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Autore: Cosmopolita    18/08/2012    14 recensioni
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
(Dal prologo)
Arthur Kirkland è un poliziotto cinico e felice della sua vita in solitario.
Ma l'entrata di due bambini nella sua vita gli farà presto cambiare idea...
[...]–Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.
–Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.
Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? – [...]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your father'
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 -Parlano tutti di te a casa, Art! Non sei mai stato così popolare come ora…-
Andrew… Arthur non sapeva come sarebbe sopravvissuto senza di lui. Sì, era vero che neanche il suo fratellone, più grande di lui di appena due anni, lo sopportava molto, però era talmente spontaneo e allegro che alla fin fine non lo dava neanche a vedere.
Andrew era davvero una benedizione del cielo, tra la freddezza di James e i dispetti di quell’ochetta di Hannah e di quello stupido, idiota e sadico di Ian
-Sì, lo so. Non so se esserne contento o meno…-
-Non esserne contento, affatto. La mamma spera che tuo figlio non cresca come te…si chiama Alfred, giusto?-
L’inglese sospirò agguerrito: ormai il fattore invisibilità di Matthew era diventata una sua crociata personale, come se la gente si dimenticasse di lui e non di suo figlio –Ne ho due, Andrew, due! Matthew e Alfred…Alfred e Matthew. – era stato cinico e anche un po’ spietato nel dargli risposta, ma ormai era davvero stufo di stare a ripetere che aveva due figli e non uno solo.
Suo fratello fece un verso, della serie “Ma che palle, vaffanculo!”, anche se in vita sua non avrebbe mai detto una parolaccia.
–E fa nulla, dai…- rise come se non fosse successo nulla di così grave.
Suo fratello non avrebbe mai capito quale forza spingesse quel ragazzone alto e robusto dai capelli rossi a ridere anche nelle situazioni a lui più spiacevoli.
Intanto riprese a parlare, ma questa volta la sua voce si fece più mansueta –Eih, che ne dici se me li passassi?-
Arthur non poteva credere alle sue orecchie; nessuno al telefono gli aveva mai chiesto di parlare con i suoi figli e improvvisamente avvertì un moto di affetto irreprensibile verso il fratello –Io…- in realtà, non riuscì a formulare una frase di senso compiuto, quella domanda lo aveva colto di sorpresa.
-Sì, va bene…-
Si voltò verso il figlio –Al, vuoi parlare con lo zio?-
Alfred e Matthew erano impegnati a giocare con una pista per automobiline che aveva appena comprato per loro e inizialmente non gli diedero molto retta, presi com’erano dal gioco
-Al!- sbuffò spazientito –Ti sto chiamando. –
Suo figlio alzò gli occhi, come se lo avesse interpellato solo in quel preciso istante -Cosa?-
-Vuoi parlare con lo zio?- gli ripeté, una volta catturata la sua attenzione.
Il bambino rimase lì per lì a fissarlo con una faccia a metà tra il sognante e il confuso. Era come se avesse davanti ai suoi occhi una visione –Lo zio Francis?- chiese alla fine
-No, un altro zio. Il fratello del tuo papà. –
Eileen non aveva sorelle o fratelli, quindi per Alfred quella fu una novità assoluta. Annuì talmente forte che il collo sembrava essere una molla e si avvicinò trepidante al telefono –Pronto?-
Di solito i bambini si comportano in modo tentennante di fronte ad un adulto sconosciuto, ma quello non era il caso di Alfred; ad Arthur diede l’impressione di stare a parlare con un amico di vecchia data invece che con un zio del quale non aveva mai sentito parlare
-Io sono un eroe, lo sai zio…Sì, sì, proprio così?…-stava blaterando, con il solito tono saccente
–Papà è bravo, a parte quando cucina…- fece una risata, diversamente suo padre avrebbe voluto battere la testa sul muro –Tu cucini meglio? Ah, per fortuna…beh, non è che ci vuole tanto a superare papà. – ma lo stavano prendendo in giro o cosa?
-Davvero? Come si chiamano?…Oh, lo sai che anche un mio compagno di classe si chiama James? Sì…Wow…-
Probabilmente adesso stavano parlando degli altri zii.
-E perché papà non è con voi?-
Ad Arthur il sangue si raggelò nelle vene; sperava che Andrew non avesse sputato il rospo, suo figlio era troppo piccolo per capire certe cose. Magari si sarebbe solo limitato a dire che il fratellino, “A warm in the Big Apple” , come lo avevano soprannominato loro, aveva sempre sognato di raggiungere l’America, anche se questa era una bugia bella e buona
-Oh…- il verso di Al non gli diceva nulla di rilevante. Andrew poteva avergli detto la verità come una piccola bugia –E verrete qui? Davvero!- il volto splendette –Che bello…Vorrei tanto conoscere lo zio Ian. –
Oh, no, signorino pensò acidamente Arthur tra sé e sé Se discendi dal ramo giusto dei Kirkland, Ian non ti piacerà né adesso né mai.
Ora, poteva anche sopportare che ai suoi figli piacesse Francis tanto da chiamarlo “zio”, ma Ian era assolutamente fuori questione.
Non avrebbe impedito ai due bambini di conoscerlo, questo non poteva farlo, ma certamente non gli avrebbe fatto piacere se fossero andati d’amore e d’accordo. Insomma, volevano deluderlo così tanto?
- Ah, quindi solo tu, lo zio Peter e la zia Hannah…peccato. –
Peccato un corno! Non che gli piacesse avere Hannah tra i piedi, insomma, l’avrebbe volentieri scambiata con James, ma gli altri due fratelli andavano più che bene. Tanto sapeva che Andrew stava mentendo solo per dare un piacere al bambino.
Vide Alfred porgergli il telefono –Ti vuole lo zio. –
Appena si mise la cornetta all’orecchio, Andrew parlò –Tuo figlio è una forza. Cavolo, non ti somiglia per nulla. –
-Lo so…- mormorò a denti stretti. Non gli piaceva che qualcuno gli evidenziasse la ovvia differenza che incorreva tra lui e i suoi figli.
Decise di cambiare discorso e la sua voce si fece più grave –Sul serio verrete?-
Andrew per tutta risposta emise un rumore cupo, una specie di “m” prolungata –Mmmm .- non capiva se stesse riflettendo sulla questione o se stava negando.
Sapeva qual’era la sua risposta, per quanto gli facesse male conoscerla già. Era orgoglioso, Arthur, ma addossarsi del ruolo di pecora nera a volte non lo attraeva per nulla –Magari alla mamma verrà voglia di vedere i suoi nipoti. Un giorno o l’altro…– il suo tono di voce non era cattivo, piuttosto quasi rassegnato.
-Non giudicarla male, Art . Lei vuole solo il meglio per noi e a volte esagera. Janice dice che è una donna di carattere.–
Janice... Janice era un’amica di infanzia di Hannah, Arthur aveva di lei ricordi un po’ sfocati. Era una bambinetta bionda e aveva gli occhi  blu a palla, come se fosse in perenne sorpresa per qualcosa. Ricordava che era lentigginosa e che aveva sempre i nervi a fior di pelle, per cui piangeva per tutto.
Rammentava anche che Andrew non la sopportava, diceva sempre che “quella” (non la chiamava neanche per nome) un giorno avrebbe fatto esasperare i suoi genitori per quanto era malata di nervi.
Ma, ora cosa quadrava con il loro discorso?
- Janice?- domandò, sorpreso
Anche Andrew sembrava colpito, ma per ben altro motivo - Hannah allora sa tenere la bocca chiusa, quando vuole…- sentì ancora una volta la risata calda e infantile del fratello –Janice è la mia fidanzata. -
Eh? Hannah gli aveva fatto accenno di un imminente matrimonio tra i Kirkland, ma… Andrew e Janice? Non avrebbe mai potuto immaginare una coppia così male assortita. Forse quell’unione l’aveva imposta sua madre…
-Ma stiamo parlando della stessa Janice? Tu gli lasci permettere che ti sposi con quella…-
Venne nuovamente interrotto dalla voce rassicurante e roca del fratello –Stai giudicando male la mamma per l’ennesima volta. – la voce di Andrew non era mai stata refrattaria come allora.
Non ci stava capendo più nulla–Lei non ti ha imposto nulla?-
-Certo che no! Non siamo mica nell’Ottocento, Arthur. – sembrava parecchio divertito, era come se lo volesse prendere in giro –Io e Janice ci siamo innamorati e la mamma non c’entra. Anzi, all’inizio credeva stessi scherzando .- rise, ma poi ridivenne serio –Tu vedi solo quello che vuoi vedere, Arthur. La mamma ti vuole bene, a suo modo…-
A suo modo, certo. Finì così la telefonata tra lui ed Andrew, in un modo che Arthur considerava strano.
Sapere che Janice sarebbe stata presto sua cognata non gli dava fastidio, la riteneva una donna capace e intelligente, seppur psicolabile.
Quello che non riusciva a capire era come due persone, come lei e suo fratello, che non potevano stare nella stessa stanza perché subito cominciavano ad urlarsi contro, fossero arrivati a tal punto da decidere che avrebbero condiviso la loro vita insieme.
In fondo, la gente cambia, man mano che matura. 
 -Perché non mi hai fatto parlare con lo zio?-
Sobbalzò nel sentire la voce accusatoria di suo figlio Matthew. Lui era il primo a indignarsi sul fatto che nessuno lo considerava e lui adesso era il primo ad essersene dimenticato?
Si girò verso il figlio e vide che lo guardava con un faccino un po’ dispiaciuto, ma non imbronciato come probabilmente avrebbe fatto Alfred.
Quell’espressione rese suo padre ancora più mortificato; aveva tanta voglia di richiamare Andrew solamente per farlo parlare con Matthew
-Mi dispiace, Matt. – mise la mano sulla testa bionda del bambino e lo accarezzò con affetto paterno, ma il bambino esibì di nuovo un sorriso di comprensione
-Non fa nulla. –
Più diceva così, più l’inglese si sentiva un po’ in colpa. In realtà, mentre parlava al telefono con Andrew aveva ripetuto più volte a sé stesso che dopo Alfred sarebbe toccato a Matthew conoscerlo, ma con il discutere di Janice e la mamma, se lo era del tutto rimosso dalla mente
-Papà…- sussurrò ancora il più timido dei suoi figli, con gli occhi fissi sul pavimento, come se si vergognasse –Posso dirti una cosa?-
-Ma certo…- sorrise -…dimmi tutto. –
-A me manca .-
-Chi?- sperava con tutto sé stesso che non tirasse in ballo ancora una volta Eileen. Parlare di lei gli era diventato troppo difficile, specialmente con i suoi figli
- Francis. Poverino, siamo stati cattivi con lui a non essere andati a trovarlo…-
Suo padre sospirò; non sapeva cosa fosse peggio, l’argomento “Eileen” o quello “Francis. Si sentiva così imbarazzato dall’ultima volta che l’aveva visto…Di certo, non poteva dire ai suoi figli che non aveva alcuna voglia di vedere la rana perché questa aveva cercato di baciarlo a tradimento in una camera d’ospedale.
Anzi, ora che ci ripensava, loro due si lasciavano sempre in maniera alquanto critica; o infuriati l’uno con l’altro, o al preludio di un fastidioso bacio, o le due cose insieme.
Eppure, ora si trovava lo stesso lì, davanti alla porta di casa sua in attesa che venisse ad aprire.
Guardò Matthew e Alfred, che non stavano più nella pelle dall’idea di rivedere il loro francese preferito, specie ora che era reduce da una brutta sparatoria.
Francis ci mise poco a raggiungere la porta ed aprirla e, cosa di cui l’inglese gli era infinitamente grato, non li accolse in boxer.
Appena lo videro i bambini, questi corsero subito ad abbracciarlo
- Francis! Che bello, stai bene?-
-Ti hanno sparato, vero? È stato meglio o peggio di Superman a contatto con la kriptonite? –
Si vedeva che era mancato molto ai due piccolini. Il francese sorrise e si lasciò stringere in quell’abbraccio che non assomigliava per nulla a quelli passionali di Charlotte e neanche quelli amichevoli di Gilbert ed Antonio.
Erano gli abbracci che gli facevano capire, in uno sprazzo di follia, che avere una famiglia non doveva essere poi così male.
Arthur era rimasto a fissarli con espressione altezzosa, come se si volesse tirar fuori da quella manifestazione d’affetto per principio e di tanto in tanto lanciava sguardi di fuoco a Francis, quasi a dirgli “Eih, bello, non ti illudere troppo”.
Confessava che fosse un po’ geloso…
Francis si staccò dolcemente dalla presa dei due bambini e rimase ad ammirare il terzo visitatore con un sorriso sulle labbra –Ciao, tu. –
-Ciao. – mugugnò annoiato. Sembrava non avesse poi tanta voglia di essere lì
-Sono contento di rivederti. – al contrario, il francese sembrava fosse illuminato da un raggio di sole per quanto era splendente
-E io sono contento che tu non stia in mutande. –
Al francese uscì in risposta solo un risata un po’ impertinente. Rimase per un po’ sulla soglia della porta a parlare con i bambini, poi fece accomodare tutti dentro
-Vi offro qualcosa?- domandò, dirigendosi in cucina –Ho appena finito di fare la torta al cioccolato. – lo disse come se stesse facendo una terribile confessione
-Tu cucini torte?- Arthur era meravigliato; Francis cucinava, dipingeva e aveva una zia che giocava al bridge, un fonte inesauribile di sorprese! Cos’altro gli aveva nascosto? Che di notte sventava i crimini come Batman?
L’altro si affacciò dalla cucina e annuì radioso –Qualche volta. La zia dice che sono bravo…- aveva un tono talmente orgoglioso che ad Arthur ricordava tanto quei bambini che quando riuscivano in una cosa, andavano subito a mostrarlo ai loro genitori
-Allora, la volete sì o no?-
Alfred rispose subito di sì con un entusiasmo quasi contagioso e pure Matthew annuì, anche se sembrava lo avesse fatto più per gentilezza verso il padrone di casa che per altro.
-Tu, Arthur? Un pezzettino, solo per assaggiarlo…-
Finse di pensarci –Non è che mi avveleni?-
Francis rise e scosse la testa con fare sconsolato, come a dire “sei sempre il solito”.
Si mise una mano sul cuore –Parola di scout. –
Il britannico doveva ammettere che quel dolce era davvero buono. Il cioccolato non era troppo, ma non era neanche troppo poco. Era tutto dosato alla perfezione e, se non fosse per il fatto che a cucinarla era stato Francis, ne avrebbe chiesto anche un altro pezzo.
-Eih, zio Francis, perché non vieni a cucinare a casa nostra qualche volta?- gli propose Alfred, che evidentemente aveva apprezzato molto quel manicaretto –Papà non è molto bravo a cucinare. –
-Non è vero!- esclamò l’inglese d’impulso
-Ci credo che non sa cucinare…è inglese. – Francis aveva usato un tono troppo sarcastico nella sua voce e questo ad Arthur diede molto fastidio
-Che vorresti dire?-
-Scusami. Voi inglesi siete bravi in tante cose ma in cucina…proprio no . – scosse teatralmente la testa, come a sottolineare maggiormente il suo disappunto.
Arthur ci rimase un po’ male, ma non ribatté nulla, a parte borbottare qualcosa a sfavore della cucina francese, una frase che suonava come “La vostra gastronomia fa schifo”.
Era sicurissimo che anche Francis l’avesse udito, perché gli rivolse un’occhiata gelida che non era proprio da lui, però, a differenza sua, ebbe la brillante idea di non lanciare ulteriori frecciatine.
Al contrario, si sforzò di assumere un sorriso accogliente e gentile
–Ho un sacco di bei film…della Disney. Vi piacciono i cartoni della Disney?-
Nella sua voce c’era un non so che di…paterno. Sì, Arthur non sapeva proprio in che altro modo definirlo; era così lontano dalla persona frivola e sciocca che conosceva quando si rivolgeva ai suoi bambini in quel modo. In quei momenti la sua compagnia risultava stranamente gradevole
-Moltissimo. – rispose Alfred per entrambi, prima di ridere in quel modo così genuino e coinvolgente che lo contraddistingueva.
Il francese gli fece un sorriso di rimando –Dai, andate a sceglierlo, vi accompagno…-
 
La casa di Francis era più grande di quello che Arthur aveva immaginato. Lui fino a quel momento, era riuscito a vedere solo il salotto e la cucina e in effetti, or che lo stava visitando davvero, quell’appartamento contava molte più camere di quello suo ed era arredato con mobili di gran lunga più costosi.
Era talmente grande che il francese era riuscito perfino a ricavare una specie nicchia, o sgabuzzino non sapeva come definirlo, in cui conservava i suoi dipinti, oppure i suoi film preferiti.
Storse il naso davanti alla pila di videocassette, che contenevano ogni singolo film di François Truffaut, probabilmente il suo regista preferito.
Stranamente non trovò alcun film porno, cosa che si aspettava di vedere a man bassa nella casa del francese. Certo, “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci, non era proprio un film casto e leggero e non gli sembrava proprio l’ideale che quel deficiente lo avesse messo in bella mostra, dove anche Alfred e Matthew potevano vederlo.
Ma, con molta riluttanza, doveva ammettere che Francis aveva buon gusto in fatto di cinema: “Ultimo tango a Parigi” lo aveva visto anche lui, insieme alla sua ultima ragazza. Molto imbarazzante e molto scandaloso, ma anche molto bello. Riusciva benissimo ad immaginarsi Francis mentre se lo vedeva e automaticamente arrossì.
Più in basso, invece, si trovavano film più leggeri: i celebri cartoon Disney e qualche pellicola degli anni Cinquanta che Arthur non aveva mai visto in vita sua.
-Vogliamo vedere questo!- Alfred stava sventolando davanti a tutti una VHS con sopra disegnato un elefantino che spiccava il volo. L’inglese si irrigidì; quel cartone, “Dumbo”, lo conosceva bene e sapeva che la scena dell’imprigionamento della madre del protagonista avrebbero colpito tutti e due, in particolare Matthew.
Per fortuna, ci pensò il francese ad intervenire –Tesoro, non è più bello questo?- con voce dolce, scelse dal ripiano “Cenerentola”.
Ecco, quello andava già meglio!
Alfred corrugò le sopracciglia; non gli piaceva che gli venisse negato qualcosa –Cenerentola l’ ho già visto, Dumbo invece no . –
-Ma Dumbo…- Francis si morse un labbro, non sapeva cosa ribattere
–E Peter Pan?- intervenne allora l’inglese, con voce volutamente allegra –Al, è il più bel film Disney che abbiano mai prodotto. –
Gli porse la videocassetta e Alfred la prese in mano. Si vedeva che dalla copertina sembrava incuriosito: c’era un ragazzino che volava, seguito da altri tre e in lontananza si poteva scorgere una grande nave pirata.
Scoppiò a ridere –Ok. - poi indico il viso di Peter –Lui è un eroe?-
-Certamente!-
 
Il film era già iniziato. Alfred e Matthew erano seduti sul divanetto di fronte al televisore e i loro piedini si muovevano nell’aria, in attesa che la storia entrasse nel vivo. Sembrava che la pellicola fosse di loro gradimento.
Arthur e Francis invece, si erano accomodati sulla poltrona, in una posizione leggermente più scomoda rispetto a quella dei bambini. L’inglese si trovò a riflettere che, purtroppo per lui, non era mai stato così tanto vicino a Francis.
La mano dell’inglese era lì, poggiata pigramente al limitare dei suoi jeans. Forse non se ne era accorto, perché se c’era una cosa che Arthur non avrebbe mai fatto in tutto l’universo, quello era toccarlo, toccarlo con le sue mani, che da sempre si tenevano ad opportuna distanza dalle sue.
Francis era più concentrato a contemplare lui che il cartone, quella sua bellezza imperfetta che gli piaceva tanto. Aveva un’espressione corrucciata, forse concentrato a guardare lo schermo della televisione e ogni tanto, il francese sentiva la sua mano muoversi inavvertitamente e senza farlo apposta accanto alle sue gambe.
Sorrise e lentamente fece scivolare la mano sopra la sua, ignorando la probabile reazione che l’inglese avrebbe potuto avere.
Con suo immenso stupore, Arthur non protestò, né provo a togliere la mano; i suoi occhi rimasero assorti sulla tv, come se non si fosse accorto della presa del francese.
Quello intrecciò la mano con la sua, avvicinò le sue labbra alle punte delle dita del britannico, in una posa che gli ricordava tanto il Cavaliere che bacia la mano alla sua Dama.
Era un po’ patetico a dirla tutta, ma a lui non importava poi molto.
Probabilmente era stata la sua impressione, ma poteva giurare che Arthur avesse assunto un’espressione quasi appagata nel volto. Quasi certamente era tutto frutto della sua mente che già si era spinta troppo in là con le fantasie.
Ben presto infatti, si ritrovò davanti lo sguardo di Arthur, i suoi occhi verdi che lo fulminavano ricolmo di  profondo disappunto e, poteva giurarlo, disgusto –Mollami. La. Mano. – scandì le parole con fermezza, ma in tono basso, forse per non farsi sentire dai bambini.
Francis sorrise, i lineamenti raggianti del suo viso sembravano voler dire “non ci penso neanche” . Si avvicinò al suo orecchio –Perché? –
Sentiva la sua bocca all’altezza del lobo e l’inglese arrossì ancora di più di quanto non lo stesse facendo prima.
Dannazione, ora ci si metteva anche quel pervertito e le sue manie perverse.
Si scansò, sempre più saturo di repulsione –Lasciami in pace. – seppur aveva usato un tono disgustato, sul volto del francese non scomparì il sorrisetto soddisfatto, la stessa espressione beata che ha qualunque persona abbia vinto una sfida.
Dio se lo odiava quel sorriso!
-Non ghignare in quel modo. – si voltò verso i bambini, che erano troppo concentrati a guardare il film che prestare attenzione a loro due, per fortuna
-Non sto ghignando, mon cher…-
-Allora non ridere, non sorridere, non fissarmi e…smettila subito Francis!- alzò un po’ la voce quando sentì il dorso della mano del francese premere sul suo volto, come aveva fatto tante volte Eileen.
La sua mano andava su e poi giù e pregava con tutto sé stesso che i bambini non si girassero proprio in quel momento
- Arthur, mi sa che i tuoi pantaloni sono stretti. – ridacchiò compiaciuto, quella solita risata molto francese che all’inglese non piaceva per nulla.
Quel poco colore che gli era rimasto, era sparito violentemente, perché aveva capito cosa voleva intendere tra le righe quel maniaco schifoso.
Lo afferrò per un braccio senza troppi complimenti e lo trascinò in cucina, sotto lo sguardo accigliato e confuso di Alfred e Matthew.
Era infuriato nero, non ci aveva visto più: ma come si permetteva quel depravato a dire o a fare certe cose davanti a dei bimbi, davanti ai suoi figli? A dire cose assolutamente false e schifose, per giunta.
Il francese lo canzonò beffardo, ignorando di quanto fosse fuori di sé Arthur in quel momento
 –Vuoi concludere in fretta? – gli domandò, una volta che furono al sicuro dagli occhi indiscreti
-Tu…- sibilò colerico –Tu  brutto…maniaco, sei un deficiente .- sembrava stesse sul punto di esplodere -Non permetterti più a toccarmi nemmeno con la punta delle dita, mi fai schifo, hai capito? Sei l’essere più rivoltante che io abbia mai conosciuto e….- stava per iniziare una delle sue ramanzine sulla moralità che il francese conosceva fin troppo bene; noiose, stupide prediche che Arthur faceva solitamente per nascondere il suo penoso imbarazzo.
Ormai nella sua testa riusciva solo a recepire un sacco di “bla” confusi e poco chiari
-Davanti a dei bambini...bla bla bla…sei semplicemente disgustoso…bla bla  bla…stammi lontano almeno un metro…bla bla bla…Dio, quanto ti odio, hai una faccia insopportabile…bla bla bla…Mi stai ascoltando?-
No, non gli stava affatto prestando attenzione e come avrebbe potuto farlo, quando davanti a lui c’era la figura di Arthur che gli impartiva lezioni di formazione.
Che poi, lui era proprio la persona meno adatta a tenere certi discorsi sulla buona educazione: si stava parlando dello stesso tizio che aveva sgonfiato le ruote ad un suo professore, dopotutto!
Francis era un tipo che seguiva più la passione che il suo cervello. Sapeva che non avrebbe dovuto fare una cosa del genere, in modo particolare con quell’individuo che non la smetteva di blaterare su cose che non gli interessavano minimamente.
Ma ebbe comunque il coraggio di prendere la testa di Arthur tra le sue mani e poggiare le labbra sulla sua bocca, quella bocca che fino a pochi secondi prima lo stava insultando, velenosa e sferzante.
E se dopo un momento di stallo, raggiunto in particolare dall’effetto sorpresa di quel gesto, l’inglese era rimasto come un ebete, con gli occhi sgranati e le labbra assolutamente impassibili, un secondo dopo cercava di divincolarsi dalla presa con una forza che da parte sua, Francis ne ignorava l’esistenza
-Stai…stai lontano da me…- sibilò, allontanandosi lui stesso dal francese. Era arrossito e anche se in fondo non si era affatto pentito del suo gesto, l’altro era piuttosto dispiaciuto. Baciare sulle labbra Arthur era stata una cosa che aveva sempre sognato di fare, seppure i preamboli non erano dei migliori
-Mon cher…-
-Non chiamarmi così!- lo aggredì. In quel momento gli sembrò che tutto ciò che apparteneva a quella rana, dal suo viso e la sua voce accattivante al suo atteggiamento da stupido libertino era odioso anzi, peggio…rivoltante.
L’altro si avvicinò a lui, lo guardò dritto negli occhi e rimase in silenzio fin che Arthur non cedette e abbassò gli occhi rosso di rabbia e di imbarazzo.
Francis non capiva una cosa: se Arthur lo odiava come gli aveva ripetuto infinite volte, perché allora era lì? Perché si era sincerato tanto di sapere come stava? Ma, cosa più rilevante, perché pochi minuti prima, quando non stava pensando poi tanto a lui che gli prendeva la mano, sembrava molto felice del suo gesto?
-Tu mi ami. – era quella la risposta per Francis, balzata nella sua mente all’improvviso.
-Non è assolutamente vero!- Arthur, se possibile, arrossì ancora di più di quanto non lo stesse facendo
–Come si fa ad amare uno come te…-  era stato spietato, cinico. Non gli interessava più che Francis stava male e altre cavolate simili, ne era quasi contento.
-No? E allora perché sei qui?-
L’inglese sospirò profondamente, mentre nella sua testa sognava di prenderlo a pugni, per togliergli dalla faccia quello sorrisetto sardonico che gli si era formato in volto.
Gli dava fastidio dire certe cose, ma era la verità e l’avrebbe tolto dai guai -Perché…perché hai un braccio rotto, ecco perché! Mancavi ai bambini e io volevo solo essere gentile.–
-Non ho bisogno della tua gentilezza, Arthur .- la voce del francese suonava per la prima volta arida, quasi disdegnante. Evidentemente a lui non piaceva perdere e il fatto che Arthur non fosse ancora caduto ai suoi piedi la giudicava la più grande sconfitta della sua vita.
Per il britannico fu come ricevere un pugno in piena faccia. Lo guardò avvilito, poi domandò -Vuoi che me ne vada?-
- No resta. Ma non raccontarmi più stronzate, che ne dici?- la parola “stronzate”, detta da lui sembrava essere la più terribile volgarità del pianeta, anche se la pronunciava con quel trono di voce gentile, di chi ammetteva di aver tirato troppo la corda
-Non racconto stronzate. –
-Davvero? Allora mi ami o no?-
-No…-
L’altro sorrise malinconico. Si girò dall’altra parte e accarezzò il legno liscio del ripiano -Io invece sì. Da morire. –
Per Arthur fu come essere investiti da un tir.
Non era stupido, lui sapeva ormai da tempo che Francis desiderava con caparbietà le sue attenzioni, ma per lui erano sempre apparse come semplici bramosie che non andavano più in là del sesso; si stava parlando di Francis, dopotutto, i suoi comportamenti provocanti non lasciavano mai tanto spazio all’immaginazione.
Ma sentirsi dire certe cose, addirittura un “ti amo” detto in maniera quasi melodrammatica come una dichiarazione in piena regola, gli fece uno strano effetto.
Da una parte, provava quasi pena per quell’innamorato non corrisposto, dall’altra avrebbe tanto voluto prendere Francis a pugni fin che non avesse visto uscirgli il sangue dal naso.
-Che…che cosa? – lo guardò incredulo, era come se improvvisamente fossero rimasti solo loro due al mondo.
Francis rise con lieve amarezza –Davvero, non l’avevi capito? – l’inglese si lasciò raggiungere, guardandolo con occhi vacui –Tu, maledetto sopracciglione, mi stai facendo praticamente impazzire. Hai la lingua biforcuta e sei odioso come pochi ma…Tu mi piaci più di tutti quelli con cui sono stato messi insieme. E la lista è lunga…- si concesse una risata, ma questa ormai suonava priva di alcuna energia.
Forse perché Arthur lo stava guardando con due occhi vacui, privi perfino di tutta la rabbia che gli aveva scagliato fino a pochi secondi prima.
Sarebbe stato meglio se gli avesse rigettato tutto il suo odio addosso, con la sua voce stridula e collerica, piuttosto che guardarlo in quel modo, come se lui non valesse nulla.
-Hai finito, frog?-
-Io…- era la prima volta in vita sua che si trovava in difficoltà con qualcuno che gli piaceva. Va bene che la persona in questione era Arthur però…no, quel tono di voce così indifferente era davvero troppo.
Lo vide uscire con irruenza dalla cucina, senza neanche aspettare la sua replica e dirigersi verso il salotto come una furia –Andiamo, bambini. – sentiva la sua voce mossa dalla collera perfino da lì
-Ma il cartone non è ancora finito. – sentì la voce del piccolo Alfred che protestava, con la stessa intonazione isterica di quella che usava comunemente suo padre
-Dobbiamo andare, Al. Ce lo rivediamo a casa. –
-Ma…-
-Ho detto di no!- non lo aveva mai sentito alzare la voce con i suoi figli prima d’ora
-E Francis non lo salutiamo?-
Questo era Matthew, Francis lo sapeva. Non aveva la forza di volontà per fare niente, neanche per affacciarsi ed andare a salutare quel piccolino a cui voleva così tanto bene. Avrebbe voluto dirgli che fosse stato per lui, sarebbero rimasti, che la colpa era solo e soltanto di quell’odioso del loro papà
- No .- forse si accorse che era stato troppo duro con loro, perché si affrettò ad aggiungere -No, ha da fare. -
Se ne andarono in fretta e furia senza neanche salutarlo, come se quella fosse la loro casa e non ci fosse nessun altro con loro, come tre fuggiaschi che dovevano fare più svelti che potevano.
E in tutta la casa, ci fu quel silenzio doloroso che di solito c’è quando cala la solitudine.
Si sentiva soltanto il rumore della tv, mentre ciarlava a vuoto, e il suono malinconico dei singhiozzi di Francis.
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti!
Ah, mi sa che dopo questo capitolo odierete Francis…o Arthur…o tutti e due.
E vabbè, this is FrUk and I like it, che vi piaccia o no .
Questo capitolo è stato quello più difficile da scrivere, in maniera di parole. Non sono particolarmente ferrata nelle scene di questo tipo, quindi, scusatemi se il capitolo fa schifo
Austria: Tu non sei ferrata in nulla è_è
Ringrazio già in anticipo chi leggerà e recensirà questo capitolo. In regalo avrete un Francis/catering per le vostre feste o a scelta, Spagna che balla il flamenco.
Scherzi a parte, dedico il capitolo BlueChan. Grazie per il tuo sostegno *_*
E naturalmente, anche a tutti quelli che mi seguono.
La canzone che ha ispirato questo capitolo è “Can you feel the love tonight”, la versione cantata da Elton John.
A presto
Cosmopolita

   
 
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