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Autore: Glenda    18/08/2012    2 recensioni
Questa è una storia scritta molto tempo fa, e l'affetto che ho per questo sito fa si che voglia condividerla con tutti voi. Nella Firenze degli anni novanta, Mattia, studente fuori sede, affronta il primo anno all'università di lettere. E' solo in una città che non conosce, impacciato, timoroso, ma soprattutto confuso su se stesso e sulla sua capacità di vivere la propria giovinezza pienamente, di saper veramente gioire, soffrire, buttarsi nella vita, amare. Gli serviranno incontri importanti per iniziare a capire, incontri con amici speciali: amici "della razza che non rimane a terra". Storia d'adolescenza, di formazione, d'amore e amicizia che tenta di rispondere ad un vecchio quesito: ma la vita, davvero, come diceva Pirandello, "o si vive o si scrive"?
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI

 

 

Uomo che speri senza pace

stanca ombra nella luce polverosa

l'ultimo caldo se ne andrà a momenti

e vagherai indistinto

 

(G. Ungaretti)

 

 

Il suono del campanello mi sorprese ancora in canottiera, mi infilai la camicia al contrario, così come l'avevo lasciata sulla sedia la sera prima, e scattai ad aprire.

- Sorpresa!...Non mi dire che dormivi! -

- Alberto...! -

La mia espressione di imbarazzo lo fece scoppiare in una sana risata: alle sue spalle Filippo, che non mi aveva messo al corrente di quella visita, ridacchiava.

- Sono arrivato ora - mi informò - e la prima persona che ho pensato di incontrare è stata l'esimio signor Loira, il responsabile della più grande rivista letteraria fiorentina! - e strizzò l'occhio a Filippo, ammiccando.

- Fossi in te - risposi - prenderei meno in giro, e comincerei con lo spiegare cosa ti ha condotto in questa torrida città spopolata in pieno luglio, con le Alpi a due passi da casa -

- Me lo domandi? - esclamò, contraendo il volto in una di quelle sue espressioni da teatro - Il lavoro, il lavoro!...Ahi lasso, quale fardello sulla mia schiena curvata dalle fatiche! Non vedi come il sudore mi gronda dalla fronte? -

- Io dico che è per il caldo - lo smontò Filippo - Non mi hai appena detto che di luglio la rivista non la compra nessuno e che quei pochi non s'accorgerebbero nemmeno se l'editoriale fosse scritto all'incontrario? -

- Si, è vero - ammise lui, continuando ad atteggiarsi a istrione - Ma pensa... - piagnucolò - come sarebbe più bello essere sdraiati su una stuoia in riva al mare: sole, “cocco bello“ e granita! Certo che è dura fare l'uomo di cultura...Sai che ci vorrebbe per me? Il "lavoro intellettuale part-time" - scattò in piedi come se avesse appena avuto un'idea grandiosa - E nel tempo rimanente potrei fare...vediamo...L'animatore turistico!...Che ne pensi, eh, Mattia? -

- Che non saresti niente male! - commentai.

- Vedi Scizio? Il ragazzo è un intenditore! -

Alberto - mi riferirono più tardi - non era venuto a Firenze per Filippo, ma perché era mebro della giuria di un premio letterario e la premiazione si sarebbe tenuta in quei giorni.

La città era quasi deserta, e un caldo umido l'avvolgeva in una cappa pesante; ma il cielo era sempre sereno, tranne qualche alone di foschia che gli si stendeva sopra ogni tanto. Mi piaceva camminare per le strade vuote, amavo la magia sospesa di quelle ore morte in cui tutto sembra fermo, e insieme pare che ci sia sempre qualcosa che sta per succedere.

Stavo trascorrendo un periodo di riposo: con la prima settimana del mese si era chiusa la sessione estiva, e credevo d'aver diritto a un meritato ozio, interrotto solamente dalle poche faccende del "Cambio Rotta".

Camilla, invece, si dava un gran da fare: lavorava contemporaneamente in tre discoteche e al mattino non la svegliavano nemmeno le cannonate, mentre una volta alla settimana si era presa l'incarico di pulire le scale del palazzo e l'ingresso. Di solito la aiutavo anch'io: ci mettevamo lì, con spazzoloni e granate, la sera, verso le sette, per non soffrire troppo l'afa estiva, e giù di brutto a spazzare, spolverare, e lavare per due o tre ore...Ricordo che avevo preso quel lavoro come una cura: la fatica era salutare, avevo la sensazione che mi servisse per purificarmi dall’inerzia dei pomeriggi inoperosi e assonnoliti, e mi trasmettesse nuove energie, fremiti estivi e vitali.

Al termine del lavoro, ci sedevamo sul gradino del portone, con le gambe allungate sul marciapiede, le spalle all'opera finita, e guardavamo venire buio, e il cielo tra i tetti che diventava sempre più scuro, stupiti di essere seduti come vecchiette di paese su una porta di una casa di città, su un marciapiede lungo una strada di città, nel bel mezzo d'una città affollata e anonima che in quei giorni era quasi esclusivamente nostra.

 

- Ci andiamo davvero al mare, Dido? Dimmi che non scherzi! -

Camilla aveva cominciato a saltellare per la casa, esaltata, dopo aver accolto la mia proposta con un urletto d'eccitazione.

- Ci andiamo eccome - le ripetei io - lo hanno deciso Alberto e Filippo. Il giorno dopo la premiazione, si parte: andiamo con la macchina di Alberto e poi lui torna direttamente a Torino e noi prendiamo il treno per Firenze -

- Ma posso venire anche io? Te lo hanno proprio chiesto loro? -

- Ti ho detto di si, Milly. E' stato proprio Filippo a insistere, me lo ha persino raccomandato due o tre volte! -

- Dio, che bello, che bello!...Sono almeno quattro anni che non vedo il mare! Non immagini che voglia ne ho! Credi che riuscirò finalmente ad abbronzarmi?...Ehi, Dido, che dici, con gli spiccioli racimolati con la discoteca me lo potrò permettere un costume nuovo? -

- Ma certo che si, certo che si. Si vive una volta sola -

Assecondavo il suo entusiasmo senza troppi sbilanciamenti, ma in realtà l'idea della partenza eccitava molto anche me, e non tanto per il fatto di andare al mare, quanto perché Rino mi aveva talmente parlato della meta, che non mi pareva possibile dovesse essere un luogo meno bello di come me l'aveva descritto. Lo testimoniava innanzi tutto il suo slancio nel decidere di partire, nello "spostarsi dal suo nido" senza l'esitazione e la titubanza consuete, che irridevano alle malignità di Filippo a questo proposito: ma Rino era uno strano personaggio, e nello stesso modo in cui si vergognava a partecipare con noi ad una cena di redazione, era capace di fare le valige avvertito solo poco prima, e partire per una settimana insieme a due colleghi e due altri semisconosciuti, per raggiungere il "suo posto"...

Ci andava in vacanza da bambino, con la sua famiglia e quella di Filippo: era un paese a nemmeno due ore di viaggio da Firenze, appena fuori toscana, eppure lui non c'era più tornato.

Dall'ultima volta che era stato lì erano passati quindici anni.

 

Ci lasciammo alle spalle l'afa calda cittadina un bel mattino all'alba, con la macchina carica di bagagli, gli occhi abbottonati e l'atmosfera da gita scolastica. Senza riguardo a Filippo, conquistai il sedile davanti, e chiacchierai con Alberto tutto il tempo, senza posa. Lui mi sottopose a un vero e proprio interrogatorio sulla mia vita privata, in cui, per forza di cose, venne coinvolta anche Camilla, che s'era messa in mezzo, sul sedile di dietro, e ogni tanto inseriva la sua faccia da furetto tra i due schienali anteriori, sbirciando ora Alberto ora me, ora l'autostrada Firenze mare che si srotolava veloce sotto di noi.

Mi sentivo libero e contento, e non tanto, o non principalmente, per quella nostra aria vacanziera, quanto per la soddisfazione di riuscire per una volta a dare a Filippo un'immagine di me ben diversa da quella che conosceva. Con la complicità di Alberto, e l'appoggio della sua leggerezza senza finzione, il ragazzetto lamentevole e spaurito che si era lagnato davanti a lui della sua "vita così inutile", si prendeva una rivincita - o almeno così pareva a me - sull'uomo serioso del sedile di dietro, nella parentesi imprevista della “non finalità“, dove il trionfo dell'inutilità diventava semplicemente allegria.

Ero completamente concentrato sulla mia frivolezza, su quell'immagine gradevole e sconosciuta di me, e più credevo di riuscire a scandalizzarlo e infastidirlo, più ero, nel vero senso del termine, profondamente orgoglioso di me.

Come ammiravo Alberto! Come mi piaceva quell'uomo senza vincoli di ruolo, capace di passare con tanta naturalezza da un’irreprensibile dedizione al lavoro e alla cultura, a una totale consacrazione alla banalità, come mi piacevano l'agilità e la destrezza con cui saltava, senza strascichi o stonature, da una dimensione all'altra della vita, come riusciva a trascinarmi con sé, dalla sua parte, senza remore...!

Era meravigliosamente limpido, aereo e veriopinto, ed io pensavo che nessuno, tranne lui, avrebbe potuto permettersi di cantare "luglio col bene che ti voglio..." senza per questo perdere di credibilità davanti allo sguardo giudice del severissimo Filippo Scizio, e che quel giorno stava permettendo lo stesso a me, solo in virtù della sua abbagliante presenza...Pensai che lui era come l'estate, la stagione in cui tutto può essere bello e facile - la stagione che non era mai stata davvero così, per me - e che quel momento era il mio vero “cambio di stagione“: non il ventuno di giugno, ma quel giorno in quell'ora...L'aria entrava a pressione dai finestrini: per riuscire a sentire le nostre proprie voci bisognava cantare a squarciagola: Firenze e la vita comune erano già molto lontane, e Filippo là dietro era diventato uno spettatore bonario e indifferente.

 

La stessa atmosfera non venne meno una volta arrivati: sembravamo davvero un gruppo di ragazzotti in vacanza, anche quando Filippo cercava di riprendere sotto controllo la situazione. Tuttavia finalmente credevo di aver trovato delle cose che lui non sapeva fare e lo osservavo che ci guardava correre dietro una bandierina sulla spiaggia con quel mezzo sorriso di superiorità e invidia che immaginavo di avere io quando mi cadeva l'occhio su quei due scolaretti che si scambiavano effusioni alla fermata del diciassette.

Ma forse il sicuro Filippo non provava invidia: forse aveva rinunciato da sempre all'interezza di uno come Alberto, e sapeva semplicemente distinguere ciò che era importante da ciò che non lo era, per lui. E solo quello che riteneva importante lo faceva a qualsiasi costo. Doveva essere il segreto della soddisfazione di sé, e certamente i nostri giochi di società non contribuivano né a rafforzarla né a scalfirla: era per questo che poteva rimanere serenamente impassibile.

Per me, invece, era diverso: per me, a differenza di Filippo, quella vacanza una certa importanza doveva averla.

Mi sentivo stranamente leggero, autosufficiente e improvvisatore, credevo di somigliare al personaggio di un cartone animato (dirò meglio: avevo voglia di sforzarmi per esserlo), fatto di carta colorata svolazzante, che sbatte la testa conto il muro e precipita da un grattacielo senza farsi male, capace di uno straordinario, indescrivibile equilibrio, ed avevo bisogno di questa conferma, di sapere che c'era anche per me una possibilità del genere, un modo d'esistere diverso.

L'unico contatto col mio universo reale, e non per questo sgradito in quella circostanza, furono i versi di Sereni, che Alberto declamava continuamente e ad ogni occasione, felice di aver trovato una persona che lo amasse quanto lui. Anzi, ho un diario di viaggio tenuto su un quadernaccio a quadretti che si apre così: " - sono andati via tutti - blaterava la voce dentro il ricevitore, e poi, saputa - non torneranno più - "...Filippo disse che questo era un diario che cominciava dall'ultima pagina, e forse era vero: rispondeva benissimo alla mia propensione a vivere tanti momenti della vita partendo dal fondo, col presentimento ossessivo della fine che getta sempre un'ombra di inquietudine sullo srotolarsi dei giorni e irridendo alla serenità.

Inoltre, a chiusura di vacanza, davvero fine e principio di quel quaderno vennero a coincidere, perché le pagine centrali furono strappate via via per lasciare o prendere indirizzi, e ne rimasero solo due.

"Vicende vacanziere” recitava la prima “Camilla ha rimorchiato un ragazzo. Mattia si mette le mani nei capelli e dice: siamo da capo"

...Lo pensai davvero, come no, ma non lo dissi, nonostante la malignità che Filippo volle attribuirmi riportandola sulla nostra agenda...In effetti mi scoraggiava il rischio di una nuova odissea amorosa in cui, volente o nolente, sarei stato trascinato, e bisognava, ad essere onesti, aggiungere anche il solito senso di fastidio dato non so se dalla facilità con cui lei sapeva vivere l'amore, da una punta di moralismo o d'invidia, o anche solo dal fatto che quel suo nuovo compagno mi pareva veramente stupido...

Di fatto, criticavo spesso il suo ossessivo refrain di auto assoluzione "Son cose d'estate: ci si diverte e poi ognuno a casa sua", e gli opponevo alti ideali di intensità, sincerità e passione che, in fondo, difendevo più per partito preso che per esperienza personale. Non so con quale spirito di sopportazione riuscì a non rispondermi mai: "ma che ne sai dell'amore, tu!", anche se il pensiero le si leggeva nitidamente in faccia.

Filippo, invece, ascoltava i nostri battibecchi con compassionevole disinteresse, e anche con una punta di soddisfazione quando una frase fatta, o una risata sguaiata di Camilla seduta sulle ginocchia di lui sembravano confermargli la sua certezza di averla già "inquadrata realisticamente da tempo", al contrario di quanto credeva avessi fatto io.

Non per questo la giudicava: si limitava a constatare e a esporre lucidamente i suoi pensieri a me, e se io gli sollecitavo una presa di posizione, abituato com'ero alla sue sentenze senza scampo, scrollava le spalle sorridendo e diceva: "E' giovane, ed è al mare", parlando pacificamente come un adulto di una ragazzina, ed escludendo in partenza se stesso dal concetto di giovinezza, con una nota di orgoglio, quasi si fosse trattato di una fase della vita da superare bene e presto.

Gli interessava di più, invece, il mio atteggiamento di fronte a tutto questo: era abituato a come di solito fossi io ad assolvere tutto e tutti, e in men che non si dica formulò anche la sua diagnosi.

- Dimmi una cosa - mi chiese una sera che era in vena di conversazioni senza impegno - Da quanto tempo sei innamorato di Camilla? -

Io strabuzzai gli occhi che pure, data una certa stanchezza, non vollero spalancarsi abbastanza per rendere la giusta espressione di stupore

- Da quanto tempo...Ehi!...Ma sei impazzito?!? -

Filippo scoppiò a ridere

- Ma dai! Si vede lontano un miglio! -

Poi si accorse di star perdendo una splendida occasione di auto elogio e si corresse

- Cioè, gli altri potranno non essersene accorti, ma io... -

- Ma tu - gli completai la frase sicuro di avere uno scarso margine d'errore - data la tua straordinaria intelligenza hai già capito ogni cosa, ben prima...vediamo...ben prima che lo capissi io stesso! -

- Appunto - stette allo scherzo - ...Allora? -

- Allora niente - feci io, un po' spazientito - Sono amareggiato di causare un simile smacco al tuo geniale potere intuitivo, ma stavolta sei davvero fuori strada -

- Ehi! - mi rabbonì lui, sorridendo - Non ti sarai mica offeso! Come sei suscettibile Mattia. Stavo solo cercando di motivare le tue manifestazioni di insofferenza verso le scappatelle della signorina De-Gaddi Ciuffino!...Scherzi a parte, non c'è bisogno di questa grande capacità d'intuizione per vederle! -

Quell'insolita disponibilità mi tranquillizzò, e cercai di prenderlo sul lato serio

- No, non mi sono offeso - dissi - figurati. Solo...è un argomento di cui non saprei parlare...E' una faccenda...un po' delicata, ecco, e non saprei dirti precisamente cosa mi innervosisca nell'atteggiamento di Camilla...l'unica cosa che ti posso garantire è che non sono innamorato di lei...Io non sono mai stato innamorato di nessuna - e aggiunsi, grave, un poco costretto, un poco per attirare l'attenzione - Io non mi innamoro mai -

Filippo si stiracchiò le braccia, poi se le potrò incrociate dietro la testa

- Prima o poi ti capiterà - disse solo, niente affatto sorpreso o, come più sospettavo, infastidito dalla mia netta sentenza - Non avere fretta. E' una cosa di natura. E bisogna prenderla così. Con naturalezza -

Parve non avere da aggiungere altro, e io ne approfittai per troncare la conversazione. Quella sera, però, prima di dormire, provai a immaginare come potesse comportarsi Filippo con una donna. Mi accorsi di non sapere proprio niente della sua vita sentimentale: forse era fidanzato, credeva nei valori della famiglia...Mah...in vero non mi sembrava il tipo...Il suo temperamento me lo faceva vedere solo come il leader di un gruppo, e non riuscivo a figurarmelo adatto alla vita in due.

Le sue idee trasgressive e liberali mi avrebbero spinto a pensarlo piuttosto un "libertino", ma era già stato dimostrato abbondantemente come tutti gli schemi mentali che mi ero costruito per analizzarlo cadessero inesorabilmente in pezzi di fronte alla sua sfaccettata personalità.

Era inutile farsi strane idee, quindi; ma prima di crollare nel sonno mi sorpresi a porre a me stesso un interrogativo: possibile che mi affascinasse di più una sola frase di Filippo che non tutti gli atteggiamenti di Camilla messi insieme? Altro che innamorato! Vivevo ancora nel mondo dei romanzi, io: mi piacevano i personaggi costruiti da me, non le persone vere!

 

Nell'altra delle pagine salvate dallo scempio restava un'annotazione in lettere grosse e tonde: "Oggi spedite cartoline: le ha scritte tutte Filippo perché il suo livello cognitivo molto elevato fa sì che lui s'esprima meglio di noi"...la grafia stavolta è quella di Alberto, sotto ci sono i commenti di Camilla e me e la risposta dell'interessato, e non so ancora se preferisco considerarla una testimonianza della capacità di Alberto di abbassarsi a simili giochetti stupidi o un ricordo del bellissimo dialogo con Filippo che venne dopo. Fatto sta che allora servì a immortalare quella gloriosa affermazione che gli sfuggì scherzosamente e con cui lo prendemmo in giro molto a lungo.

- Potete tranquillamente sfottere - mi disse lui quella sera che fu tra le più importanti trascorse in sua compagnia, e una delle ultime passate lì - Non mi offendo mai quando le cose sono vere. Mi indigna solo la falsità!...E io sono un superbo esemplare, giusto? -

Stavo per dare sfoggio di buona educazione cantilenando "certo che no, figurati", ma lui non me ne lasciò il tempo

- Del resto sarà la prima impressione che ti ho fatto - disse, cogliendo, come al solito, nel bel centro del tiro a segno - un superbaccio altezzoso! E non avresti avuto torto: ma la differenza tra me e la gran maggioranza dei superbi è che io ne sono orgogliosamente consapevole. E' una delle mie migliori doti! -

Sorrise, saltando su uno scoglio (la scogliera era già quasi in ombra, erano circa le sette...Camilla e Alberto non erano ancora tornati dalla scarpinata nell'interno dove li aveva trascinati Rino): non mi sarei mai aspettato che fosse in vena di confidenze.

- Sai - spiegò - io apprezzo molto l'ostentazione della superbia, almeno quanto detesto quella della modestia. Anzi, ti dirò che mi diverto parecchio a scandalizzare gli altri con i miei auto elogi: se non ricordi male ci ho provato anche con te!...Mi piace vedere la faccia che fanno le persone, dato che in genere, nella civile convivenza, sì è abituati piuttosto alla falsa modestia -

- E invece la tua - ironizzai, lanciando un sasso nell'acqua - è falsa superbia, suppongo... -

Mi pareva che volesse andare a parare in quella direzione, e tentai di fare per una volta anch'io un centro nel bersaglio

- Niente affatto - mi rispose - Io sono e rimango fondamentalmente un superbo. Ma credo che confidare nella propria intelligenza, sentirsi "bravi", sentirsi "più bravi" di tanti altri, possa considerarsi un pregio anziché un difetto -

- ...Ma quella di cui parli - lo interruppi all'improvviso - non è superbia in senso stretto. E' sicurezza di sé. E' diverso -

- Non così diverso da... -

Rimase in silenzio un attimo, serissimo, guardando l'orizzonte. Poi rannicchiò le ginocchia al petto (ci eravamo frattanto seduti, gli schizzi delle onde sulla scogliera ci stavano bagnando l'estremità dei pantaloni) e vi appoggiò sopra il mento, pensieroso. Era un'espressione "nuova" per me...

- Sai Mattia... - riprese - che sei veramente acuto? -

Sorrisi al complimento, benché sorpreso

- Comunque - insistette - io conosco anche la superbia in senso stretto, e, credici o no, è un aspetto di me che non mi piace molto, o non mi piace sempre, e avverto come una limitazione di me stesso il fatto di non riuscire a eliminarlo -

- Cioè? - chiesi io, perplesso

- Cioè - fece eco lui, deciso - Cioè mi accade molto spesso, in qualsiasi tipo di relazione umana, con qualsiasi tipo di persona, di pensare "ecco, questo uomo, questa donna che ho davanti è scontata e superficiale, io, senz'altro, sono intellettivamente molto più capace"...e ti garantisco che un tipo simile di approccio all'altro inibisce parecchio non solo le possibilità di relazione, ma anche una schietta e aperta coscienza critica. In sostanza, si tolgono della possibilità all'interlocutore e a se stessi, e alle volte è frustrante -

Rimasi colpito nel sentirlo parlare tanto lucidamente dei propri difetti: aveva sempre così ostentato di non ritenere d'averne che quasi me ne ero convinto anche io...Ma appena un istante dopo il mio pensiero si era già rivolto al sospetto di tutte le volte che probabilmente aveva pensato quelle stesse cose di me, e l'idea mi turbò.

- Vedi - proseguiva intanto lui - un caso esemplare è Camilla. Se non ci fossi stato tu, io avrei continuato a dire a me stesso, tutte le volte che la incontravo "che ragazza frivola e stupida. Non potrei mai riuscire a sopportarla"...E quello che mi pesa, con tutto il rispetto per lei, è che a volte mi succede tuttora, così come con moltissimi altri -

Stavolta fu lui a lanciare un sasso in acqua, e lo fece rimbalzare tre volte sulla superficie

- Bravo! - esclamai, e poi, ridendo, e cercando di fingere disinteresse - ...Chissà quante volte hai pensato lo stesso nei riguardi del sottoscritto! -

Filippo si voltò a guardarmi serio serio, e all'improvviso scoppiò a ridere

- Ah! - fece - ecco cosa ti preoccupa! -

Saltò in piedi sullo scoglio, e mi squadrò dall'alto in basso: non aveva una gran statura, ma da quella posizione la sua figura era davvero sormontante, fosse stato anche solo per l'ombra lunga che si era stesa comodamente su di me

- Beh, ti sbagli di grosso - dichiarò - dal primo giorno che ti ho conosciuto ho subito pensato che valesse la pena frequentarti. E' vero, devo confessare che ti ho sempre ritenuto sprovveduto e ingenuo, ma ho anche sempre avuto l'impressione che dovessi solo essere "svegliato". E qui ecco il non plus ultra della superbia: credevo di poterlo fare io...! Non ti illudere: lo credo ancora. Solo che penso anche che tu possegga certi aspetti che io non posso capire, che non mi apparterranno mai, che fanno sì che tu sia così come sei, così diverso da me, e che tuttavia non per questo reputo inferiori, e credo che valga la pena di valorizzarli. ...Pensi forse che mi sarei scelto un cretino come collaboratore?...Non sia mai. Il mio livello cognitivo elevatissimo non lo consente! -

Non avevo motivi di credere a quel complimento: tante e troppe volte, e soprattutto "il primo giorno che mi aveva conosciuto" aveva dimostrato di sentirsi superiore a me perché potessi pensare che si trattasse solo di manifestazioni di sicurezza fatte con l'intento di "svegliarmi". Tuttavia, siccome quanto ero bravo ad auto deprimermi, ugualmente sapevo esserlo nel raccontarmi le favole, mi piacque supporre che davvero, frequentandolo, fossi stato io a fargli cambiare impressione, e mi chiesi se non avessi davvero un "segreto nascosto", un pregio speciale che Filippo non poteva apprezzare del tutto.

Fu allora, credo, che mi resi conto che in fondo, tutte le volte che avevo discusso con lui, non mi ero mai sentito veramente inferiore: mi era capitato spessissimo di farmi scudo di un silenzio protettivo dietro il quale tra me dicevo: "inutile insistere: non capirà mai, non può capire", e così far pari con la consapevolezza di essere debole di fronte a lui, che era forte.

Eh sì, era proprio la verità: accidenti, era Filippo, altro che io, ad essere acuto! Ora capivo che ero superbo anche io, ero sempre stato superbo e avevo sempre voluto dare l'impressione del contrario. Ed era una superbia molto più subdola della sua, era un vile alibi per cercare di credersi bravi e belli quando non si ha il coraggio di darne prova all'esterno.

Tantissime volte, anche solo parlando con gli altri, mi era capitato di sentire ciò che diceva lui...mi era capitato con Camilla, quando mi faceva ripetere le solite frasi fino alla noia per farsi convincere di qualcosa, coi compagni d'università, a volte con lo stesso Rino...

Era spaventoso: si poteva essere insieme sfiduciati, insicuri e terribilmente superbi. E soprattutto: com'era facile perdere stima di sé, di fronte ad una scoperta di questo genere! In quel momento sì che mi sentivo davvero inferiore a quel giovane straordinario, schietto e intelligente: superbo, sì...ma ugualmente capace di delicatezza, sincero nelle antipatie come negli affetti...! L'ombra lunghissima di lui in piedi mi copriva ormai del tutto, riportava perfettamente sullo scoglio il suo profilo affilato come lo spigolo di un mobile, quel suo naso dritto dritto, un po' all'insù, che avrebbe voluto sfidare persino il venticello marino di quella sera, la sua fronte piana e le sue dita esili, ancor più sottili in quella sagoma lunga...Avrei potuto confonderlo con le onde, così pacate e così maestose, col loro moto continuo, infaticato, e coi colori di tutta l'aria e di tutto il cielo, quella sera...un essere etereo e corposo insieme.

Ad un tratto Filippo si voltò, e saltò giù dallo scoglio, lasciando che il sole mi colpisse dritto in faccia.

- Dove vai? - chiesi.

- All'albergo. Stanno tornando -

E mi indicò in lontananza Rino Alberto e Milly che s'avvicinavano, ciondolanti sulla strada polverosa

- Ehi - aggiunse - cos'è questo sguardo assorto? -

Poi fissò anche lui il tramonto, con tutto quel rosso ovunque, che sembrava che il sole si stesse squagliando come un gelato.

- Già... - disse - dimenticavo. Tu sei un "letterato"...ti lascerai commuovere dai tramonti -

Quel commento mi riportò ad una dimensione più naturale; sorrisi

- Proprio commuovere no... - risposi - Ma devi ammettere che sono molto belli -

Esitai un istante e mi venne voglia di dire una cosa

- E, a proposito - ripresi - io non sono un "letterato"...Insomma, credo che la letteratura non sia, non sarà lo scopo della mia vita, anche se, ora come ora, la mia vita è limitata a questo. Un vero letterato credo che sappia vivere del suo amore per l'arte. Io, invece, penso di aver bisogno di altre cose...Quali cose, non so: ma ci penso spesso -

Non so dove andai a pescare un commento del genere, che non aveva motivo alcuno di inserirsi proprio lì...Certo lo dissi più a me stesso che a Filippo, tanto che neppure ricordo se e cosa mi rispose. Ma fatto sta che, come se mi fossi liberato di un pensiero e lo avessi affidato a quel mare - al suo moto continuo, infaticato -, immortalandolo per sempre, scesi anch'io dallo scoglio e precedetti Filippo incontro a Rino e gli altri, con una corsa che mi sembrò tanto, tanto leggera.

 

L'ultima sera fu un freddo bestiale. Era piovuto, la sabbia era umidiccia, il mare si accaniva contro la riva così arrabbiato che definirlo mosso sarebbe stato riduttivo.

Eppure Alberto insistette per non rinunciare al classico falò sulla spiaggia: ci saremmo armati di giacche a vento e coperte - diceva - tanto "che volete che sia, che volete che sia un po' di tempesta!"...eh no, proprio no: non si poteva davvero fare a meno del romantico addio alla vacanza, del sommario, del momento conclusivo...lui, da giovane, non lo avrebbe fatto neppure...

- Neppure a rischio di una broncopolmonite!...Insomma, Mattia: è una cosa basilare!... -

Una "cosa basilare".

Già...già...Più o meno come per Rino la "cosa importante"...!

Era proprio sorprendente come Alberto fosse capace di giocare, senza essere offensivo, sulla mia naturale inclinazione a trasportare tutto in una dimensione più poetica e irreale: lui poteva pure scherzare, ma mi aveva convinto sul serio che si trattava di una tappa inevitabile per fare sì che questa settimana occupasse, in seguito, un posto di privilegio nella mia memoria!

...(E, scherzo per scherzo, così fu. Realmente. Così fu...)

Soffrivo il freddo, io. Sopportare le sferzate del vento che infuriava dal mare, a quell'ora, con quell'umido che entrava fino nelle ossa, con persino gli spruzzi delle onde che ogni tanto arrivavano fino a noi, fu un sacrificio non indifferente: a nulla valsero coperta e giacche a vento. Tuttavia, lo sforzo che mi costava rafforzava il valore di quell'impresa.

Lo facevo più per dovere che per piacere, come quando si deve dare una prova di coraggio se pure a caro prezzo (cosa che a me non era mai capitata, se non forse quando avevo dovuto metter piede per la prima volta nell'ufficio di redazione del "Cambio Rotta"!)...Ma la situazione esterna era felicemente complice del mio strano sadismo "solennizzatore": il cielo che minacciava pioggia per una stagione e lo scroscio violento delle onde sugli scogli sembravano essere stati volutamente accostati alla canzone country che Alberto strimpellò sulla chitarra, ai versi marini recitati sottovoce, a certe sensazioni forti che a volte sembrano più infallibili delle cose che si toccano e si vedono, e alle quali, veritiere o no, non sono mai stato capace di non badare.

Credo fu per questi motivi tutti assieme che quando Rino propose di aspettare l'alba, mentre dal mare veniva un vento sempre più freddo e il cielo diventava ogni istante più nero, non mi pareva più una cosa inopportuna, e mi sembrava ormai naturale che quella faccenda potesse concludersi solo così.

- Non ne vale la pena - commentò Filippo, che probabilmente era lieto dell'occasione che gli veniva offerta di esibirsi anche come buon meteorologo - con un tempo così domattina non ci accorgeremmo nemmeno di quando si leva il sole -

- Ti sbagli - fece Rino, annusando profondamente l'aria, estraniato - domani sarà bel tempo, l'orizzonte sgombro, e il cielo limpido come non mai -.

Filippo lo squadrò di sotto in su, ironico

- E in base a cosa lo sostieni? -

- Perché lo so - fece lui, con un sorriso sicuro - Io conosco questo posto. E l'alba di domani sarà meravigliosa, se io glielo chiedo -

Mi piacque tantissimo quell'espressione di confidenza nei confronti di un luogo, o del tempo, o di Dio, chissà, che proclamai entusiasta

- Andiamo! Non vi giochereste uno starnuto per un'alba?...E’ un’idea bellissima! -

E fu così che restammo soli.

In due.

Rino ed io.

Ricordo che guardai fisso, a lungo, la chitarra di Alberto che gli rimbalzava sulla schiena ad ogni passo mentre si allontanava lento lungo la spiaggia; ricordo che pensai che Filippo avrebbe potuto dirmi: "dimentico che sei un letterato, ti lascerai commuovere da un’alba", e che invece non aveva detto niente; ricordo che Rino mi sorrise, quasi riconoscente, e che all'improvviso mi disse

- Sai, tornare qui mi ha fatto uno strano effetto -

Gli chiesi perché, e lui mi rispose:

- Non so. Pensavo che sarei impazzito di gioia, che avrei saltato, gridato. Invece niente. Tutto mi pare naturalissimo. Non riuscirei a scrivere un rigo su questo viaggio. E' stato tutto drammaticamente normale: arrivare, andare via...e sento uno strano nodo alla gola al pensiero...che so...che potrei vivere altri dieci, vent'anni, nel miraggio di questo posto, e che poi quando ci torni è tutto già passato, che il momento che aspettavi è già fuggito, che potrei non tornare più, che stasera è così freddo e che tutto finisce sempre... -

- Sembra... - mormorai - che tu parli di un luogo lontano miglia e miglia... -

- ...eppure è a due passi da casa mia. Lo so. E anche questo è molto buffo...Sai, a volte mi sembra di non parlare di un posto, ma di un luogo della mia fantasia...E si può esserne davvero lontani mille miglia... -

Appoggiò la testa sulle ginocchia e non disse altro.

- Anche io - incominciai allora - ho trovato questo viaggio molto strano. Forse perché è capitato all'improvviso e non me l'aspettavo, o perché non vedevo il mare da tanto tempo. Ma è stata una parentesi, una strana parentesi di libertà e leggerezza che mi spaventa e mi stupisce. Mi stupisce perché è insolita, e mi spaventa...perché... -

Avrei potuto ripetere le sue parole e dire "perché tutto finisce sempre", ma rimasi zitto.

In realtà parlammo poco o niente, e attendemmo il mattino quasi in silenzio.

- Senti Mattia - mi disse Rino quando già l'orizzonte cominciava a schiarire - mi prometti che un giorno tornerai qui insieme a me? -

- Certamente - risposi.

Poi successe qualcosa che non dovevo mai più dimenticare.

Era ormai mattino, le nuvole si erano diradate.

Venne un'alba meravigliosa, la più bella che mi fosse mai capitato di vedere.

Il mare era ancora infuriato, le onde tormentavano la riva e soffiava un vento di tempesta, che però aveva spazzato via il brutto tempo, liberando il cielo.

Rino saltò in piedi, come colto da uno spasmo improvviso, e si slanciò verso la riva, immergendosi in acqua fino alle ginocchia: allora si voltò di scatto verso di me, un'onda enorme gli si ruppe sulla schiena, e lo inzuppò da capo a piedi. Lui spalancò in alto le braccia grondanti d'acqua e sfoderò un sorriso radioso, guardandomi...

- Io amo questo posto!!! - urlò forte, gridando sopra il fracasso del mare e del vento, perché lo potessi sentire...quasi che il mondo intero dovesse sentirlo...

Provai un brivido gelido lungo tutta la schiena: avrei voluto piangere, singhiozzare, o scoppiare a ridere, non so...Quello di cui sono certo è che non mi ero mai sentito - e non mi sono più sentito - così.

Avevo freddo, tanto freddo.

Stavo tremando.

Il freddo della notte era venuto fuori lì, tutto insieme.

Era come se quell'onda avesse bagnato, insieme a Rino, anche me...

 

Ritornammo verso l'albergo camminando in silenzio sul lungomare. Le sagome delle barche erano ancora scure nei colori pallidi dell'alba.

Voltandomi a guardare l'orizzonte incrociai la figura di un uomo che gettava l'ancora della propria imbarcazione. Era stato fuori la notte come noi e tornava solo ora? Quell'immagine mi suggerì il ricordo di un passo di Svevo (...lo stavo "studiacchiando" per l'esame di settembre): il marinaio che allenta il nodo alla barca per salvarla dalla tempesta, e il protagonista che pensa che se avesse avuto la buona sorte, per una volta, di compiere un atto di cui si vedessero immediatamente le conseguenze, sarebbe stato meno debole e meno infelice...

Anche io non ero mai stato capace di vedere immediatamente la conseguenza pratica delle mie azioni: faccio un nodo, salvo una barca; scrivo un articolo, credo di cambiare la società...Non sapevo, non so niente di queste cose. Vorrebbe conoscerle l'istinto solo standoci in mezzo vivendole e non per svago. A questo patto solo...

D'un tratto mi accorsi d'aver paura che quella leggerezza facile scomparisse da un momento all'altro, così come era venuta, magari dietro la porta di casa. E per quel mio terribile difetto di voler trovare per forza uno scopo nelle cose, finii per vedere quanto inutile fosse anche quella spensieratezza che mi aveva quasi illuso che fosse quello, essere felice.

Bisognava sempre agire in fine di qualche altra cosa; che poi fosse o meno quella giusta era secondario...

Non sarei mai stato capace, era contro la mia natura che io mi accontentassi di una gioia fine a sé stessa, nata spontanea e spontaneamente finita. Perché io - e che questa si potesse davvero chiamare superbia non bastava a togliermi questo pensiero - ero diverso dagli altri, e la serenità, la soddisfazione di una risata spontanea, del divertimento per il divertimento, proprio non mi bastavano.

Sì, la mia allegria non aveva sbocco, era sorta senza ragione, suscitata troppo facilmente da un bel sole e da un bel posto, e se ne sarebbe andata ugualmente senza lasciare nulla, senza che io mi fossi svegliato una persona diversa, l'indomani, quando Filippo avrebbe ritrovato la sua politica, Alberto moglie e figlia, Camilla forse un nuovo amore, ed io il mio bus diciassette, i libri di poesia, e Vittorio Sereni che forse mi avrebbe detto: "Tardi anche tu li hai uditi...".

Anzi, non li hai uditi affatto, hai solo scherzato, e ora sei da capo.

  
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