Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Dicembre    19/08/2012    1 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ma guarda, sono stato allertato...
 
Canticchia qualcuno lontano e io non capisco chi sia ma è  il tono della sua voce che mi cattura. E' dolce. E' melodiosa e cristallina.
E' malvagia.
La sento perché sono così concentrato su di te che qualunque cosa ti sfiori, io la percepisco.
Ma è una voce flebile e lontana, che ancora non mi preoccupa.
Nostra Signora ti protegge.
 
 
Dei Lannart non esiste più notizia. La terra pare aver cancellato il loro nome, gli uomini il loro ricordo.  Dopo la morte di Lady Lorelain, le voci su una maledizione hanno iniziato a circolare per tutto il territorio. Voci popolari, voci false, ma non per questo meno capaci di fare presa sugli animi degli abitanti che si sono allontanati sempre più dal folle casato.
E no,Lord Lannart non è morto per accidente, ma per allontanare ancora più la minaccia che la follia del suo casato colpisse anche gli innocenti che abitavano le sue terre.
E' stato un suo stesso servo ad ucciderlo, ma questo nessun'altro lo sa se non lui stesso.
Non era destino che Nathaniel  si prendesse cura di una terra ormai inaridita dai suoi stessi padroni, è destino che lui stia con te.
Come dono
E cosicché tu possa perdonare.
 
Ma il perdono è preceduto da una colpa. Di chi?
Di lui? Di Lei?
No Lei non sbaglia, Lei solo gioisce della gloria che ti circondi.
Tu che a differenza di me sei ammantato di luce, sei stato risparmiato.
E' stato un gioco del destino, un capriccio. Io e te così uguali, ma in realtà così diversi. Lontani.
Mi chiedo se quando scoprirai tutto questo mi amerai di meno.
A questa domanda sorrido: tutti agognano il tuo amore che non è mai sufficiente.
 
Quand'ero in vita non mi rendevo conto che io e te fossimo così diversi, così incredibilmente disuniti, nel nostro corpo che ci appariva identico. Non lo era la nostra anima, no.
Quella era troppo diversa: la mia era opaca.
Io sono stato fortunato.
Così fosti lasciato sulla terra, per illuminarla e io fui portato per mano lontano, obbligato ad aspettarti  e a guardarti. Obbligato ad avere nostalgia di mio fratello. Ma salvo nella terra del Signore.
 
Il dono di Dio... Com'è fraintesa quest'idea da chi ancora è mortale!
E com'è fuorviante quest'appellativo.
Il dono di Dio sei tu. Non ciò che hai ricevuto.
La tua luce è per chi ti sta intorno, la gloria che ti riveste pesa sulle tue spalle, ma copre e riscalda gli animi di chi ti guarda.
Mentre tu ti consumi.
Tutti agognano il tuo amore che non è mai sufficiente.
 
Di nuovo lo sento:
 
Ma guarda, sono stato allertato...
 
e di nuovo non ci bado perchè è una voce flebile e lontana.
E Nostra Signora ti protegge.

***



Capitolo Trentasette - Spezzata
 
 
 
 
 
Cencio guardava con attenzione il falegname del castello intagliare quella che presto sarebbe diventata una cassa.  Doveva finirne il coperchio per poi articolare tutte la parti insieme per concludere il lavoro.
 
Cencio era esterrefatto della velocità con cui i gigli prendevano forma, così come le orlature e gli intrecci in un legno che sembrava durissimo.
 
“Dove hai imparato?”
 
“Ad intagliare il legno? Oh…” rispose l’altro con voce profonda “Da mio padre. E lui dal suo.  Da che si sappia, non abbiamo mai fatto altro…”
 
Cencio annuì, continuando ad osservare le mano dell’uomo. I capelli grigi ormai superavano quelli rossi, tantissime rughe che gli solcavano la fronte, corrugata dall’impegno che metteva nel proprio lavoro. Eppure i suoi occhi sembravano quelli di un ragazzino alle prese con un giocattolo.
 
“Ti piace il tuo lavoro” disse Cencio a metà fra una domanda ed un’affermazione.
 
“Non potrei chiedere di meglio!” disse lui “il legno a me parla”
 
Cencio allargò gli occhi annuendo.
 
“Non c’è qualcosa che ti appassiona, ragazzo?”
 
“Beh, sì, molte cose…” rispose Cencio pensandoci su “ma non c’è niente in cui sia veramente bravo, a parte…” ma poi esitò
 
“A parte?”
 
“A parte rubare” arrossì Cencio “forse non dovrei dirlo, ma sono proprio bravo a farlo”
 
Il falegname scoppiò a ridere”Beh, che sincerità!”
 
Cencio abbassò lo sguardo “Diciamo che è da un po’ però che ho smesso”
 
“Bene, allora non la mia sacca degli attrezzi è al sicuro?”
 
“E cosa me ne farei della tua sacca degli attrezzi?”
 
“Non so che genere di ladro tu sia. C’è chi ruba quello che gli serve, c’è chi ruba tutto ciò che vede!”
 
Cencio scoppiò a ridere a sua volta: “Hai ragione. Luppolo probabilmente direbbe che io appartengo al secondo gruppo!”
 
“Luppolo? Lo scozzese?”
 
“Lo conosci?”
 
“Riuscirei ad individuare uno scozzese fra mille. Ci riconosciamo con una semplice sguardo!”
 
Cencio aggrottò le sopracciglia: “Sembra di sentire parlare quell’altro!”
”Dovete essere molto amici…”
 
“Se prometti di non dirglielo, ammetterò che sì, lo siamo. Nonostante la sua testa di scozzese sia dura come il sasso. Anche se” aggiunse poi con aria pensosa “lui dice sempre che nella mia c’è aria… Quindi mi sa che ci siamo proprio trovati!”
Scoppiarono entrambi a ridere fragorosamente.
 
“E cosa t’ha portato qui?”
”In Inghilterra?” chiese Cencio e il falegname annuì per conferma.
 
“Molte cose… Fra cui lo stesso Luppolo. Tu invece? Vedo pochi scozzesi da queste parti”
 
Il falegname annuì “Mia moglie!” disse poi infervorato “Quel diavolo di una donna m’ha convinto a venire qui. Devo ammettere che c’è più lavoro. E lavorare per Lord Thurlow è stata una fortuna come non me la sarei mai aspettata in vita mia”
 
“E’ un buon padrone?”
 
“Paga bene, ha buon gusto nel richiedere i lavori e non è un tiranno. Devo ammettere che la prima volta che lo vidi non mi fece una buona impressione…con quella sua aria altezzosa. Ora invece ringrazio mia moglie per avermi convinto a venire qui. Ma questo non riferirglielo!” risero di nuovo entrambi mentre il falegname riprese ad intagliare il legno.
 
“Ah” disse poi Cencio “un’altra cosa che adoro fare – e so fare anche molto bene – è mangiare! Vado nelle cucine a vedere se c’è qualche avanzo. Vuoi che ti porti qualcosa?”
 
Il falegname esitò.
 
“Lo faccio volentieri”
 
“Del sidro” disse convinto il falegname “Un uomo non può vivere di sola acqua per troppo tempo!”
 
Cencio annuì convinto e si allontanò dalla sala dove il falegname aveva già ripreso il proprio lavoro.
 
 
 
Il ragazzo trotterellò per i corridoi, incredibilmente di buon umore. Non capiva esattamente il perché, eppure quella mattina, nel silenzio di Castel Thurlow, sembrava andare tutto bene.
 
Il capo non c’era, era andato con Lord Aaron ad ovest, alle miniere di stagno.
 
Nonostante l’opposizione di Chiaro, Cencio era contento che Nero fosse andato, gli avrebbe fatto bene. Fare qualunque cosa senza dover pensare al gruppo non poteva che fargli bene.
 
Cencio era ben consapevole del peso che Nero doveva portare sulle spalle e della completa dipendenza che gli altri avevano. E questo di certo non poteva fargli piacere.
 
Il capo voleva fermarsi a Castel Thurlow: probabilmente era la scelta migliore e la più saggia. Pensandoci bene, lui stesso avrebbe voluto farlo. Magari anche lui, come il falegname, avrebbe potuto ringraziare la sorte per averlo obbligato, una notte di tempesta, a fermarsi lì e a trovare riparo.
 
Forgia ormai era fuori pericolo: era debole, ancora poco preciso con l’arco, ma fuori pericolo, questo però portava il giorno della partenza ad avvicinarsi. Che cosa avrebbe fatto il capo?
 
Sarebbe rimasto lì? E gli ordini di Re Edoardo? Li avrebbe ignorati? No, Nero non avrebbe potuto farlo: tutti loro avrebbero dovuto onorare gli impegni presi, avrebbero dovuto ritornare quindi in Francia…
 
Ma forse poi avrebbero potuto tornare.  Forse…E Lord Aaron avrebbe voluto anche lui lì? E degli altri che ne sarebbe stato?
 
Troppe domande e troppo pensieri, senza risposte chiare. Cencio fu contento che non toccasse a lui trovarle.
 
 
 
Il corso dei suoi pensieri fu interrotto da un rumore sordo, seguito da un infrangersi di vetro. Qualcuno gridò.
 
Era la voce di Luppolo, ne era certo. Corse verso quella voce. Che cosa stava succedendo?
 
Cercò l’origine del rumore che fu seguito da parole che Cencio non riuscì a capire.
 
Forse nel salone? Forse nella stanza delle armi? Forse in quella dei camini.
 
 
 
“Non mi scuserò per quello che ho detto! Come poteva essere una donna rispettabile tua madre se ha permesso ad un uomo di avvicinarla?”
 
“Che cosa ne vuoi sapere tu? Cosa diavolo vuoi capire, figlio di un pazzo!
 
Cencio entrò nella sala e vide Chiaro avvicinarsi pericolosamente a Luppolo. “Mio padre non era pazzo!”
 
“Ma che cosa state facendo?” Il ragazzo si ritrovò di fronte a due suoi compagni troppo vicini l’uno all’altro, infuriati e quasi alle mani.
 
Nessuno dei due sembrò accorgersi di lui…
 
Luppolo rispose a Chiaro con sufficienza: “La fama dei Lannart ha superato la corte inglese, la loro follia è ben nota in tutta l’isola!”
 
“E’ ridicolo quello che dici Luppolo, e meschino anche! Non far ricadere la colpa sui miei genitori, se tua madre era una p…”
 
Non fece in tempo a finire la frase che Luppolo lo colpì in pieno volto.
 
Chiaro dovette fare un passo indietro per non perdere l’equilibrio.
 
“Non osare…”
 
“Altrimenti? Altrimenti cosa farai? Dimmelo Chiaro! Andrai a piangere da...”
 
Fu il turno Luppolo di essere interrotto.
 
Cencio si mise tra i due:
 
“Che cosa state facendo?” gridò.
 
“Chiedilo al tuo caro amico, ragazzo e chiedigli anche che cosa continua ad insinuare!”
 
“Io non insinuo proprio niente. Sono fatti, quelli che dico, non insinuazioni!”
 
Chiaro tentò di ributtarsi su Luppolo, ma Cencio lo fermò prima.
 
“Siete impazziti? Basta!”
 
Chiaro scostò Cencio e non si mosse, guardando Luppolo con ira.
 
Lo stesso fece Luppolo, immobile davanti a lui, poi fece un passo verso la porta, per uscire.
 
Si girò, stringendo i pugni che gli tremavano di rabbia.
 
“Chiunque parla di cose che non conosce, Chiaro, è uno stupido. Ed è evidente che tu e tuo fratello, nonostante scorra in voi lo stesso sangue, siete fatti di una diversa matrice. Non fingerò che non sia accaduto niente, come in passato.” Luppolo scosse la testa “non lascerò perdere, perché quello che hai detto e fatto è troppo grave per essere dimenticato.. Non t’infilo una lama in corpo solo perché sei il fratello di Nero. Ma non continuerò né a condividere la tenda, né tanto meno il campo di battaglia con te”
 
Chiaro sorrise “E’ un problema tuo, non certo mio. Dillo a Nero quando torna …”
 
“Nero non è mio padre, né il tuo. Nonostante tu ti ostini a trattarlo come tale”
 
“Ma è lui che ha sempre preso le decisioni, o sbaglio?”
”Quello su cui sbagli, Chiaro, è pensare che lui sia l’artefice del tuo destino, così come del mio”
 
“Non vedo dove sia l’errore, dato che in Francia ci siamo andati perché è stato lui a dirlo”
 
“Ma anche perché …” Luppolo si sentì, d’improvviso, sfinito.
 
Sospirò.
 
“Chiaro ascoltami bene. Io non sono Nero. Non ho obblighi, né pazienza, né tanto meno legami di sangue con te. O stima di te. Non sfogare le tue frustrazioni su di me solo perché non riesci a farlo col capo. Ai miei occhi sei un aristocratico viziato che non vuole farsi svezzare. Non so cosa ci sia fra te e Nero e perché lui non possa mandarti al diavolo, cercando invece sempre di aiutarti. Ma io non sono lui, la prossima volta che anche solo pronuncerai il nome di mia madre, giuro qui, davanti a te e a Cencio, che ti farò tacere. A qualunque costo.”
 
Non lasciò replicare l’altro e se ne andò, prima di cambiare idea e voler chiudere subito la bocca del compagno.
 
Razionalmente Luppolo sapeva bene che Chiaro se la prendeva con lui certo perché era un aristocratico viziato, certo perché Nero non c’era, ma anche perché lo stesso Luppolo non gli perdonava la sua origine inglese e non gli lasciava passare nulla.
 
Con Nero era diverso, Nero non gli aveva mai dato l’impressione di essere figlio d’Inghilterra.
 
Chiaro gliel’aveva data fin troppa.
 
E la reazione di Chiaro era più che ovvia.
 
Il compagno non litigava spesso con gli altri, né con Guardia, né con Forgia. Né tanto meno con Cencio. Con Levante era praticamente impossibile litigare, mentre fra loro la questione s’era aperta il primo giorno di conoscenza e non s’era mai chiusa.
 
Ma non riusciva a sopportare quella spocchia da ragazzino perbene che aveva Chiaro, nonostante i segni sul volto rendessero evidente che Chiaro fosse un adulto.
 
Castel Thurlow aveva portato alla luce molte cose. Fra cui la certezza che lui e Chiaro, ormai, non avrebbero più potuto condividere nulla.
 
 
 
Cencio era rimasto attonito, nella sala, di fronte a Chiaro che s’era seduto di fronte al fuoco e non aveva detto una parola.
 
Non era la prima volta che vedeva i due litigare, tuttavia c’era qualcosa di diverso: una rottura che pareva definitiva. Era arrivato lì contento e ora, invece, era convinto di aver assistito alla fine di qualcosa.
 
La consapevolezza che qualcosa era finito e che tutto era cambiato lo colpì in maniera così intensa da togliergli il respiro.
 
“Chiaro..?” riuscì a chiedere “Ma cos’è successo?”
 
Ma Chiaro non rispose: osservava catatonico il fuoco, apparentemente lontano da quella stanza e dal mondo che lo circondava.
 
Cencio si agitò ancora di più e corse fuori dalla stanza, a cercare Luppolo.
 
Perché quella paura? Chiaro e Luppolo avevano litigato così tante volte…
 
Ma subito dopo, nella sua mente, si formulò un’altra domanda.
 
E lui?
 
Si sentì un egoista, ma non poté fare a meno di diventare lui stesso il centro dei propri pensieri. Che cosa avrebbe fatto lui se davvero le strade di Chiaro e di Luppolo si fossero divise?
 
Che cosa ne sarebbe stato di lui che non aveva fatto altro se non vivere coi suoi compagni, alla giornata?
 
Si sentì di colpo – e dopo anni – solo.
 
Incredibilmente solo. E con un senso di vuoto che mai gli era capitato di provare.
 
Luppolo e Chiaro erano due stupidi! Che senso aveva, che senso aveva litigare su argomenti così futili?
 
Ne avrebbe parlato con Luppolo, lui avrebbe capito. E l’avrebbe rassicurato, perché aveva promesso di non lasciarlo mai solo e di questo era sicuro. Forse era stato più freddo, ultimamente, forse c’era qualcosa che non andava ma quando si trattava di lui, Cencio era sicuro che tutto il resto sarebbe passato in secondo piano.
 
Ne avrebbe parlato con Luppolo e di sicuro quel senso di paura ed impotenza che adesso lo pervadeva sarebbe scomparso. Perché era un senso irrazionale ed ingiustificato.
 
Trovò l’amico nel corridoio esterno del torrione a Sud. Lo trovò mentre lo scozzese gli dava le spalle e guardava un punto imprecisato della notte.
 
“Luppolo…” Cencio ebbe quasi paura di parlare.
 
Il compagno non rispose.
 
“Ma cos’è successo? Perché tu e Chiaro..?”
 
“Va’ via Cencio”
 
A Cencio sembrò di aver appena preso un pungo nello stomaco
 
“Dai Luppolo, cosa può esserci di così grav...”
 
“Lasciami stare. Non ho voglia di parlare, né di vedere nessuno…”
 
Cencio fece un passo indietro e tremò. Lo spazio che lo separava da Luppolo sembrò incolmabile e la solitudine di poco prima si espanse così tanto che Cencio dovette trattenere un conato di vomito.
 
Luppolo lo voleva lontano.
 
Si obbligò a fare un passo avanti, ad insistere.
 
“Vattene via, Cencio” Luppolo non si girò nemmeno “Va’ via”
 
Il tono di Luppolo non permise a Cencio di fare altro se non andarsene.
 
Il falegname ed il suo sidro furono dimenticati.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Dicembre