreto nulla se non la cosa più importante: il suo cancro. così lei morì ed io per un anno credetti alla storiella "tua mamma è salita in cielo in modo che quando tu non starai a casa lei ti potrà vedere e ti proteggerà anche quando non sarete insieme. dovresti esserne felice"
fra i singhiozzi e i respiri forzati mi addormentai. fui svegliata dalla voce del capotreno che annunciava la fermata. "siamo arrivati a Emeryville" disse. quindi schiavai la porta e presi il cellulare. uscii dalla cabina e la luce che c'era sul treno mi bruciò gli occhi tanto che cominciai a strofinarmeli.
decisi che sarei scesa alla fermata dopo giusto per allontanarmi ancora di più da casa. mi misi a sedere su di un sedile vicino ad un signore, almeno potevo leggere di nascosto il libro che stava sfogliando e non mi sarei annoiata.
 
il treno si fermò bruscamente e mi fece alzare gli occhi dalla pagina del libro di quel signore- dovevo ricordarmi a chiedergli che libro fosse; mi piaceva molto- e dall'altoparlante l' annunciò della fermata si diffuse su tutti i vagoni "siamo arrivati in California." 
I miei occhi si dilatarono. com'era possibile? la folle idea di aver dormito per tutto il viaggio si infilò nella mia mente e capii, solo quando il signore seduto accanto a me, si alzò e mi salutò alzando il cappello, che alla fine quel mio pensiero non era poi così folle. il mio biglietto ormai era scaduto, andava bene solo per un'andata ed un ritorno così mi feci forza, sollevai il mio fondoschiena dal sedile e scesi dal treno. restai immobile a vederlo ripartire con tutte le mie speranze di cambiare vita. stupido sonno che mi aveva distratto da ciò che volevo fare. calciai un sasso lontano dal mio piede e mi avviai verso il parcheggio dove avevo lasciato la mia macchina. un sorriso si fece spazio sulle mie labbra...almeno avevo potuto dormire in santa pace senza la paura che quel mostro mi picchiasse, diciamo che per ora andava più che bene. entrai in macchina e appoggiai delicatamente la mia pelle alla stoffa del sedile, rimasi con le mani sul volante a darmi della stupida per aver sprecato un'occasione del genere.
ed ora cosa mi rimaneva da fare? l'unica cosa che potevo fare, a quell'ora di tarda serata, era tornare a casa. diedi uno sguardo al mio telefono che avevo gettato sul sedile del passeggero, si stava illuminando. era mio padre che chiamava, lo presi velocemente, risposi "sto arrivando a casa" e riattaccai senza sentire nemmeno la sua voce.
girai la chiave e partii pronta a sentire di nuovo le sue mani sulle mie ferite, ancora una volta, ancora da cicatrizzare, ormai ci ero abituata anche se ogni sua violenza contro di me diventava ogni giorno più cattiva e mi faceva sempre più male.
aprii il cancello e vidi due macchine nel cortile, cosa significa? mio padre non ha amici!
entrai dentro casa e mi ritrovai davanti ad una tavola apparecchiata e piena zeppa di roba da mangiare, ma cosa stava succedendo? era evidente che mi dovessi ancora svegliare, stavo ancora dormendo sul treno.
una donna uscii dalla cucina e mi rivolse un saluto plateare.
"oh ma guarda come sei diventata grande, April! E, oh mio dio, sei stupenda! mi ricordo quando eri piccola, piccola. tu non ti ricordi di me perchè eri davvero uno scricciolo! ma in ogni caso sono Katerine Pierce, una grande amica di tua madre. Guarda- disse tirando fuori il portafoglio e mostrandomi una foto in bianco e nero- queste eravamo io e tua madre, solo il cielo sa quanto mi manchi quella donna. ma tu, tu, tu sei il suo ritratto giovanile, osserva, siete uguali" dopo quel monologo che mi mise in imbarazzo e in soggezione mi accolse in un abbraccio calorosissimo, mi cinse tutte le ferite e mi riportò in uno di quei periodi di pace e serenità che vivevo quando mia madre era ancora in terra. non riuscii a nascondere un sorriso. nonostante non mi ricordassi minimamente di quella donna so che potevo fidarmi delle sue mani premurose.
si distaccò dal mio corpo, facendo respirare le mie cicatrici e mi prese il viso fra le mani 
"dio, sei tutta tua madre!" mi sussurrò per poi sorridermi, mi scostò una ciocca di capelli davanti al volto poi si girò ed urlò a tutta voce "Eduardo, Eduardo, guarda chi è arrivata!" si fece avanti un uomo sulla sessantina, piuttosto affascinante con i capelli brizzolati e della barba ancora corta che gli incorniciava tutto il viso e lo rendeva ancora più misterioso e attraente.
"non vorrai dirmi che lei è quella piccola fanciulla di April?" chiese allargando gli occhi e facendo spazio ad un dolce sorriso sul suo viso che smorzò la sua aria dura e da uomo vissuto. delle rughe di espressione solcarono la sua pelle e subito si mostrò sotto ai miei occhi con una luce diversa, sapevo di averlo già rivisto, un ricordo entrava ed usciva dalla mia mente ma era così distante da me da non poterlo mettere a fuoco. feci un sorriso educato per dare una risposta alla sua domanda indiretta, lui fece dei passi avanti e mi porse la mano, io la strinsi e subito dopo mi ritrovai la sua barba pungente sulla mia guancia. rabbrividii quando la sua mano si poggiò sulla mia schiena, non so perchè quell'uomo mi facesse quell'effetto.
"sono Eduardo Pierce, un ex compagno di classe di tua madre. sei uguale a lei" mi disse mentre un luccichio si aggirò nei suoi occhi. 
 
che strano nessuno me lo aveva mai detto se non loro due. questa cosa, di assomigliare tanto a mia madre, mi colmava di gioia.
 
entrò in sala anche quell'energumeno di mio padre che con un tono tanto finto quanto subdolo mi salutò e mi abbracciò. quando fu abbastanza vicino al mio oreccchio il suo tono si fece cupo e minaccioso "dove cazzo sei stata? vedi di farmi fare bella figura" poi mi stampò un bacio sulla guancia.
che uomo assurdo e poco credibile. ero davvero schifata, se non fosse stato per l'educazione impartitami da mia madre sarei corsa immediatamente al bagno a lavarmi la guancia con la varecchina e il disinfettante ma abbozzai un mezzo sorriso e feci finta che tutto ciò fosse normale.
"con permesso, vado un attimo in camera mia a cambiarmi. scusatemi ma non sapevo che avremmo avuto visite" mi affrettai a spiegare. lanciai un sorriso a Katerine e me ne andai più educatamente possibile. salii tutte le scale e mi chiusi in camera mia. presi dall'armadio un paio di calzoni neri e ci abbinai una delle mie maglie più eleganti, d'altronde dovevo reggere il confronto con l'amica di mia madre che era vestita dai più grandi stilisti tutt'ora in vita. aveva molta classe, dovetti ammetterlo.
sentii suonare il campanello da di sotto così mi affrettai a scegliere le scarpe, indossai un paio di tacchi neri, mi sistemai i capelli e scesi le scale.
mi ritrovai davanti uno dei più bei ragazzi che io avessi mai visto: alto, due spalle enormi, fisico da dio greco, abbronzato, con i capelli biondo cenere, occhi azzurri ed un sorriso smagliante, vestito elegante ma senza cadere nel ridicolo. mi dovetti tenere al corrimano per non cadere alla vista di quella visione angelica. mi accorsi che il ragazzo che avevo visto in treno, quello seduto davanti a me, non era nulla di speciale in confronto a lui.
"Buonasera madre, buonasera padre" disse educatamente rivolgendosi ai suoi genitori, poi si girò verso mio padre e gli fece i complimenti per la casa deliziosa. la definì proprio così. 
il suo modo di muovere le labbra era qualcosa di assolutamente perfetto e...oddio, ero ancora su quel gradino. scesi le ultime scale e attirai la sua attenzione, si voltò verso di me e mi salutò cordialmente. "piacere, April" dissi allungando la mano, quando fui abbastanza vicino a quello spettacolo della natura. si passò una mano fra i capelli e poi strinse la mia che tremava dall'agitazione. un brivido salì dai miei piedi fino al collo. "piacere, sono Nathan Pierce" si presentò sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi. sono quasi sicura che un tacco si stesse per rompere da quanta pressione facevo sul pavimento per tenermi in piedi. mi venne quasi da ridere 'questa famiglia ha l'ossessione per il proprio cognome' pensai.
ci sedemmo tutti a tavolo e dopo alcuni minuti mi ritrovai davanti ad una delle cene più abbondanti di tutta la mia vita.
"cosa studi?" mi chiese  Nathan poggiando il bicchiere di vino, a tavola, dopo un lungo sorso.
"faccio ancora il liceo e te?" domandai di conseguenza, arrotolando i spaghetti sulla forchetta.
"oh, davvero?" domandò perplesso "quanti anni hai?" continuò. attese una mia risposta fissandomi per almeno dieci secondi.
ingoiai il boccone di pasta e mi pulii la bocca con il tovagliolo, cercai di rispondergli senza far notare che uno spaghetto era rimasto incollato alla mia gola.
"17 a settembre" lo informai per poi tossire. finalmente avevo ingoiato anche quello spaghetto.
"pensavo fossi più grande!" ammise alzando un sopracciglio. quel gesto lo fece apparire ancora più sexy di quanto già non fosse, dovevo smetterla di sudare altrimenti non sarei più riuscita a tenere in mano la forchetta.
"wow!" improvvisai "e tu, invece, cosa studi?" gli riproposi la domanda a cui non mi aveva ancora dato una risposta.
"oh, sì, scusami. sono al secondo anno di medicina all'università alla Johns Hopinks" esclamò con un tono neutrale come se frequentare l'università più prestigiosa di tutti gli stati uniti fosse una cosa per tutti.
"bene, ho capito" dissi intimidita da tutto quel lusso che si potevano permettere lui e la sua famiglia, a cominciare  dall'abbigliamento così ricco ed elegante di sua madre, a finire dai suoi studi. sicuramente non se la passavano male.
sorseggiai l'acqua e poi rivolsi la mia attenzione alla conversazione che stavano tenendo Eduardo e mio padre.
ogni tanto lanciavo uno sguardo fugace a Nathan ma lui non si degnava neanche di un sorriso, rimaneva incollato a parlare con sua madre ed io lì che morivo dalla voglia di portare avanti una conversazione con lui per scoprire ogni sua singola bellezza, ogni suo gesto anche quello più piccolo, per capire il suo intelletto che lo aveva spinto a studiare medicina, per capire chi fosse veramente.






***
buonasera ragazzuole.
dopo una pausa di quanto? -un mese? due? ho perso addirittura il conto!- sono tornata con il quarto capitolo e spero che vi piaccia. se così sarà, vi prego, ditemi tutto ciò che volete dirmi, consigliarmi o correggere, con una recensione e con un tweet (sono @shesafeandsound) 
grazie mille per tutte le letture e le recensioni ♥
un bacio, Noemi :)
  
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