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Autore: Kisuke94    19/08/2012    1 recensioni
Ecco a voi un'altra storia originale, scritta dal sottoscritto. Alcuni argomenti trattati in essa sono un pochetto maturi, ma non mancheranno le risate, tranquilli. La storia vuole essere più reale possibile, nonostante sia fantasy, come, per esempio, in location, dialoghi e personaggi. Ora vi chiederete qual'è l'elemento fantasy, leggete e scopritelo ;)
Cosa succederebbe se a quattro ragazzi come tanti venissero dati dei poteri "Apocalittici"? Leggete e vedrete ;)
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI CAPITOLO

Mentre con le mani, Juro, continuava il conteggio dei secondi, il vento spostava delicatamente gli alberi che circondavano il vialetto del parco dove si trovavano i due ragazzi. La luna si specchiava nelle gocce di sudore che Aaron perdeva dalle punte delle dita; a ogni secondo, scandito dalla voce di Juro, una goccia toccava terra emettendo un rumore sordo sulle pietre del viale. Aaron prese la decisione che gli sarebbe costata la vita, mandò giù il nodo che gli si era creato alla gola, si aggiustò, rompendo la posizione di guardia, sgranchendo le ossa del collo, e accettò la sfida.

-Non ho trovato altro modo per affrontarti, mi duole dirlo ma accetto la sfida!!- disse con convinzione, puntando il dito verso il suo avversario. Sperava che quest’ultimo fosse un uomo di parola, essendo consapevole che senza quella limitazione che egli si era imposto, lo avrebbe massacrato.

-Oh! Ma bene.. ha le palle ragazzino, per questo ti lascerò fare la prima mossa- rispose Juro sorridendo, portando al contempo il braccio destro dietro la schiena. Era sicuro della sua superiorità, dopotutto il suo ego smisurato non aveva mai trovato ostacoli insormontabili sulla sua strada, anche se un dubbio iniziava a scomporgli quella sua sicurezza, portandolo a fremere pur di verificarlo.

-*Attaccherà da destra. È talmente stupido che cercherà di sfruttare il mio punto di svantaggio*- pensò Juro, continuando a intimare Aaron ad attaccare.

-*Sei un cretino se pensi che ti attaccherò da destra. Solo uno stupido sfrutterebbe il tuo handicap*- ragionò il ragazzo, lanciandosi verso l’avversario tenendo la destra.

-HA! Sapevo che avresti attaccato da destra!- urlò Juro, spostandosi verso sinistra per ottenere lo spazio necessario affinché potesse colpire Aaron con il palmo sinistro.

-Per questo ti colpirò da sinistra!-

Rispose invece il ragazzo, spostandosi rapidamente dietro il braccio sinistro dell’avversario, sperando di afferrarlo per spezzarglielo. Con la coda dell’occhio, però, Juro riuscì a vedere il rapido spostamento di Aaron e, muovendosi più rapidamente di lui, ritirò il braccio colpendolo in pieno volto col palmo della mano, generando con la stessa un’onda d’urto che spostò il giovane. A mezz’aria Aaron riprese il controllo del suo corpo e, ormai parallelo al suolo, portò braccia e capo all’indietro per sobbalzare di nuovo in piedi subito dopo. Continuò l’attacco, si diresse basso verso l’avversario, si fermò col piede a pochi millimetri da Juro, cercando di colpirlo con il gomito; il colpo fu evitato grazie ad uno scatto all’indietro, approfittando poi della posizione d’attacco di Aaron, Juro ruotò verso destra e con la mano sinistra scaraventò al suolo la testa del ragazzo, distruggendo il viale e creando un solco per terra . Appena la testa di Aaron si alzò da terra, si poterono vedere distintamente gli occhi bianchi e il sangue che seguiva il movimento ascensionale del capo. Non contento Juro prese, sempre con la mano sinistra, la giacchetta di Aaron, lanciandolo per aria, facendolo atterrare proprio sul suo palmo, generando l’onda d’urto proprio sul costato del ragazzo. Juro si voltò, sicuro che non si sarebbe rialzato, cosa che però Aaron fece, intenzionato pertanto a batterlo.

-Eh eh! Cos’è, credi di avermi messo K.O?- disse scioccamente Aaron, cercando di irritare ancor di più l’avversario. –Mettiti in testa queste parole: Io non mi arrenderò, ti leverò quel sorrisetto beffardo che hai!- questa frase risuonò nella testa di Juro, che lo riportarono indietro con gli anni, quando si allenava con suo fratello.

-Bravo, sei migliorato, ho dolori lancianti in tutto il corpo!- esclamò il fratello, rialzandosi tutto sanguinante a causa del recedente attacco di Juro.

-Lascia perdere, non mi puoi battere, finirai per rimetterci le penne!- rispose Juro, dando le spalle al fratello minore. Le ferite che aveva Juro erano ancor peggio di quelle del fratello, ma lui non ne sentiva gli effetti, a causa del suo ego ogni dolore era represso, e questo gli permetteva di continuare ad attaccare senza curarsi della difesa.

-Tu non capisci: Io non mi arrenderò!- ribatté il fratello, col sorriso sul volto, sorriso che gli donava una strana luce, la stessa che Juro vide sul volto di Aaron quando si voltò.

-Vuoi continuare quindi, ti accontento subito!- furono le parole che Juro disse al fratello, e furono identiche anche nello scontro con Aaron, che si vide subito attaccare dall’avversario, ma questa volta lo vedeva bene.

Avendo visto arrivare il colpo, Aaron lo evitò, ricevendone, però, un altro in pieno volto; mentre la testa si spostava verso destra, tuttavia, il ragazzo poggiò il braccio a terra e colpì, con un calcio potente, Juro in pieno volto. Rimasto in piedi, Juro si congratulò per la tenacia che stava dimostrando Aaron, e lo invitò a contrattaccare nuovamente; l’invito fu preso alla lettera, il ragazzo si lanciò menando un pugno con la mano destra, evitato dall’avversario, il quale sferrò un colpo dritto al fianco, colpo evitato da Aaron, e restituito al mittente che si spostò evitandolo nuovamente.

-Mi dispiace.. sembra che i tuoi movimenti stiano rallentando!- riferì con risolutezza Aaron al nemico, lasciandolo senza parole. Juro non capiva il significato di quelle parole, i suoi movimenti erano sempre gli stessi, non aveva accennato neanche un secondo a rallentare, eppure Aaron aveva appunto accusato questo.

-*Ma che cazzo dice. Deve essere un bluff, io non sto rallentando i miei movimenti*-

-*Possibile che stia migliorando adesso, sul campo di battaglia?!*-

-*No, è da escludere, nessuno può farlo, nessun umano. Ma allora che diavolo sta dicendo, sta mentendo, sicuramente!!*-

Tanti furono i pensieri che riempirono la mente di Juro dopo aver udito le parole di Aaron, era preoccupato, pur essendo sicuro della sua superiorità temeva che quel ragazzo potesse superarlo se, col tempo, si fosse allenato. Juro, si trovò di fronte ad un muro, un muro che lo separava dalla supremazia di quell’incontro, doveva distruggerlo, superarlo, doveva dimostrare a se stesso che il suo potere non vacillava, che avrebbe sconfitto l’avversario usando solo una mano, solo il palmo; nella sua mente, la sua immagine di fronte al muro, fu affiancata da quella di Aaron, che con un colpo lo butta giù, immagine che mandò Juro su tutte le furie.

-Ahahah.. ma cosa credi di fare, non montarti la testa, cazzone! Annienterò la sicurezza che stai acquistando, e ti schiaccerò in modo definitivo!-

Gridò Juro, digrignando sadicamente contro l’avversario che, immobile, lo fissava attendendo il momento adatto per attaccare. Arrabbiato, Juro, caricò il suo potere, distruggendo parte del campo di battaglia che lo circondava; il terreno s’iniziò a sgretolare e si alzò lentamente, i sassi iniziarono a farsi in mille pezzi e il cielo si annuvolò.

-*Che sta succedendo? Pensavo che con quella frase avrebbe vacillato, ma qui sembra che abbia attenuto l’effetto contrario*-

Disse, tra sé e sé, Aaron decisamente preoccupato per le sorti dell’incontro. Juro muovendosi a velocità impercettibile, seguito da una scia di distruzione, colpì in pieno volto Aaron, ancora incredulo dei movimenti effettuati dall’avversario, che volò contro un albero, la cui corteccia si distrusse completamente, si rialzò pochi istanti dopo il contatto, dolorante in volto a causa dell’onda. Pulendo il labbro, sporco di sangue, con la mano, iniziò a pensare a un nuovo schema d’attacco, avendo costatato di persona che l’avversario era più veloce e agile di lui. Poco prima di rialzarsi raccolse un pugno di sabbia che si trovava ai piedi dell’albero; si diresse verso Juro, tendendo il pugno sinistro, prontamente respinto col palmo, ed è proprio in quell’istante di sbilanciamento per entrambi che Aaron aprì la mano destra, lanciando la sabbia negli occhi di Juro, che si divincolò cercando di pulirli.

-Brutto stronzetto, che cazzo credi di fare!!- iniziò a dire Juro.

–Sei una canaglia, aspetta che ti prenda, ti caverò gli occhi e ti taglierò ogni dito della mano. Figlio di puttana!!-

Continuò a dire, cercando di raggiungere il laghetto poco distante da li. Aaron però non si perse di coraggio e con la gamba destra lo fece cadere a terra, per poi afferrarlo per le gambe e lanciarlo dalla parte opposta. Sfortunatamente, con la testa, Juro colpì una fontanina che lavò via i granuli di sabbia dagli occhi, ormai del tutto arrossati. Si voltò verso Aaron e lo raggiunse, alle spalle, con uno scatto che il ragazzo nemmeno vide, gli prese il braccio destro e glielo spezzo, staccandolo, di fatto, dalla scapola. Le grida del giovane risuonarono per tutta l’area, quella voce straziata dal dolore spaventò quei pochi passanti che si trovavano ai limiti del parco, che, però, non fecero nulla per aiutarlo o quantomeno capire da cosa erano provocate. Il sangue iniziò a fuoriuscire dalla bocca di Aaron che aveva gli occhi rossi e lacrimanti; ormai il braccio destro era fuori uso, e il dolore non lo faceva concentrare lasciandolo in balia dell’avversario, che lo prese per le tempie, con la mano sinistra, e lo sbatté ripetutamente contro il primo albero che vide.

-*Oddio cosa dovrei fare, il braccio mi fa un male cane, se non bastasse sembra che voglia spedirmi all’altro mondo!*-

Cominciò a pensare Aaron, ormai caduto in un limbo buio e umido, estraneo alla realtà, dove non sentiva il dolore fisico che, fuori, stava provando. Trovandosi in quel luogo, ne approfittò e rifletté su cosa avrebbe dovuto fare, quali mosse adoperare per riuscire a far utilizzare al suo avversario la mano destra. Chiuse gli occhi, e ripensò ai movimenti che eseguiva Juro; non trovò schemi fissi, quel tipo sembrava muoversi senza un senso logico, il che rendeva impossibile trovare uno schema che si adattasse, finché un pensiero, malato, gli passò di mente, un modo per attenuare il dolore e colpire il suo avversario di sorpresa. Tornò a contatto con la realtà, cercando di sopprimere il dolore, afferrò con entrambe le mani il braccio di Juro che, con suo stupore, iniziò pian piano a decomporsi in piccoli frammenti; prima che fosse troppo tardi quest’ultimo lasciò la presa e si allontanò, felice di avere ancora il braccio intero. Scuotendo la testa, Aaron riprese i sensi, si voltò e, senza interruzione, ripartì all’attacco, stupendo persino il suo avversario. Pensando a ogni singolo movimento che stava facendo, attaccò con il braccio sinistro, ancora sano, vedendolo respinto per due volte di fila; sorrise, si mosse a cerchio attorno all’avversario, creando quasi più copie di se stesso, anche se Juro non ne risentì affatto, tanto che vide senza problemi il vero Aaron e lo attaccò. Quello da lui colpito però era ancora una copia fantasma, che sparì poco prima del contatto con la mano sinistra di Juro; sparita la copia, nel momento esatto in cui si stava per generare l’onda d’urto, Aaron gli si para dinanzi, faccia a faccia, portando il suo braccio destro contro la mano dell’avversario. Il colpo risuonò in quel silenzio agghiacciante, protagonista fino a un istante prima, gli uccelli che erano rimasti, attoniti sulle creste degli alberi, volarono via, il sangue sporcò il terreno dello scontro, quel rosso scarlatto colava dalla mano di Aaron senza soluzione di continuità. Con quella mossa, il ragazzo riaggiustò il suo braccio, sopportando un dolore immane, pur di riottenere l’uso dell’arto e continuare lo scontro al massimo delle sue capacità.

-*Ma è un pazzo! Ha fatto quel poco solo per farsi colpire di proposito… cos’ha che non va nel cervello*- disse tra sé e sé Juro, stringendo l’occhio sinistro in un’espressione di stupore misto ad una strana eccitazione.

–Devo ammetterlo.. Sei il mio tipo! Per questo manderò a puttane la sfida… Voglio massacrarti con tutte e due le mani!!- disse poi ad Aaron, che aveva preso fiducia nelle sue capacità. La situazione ormai si stava complicando più che mai, e doveva prepararsi a subire l’insanità mentale del suo avversario, nel pieno del suo potenziale.

-Adesso sono letteralmente fottuto!- disse Aaron con un tono di voce più che basso, mentre il sangue continuava a gocciolare, tingendo di rosso anche i suoi vestiti.

-*Ora voglio vedere che farai!*- pensò qualcosa, celato nell’ombra in quel limbo, di cui s’intravedevano gli occhi gialli, con l’iride sottile e nera.
 

Mentre si svolgeva l’incontro tra Aaron e Juro, Rioga arrivò finalmente nell’ospedale, dove tenevano sotto stretta osservazione Oliver che, dopo l’incidente, era in uno stato di come perenne. Riuscì a eludere ogni sorta di sorveglianza, nonostante la sua grossa statura; uccise l’infermiera di turno dietro al bancone del terzo piano, e cercò nel computer la stanza nella quale si trovava il ragazzo. La trovò e vi si recò con molta calma, sapendo che il corpo da lì non si sarebbe mosso; allo stessa tempo, però, in una camera poco distante da quella di Oliver, qualcuno scese dal letto e si infilò le pantofole, senza emettere rumore alcuno.

Rioga aprì la porta della camera di Oliver, trovandola in perfetto ordine, con un profumo delizioso di lavanda che permeava l’intera stanza. Si avvicinò lentamente, vide sul comodino una foto del ragazzo con la sorella, quando stavano al luna park che allestirono pochi mesi prima proprio nella loro città. In quella foto rivide se stesso da bambino, quando ancora aveva una sorella che lo stringeva e gli donava affetto. Posò all’istante la foto, rivolgendola verso il basso. Vide il giovane attaccato ai macchinari che lo tenevano sotto controllo, il suo viso candido era colpito dalla luce arancio del lampione che illuminava il parcheggio sottostante. Tese la mano verso il collo di Oliver, intenzionato a strapparglielo via in un sol colpo, ma proprio mentre stava per raggiungere la sua pelle, fu interrotto da una vocina fioca e assonnata.

-Lei è un dottore?-

Chiese una bambina, che reggeva con una mano un orsacchiotto, e con l’altra mano si strofinava gli occhi. Era piccina, con un pigiamino rosa e degli occhi blu come l’oceano; nonostante la tenera età, non aveva più capelli, e sul braccio vi era un tubicino legato ad una flebo mobile. La piccola, a passi lenti, si avvicinò sempre più al lettone di Oliver, continuando a porgere domande che non ricevevano alcuna risposta.

-Non mi sembra un dottore, ma allora perché è qui? Le visite non sono permesse, o sbaglio? Ma perché allora si trova nella stanza di Oliver a quest’ora di notte?- domandò, senza interruzione, la bambina, fissando negli occhi Rioga che, ad ogni parola della piccola, sussultava.

-No, non sono un medico.- furono le prime parole dell’uomo. –Non sono tenuto a dirti perché mi trovo qui. Tu, piuttosto, non dovresti essere sveglia!- disse poi, voltandosi completamente verso la piccola, lasciando, per un attimo, la sua missione. -Perché sei qui?- domandò poi.

-Ogni sera vengo qua da Oliver per raccontargli ciò che ho fatto durante la giornata. Poi, prima di tornarmene a letto… prego il signore affinché risparmi lui la vita, così da farlo ricongiungere con la sorella che, ogni giorno, piange al fianco del fratello, per non essergli stata vicina nel momento del bisogno; e questo.. mi rattrista il cuore!- rispose la bambina, sedendosi sulla sedia di fronte al letto, facendosi leva col ginocchio.

-Ma non ti può sentire, è in coma- disse scioccamente Rioga, ignorando completamente i motivi o i pensieri della giovane.

-È da tanto che sto in quest’ospedale, e mia madre mi ha sempre detto che.. se quel monitor continua ad emettere un suono, la persona è ancora viva, e può sentire tutto ciò che diciamo!- rispose ancora la piccola, lasciando senza parole il suo interlocutore, che non aveva mai visto una persona così piccola, ma così coraggiosa.

-E dimmi, perché preghi il signore per la sua vita e non per la tua? Anche tu sei malata, cancro non è così?- domandò, ingenuamente, ancora una volta, Rioga, stupito più che mai dalle risposte così profonde di una bambina.

-Perché lo faccio, dice.. perché vorrei che tra i due, almeno lui si salvasse. Sa.. per quanto possa ignorarlo, ho poche settimane di vita, il cancro sta deteriorando ogni mio organo. Ma sono felice, rivedrò i miei genitori quando salirò in cielo, ma lui, che ha ancora delle persone che lo amano qui sulla terra, mi sembra ingiusto che soffra, così come soffriranno i suoi cari.- rispose la piccola, con le lacrime agli occhi, toccandosi il petto, dolorante a causa del cancro.

-Se lei può fare qualcosa per salvarlo la prego lo faccia, lui non ha fatto niente di male, non è giusto che muoia così!!- continuò a dire la bambina, alzando di poco la voce, prima che il sangue gli uscisse di bocca.

-Non si preoccupi, ci sono abituata, ogni volta che alzo la voce, mi esce il sangue…-

Disse poi, vedendo Rioga avvicinarsi a lei. Era turbato, la risolutezza di quella giovane vita, che si sarebbe spenta di li a poco, lo aveva spaventato; era consapevole di dover svolgere la sua missione, che poteva benissimo uccidere anche la ragazzina, ma qualcosa lo bloccava, forse era il suo cuore, in fondo Rioga un cuore ce l’aveva, un cuore umano a cui dava sempre ascolto, che lo tratteneva dal compiere azioni che lui considerava ingiuste. Nascondendo le lacrime, si voltò verso Oliver e gli sfiorò il petto con un dito, per poi lasciare la stanza, non prima di aver detto un’ultima frase alla bambina.

-Il signore non ti aiuterà in questo caso, ma se sei disposta a dare la vita per questo ragazzo, allora lui si salverà!!-

Furono le agghiaccianti parole di Rioga, che percorse il corridoio, illuminato dalle luci al neon, corridoio freddo, tipico degli ospedali giapponesi, senza nemmeno un’anima ad occuparlo; mentre si allontanò, udì, comunque, la sottile voce della bambina che, con risolutezza, rispose di poter accettare tutto pur di salvarlo.

-*Spero di non pentirmene.. Ragazzina, mi ricordi troppo mia sorella!!*- pensò poi Rioga, con gli occhi brillanti, sul cornicione dell’ospedale, in attesa del risveglio, ormai certo, di Oliver.
 

Passata la mezzanotte, invece, Shin vagava ancora per le strade, distrutto da quel pensiero che lo tormentava, quella voglia malsana di uccidere; era combattuto, l’etica, il cuore e naturalmente gli insegnamenti del maestro lo portavano sulla strada del giusto, la retta via che molte persone tendono a lasciare, ma qualcosa, qualcosa di magnetico, lo attirava verso quel lato oscuro che, incostantemente, gli proponeva azioni fuori da ogni rigor logico e morale. Shin continuava a camminare dritto, fissando i suoi piedi che, elegantemente, si poggiavano sulle pozzanghere al margine della strada, pozzanghere in cui, alternate da cerchi armonici, si specchiavano le insegne dei negozi ai lati della grande via. I suoi occhi erano persi nel vuoto, non vi erano immagini riflesse di ciò che stava vedendo, ma solo nero, che esprimeva il senso di disorientamento che, in quel periodo, stava passando. Le auto che passavano per di là, continuavano a suonare, vedendo solo all’ultimo, grazie ai fari, la sagoma del ragazzo; per evitarlo, le auto sterzavano bruscamente, bagnando completamente il povero ragazzo, che non accusò niente. Afflitto da mille pensieri, decise di porvi fine nell’unico modo che conoscesse, svoltò nel primo vicolo a destra e, a causa di un balcone poco sopra di lui, una goccia colpì il suo viso, cadendo al lato dell’occhio, simulando una lacrima che il ragazzo, forzatamente, stava trattenendo. Raggiunse un locale, che aveva ingresso sotto il livello della strada, e un’insegna al neon rosa sopra alle scale, decisamente malandate, ricoperte da sporcizia e rifiuti. Entrato, l’atmosfera che si respirava era del tutto diversa, lo stile americano retrò risuonava nell’intera stanza, composta dal bancone centrale, in legno, e tanti tavoli poggiati al muro, e tavoli da biliardo posti a destra dell’entrata. In un angolo, Shin scorse subito un gruppo di uomini che bevevano. Uno di loro, con un bizzarro pizzetto intrecciato aveva appena avuto un figlio, e come sempre, ogni occasione era buona per mandare giù un boccale di birra; probabilmente anche le moto fuori al viale erano le loro, immaginò Shin; pose poi lo sguardo su uno che fumava il sigaro e stava lentamente annebbiando il locale, Shin odia il fumo e chi ne fa uso nei locali pubblici, ma quello era una tana di lupi, l’aveva scelta apposta. Nessuno diceva nulla a quel tipo, date le sue enormi dimensioni, ma questo non sembrava essere un problema per Shin che, ignorandolo, si diresse verso il bancone dove si trovava una splendida ragazza. Fu, però, bloccato dal braccio di un tizio, grosso almeno quanto l’altro, che, vedendolo bagnato fradicio, gli chiese cosa gli fosse accaduto, in modo tutt’altro che gentile; Shin lo guardò con aria di sufficienza, irritando quella montagna di muscoli, senza ancora che avesse aperto bocca.

-La mamma non ti ha insegnato a farti i cazzi tuoi?- chiese Shin, fissando negli occhi quell’uomo, che fremeva d’uccidere qualcuno, glielo si leggeva in faccia. Questo sorrise, si girò verso i compagni e poi tornò a fissare Shin, mostrando i numerosi denti d’oro che aveva conquistato nelle sue zuffe.

-Cosè, le hai sempre prese senza mai darle?- continuò a sfidarlo Shin, che aveva una voglia insana di uccidere, tanto quanto quella del tizio. Questi stufo delle continue affermazioni del ragazzo, fece cenno al resto del gruppo di avvicinarsi, per poi aprir bocca.

-Ma avete sentito questo nano? Chi cazzo si crede di essere?- domandò ai compagni, fissandoli ad uno ad uno. -Diamogli una lezione ragazzi!!-

Esclamò, cacciando un macete dalla giacca. L’uomo, pieno di peli in petto, era alto due metri e ne misurava altrettanti di larghezza. Le braccia erano possenti così come le sue gambe, tutti quei muscoli a scapito dell’agilità.
Il tizio sferrò un colpo di macete da desta, colpo che Shin vide ed evitò con facilità, facendo si che l’arma tagliasse in due un compagno dell’uomo. Shin poi afferrò per il braccio l’uomo e glielo girò, lasciandogli cadere l’arma, per poi raccoglierla e rotearla con facilità impressionante.

-E tu vai in giro con un giocattolo pericoloso come questo?- domandò Shin, muovendo a gran velocità l’arma, costringendo tutta la banda a prendere le distanze dal ragazzo. Quest’ultimo con un occhio rosso come il sangue, che s’intravedeva nel mentre della rotazione, decise di affettare quella banda di squilibrati, iniziando proprio dal suo capo.

Fu attaccato in massa, e, evitando con facilità ogni colpo, iniziò a tranciare gli arti di ognuno di loro. Il primo si lanciò verso Shin da destra e questo, evitandolo girandogli attorno, perforo la nuca dell'imprudente avversario; un secondo cercò di afferrare il ragazzo dall’alto ma Shin, senza muovere lo sguardo, alzando la lama del macete, lo colpì alla gola aprendo uno squarcio nella mascella che proseguì per tutto il volto, facendo schizzare parti di cervello sui quadri, chiaramente di poco valore, che si trovavano dietro di lui. Un altro ancora, corse con una sedia in mano, sperando di colpirlo, ma Shin gli tranciò la pancia in due, facendo fuoriuscire l’intestino e altri organi, mentre l’uomo, lasciata la sedia, cercava di mantenere attaccate le due parti. Il sangue che si spargeva nel locale, sporcò i muri e bagnò il pavimento, che rifletteva ogni movimento del ragazzo che affrontò e uccise tutti e dieci gli uomini della banda, compreso il neo papà, la cui testa rotolò sul pavimento, con una lacrima cadente dall’occhio. Shin rimase solamente il capo in vita, incastrando il macete a pochi centimetri dal suo corpo, dopo che questi, per la paura, era caduto contro il muro. Il volto di Shin era terrorizzante, gli occhi rossi e il sorriso sul suo volto non erano rassicuranti, soprattutto per le altre persone che si trovavano nel locale.

-Non siete nemmeno minimamente alla mia altezza…-

Aggiunse, infine, Shin, voltandosi verso il bancone, ormai impregnato di sangue, dove il barista era ancora fermo a pulire i bicchieri. Le bottiglie di rum e whisky sulla parete erano ormai indistinguibili, ricoperte da un rosso carminio, colante per tutto lo scaffale. Da un angolo della stanza, intanto, una donna dai capelli lunghi, seguita da un uomo, iniziò a battere le mani, avvicinandosi a Shin, evitando con i tacchi le membra di quegli uomini, innocenti.

-Ti sei dato da fare con questi tipi, penso che sarà complicata averla vinta contro di te!!- disse la donna, togliendosi gli occhiali ormai sporchi si sangue. Lo spettacolo che poco prima aveva dato Shin non aveva intimidito ne loro ne tantomeno il barista che, nonostante l’atmosfera si fosse fatta pesante dalla presentazione degli altri due clienti, continuava imperterrito a pulire i suoi bicchieri.

-E voi cosa volete?- domandò Shin senza voltarsi, intravedendo le figure nel sangue vicino il bancone.

-Nulla di complicato, dobbiamo catturarti!-

Rispose la ragazza, pulendo gli occhiali con un fazzoletto che, pian piano, si tingeva di rosso. Fece un altro passo verso Shin calpestando un occhio di quei Raiders, il cui guizzo risuonò nell’intera sala. Shin, che con la mano tremava di gioia, non vedeva l’ora di cominciare; la voglia di uccidere non era ancora sazia e l’invito della giovane non lo avrebbe potuto rifiutare. Ancora immobile, con gli occhi ardenti come le fiamme dell’inferno, alzò il labbro superiore in un ghigno che presagiva una lunga notte, di scontri.

   
 
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