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Autore: nephylim88    21/08/2012    1 recensioni
La storia che presento è una sorta di "libro-game", introspettivo e soprannaturale al tempo stesso. C'è il capitolo principale, e due finali alternativi, (forse un po' scontati). Finora ho scritto una storia di fantasmi e ne ho in serbo altre 3 o 4. Di solito i fantasmi di cui mi piace leggere e scrivere sono persone che hanno vissuto una loro storia, sono morte e da morte sono entrate nella vita di altre persone, tramite apparizioni e possessioni. Ma comunque sono nettamente separate dagli altri personaggi, sono persone completamente diverse. ma cosa può succedere quando anche questa particolare linea di demarcazione viene a mancare? Quando i fantasmi sono dentro di noi? La situazione di partenza di questa storia è una situazione molto banale, senza negare la sua drammaticità: la fine di una storia importante, che, a distanza di anni, la protagonista sembra non riuscire a superare...
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sera. Il momento peggiore della giornata. E' il momento in cui mi ritrovo a pensare a lui. Durante il giorno sono abbastanza fortunata, il mio lavoro mi distrae. Certo, non è semplice, in qualsiasi caso. Ci sono dei momenti in cui mi sento morire. Faccio la guida turistica in un museo, e vedo tante, tante, tante persone... e capita fin troppo spesso di vedere una persona che me lo ricorda. Oggi, per esempio, ce n'era uno che aveva il suo stesso pizzetto. Quando l'ho visto mi è mancato il fiato. Sono arrossita, e quasi sono scoppiata a piangere. Grazie al cielo mi sono ripresa subito, e sono riuscita a fare il giro senza lasciare trapelare nulla che mi facesse sembrare poco professionale… o un’isterica totale. Ma mi sento molto in colpa. Questa storia mi sta rovinando la vita. Non riesco più a godermi nulla... i miei amici, il mio ragazzo attuale, la mia famiglia... insomma, sono passati due anni, per amor del cielo! Perché non posso mettermela via una volta per tutte? Mi tradiva, con chiunque. Mi faceva stare male in tutti i modi, sminuendomi anche nel mio lavoro, dicendomi che solo lui era capace di avere a che fare con la gente. Io? Bah, a sentire lui… insomma, se un titolare fosse stato a sentire quell’uomo meschino, mi avrebbe licenziata in tronco, e tanti cari saluti ai diritti dei lavoratori…
Quando stavo con lui mi ero completamente isolata. Il motivo per cui l'ho lasciato non era tanto l'amore che provavo per lui, quanto quello che questo amore mi costringeva a fare. Ero al limite dell'autodistruzione. Vomitavo ogni giorno, urlavo per qualsiasi motivo, anche il più stupido. Avevo perso ogni fiducia in me stessa. Il pensiero di morire era all'ordine del giorno. E lui... A lui non importava...
Entro in bar.
- Ciao Lorena! - mugugno, rivolta alla barista.
- Ciao Meg! - risponde lei, col suo solito tono allegro. So che fa così per lavoro, ma a volte, con i suoi modi cordiali, Lorena mi da l'impressione di essermi amica. E dopo le mie crisi depressive, la sua voce è quasi un balsamo per la mia anima in pena.
- Puoi darmi una coca, per favore?
Senza rispondere, mi presenta davanti una lattina e un bicchiere. Apro, verso e bevo a piccoli sorsi, mentre vado a sedermi a un tavolo.
- Com’è andata la tua giornata?
- Come al solito… - in verità è stata anche peggio. Pazienza per l’uomo col pizzetto, ma ultimamente vivo col terrore di fare qualsiasi cosa. Un paio di settimane fa ho cominciato a temere di perdere la mia salute mentale. Quando sto facendo qualcosa, qualsiasi cosa, tranne pensare a lui (in effetti, fino a un paio di settimane fa stavo vivendo un bel periodo, tutto sommato), ecco che mi arriva un ricordo di  un qualche momento in cui mi ha fatto stare male. Ma non è proprio un ricordo: le emozioni che mi lascia sono tali che sono convinta di fare un viaggio indietro nel tempo. In pratica rivivo tutto. Ogni singolo dettaglio. E mi manca il fiato, mi viene da vomitare, la tentazione di prendere un coltello per farla finita è troppo forte.
 - Ok, non hai voglia di parlare. – Lorena interrompe il mio flusso di pensieri. – vado di là a sistemare la cucina. Chiamami, se hai bisogno! – chissà se Lorena si considera mia amica, o semplicemente una barista che cerca di mantenersi buona una cliente?
- Chi non muore si rivede! – una voce profonda mi fa trasalire. Mi volto. Eccolo lì, con la sua solita bellezza. Il pizzetto, lo sguardo canzonatorio… quell’aria da eterno adolescente anche se ha quarant’anni… è sempre sembrato molto più giovane di quanto lo è in realtà.
- Davide! Che ci fai, qui? – stranamente, con tutto quel casino che provo nei suoi confronti, nel vederlo non sento nulla. Della serie “ok, è lì. Quindi?”.
- Beh, non posso neanche andarmi a prendere da bere?
- Non è il tipo di locale che bazzichi di solito. – rispondo. “l’ho scelto apposta per questo, maledizione!”
- Ho voluto cambiare un po’. E ho visto la tua auto, fuori. Così ho pensato di venirti a salutare.
- Ah.
In verità, ora che lo vedo, più che sofferenza, o amore, provo solo una gran rabbia. La tentazione di lanciargli contro il bicchiere è forte. Ma, checché ne dica la gente, ho molto autocontrollo. Forse troppo, ma c’è da dire che tante volte ho la netta sensazione che se solo lasciassi andare la rabbia che sento dentro, ammazzerei qualcuno. Magari esagero, ma troppe volte mi sembra un pericolo così REALE… meglio trattenersi, insomma, piuttosto che rischiare.
- Allora? Come te la passi? – mi chiede lui. Ormai non dovrei stupirmi. Ho retto quattro anni con lui in condizioni psicologiche disumane. Ma, nonostante tutto, mi sorprende la sua capacità di non capire, o d’ignorare volutamente, i miei sentimenti. Insomma, sono una persona le cui sensazioni sono molto evidenti. Se sono triste, arrabbiata, o semplicemente un po’ contrariata, la gente me lo legge in faccia subito. Non so se è normale e tutti siano così. Ma quello che vedo io è che nessuno si interessa agli altri, anche quando è chiaro che stanno male. Ma quando si tratta delle mie emozioni, tutti quanti sono pronti a farsi gli affaracci miei! E Davide è sempre stato un’eccezione a questa regola. All’inizio mi piaceva, finalmente qualcuno che, una volta nella mia vita, non mi asfissiasse con i suoi “ma stai bene???”. Ma quando ho cominciato a urlargli contro perché non mi ascoltava (peggio, buttava in ridere le mie urla di dolore, quasi sempre mentre ancora piangevo), ho capito che non volevo uno che mi ignorasse così. E l’ho mollato? Ovviamente no… mi sono dovuta ritrovare col mio attuale ragazzo al telefono, mente piangevo disperata, china sul water dopo aver vomitato la prima cena che ero riuscita a mangiare volentieri dopo mesi. Ancora più ovvio… e anche lì, non è stata una decisione immediata da prendere. Nel senso, non gli ho detto “vattene a quel paese”, ma ho assecondato la sua decisione di sparire. Ha deciso che non gli andava di stare con me, e invece di dirmelo, è sparito. Non si è più fatto sentire. Per carità, non che ci abbia messo molto a consolarmi, ma una ferita così brucia, e tanto.
- Stavo meglio prima di vederti, grazie. – rispondo, col mio solito tono acido. Il mio stomaco si contrae. “Buono lì”, penso, rivolta a quell’organo che ho tanto maltrattato.
- Meg, ancora con questa storia?
- E che reazione ti aspettavi, esattamente? – chiedo, rabbiosa. La mia voce ha uno scatto strano, come se avessi avuto un conato. So perfettamente che è la rabbia a farmi quell’effetto.
- Beh, dopo due anni, ci si aspetta che una persona vada avanti con la sua vita.
- Oh, ma io sono andata avanti con la mia vita! Ho trovato un altro lavoro, che mi piace. Ho un altro ragazzo, sto per andare a convivere. – “ma in fondo non sono andata avanti. Non ce la faccio…” – Ma questo non toglie niente al fatto che ti odio ancora. Dimmi la verità, Davide. Davvero ti aspettavi che ti accogliessi a braccia aperte?
- Ma cosa stai dicendo, ora? Ricominci con le tue scene isteriche?
- Non hai risposto alla mia domanda. Non hai mai risposto alle mie domande! Una volta tanto nella tua miserabile vita, DIMMI LA VERITA’! Pensi davvero di meritare un’accoglienza da eroe?
Davide tace. Poi, col tono di uno che deve ingoiare un rospo vivo, mugugna – no.
Mi rilasso. Ma solo un po’. La mia rabbia non si è ancora chetata. Mi ha insultata di nuovo. E io ancora sto qui, ad aspettare… che cosa? Che mi chieda scusa?
- Ma – continua, con un tono da paraculo che so già che mi farà infuriare – tieni conto che in fondo la colpa è stata tua! Insomma, sei tu che attiri certe situazioni. Mi volevi possedere!
- IO, POSSEDERTI??? – perdo il controllo – Hai mai pensato che semplicemente volessi una persona che mi volesse bene? Che me lo dimostrasse? Che non ridesse di me quando stavo male, ma che mi sostenesse? E invece ho trovato uno stronzo come te! Che oltretutto dà tutta la colpa a me! Perché tu sei santo, Davide! Santo subito! È tipico tuo, svicolare da ogni responsabilità!
- Va tutto bene? – la voce di Lorena mi interrompe bruscamente. Avevo dimenticato dov’ero.
- S-sì… scusami per la scenata, Lorena. – borbotto, evitando di guardare Davide.
- Sicura di stare bene, Meg? Mi sembri un po’ scossa.
- Sì, sì. Sono solo un po’ stanca. – le porgo i soldi della bibita. – scusami ancora per la scenata, non volevo perdere la calma così.
Lei prende i soldi senza dire niente. Cerco Davide con lo sguardo, ma non c’è. Dev’essersela svignata. “Tipico suo!”, penso, sprezzante.
Guardo Lorena. Lei risponde alla mia occhiata, con un’aria molto spaventata, come se avessi sacrificato una capra agli dei dell’Olimpo sul bancone del bar. “Fantastico! Un’altra che mi crede pazza!”, sbuffo dentro di me. Le faccio un cenno con la mano, poi esco dal bar. Accendo una sigaretta, e mi avvio verso la mia macchina.
  
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