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Autore: Rosita13    22/08/2012    2 recensioni
Eloise ha perso la sua anima gemella.
Da ragazza dolce e tenere qual era è diventata una sociopatica, scorbutica e scostante e con un linguaggio da scaricatore di porto.
Ma un giorno un fisico muscoloso e degli occhi verdi le cambieranno la vita.
Riuscirà ad andare avanti e lasciare andare l'unico ragazzo che abbia mai amato?
SCEGLIERA' IL PRINCIPE O IL PIRATA?
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ciao a tutte ragazze :D Mi dispiace per il ritardo ma sono stata qualche giorno in vacanza e non ho avuto modo di aggiornare ^^ Spero vi piacerà questa prima parte del capitolo :D

E ora faccio un pò di pubblicità :)

Passate a leggere questa storia entusiasmante e accattivante. Non riuscirete a smettere di leggere :) Sinfonia Fantastica

Vi consiglio caldamente anche questa storia molto originale, ben scritta e ammaliante. Verrete ipnotizzati :) Enchanted

E ora vi auguro buona lettura :D

Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate con le vostre recensioni, sono molto importanti per me :D Ci sentiamo presto, bacioni! :D

 

 

 

CAPITOLO TRE

 

 

 

 

 

 

L'autobus sostò alla mia fermata. Per una volta fui la prima a scendere e non mi guardai indietro.

Camminai imperterrita e più velocemente del solito.

Volevo scappare da tutti, non vedere più nessuno di loro, soprattutto quel cretino.

Non sapevo neanche se fosse già sceso. Dopo aver origliato la conversazione mi ero girata e avevo fissato il vuoto, senza più notare nessuno.

Il mio quartiere era pieno di bambini che giocavano a palla o andavano in bici.

Feci attenzione a non farmi investire da uno di quest'ultimi e arrivai davanti alla mia villetta senza notare altro.

Aprii il cancelletto bianco e percorsi la stradina ciottolata che separava in due parti il mio guardino. La mia casa non era enorme, ma era bella. Costruita con l'intento di sembrare antica, sotto il portico c'erano perfino delle sedie di legno con un cuscino sopra per renderle più comode, cosa impossibile, e un tavolino dove mia madre serviva il the pomeridiano.

Una volta almeno lo faceva.

Io solo una volta lo avevo bevuto seduta lì fuori. Ed ero con Nicholas...

Presi le chiavi dalla tasca ed entrai, guardando solo dritto.

Ogni volta, la prima cosa che notavo appena messo piede in casa erano i quadri di famiglia. Il corridoio ne era stracolmo. Li evitavo sempre. L'arredamento interno era composto principalmente da colori chiari e solari.

Verde acqua, azzurrino, arancione chiaro...uno diverso per ogni stanza.

Mi diressi in cucina ( che era lilla) ma non c'era nessuno. Guardai l'orologio. Le tre e mezzo. Erano ancora tutt'e due a lavoro. Fortuna.

Posai lo zaino sul tavolo e lo aprii, tirai fuori il panino e uscii di nuovo fuori. C'era un grosso albero nel nostro giardino che era strapieno di nidi di uccelli. Lo sminuzzai, tolsi il prosciutto insieme alla carte che lo aveva avvolto, li buttai nell'immondizia e posai le briciole per terra. Neanche cinque secondi e subito gli uccellini vi si avventarono sopra.

Arretrai e rimasi un altro po' a guardare la scena.

Se ero fortunata non avrebbero lasciato niente.

Tornai a casa, presi lo zaino e mi diressi in camera che non aveva più niente di allegro.

Una volta le pareti erano state color pesca, le tende bianche, i muri ricoperti di fiori, foto, disegni di uccellini e altre cazzate varie. Il pavimento in legno era sempre stato lucido e i mobili intatti e ordinati.

Ora...le pareti erano vuote, i disegni cancellati con pennarelli che rovinavano la pittura uniforme, il color pesca era attraversato da strisce nere, i mobili erano tutti scheggiati per tutte le volte che vi avevo lanciato contro degli oggetti ed erano anche tutti in disordine. Il pavimento era rovinato per averci camminato troppo spesso con gli scarponi, trascinando i piedi. Le tende e il computer tutto impolverato forse erano le uniche cose che erano rimaste più o meno intatte.

Esclusa la mia libreria. Ho sempre amato i libri. Una volta leggevo sempre, ogni momento libero era subito riempito con una bella lettura. Mi perdevo per ore senza che me ne accorgessi.

Ora non più, ma non sopportavo lo stesso vederli sporchi o rovinati, quindi erano le uniche cose che tenevo ancora con cura.

Come passavo i miei pomeriggi? Studiavo e mi isolavo nella mia mente. I miei mi chiedevano di fare alcune cose come aiutarli a pulire o andare a fare la spesa e li facevo pure, ma mi ricordavo veramente poco di quei momenti.

Mi stesi sul letto, fissando il soffitto.

Non seppi quanto tempo rimasi in quella posizione, come se stessi in standby, forse un'oretta era passata,quando la voce di mia mamma mi richiamò al presente.

Elly, sei a casa?”.

Era appena rientrata. Lo capii dal casino che stava facendo con le chiavi che aveva appena posato nel piatto.

E a proposito, le mie?

Mi guardai intorno ma non le vedevo. Ah, sì, in cucina. Probabilmente mia madre le aveva già posate insieme alle altre.

Sì, ci sono”., risposi senza alzare la voce per tentare di farmi sentire. Mi passai una mano sul viso, stancamente.

Mi alzai dal letto e scesi le scale di legno bianco. Arrivai sul portico proprio nel momento in cui le ci stava ritornando. Si tolse il cappotto che appese all'entrata, insieme alla borsa. Appena mi vide mi sorrise con calore.

I suoi capelli biondi erano raccolti in uno chignon morbido e sotto indossava ancora la divisa da infermiera.

Era una proprio bella donna, soprattutto grazie ai suoi occhi nocciola molto caldi.

Tesoro, com'è andata a scuola?”, mi domandò venendomi incontro.

Rimasi immobile mentre mi accarezzava dolcemente la guancia e la guardai con occhi vacui.

La tristezza deformò leggermente i suoi lineamenti sereni e dolci facendomi sentire una merda.

Non rinunciava mai a provare a fare una vera conversazione con me, nonostante il mio mutismo selettivo che metteva a dura prova la chiacchierata.

Anche se soffriva tanto non smetteva di tentare.

'Uno schifo, mamma'. Ma non avrei potuto risponderle così. Sia perché mi avrebbe fatto alte dieci mila domande sia perché l'averebbe resa ancora più triste.

Come deve rispondere una persona che ha il saldo principio di non mentire ma che non può dire la verità?

Mah”.

Era un verso che poteva essere inteso in vari modi, mia madre preferì recepirlo come un “al solito” e non mi fece altre domande, semplicemente si limitò a continuare a sorridere mentre mi passava a fianco ( facendomi un'altra carezza) per andare in cucina.

Che fare? Tornare in camera? Era un'idea allettante per un'asociale come me ma, nonostante tutto, la seguii. Rimasi immobile appoggiata a un lato dell'arco, che faceva da porta, mentre la osservavo aprire il frigorifero e prendere una mela. Si appoggiò al bancone e mi guardò. Rimanemmo in quel modo per un tempo che mi parve interminabile.

Eloise”, disse improvvisamente con uno sguardo serio che mi mise in allarme. “Hai mangiato?”.

Perché mia madre faceva sempre domande che avevano delle risposte che l'avrebbero addolorata?

Non potendo mentire, preferii rimanere a bocca chiusa. Vidi il suo viso trasformarsi e non potei fare nulla per impedirlo. I suoi occhi si riempirono di lacrime e l'unica cosa che riuscivo a pensare era: “Almeno sii abbastanza forte da non distogliere lo sguardo”. E ce la feci. Ero forte come lo era mia mamma che un attimo dopo inghiottì a vuoto e riprese il controllo di se stessa. Si girò, voltandomi le spalle, appoggiando le mani al bancone di marmo. La mela le sfuggì, rotolando per un po'.

Sono arrivati i nuovi proprietari della casa qui di fronte”, cambiò con non-calanche argomento con voce apparentemente salda.

La vidi riprendere il frutto con lentezza. La mano le tremava leggermente.

Non ne sapevo nulla. Questa era davvero una novità.

Ah, sì? E che fine hanno fatto quelli vecchi?”, chiesi con un tono di voce che aveva per la prima volta un che di vivo.

Dovevo almeno provare a tenere la conversazione.

Mi guardò attentamente. Vidi un po' di speranza illuminarle il viso mentre dava un morso alla mela.

Dopo aver inghiottito mi parlò con serenità.

Elly, non ti ricordi del signor Magnus? Che quando ti vedeva fuori casa ti offriva sempre qualche cosa da bere o da mangiare?”.

Un ricordo appannato riemerse nella mia memoria. Un vecchietto gentile, con la gobba e il bastone, i capelli e una leggera barba bianca panna. Lui che con la sua voce stentata e profonda mi raccontava di quando era giovane e delle sue esperienze più entusiasmanti.

Ridevamo spesso.

Sì, mi ricordo”, mormorai.

Il viso di mia madre si addolcì, probabilmente pensava anche lei alle stesse cose.

Che gli è successo?”, domandai sottovoce. Non volevo credere che anche lui se ne fosse andato da questo mondo. La moglie chissà come stava, potevo benissimo immaginarlo.

La vidi intristirsi. No, non era possibile.

Ti ricordi che soffriva di cuore?”. Le lacrime spuntarono nuovamente nei suoi occhi. “Un paio di mesi fa ha avuto un attacco. L'hanno dovuto portare d'urgenza in ospedale. È rimasto in terapia intensiva per molto tempo prima che lo dimettessero. La figlia maggiore ha proposto loro che andassero a vivere a casa sua e del marito. Lo sai che il signor Magnus è un tipo orgoglioso, non avrebbe mai accettato, se non per le parole che gli dissero, convincendolo del fatto che al loro figlio piccolo serviva chi lo guardasse quando la mamma e il papà sono a lavoro. Lo hanno fatto sentire importate e lui ha accettato di andare a vivere da loro in campagna. L'aria pulita che si respira là fa bene alla sua salute. E comunque la moglie non poteva farcela da sola a badare a lui, ha anche lei una certa età.

È un mese ormai che si sono trasferiti e ieri sera è arrivata la nuova famiglia. Che io abbia visto sono solo una coppia”, mi spiegò mia madre asciugandosi gli occhi con una mano mentre con l'altra continuava a mangiare dando dei piccoli morsi alla mela.

Ero davvero scioccata e non sapevo che dire.

Non ne ero proprio a conoscenza. Mi dispiace”.

Che frase demenziale.

Lei mi sorrise, comprensiva. Poi si illuminò. Oddio, le era venuta in mente un'idea che sicuramente non mi sarebbe piaciuta.

Mi mossi un po' a disagio sul posto, spostando il peso sull'altra gamba e appoggiandomi all'arco nella parete.

Elly, senti, che ne pensi se preparassi dei biscotti?”, mi propose sorridendo, raggiante.

Si piegò e aprii lo sportello sotto il lavandino.

Buttò il torsolo nel cestino e poi si voltò di nuovo a guardarmi con un sorriso davvero preoccupante.

Ero dubbiosa. C'era qualche cosa che non mi quadrava.

Ehm, certo, mamma”, l'accontentai mal volentieri.

L'avevo già vista troppe volte triste quel giorno.

Perfetto! Quando sono pronti li vai a portare ai nuovi arrivati”. Non era una domanda. E lo sapevo io che c'era la fregatura.

Non ci penso proprio. Prima di tutto sei tu la madre e questa idea strampalata l'hai avuta tu. Ormai non si va più dal vicino appena trasferitosi offrendogli una torta o biscotti come gesto di benvenuto. Gli anni cinquanta sono passati da un pezzo. E poi”, continuai tutto d'un fiato. Non parlavo così tanto da un anno. Mia madre era scioccata quasi più di me. Anche se il mio tono era monocorde, come se stessi facendo le previsioni del tempo, era comunque un grosso progresso. “ No, se proprio ci tieni ci vai tu”. Mi chiusi in me stessa categoricamente. Se fossi stata quella di un tempo non ci avrei pensato due volte a seguire il consiglio di mia madre. Lei era ancora sotto shock, quindi ne approfittai per scappare in camera mia.

Mi buttai sul letto. Ero tremendamente stanca. Chiusi gli occhi e mi addormentai. 

  
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