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Autore: Lucy Light    20/08/2012    1 recensioni
"Devo parlare, devo dirle qualcosa. In questa prigione ho bisogno del suo soffio di libertà, della sua serenità. L’angoscia peggiore vola via quando non ci si sente soli."
Come disse qualcuno, la felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce.
NON è assolutamente un pairing.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Luna Lovegood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Una scarica di dolore lancinante. Una donna che urla, urla sempre le stesse due parole che danno dolore... così tanto dolore da poterci morire, da poter impazzire.
Eppure non è lei il peggio. Il peggio è lui, che mi gela con un respiro, che mi fa abbandonare la forza di volontà con un tono di voce dolce, un sorso d’acqua nel deserto.
“Davvero non vuoi aiutarmi, Olivander?” chiede sempre. E io muovo un passo di più verso la resa, verso l’abbandono. Quell’omuncolo che vende bacchette e le ricorda perchè sono figlie sue non ha mai avuto coraggio. Ho speso tutte le mie emozioni nella passione per l’arte, per la perfezione, giusta o sbagliata che fosse.
Lo ammiro. Nel firmamento dei maghi la stella di Silente è spenta, quella dell’Oscuro Signore brilla di luce propria. Il suo splendore per qaulche attimo rende chiaro anche a me il suo piano, lo accorda in armonia con ogni principio dell’essere umano.
Solo quando vengo rigettato nella mia prigione recupero me stesso. Ma domani, o forse fra due ore, mi tortureranno di nuovo, lui avrà la meglio, e avranno ancora la mia anima nelle loro mani.
Le notti sono uguali ai giorni, le ore sono solo lingue di tempo srotolate all’infinito. Non finirà mai, lo sento, non cambierà mai nulla finchè non sarò inutile al grande progetto, e allora sarò ucciso. Ma in realtà sto già morendo adesso, rannicchiato sul pavimento di pietra, solo con la mia colpa. La tortura non finisce, in questa casa. E’ gridata da ogni muro.

Ma oggi qualcosa di estraneo vi ha fatto breccia, qualcosa è arrivato nel ventre di un luogo dove è sempre stato bandito da motivi sociali, etici e di puro buonsenso.
“Hai compagnia, fabbricante”
E viene gettata nella cella, rotolando come una fatina che ha starnutito troppo forte, una ragazzina bionda, pallida e con due occhi sognanti, che sembra proprio appena uscita dal mondo delle fiabe. La luce debole che vive fuori dalla prigione la illumina ancora per qualche istante; poi la porta si chiude, e tutto è di nuovo buio.
E’ legata, come me, e stordita. A ogni suo movimento io mi ricaccio di più nell’ombra. Ormai ho paura del mondo esterno; il tradimento mi si legge in faccia, mi identifica nella schiera dei rinnegati. Ho orrore di me stesso, e per questo so che ne hanno anche gli altri.
Lei non piange. Non parla. Si appoggia al muro e gira la testa verso gli angoli della cella. La sento sospirare, e la cosa mi sorprende, perchè è un sospiro, lo giuro, di sollievo.
Sono talmente stupito che mi ci avvicino inconsapevolmente, strascicando le gambe sulle pietre come un serpente. Un rumore che dovrebbe farla trasalire, spaventarla, e invece sento che prende fiato per parlare.

“Non ci sono Nargilli, sa.” dice in tutta tranquillità. “Ed è una vera fortuna. Proliferano in luoghi bui e scomodi, e qui sembrava perfetto per loro. Ma d’altra parte ho i miei amuleti, non deve avere paura. Non me li hanno tolti, ed è stato molto gentile da parte loro, no? Mio papà dice che solo chi non si protegge è in pericolo. E allora non dobbiamo temere nulla. Mi scusi ma non mi sento molto bene... ” si muove come me come può, si gira su sè stessa “Buonanotte, signor fabbricante”.

Mi lascia di nuovo nella pancia dell’oscurità.
Resto in silenzio qualche attimo. Poi per qualche ragione a me sconosciuta rido. E’ una risata secca, senza suono. Un respiro ritmato.
Sono sconvolto.
La notte sprofondo come al solito in un sonno crudele e agitato popolato da incubi. Facce di vecchi amici che vengono uccisi, urla confuse e infine la risata dell’Oscuro Signore mi trascinano come in un gorgo fino a quando non apro gli occhi e sono di nuovo in un pozzo nero di buio.

L’ansia insopportabile che mi stringe il cuore al risveglio mi fa dimenticare della fatina di ieri sera per qualche attimo; ma non appena mi ricordo con una sorta di curiosità morbosa mi giro verso di lei. Voglio vedere se è ancora serena, se ancora riesce ad essere tranquilla dopo la prima notte in carcere.
Qui tutto è fatto per opprimere e piegare la volontà alla disperazione, e non capisco come possa esimersi da questa legge.
“Buon... buongiorno” Una sola parola che soppeso attentamente. Niente da fare, il suo tono di voce è sempre quello.
“Qui non si dorme granchè bene, vero? Ho fatto dei sogni strani, sa. In uno rincorrevo dei Pimpli  in un prato, e questo è davvero bizzarro” mormora in tono di confidenza “perchè i Pimpli vivono in acqua, lo sanno tutti. E poi ho sognato i miei amici.”
Una sfumatura più calda avvolge quest’ultima parola. Non so cosa darei per sentire il mio nome pronunciato con quel calore...
“Per me loro sono molto importanti. A scuola tutti mi hanno preso spesso in giro, ma loro no. Loro mi proteggevano. E stavano con me. Stavo facendo un ritratto di ciascuno di loro a casa, spero che papà li conservi e non ci faccia avvicinare i Dixie. Stavo facendo quello di Harry proprio l’altro giorno, ma poi sono arrivati i Mangiamorte.” fa una pausa. Mi protendo verso di lei, temendo che il ricordo la faccia tacere. Senza la sua voce la cella diventa di nuovo un mostro buio che mi vuole divorare.

Senza accorgermene mi sto agitando sempre di più. Quella strana ragazza mi sta facendo compagnia. Nella morte che ci circonda sentir parlare di vita è così inaspettato che non mi sembra neppure reale. Sto per aprire la mia bocca in un sussurro incoraggiante, ma la porta della cella si apre. La luce, anche se debole, mi trafigge gli occhi.
“Fabbricante, ti aspettano.” Mi slega le gambe e finalmente posso zoppicare un po’.
Non oppongo resistenza e m’incammino sulle scalette di pietra, ma non sento la consueta eco dei passi della guardia. Mi giro e la vedo in piedi sulla soglia della prigione, gli occhi fissi sulla ragazzina. L’orco ha scorto la sua preda.
“Ti stanno già aspettando da tempo, Olivander. Non essere ancora più scortese.” scoppia in una risata umiliante, e io non posso far altro che ricominciare a camminare.

La sera vengo riportato in prigione a braccio, come un bambino. Le immagini del pomeriggio turbinano, si scompongono in orribili fantasmi ghignanti. Mi vogliono prendere, mi vogliono braccare... tutto quello che sono è un sacco vuoto senza forma nè volontà. Non ricordo neanche cosa ho detto e ho fatto... io... ho rivelato qualcosa? Non lo so.
Vengo depositato quasi privo di sensi sulla pietra. Non riesco a respirare, ho male dentro e fuori. Sono stato lacerato ovunque, dal cuore alle mani, alle gambe, alla bocca....
Anche i miei pensieri non sono che un rantolo di coscienza. Sono già preso, mi hanno giù ucciso... allora perchè vivo?
“Signor Fabbricante, la cena è già qui da un po’. Credo sia fredda, ma è buona comunque. A casa non mangio mai niente del genere e qui è buio, non so cosa sia ma non è cattiva, credo che lei...”
Perso come sono nel buio mi sembra che la voce arrivi da tutte le parti. E’ la ragazza? E’ lei che parla, o la sto solo immaginando?
Guidato da quella voce risalgo faticosamente la china dell’incoscienza ed esco dall’incubo, sento il freddo, il buio, il pavimento sotto di me... sento perfino che ho fame. Muovo le dita della mano, fanno male. Sono troppo debole per alzarmi ed abbracciarla, non riesco nemmeno a dirle grazie, ma piango con tutto me stesso.
Sussulto quando lei striscia più vicino a me.
“E’ triste anche lei? La capisco. Mi manca mio papà” dice tranquilla come al solito, riprendendo il discorso da chissà dove “so che è preoccupato per me. Spero che non abbia paura e non tradisca Harry. Se lo facesse sarebbe terribile, non crede? E poi dopo arriverebbero i Pimpli a tagliargli la lingua, perchè ha fatto un patto con loro. Deve dire sempre la verità, e in cambio ha potuto vederli e parlare di loro al mondo.”
Una parte di me mi ricorda che sta dicendo assurdità, frasi che non hanno alcun senso. Parla di cose che non esistono e ci crede ciecamente.

Come il signore Oscuro.

Mi irrigidisco al solo pensiero, e nella mia mente confusa si fa strada la possibilità che dietro quella voce dolce e quel comportamento gentile si nasconda una sua seguace, in cella con me per controllarmi. Il terrore che provo in presenza dell’Oscuro mi insegue e mi cattura di nuovo.
Lei è una nemica come gli altri.
Mi rattrappisco di colpo contro la parete, scalciando. No, no! Non mi avrà, sono più furbo di lui!
“Signor fabbricante?”
Maledetta, ce la stava quasi facendo! Una parola di più e sarei scoppiato a piangere come un bambino, le avrei detto tutto, tutto quello che sapevo! Il peso del sapere che mi schiaccia ogni giorno, la disperazione, le risate folli di Bellatrix Lestrange che mi colpisce... che sollievo sembrava dividere con qualcuno i miei terrori.
“Vattene. Da me non saprai nulla” ho ancora una voce, sottile ma carica d’odio.
“Io non...” comincia lei, ma dalle mie vecchie ossa sale la voglia di urlare. Di colpo frustrazione, rabbia e disperazione arrivano ovunque. Nella mia testa il delirio si sovrappone alla realtà: perso nell’oscurità credo di parlare direttamente con l’Oscuro Signore.
“Non dirò niente. Capito? Niente! Siete solo dei folli se sperate di trovare qualcosa. Sono solo un vecchio fabbricante, cosa posso dirvi di così prezioso? Le leggende sono leggende! Cosa posso fare... come posso convincervi? Non ne posso più! Lasciatemi in pace! Perchè non vi rassegnate? Basta! Basta... smettetela... per... per favore... io...” Farfuglio qualcosa di incomprensibile, perchè mi sembra di cadere a peso morto nel vuoto. Precipito... muoio...

Quando mi sveglio batto le palpebre una, due volte. Strano, non ricordo di essermi addormentato... cosa... cosa è successo? Mi sforzo per concentrarmi, ancora disteso e immobile, infreddolito e affamato nell’oscurità. Oscurità... Oscuro... Oscuro Signore? Ho la sgradevole sensazione che sia vicino, a due passi da me. Ma è impossibile. Allora, cosa...?
I ricordi esplodono all’improvviso nella mia testa come i fuochi d’artificio di Dedalus Diggle.
La ragazza!
Mi prendo la testa fra le mani e la stringo forte. Cosa ho fatto? Ho ceduto alla pazzia, alla fine.
Devo parlare, devo dirle qualcosa. In questa prigione ho bisogno del suo soffio di libertà, della sua serenità. L’angoscia peggiore vola via quando non ci si sente soli.
“Dove sei?” chiedo alle tenebre. Non c’è suono in risposta. Nell’acuire l’udito mi accorgo che quello che scambiavo per una lastra perfetta di silenzio è in realtà incrinata da rumori sinistramente familiari.
L’urlo di una donna che ripete sempre le stesse due parole. Un grido soffocato. E poi di nuovo da capo.
La stanno torturando.
Il suo ritorno è annunciato dal rumore dei cardini della porta. Non oso neppure alzare la testa verso il mio carceriere, mentre la getta ridendo a terra come un corpo senza vita.
La sento gemere debolmente, rannicchiarsi a terra tremante.
In un lampo vedo me al suo posto, in quei momenti in cui il mondo deve solo inghiottirti e farti sparire per farti felice.
Non so che sentimento prevalga fra paura, rassegnazione, disperazione, ma è abbastanza forte da farmi avvicinare a lei per accarezzarle la testa, non senza difficoltà.
Lei era riuscita a parlarmi addirittura, vedendomi in questo stato, ma io sono vecchio, dannazione. Ho i miei tempi, il mio riserbo. E sono un debole.
Ma non importa, perchè mi ha sentito. Si è girata verso di me, so che ha aperto gli occhi, so tutto, perchè l’ho fatto anch’io. Posso ricostruire ogni suo gesto.
“Signor...”
“Shh...” le cullo la testa “riposa.”
Annuisce e si raggomitola più vicina a me. “Sa, mi sarebbe sempre piaciuto avere un nonno” dice con voce sottile, quasi un sibilo. Spero che sia solo perchè sta per addormentarsi.
E prima che scivoli nell’incoscienza, sento che sorride.
Un sorriso, qui.
Era solo un sorriso, niente di più. Una piccola cosa. Una fogliolina in un bosco che trema al battito d'ali di un uccello spaventato.
Una piccola, debole scintilla di luce.
Ma finchè ci sarà, io non sarò mai completamente perso.





Note autrice:

So che dovrei aggiornare "Patologicamente io" (http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=277336&i=1), ma ho trovato questa vecchia storia che risale al 2008.
Partecipava al concorso "Let's quote" del forum Leather and Libraries in cui arrivò seconda. In questa versione è un po' modificata, ma non troppo :)
Sclesi fra le altre la citazione (in grassetto nel testo) di Khaled Hosseini e su quella si basa tutta la "mia" storia.
Ci tengo a precisare che mai, secondo me, Olivander ha provato sentimenti romantici per Luna... ma mi piace pensare che l'abbia aiutato. C'è un vago accenno anche nel libro, quando si salutano.
Detto questo: se l'avete  letta, lasciate una recensione, spietata o positiva che sia.
Grazie!
A presto
Lucy Light
  
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