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Autore: Moonage Daydreamer    19/08/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Not Guilty.




- Conosci la strada. - mi disse Paul dopo che ebbe aperto la porta di casa. Si scostò dall'uscio e fece un piccolo inchino.
Era già da qualche tempo che frequentavo casa McCartney e ormai ero capace di orientarmi all'interno dell'edificio senza problemi.
Il salotto era arredato nel tipico stile inglese, con un divano e due poltrone, un camino, la radio e il televisore. Contro il muro, tuttavia, c'era un pianoforte verticale accanto al quale era appoggiata una chitarra, una Zenith, della quale Paul mi aveva a lungo parlato.
- Ciao, Anna. - mi salutò Michael, il più piccolo dei due fratelli McCartney, che seduto su una poltrona guardava distrattamente la televisione.
- Ciao, Mike. -
Paul mi raggiunse mentre ero ancora vicino alla porta del salotto.
- Avanti, accomodati.- mi invitò.
- Ti dispiace se apro la finestra?- chiesi - Manca l'aria qua dentro.-
Paul scosse la testa:- Fa' pure. -
Spalancai le imposte mentre il ragazzo si sedeva sul divano e Mike spegneva il televisore.
- Siete solo voi due?- chiesi. - Sì. - mi rispose Mike - Papà è ancora al lavoro. -
Mi sedetti accanto a Paul, ma il mio sguardo continuava a posarsi sulla Zenith.
- Mi suoni qualcosa? - domandai al più grande dei due fratelli.
Il ragazzo grugnì qualcosa che non riuscii ad identificare.
- Vorresti cortesemente favorire la traduzione? - dissi irriverente.
- Dunque, secondo il vocabolario quel verso incomprensibile significa qualcosa come: "benché io adori vantarmi di quanto sono bravo con la chitarra, sono troppo pigro per abbandonare questo divano per andare a recuperarla dall'altra parte della stanza." - mi rispose Mike ridendo. Paul lo fulminò con lo sguardo, ma poi si lasciò coinvolgere dall'ilarità dell'atmosfera.
- Siete due rompiscatole. - borbottò alzandosi. Prese la Zenith e tornò a sedersi al mio fianco. Essendo mancino, imbracciò la chitarra al contrario e la riaccordò velocemente. Indugiò qualche secondo mentre decideva che cosa suonare, sfiorando appena le corde, poi cominciò con il primo accordo.
Lo ascoltai rapita, osservando con attenzione le sue dita che si muovevano pennata dopo pennata sulle corde.
- Di chi è questa canzone?- chiesi una volta che Paul ebbe finito di suonare.
- Non è una canzone. - rispose lui scrollando le spalle. - Sono tre accordi scelti a caso suonati in fila. E' mia, comunque. -
Sgranai gli occhi, meravigliata, poi mi riscossi e battei le mani un paio di volte, entusiasta:- E' fantastico, Paul! Tu devi assolutamente diffondere la tua musica: cambierà il mondo, ne sono sicura! -
Paul posò la Zenith e si alzò dal divano, ridacchiando sebbene sembrasse un po' imbarazzato.
- Per il momento mi limiterò a riaccompagnarti a casa. - disse porgendomi il braccio con il suo solito modo di fare fin troppo galante.
- Guarda che non rischio di perdermi in questi quattrocento metri che separano le nostre case! - protestai, ma il ragazzo mi ignorò e mi sospinse nell'ingresso.
- Quattrocento cinquanta. - precisò - E poi non si sa mai che brutti ceffi si possano incontrare per le strade di Liverpool dopo le sei del pomeriggio. -
- Giusto, dimenticavo; del resto la tua presenza li spaventerà di sicuro! - esclamai.
Paul strinse gli occhi:- Vogliamo scommettere? -
- E va bene! Sai essere logorroico a volte, lo sai? -
Mi affrettai a salutare Mike nel poco tempo che il fratello mi concesse prima di trascinarmi fuori di casa.
La luce quasi mi accecò: il sole stava cominciando la sua discesa verso l'occidente, e ora si trovava all'altezza dei miei occhi.
Era strano come i giorni si stessero susseguendo senza che nemmeno me ne accorgessi. Anche giugno era ormai quasi finito e io mi chiedevo che fine avesse fatto tutto quel tempo.
- Visto? Che ti dicevo? - disse Paul all'improvviso. Indicò con un dito una vecchietta che portava a spasso un barboncino e che si era fermata di fronte a noi, abbastanza lontana perché non udisse ciò che dicevamo, ma non perché non riuscisse a vedere il dito di Paul che la indicava.
- Brutto ceffo a ore dodici. -
Gli tirai uno schiaffo sulla mano per convincerlo a ritrarla. Sperai che l'anziana donna stesse guardando in un'altra direzione.
- Non indicare, maleducato! - gli ordinai. - E va' da un oculista. Quella è una vecchietta, non un brutto ceffo! -
Paul scosse la testa:- E' tutta una copertura, per farti credere che è innocua e convincerti ad avvicinarti. -
- E scommetto che il barboncino è il complice travestito! - aggiunsi trattenendo a stento le risate.
- Esatto! Vedo che ti stai accorgendo di come è realmente il mondo. Devi ringraziare, cara ragazza, che io sia qui con te, altrimenti ti sarebbero già tutti e due saltati addosso. -
Per quanto l'affermazione di Paul fosse sarcastica, non riuscii a vederne l'umorismo.
Strinsi i pugni e serrai la mascella.
- Anna, ho detto qualcosa di sbagliato?- chiese Paul.
Lo guardai, ritornando alla realtà.
- No, assolutamente no! - mi affrettai a rassicurarlo. - Sono solo un po' stanca. -
In quel momento, una palla di pelo bianco e nero ci tagliò la strada correndo e abbaiando come un dannato.
Seguii il cucciolo di cane con lo sguardo fino a che fuggì dietro ad un cespuglio dopo che il barboncino della vecchietta gli ebbe ringhiato contro.
- E' da un po' che gira per questa zona. - disse Paul.
- Sì, l'ho visto altre volte. -
- E' davvero un bel cucciolone. Credo sia un bobtail, o qualcosa di simile. -
- E da quando sei un esperto di razze canine?!-
Arrivammo davanti a casa mia e mi appoggiai al cancelletto.
- La ringrazio per avermi accompagnato, signor McCartney. - dissi.
- Non le sembra un po' presto per ritirarsi nei suoi appartamenti, signorina Mitchell?- replicò lui.
- Non sono stata io a trascinarmi fuori da casa tua dopo meno di un quarto d'ora che ero arrivata! - esclamai.
- Be', eri in ritardo sulla nostra tabella di marcia. - ribatté. Ridacchiò, poi si sedette sul bordo del marciapiede di fronte al cancelletto. Lo imitai e cominciai a giocherellare con le dita contro l'asfalto.
- Sai, pensavo di entrare in un gruppo skiffle. - disse Paul. Probabilmente notò la mia espressione accigliata, perché si affrettò ad aggiungere:- Meglio lo skiffle che niente! -
- Non era mia intenzione giudicarti. - mormorai. - Hai già in mente quale band?-
- I Quarrymen, credo. - rispose il ragazzo - Un mio amico li conosce e ha detto che ne varrebbe la pena. Devo ancora andare a sentirli, però. -
Annuii, senza dire niente.  Paul sapeva quello che pensavo di Lennon, tuttavia era un bene che non si lasciasse influenzare dalle mie opinioni, anche perché esse non si potevano definire propriamente oggettive. Stavo cominciando ad accorgermi che Paul era un ragazzo più deciso di quanto non sembrasse all'inizio.
- Non li ho mai visti suonare. - dissi - Ma comunque, anche se non so quanto possa avere importanza, hai il mio appoggio. -
Il ragazzo sorrise e mi rivolse uno sguardo che riuscì a farmi percepire la sua felicità.
- Domani sei libera?- mi chiese.
- Sì. - risposi - Cyn ultimamente è sempre con Lennon e le pagine bianche del mio quaderno nuovo stanno diminuendo drasticamente. -
- Ti va di andare da NEMS? - propose.
- Molto volentieri. - dissi - E' da un po' che non do un'occhiata ai dischi nuovi.  Bene, ora è giunto il momento che io vada sul serio, perché sono in ritardo sulla tabella di marcia in una maniera indecente. Ci vediamo domani, Paul. -
- Ciao, Anna. - mi salutò lui. Ci sorridemmo a vicenda, poi lui si incamminò di nuovo verso il numero 20 di Forthlin Road ed io entrai in casa.

Quella notte, come tutte le altre, dormii male. Gli incubi violenti avevano stranamente lasciato il posto ad una serie di immagini sfocate e suoni praticamente indistinguibili che sortivano però lo stesso effetto, senza contare che generalmente dopo il primo incubo ero talmente spossata da non aver la forza per sognare ancora, mentre questi nuovi, inquietanti sogni mi davano il tormento per tutta la durata della notte, lasciandomi addosso una sensazione d'angoscia che era difficile da scacciare la mattina seguente.

Anche se la giornata era nuvolosa e minacciava temporale, io e Paul uscimmo a piedi e ci recammo nel negozio di dischi. Trovammo il nuovo singolo di Eddie Cochran, Sittin' in the Balcony/Completely Sweet, e lo ascoltammo, ma uscimmo dal negozio senza comprarlo, accompagnati dallo sguardo scocciato del negoziante.
- Devo dire che preferisco Completely Sweet - affermai.
- No, Sittin' in the Balcony sta meglio sul lato A. - ribatté Paul. - Ma tu sei la ragazza del lato B, non è vero? -                                                                                                                                                         Scrollai le spalle, sorridendo:- Spesso sul lato A stanno le canzoni più commerciali. -
- Anna?- mi chiamò la voce di Stuart alle mie spalle. Il suo tono incredulo mi fece voltare immediatamente.
- Ciao, Stu! E' da un po' che non ci si vede, vero?- lo salutai sorridendo. Il ragazzo mi si avvicinò.
- Come stai?- chiese sottovoce.
- Molto meglio, grazie.- risposi mentre lui mi abbracciava.
- Sono così contento di sentirtelo dire. Ero così preoccupato...- mormorò lasciandomi andare. Tuttavia, quando si posò su Paul, il suo sguardo si indurì.
Presentai Paul a Stuart, ma questi trattò il quindicenne con freddezza.
- Senti, Anna, io torno a casa, okay? Ho detto a mio padre che non sarei stato fuori a lungo. - disse Paul, anche se era fin troppo chiaro che quella era una scusa per allontanarsi da quell'atmosfera carica di tensione. Lo salutai con un bacio sulla guancia.
- Mi dispiace, Paul. - gli sussurrai troppo a bassa voce perché l'altro mi sentisse. Il ragazzo scollò le spalle e mi sorrise, poi si allontanò. Stu aspettò che se ne fosse andato tenendo le mani nelle tasche dei jeans, poi mi inchiodò con lo sguardo.
- Che cosa è successo, Stu?- domandai, preoccupata per il suo comportamento.
- Dimmelo tu. - sibilò il ragazzo.
Lo guardai, accigliata, senza riuscire a capire cosa ci fosse che non andava. Stuart sembrò perdere la pazienza.
- E' passato quasi un mese dall'ultima volta che ti sei fatta vedere! - esclamò. - Hai idea di quanto fossi in ansia? -
- Questo non è un buon motivo per trattare Paul così male.- replicai.
- Chi diavolo è Paul? - chiese il ragazzo. Non mi fu difficile capire il significato di quella frase. Abbassai lo sguardo, mortificata.
- Non pensavo che la nostra amicizia significasse così poco, per te. - sibilò Stuart.
- Stu, per favore... - mormorai. Feci per sfiorargli la spalla con la mano, ma lui si ritrasse.
- A questo punto mi viene da chiedermi se sia mai stata amicizia. -
Rialzai gli occhi, ma il ragazzo si voltò e si allontanò.
- Stu!- lo chiamai, ma lui continuò a camminare in direzione della fermata dell'autobus. Salì sul mezzo di trasporto che era fermo lì, dove sapeva benissimo che io non l'avrei seguito.
Lo chiamai ancora parecchie volte, ma Stu mi ignorò e sebbene fosse seduto vicino al finestrino non mi rivolse nemmeno un'occhiata.                                                                                                               L'autobus partì, lasciandomi disorientata. Rimasi qualche minuto alla fermata dell'autobus, poi, con la morte nel cuore, mi incamminai verso Forthlin Road.
Per la prima volta dopo settimane mi fermai a pensare al modo in cui mi stavo comportando. Ero stata troppo concentrata a impormi di tenere la mente occupata che non mi ero minimamente posta il problema su ciò con cui la riempivo.
Mi accorsi con orrore che le parole dure che Stu mi aveva rivolte erano più che giustificate.
Mi sedetti sul marciapiede davanti a casa, trattenendo a stento le lacrime. Anche se me l'ero meritata, la sufficienza con la quale il ragazzo mi aveva trattata mi aveva ferita profondamente.
Mi portai una mano sul volto.
L'amicizia di Stu era stata costante nelle settimane precedenti, a volte persino scontata e probabilmente era quello il motivo per il quale mi era sembrato superfluo andare da lui per assicurarlo che stessi bene.  Mi ero comportata da sciocca e solo ora che rischiavo di perderlo, mi accorgevo di quanto fosse importante per me.
E in quel momento, come se ciò non bastasse, avevo paura che anche il mio rapporto con Paul si fosse incrinato a causa della tensione di quel pomeriggio.
Mi sentivo un'egoista, un'egoista stupida, per giunta.
Un abbaio interruppe bruscamente i miei pensieri. Alzai lo sguardo e notai che il cucciolo di bobtail era seduto a un paio di metri di distanza da me e mi guardava con la testa leggermente reclinata, come se fosse per metà curioso e per metà sospettoso. Protesi la mano verso di lui, ma il cagnolino si allontanò guaendo. Tuttavia, si fermò dopo meno di un metro e tornò a fissarmi.
- Scusami, non volevo spaventarti.- mormorai. Abbassai di nuovo la mano e guardai le mie dita che giocherellavano con un sassolino.                                                                                                                   Sentii che il cane si muoveva di nuovo nella mia direzione, ma non mi mossi, per paura di fare qualcosa che lo spaventasse.
"Non sto facendo altro che sbagliare in questo periodo." pensai asciugandomi gli occhi umidi.
Il cucciolo si fece più vicino, tanto da permettermi di udire il rumore che produceva la sua coda che batteva ritmicamente contro l'asfalto. Alzai di nuovo gli occhi e incrociai i suoi.
Mi sembrava che riuscisse ad intuire i miei pensieri e comprendere il mio stato d'animo.
- Dov'è la tua mamma?- sussurrai mentre cominciavo a piangere silenziosamente.
Il piccolo bobtail si accostò a me e mi sfiorò un ginocchio con il muso.
Avvicinai lentamente la mia mano e il cucciolo non si ritrasse; gli feci qualche carezza sulla schiena.
- Se n'è andata pure la tua?-
Il cagnolino si sdraiò a terra e dopo un po' mi mostrò la pancia, scodinzolando e tenendo la lingua di fuori.
- Sei solo un cucciolo bisognoso d'amore, vero?- mormorai accarezzandolo.
Socchiuse gli occhi, ma poi mi accorsi che era ora che io tornassi a casa.
Gli diedi qualche pacca leggera sulla pancia e mi rialzai: - Scusami, piccolo, ma devo andare. -
Il cucciolo si alzò a sua volta guardandomi con gli occhioni spalancati.Mi si stringeva il cuore all'idea di lasciarlo lì.
- Scusa. - ripetei a bassa voce.
Mi incamminai verso casa, tuttavia ben presto mi accorsi che il cucciolo mi stava trotterellando dietro.
Giunsi davanti al cancello di casa, quindi mi fermai di nuovo ad accarezzare il bobtail.
- Ma come faccio a lasciarti qui?- dissi.
Cominciò a cadere una pioggia sottile.
"Ma certo: il tempo è rimasto su per tutto il giorno e doveva iniziare a piovere proprio ora!" pensai "Sembra di stare in uno di quei film strappalacrime di serie Z..."
Il cucciolo non sembrò accorgersi delle gocce che gli scivolavano impercettibilmente lungo il pelo arruffato. La porta di casa si aprì e James mi si avvicinò senza che io lo sentissi.
- Venite dentro, tutti e due.- disse ed io sussultai.
- Ma che...- biascicai.
- Ho osservato te e questo piccolo amico per un po'.- spiegò. Fece un cenno del capo in direzione della casa. - Portalo dentro. -
La mia attenzione si spostò di nuovo sul cucciolo, che guardava allarmato il mio padre adottivo.
- Va tutto bene. - mormorai - Nessuno ti vuole far del male. Sei al sicuro qui. -
Lo accarezzai ancora un po', finché riuscì a calmarsi di nuovo, poi lo presi in braccio ed entrai in casa preceduta da James.                                                                                                                                 Vicino alla porta c'era anche Elisabeth che sorrise dolcemente quando vide il cagnolino.
- Domani lo portiamo dal veterinario. - disse  richiudendo la porta.
Il cucciolo cominciò ad agitarsi fra le mie braccia, forse un po' spaventato da quei visi, suoni e odori sconosciuti, così lo posai sul pavimento.                                                                                                           Rimase fermo, con la coda abbassata fra le gambe, a guardare con circospezione e un po' di paura tutto ciò che lo circondava.
- Apri la porta, James.- dissi - Deve sapere che nessuno lo obbliga a stare qui e vuole privarlo della sua libertà. -
L'uomo fece come gli avevo detto e il cane guardò fuori e si avvicinò alla porta, ma poi si voltò di nuovo e cominciò ad annusare l'aria.
- Sarà affamato. - osservò Elisabeth - E credo che la nostra cena sia ormai pronta. Che cosa mangiano i cani? Insomma, ormai sarà già svezzato da un pezzo, ma è ancora cucciolo... -
- Non lo so. - risposi. - Proviamo con della carne di pollo, o qualcosa del genere. -
Elisabeth annuì e fece per dirigersi in cucina, ma io la precedetti.
- Me ne occupo io, non ti preoccupare. - dissi.
La mia madre adottiva sorrise e mi diede un bacio sulla fronte, poi mi accompagnò in cucina per mettere nei piatti la nostra cena e li portò in sala da pranzo.
- Ti aspettiamo. -
Misi a cuocere qualche pezzo di carne bianca, quindi mi appoggiai al tavolo a osservare il cucciolo che era ancora fermo nell'ingresso con la porta spalancata alle sue spalle. Mi guardò a sua volta, poi mi si avvicinò scrutando attentamente ciò che lo circondava. Era fin troppo facile scorgere la curiosità nei suoi occhioni da cucciolo.
Quando il pollo fu pronto lo misi in un piatto piano togliendo gli ossi e ne riempii uno fondo d'acqua. Portai i due piatti in sala da pranzo, e mi sedetti di fianco a Elisabeth. Il cagnolino esitò di nuovo, ma poi fiutò l'odore del cibo e si avvicinò al pollo.
- Per questa notte puoi prendere qualche cuscino dal salotto e portarlo di sopra, ma poi bisognerà trovarli una sistemazione definitiva. - disse James.
Appoggiai la forchetta contro il piatto, meravigliata.
- Davvero può restare qui?- domandai.
- Non credo abbia un altro posto dove andare. - osservò Elisabeth. Il cucciolo finì di mangiare e ci guardò uno ad uno. - Prima di tutto devi trovargli un nome. E' un maschio, vero?-                                  Annuii, socchiudendo gli occhi pensierosa. Mi alzai dalla sedia e mi inginocchiai di fianco al cane, guardandolo negli occhi.                                                                                                                                       - Frency. - mormorai. 

Per tutta la sera lasciammo il piccolo bobtail libero di ambientarsi e tenemmo comunque la porta aperta, anche se Frency non sembrava essere intenzionato, almeno per il momento, a tornare sulla strada.
Gli preparai un giaciglio di fortuna di fianco alla porta della mia camera con tre o quattro cuscini e una coperta mentre era ancora intento nell'esplorazione del piano di sotto, poi pian piano, mi feci seguire su per le scale.
Come acquisì familiarità con la stanza, Frency spostò i cuscini e la coperta sotto la scrivania e vi si sedette sopra.
Mi accomodai lì vicino e cominciai ad accarezzarlo. Il cagnolino mi mostrò la pancia e mi toccò il braccio con una zampa per incitarmi a fargli le coccole. Sorrisi, più che felice di accontentarlo.
- Nessuno vuole obbligarti a stare qui - mormorai - ma se vorrai farlo, ti terrò al sicuro, lo giuro. Veglierò su di te, e tu sarai il piccolo guardiano dei miei sogni. -
Mi sdraiai sui cuscini e Frency si accoccolò contro la mia spalla, poi entrambi scivolammo in un sonno esausto.


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Innanzitutto vorrei scusarmi per il ritardo con il quale ho pubblicato il capitolo, ma (credo si capisca da quello che ho scritto) ero decisamente a corto di ispirazione e non sapevo che cosa inventarmi per andare avanti.
Ci tenevo a scriverlo soprattutto perché non volevo assolutamente che Stu sparisse magicamente dalla circolazione e poi ricomparisse ancor più magicamente più avanti, ma poi ho deciso di fare un piccolo doppio- tributo. Il primo è, come molti avranno già intuito, un tributo a Martha, il bobtail di Paul McCartney, mentre il secondo, più personale, è quello al grande amore della mia vita, il mio cavallo Frency.
Il capitolo non è un granché, ma nonostante tutto è uscito meglio di quanto mi aspettassi.


MaryApple: A volte anche io mi ritrovo a desiderare intensamente di far soffrire John, ma poi mi impongo di ricordarmi che sono hippy. Tuttavia, il nostro Lennon saprà farsi perdonare almeno qualcuna delle sue (mi si passi il termine) bastardate.

Lonely Heart: In Blackbird è affiorata, dopo tanti capitoli, la parte della mia anima che si droga di commedie romantiche e "stupide canzoni d'amore". Forse è fin troppo dolce, ma sentivo il bisogno di scrivere qualcosa che non parlasse di incubi e depressione. Per quanto riguarda Paul... in realtà non so come veramente sia il suo carattere, non avendolo mai conosciuto in prima persona, e, per lui come per tutti gli altri personaggi, non posso fare altro che scrivere di come io li immagino nella mia mente.

Un gigantesco grazie a chi sta leggendo la mia storia.

Peace n Love.

 
  
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