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Autore: marguerite_murcielago    22/08/2012    1 recensioni
Una ragazza che gronda sangue, priva di memoria.
Una bambina scomparsa in un cimitero, nella nebbia di Febbraio.
Una donna che cerca un anello nel mare, in una notte splendente.
Una cantante che tenta di vendicarsi di una rivale invidiosa.
- e sono tutte morte.
Due fratelli separati in vita e in morte, uniti da un delitto d'onore.
Un suicida, ricordo e sostegno del suo amore malato di tisi.
- e sono tutti morti.
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sei tu tra gli ornelli,
sei tu tra la stipa?
Ombra! anima! sogno!
sei tu...?

(Canzone d’Aprile, G. Pascoli)

 

Margherita strinse le braccia attorno al corpo.
La neve, smossa da piccoli sbuffi di vento, attraversava obliqua il raggio di luce arancio del lampione; muta, se non per lo scricchiolio dello strato farinoso sotto i suoi piedi, leggera.
La chiave era nella sua mano, nascosta sotto i guanti.
La porta era poco più avanti, nello spiazzo scuro.
- Non c’è nulla di cui aver paura – si disse, convinta, e chiudendo gli occhi s’inoltrò tra due siepi inselvatichite. Continuò a camminare, le palpebre appena socchiuse per non inciampare; l’erba scura sotto i suoi piedi frusciava, le piante secche frusciavano, il mondo intero frusciava attorno a lei.
- Io non ho paura – affermò davanti alla porta chiusa: tirò fuori la torcia dal cappotto e la puntò sulla serratura; infilò la chiave, tentò un mezzo giro; lo completò. Girò ancora.
Era aperto.
Infilò la torcia nella fessura, illuminando una porzione di pavimento grigio e impolverato. Prese coraggio e aprì del tutto, infilandosi all’interno: lasciò la porta aperta, così che un fantasma di luce artificiale l’aiutasse a orientarsi nelle stanze, anche se aveva già deciso di esplorare solo il piano nobile.
Mosse la torcia a destra e a sinistra e illuminò qualcosa di strano: una fila di scarpe, rovesciate da un piede frettoloso molto tempo prima, ormai base per una colonia di ragnatele impolverate.
Le superò.
L’ingresso dava direttamente su una sala da pranzo; la luce ridicolmente debole passò su una tavola apparecchiata: pietanze raggrinzite nei piatti di porcellana, un candeliere con moccoli di candele, posate impolverate e bicchieri da cui il vino era ormai evaporato e la cui unica traccia di esistenza era una fluorescenza violacea sul vetro.
Un orologio aveva le lancette ferme sulle tre e trentasette.
- Incredibile – sussurrò Margherita, alzando il braccio.

Tutta una fiorente famiglia: i congiunti nel quadro affisso sulla parete opposta avevano vestiti scuri e facce ancora più scure, appesantite dai baffi. Passò in rassegna i loro volti, ma erano troppo piccoli e male illuminati perché potesse distinguerli.
- E tu cosa ci fai qui?
Margherita sobbalzò e si voltò lentamente, facendosi precedere dalla torcia.
L’uomo la scrutò con perplessità, avendola apostrofata come se fosse stata una conoscente.
- Questa è casa mia – rispose, insicura, ma lo avvicinò. Non aveva paura di lui.
- Scusami. Credevo fossi… qualcun altro.
- Ah… sei il custode?
Lui sorrise, tendendo le labbra rosse. Margherita fece finta di non averle notate, benché fossero di una tinta molto più accesa delle sue; aggirò il tavolo, raggiungendolo sulla soglia.
- Sì, non lo sapevi? – sorrideva, cordiale. Si guardò alle spalle come se avesse udito un rumore. – Se sei d’accordo, possiamo spostarci in giardino… è meno lugubre.
Annuì.

 

La cappa di nubi, uniforme come ovatta, aveva una tinta rossastra.
Margherita la indicò, lieta di mostrargli qualcosa di particolare.
- Non l’ho mai vista – osservò l’uomo, sorpreso.
- Mai?
- Di solito il cielo è nero, quando nevica – fece notare lui, in tono piatto.
Lei lo osservò di sottecchi: gli occhi azzurro scuro, se non sbagliava, la pelle chiarissima.
- Io mi chiamo Margherita.
- Filippo – la guardò negli occhi, nel risponderle, così lei poté studiare quelle tinte contrapposte; scoprì che la sua pelle era bianca come la neve che cadeva, gli occhi scuri come il cielo notturno, i capelli e le ciglia di un biondo scuro.
Filippo sembrò pensieroso: - Vuoi che ti racconti una storia?
- Oh, perché no? – lo affiancò, le nocche che quasi sfioravano la sua mano.
- Questa villa fu abbandonata al principio dell’Ottocento… dopo che il padrone di casa tentò di ammazzare un fattore che abitava da queste parti, in mezzo ai campi. Gli imputava la morte del fratello.
Margherita lo ascoltava, seriamente colpita, così Filippo le concesse un breve sorriso, prima di tornare aggrondato e concentrato sul proprio racconto. – Un giorno di Novembre delle grida l’avevano richiamato fuori e lì… assieme alla sua morosa… c’era suo fratello Renzo. Era annegato – fissava qualcosa nel buio, quasi invisibile nell’impossibile luce rossa.
- Continuò a cercare il suo assassino per anni, finché non sentì parlare di un certo Fontana, che scuoiava le faine dopo averle prese e nascondeva il forcone sotto il letto, attendendo, così diceva lui, “che quei signorotti là passassero sotto casa”. Dopo la morte di Renzo suo fratello si convinse che fosse stato proprio lui: quelle che raccontava in giro potevano essere fandonie per vantarsi, ma considerata la sua fama… era un capro espiatorio. Così prese una falce, indossò degli abiti dismessi e attraversò la campagna… e lo colpì, mentre quello gridava, finché non intervennero altri braccianti. Il signore fuggì e non se ne seppe più nulla.
- Che stupido – osservò Margherita, con profondo disprezzo.
Filippo sorrise fuggevolmente: - Sì, davvero – concordò, lo sguardo lontano.
- Cosa guardi? – cercò di guardare nella sua stessa direzione.
- Lo stagno, dicono che Renzo annegò proprio là – rispose Filippo, placido.
- Andiamo? – Margherita lo precedette, nervosa, guardandolo di tanto in tanto.

 

Ricominciò a nevicare, ma Margherita non si era nemmeno accorta che avesse smesso.
Distolse lo sguardo dall’acqua nera per portarlo su Filippo, la cui espressione era meno rilassata di poco prima; guardò anche le siepi incolte, le panchine di pietra spolverate di bianco, notando che i fruscii di poco prima si erano spenti.
Il silenzio era assoluto e rilassante.
- Non fidarti mai, Margherita! – Filippo parlò allo stagno, più che a lei.
- Eh?
- L’acqua si prende ciò che le piace, devi aver paura di lei! a volte non si tratta di sentimenti umani, avidità di denaro, rancore, gelosia o amore; è lei che si prende ciò che desidera.
- Cosa vuol dire? – Filippo si chinò su di lei, con gli occhi assurdamente scuri e la pelle assurdamente pallida. Lei pensò, all’improvviso e senza logica, che erano soli, lontani dagli occhi vigili di chi la conosceva e non aspettava altro che vederla fare qualcosa di nuovo, che l’aria era così attutita che anche i loro gesti sarebbero stati attutiti e quindi…
Posando una mano sulla spalla di lui – la stoffa ruvida sotto i polpastrelli – si drizzò sulle punte, si mosse in fretta e lo baciò.
Ne sfiorò appena le labbra, fredde e cedevoli come neve fresca.
La smorfia sorpresa di Filippo fu bella.
- Non è che indossi vestiti troppo leggeri? Sei proprio freddo – commentò per mascherare il suo leggero imbarazzo. La sua mano scivolò giù dalla spalla dell’uomo, si fece indietro.
Filippo continuò a fissarla, come se si aspettasse che dicesse qualcosa di diverso.
Margherita sentì il freddo pizzicarle le gambe, arrampicarsi con mille manine sulle sue spalle e avvolgerla tutta, mentre fissava il colletto bianco che sbucava dalla giacca.
Gelò. – Il quadro, in sala… - balbettò, facendo un passo indietro.
- Io ti ho detto quello che dovevo dirti – mise altra distanza tra loro.
Margherita, pallida in volto, continuò a balbettare e stringere la chiave con entrambe le mani, quasi fosse stata un crocifisso: - Io ho visto due… due… due persone uguali… ma… ma avevano i capelli e gli… occhi più chiari. Filippo… Renzo era… devo… andare.
Filippo la guardò tristemente e le sfiorò una guancia con la punta delle dita.
- Vai pure, Margherita, io aspetterò ancora a lungo che arrivi qualcuno di capace.
Margherita scappò, notando solo allora che l’unica fila di impronte apparteneva a lei.
Sulla porta che conduceva alla villa, si arrestò un attimo.
- Filippo – gridò a pieni polmoni – ti ho baciato bene?
Le parve che lui sorridesse, in fondo al giardino.
Giunse un “sì” abbastanza debole, ma percettibile.
Abbozzando un cenno di saluto, gli voltò le spalle e si gettò nella vuota oscurità della casa.

   
 
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