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Visioni
&
sogni
I |
l
pomeriggio lo passammo in viaggio, tutti troppo preoccupati per il nostro
ultimo incontro ravvicinato con dei mostri: pure a noi sembrava troppo facile
metterci nel sacco e più ci avvicinavamo a Los Angeles, più le cose si
sarebbero complicate. Di tanto in tanto lanciavo dallo specchietto retrovisore
uno sguardo a Nico, troppo impegnato a guidare per vedermi. Cavoli, dannata
Helénia! Ora che mi aveva detto quella cosa, non riuscivo più a togliermela
dalla testa! Ragionando oggettivamente l’avevo ammesso pure io che mi aveva
dato più fastidio l’atteggiamento di Kate che quello di Himeko, ma, diamine!
No, io non ero innamorata e non volevo innamorarmi, era una cosa stupida e
insensata. Di Nico poi… per giunta durante un’impresa. No, non doveva accadere,
non volevo che accadesse.
-
Si può sapere perché sei così taciturna da quando abbiamo lasciato Chicago? –
mi chiese Paul ad un certo punto.
Io
sbuffai e sdraiandomi sui sedili dietro borbottai: - Sono solo un po’ stanca… e
ho fame. –
-
Sto vedendo i cartelli di un posto per campeggiatori qui in zona – disse Nico
continuando a guardare la strada. – Almeno per una volta possiamo dormire fuori
dalla macchina, no? -
Ci
accordammo quindi di andare in questa zona da campeggio chiamata Oasi Paradiso.
In cinque minuti arrivammo a destinazione in quello sperduto paesino nello Iowa
e, dopo aver pagato la nostra permanenza su quel terreno per una notte, il
parcheggio dell’auto e il noleggio di una tenda e tre sacchi a pelo, finalmente
iniziammo a sistemarci in una zona appartata nel boschetto, proprio vicino ad
un piccolo laghetto.
-
Io e Paul andiamo al negozietto all’ingresso per prendere da mangiare. – annunciò Nico. – Vieni con
noi? -
Scossi
la testa.
-
Voi andate, io rimango qui a montare la tenda. -
I
due s’incamminarono, ed io mi armai di pazienza per riuscire a stendere il telo
della tenda per terra, dopo di che fu una passeggiata montare la tenda e
bloccarla per terra con martello e picchetti. Tutta quella fatica mi aiutò a
non pensare a quella cosa assurda che Helénia mi aveva messo in testa. Mi
sedetti appoggiandomi ad una roccia: ero veramente stanca, anche se il sole
stava tramontando in quel momento, gli occhi mi si chiudevano da soli…
Era buio ed ero seduta. Tentai di
alzarmi, ma qualcosa me lo impediva. Nella luce spettrale che di tanto in tanto
appariva in tutto quel buio, vidi che ero incatenata per le braccia e per i
piedi. Una voce alla mia destra disse ironica: - Fatto dei bei sogni? -
Mi voltai a destra con il cuore in
gola, per vedere se ero sola o meno, e scoprii di avere i capelli corti fino alle
orecchie. Non era possibile, non ero io, io avevo i capelli lunghi fino a sotto
le spalle… ma la cosa mi stupì solamente nella mia testa.
In tutto quel buio ancora non riuscivo
a vedere la figura alla mia destra, ma la mia bocca si aprì e pronunciò la frase:
- I sogni sono sempre migliori della realtà da un paio di mesi a questa parte…
-
La voce non era la mia, e io non avevo
mai pensato di dire una cosa simile. Eppure era il mio corpo a parlare: era
come essere intrappolati passivamente nel corpo di qualcun altro.
Iniziai finalmente ad abituarmi a quel
buio, e scrutai la figura alla mia destra: era un uomo bianco cadaverico con
degli occhi scurissimi e delle vesti lunghe e nere.
- Sarebbe strano il contrario, Chiara…
- disse una voce femminile alla mia sinistra, e mi voltai. Chiara? Io non mi
chiamavo Chiara, eppure mi ero voltata.
Chi aveva parlato era una donna
stupenda, con una tunica greca bianca candida, il volto candido e i capelli
neri e ricci: anche se era evidentemente priva di forze, rimaneva stupenda.
- Credo che voi siate l’unica fonte di
vita per una mortale come me qui dentro, Persefone – dissi. – Senza la vostra
presenza sarei probabilmente già morta. -
Persefone sorrise. – Mi dispiace che
non sia tu ad essere lusingato da tali parole, Ade caro… - disse rivolgendosi
all’uomo alla mia destra. La figura maschile alzò le spalle tentando di portare
avanti le braccia, ma le catene glie lo impedivano.
– Tenere in vita un mezzosangue che non
sia figlio mio non mi aggrada, e meno che meno m’importa di ricevere lusinghe
proprio da lei. – rispose burbero Ade.
- Allora, sei riuscita a metterti in
contatto con Roberta? – domandò Persefone seria.
Scossi la testa. – E’ partita per
l’impresa, non mi ha ascoltata, ed ora che è in viaggio mi è sempre più difficile
attivare il legame empatico. Anche se non fosse partita comunque non vedo che
differenza avrebbe fatto… -
- Quegli stupidi degli altri dei se ne
fregano della mia situazione! – sbottò Ade.
- Chi può dirlo? – fece Persefone con
un sospiro. Dopo di che proferì con occhi chiusi e la voce stanca: - Non so per
quanto ancora potrò andare avanti… io ora dovrei essere sulla terra e sono qua
imprigionata… mi sento debole, molto debole, sento che non passerà molto tempo
prima che le forze mi abbandonino ed io sparisca… -
- Gli dei non possono sparire – dissi
come se la cosa fosse ovvia. – O no? – domandai rivolgendomi ad Ade, che
sembrava un pezzo più duro da sconfiggere della moglie.
- Se un dio non ha più la volontà o la
forza per esistere sì, può capitare, anche se non è successo quasi mai nella
storia… - disse Ade, ma questa volta con un tono di voce basso e con uno
sguardo preoccupato fermo verso sua moglie.
- Sono certa che con la vostra forza,
Ade, vostra moglie resisterà fino all’arrivo di qualcuno che ci tiri fuori da
qui… - dissi tentando di usare una voce sicura, ma tremai: sentivo di non
essere affatto sicura di nulla.
Lui sbuffò scettico. – Scusami se ti
contraddico, ma non ripongo fiducia in voi mezzosangue, in particolare in un
gruppo campeggiato dalla progenie del mio peggior fratello… -
- Dovrebbe esserne convinto invece – lo
contestai a bassa voce per non farmi sentire da Persefone. – Perché in quel
gruppo di mezzosangue c’è anche un vostro figlio a quanto pare. -
- Nico? – fece Ade con un filo di
speranza nella voce. – Quel ragazzino l’ultima volta mi ha veramente aiutato a
riscattarmi agli occhi di quegli stolti su all’Olimpo. Che non lo venga mai a
sapere (odio fare complimenti), ma se c’è anche lui, potremmo anche cavarcela,
anche se non so come… - si bloccò.
- Cosa c’è? – domandai ansiosa.
- C’è una presenza. – disse Ade
attento, guardandosi intorno. – Sono talmente indebolito da non averci fatto
caso, ma c’è un chiaro legame empatico in atto in questo preciso istante. –
- Robby, mi senti? – esclamai
guardandomi intorno. – Qui nell’Ade è il caos totale, un umano ha preso il
controllo del posto: non sappiamo ancora come, ma ha tolto i poteri sia ad Ade
che a Persefone e per gli dei è impossibile proseguire… chiunque sia ha in
mente qualcosa di distruttivo per tutti gli dei e… -
Aprii
gli occhi di scatto.
-
Robby! – esclamò Paul bianco pallido.
-
Parlavi nel sonno! – fece Nico, agitato come lui, ma mostrandosi più calmo ora
che avevo aperto gli occhi. – Parlavi dell’Ade, è successo qualcosa? –
Tentai
di respirare, ma avevo ancora il cuore in gola: era come essere svegliati
durante una fase di sonnambulismo. Io l’ho provato e credetemi, è una cosa
tremenda. Raccontai loro tutto quello che avevo visto, di Ade, di Persefone e
dell’essere umano che li teneva prigionieri senza poteri.
-
Io poi… temo di non aver raccontato tutto al campo. – dissi, e raccontai ormai
di quel collegamento che ora, a mente fredda, era ovvio: io nel mio sogno ero
quella ragazza che avevo sognato per tanto tempo in Italia, quella ragazza che
ora sapevo chiamarsi Chiara. – Non l’ho raccontato al Campo e a Chirone perché
mi sembrava un dettaglio irrilevante. – dissi alzando le spalle. – Invece ora,
col senno di poi, mi rendo conto che l’inizio dei miei sogni di Chiara incatenata
coincidono con l’inizio della pioggia in Italia, forse non è affatto una
coincidenza… -
-
No che non lo è – disse Nico agitato. – Si chiama legame empatico. E’ un
collegamento tra due persone che anche se lontane possono comunicare diciamo
mentalmente. E’ un legame importantissimo, se una delle due muore, muore anche
l’altra. –
-
Bene, ho più possibilità di andare nell’Oltretomba senza viaggiare per tutta
l’America… - borbottai ironica.
-
Credo che sia stata una giornata impegnativa per tutti. – disse Paul ad un
certo punto. – Forse è meglio andare a dormire così da essere svegli e pronti
alla partenza domani mattina, non trovate? – Nico annuì, e debolmente lo
imitai.
Dormire
per terra in un sacco a pelo, anche se in una tenda, è sempre stato per me a
dir poco insopportabile; mi addormentavo solo se ero veramente stanca, e dopo
quel collegamento mentale con Chiara, il sonno era scappato. Ricordai l’ultima
volta che avevo dormito in tenda in montagna in Italia: ero andata a dormire
alle quattro passate di mattina, allietata, per così dire, dallo spettacolo di
un mio amico ubriaco che cadeva per terra raccogliendo la legna per il fuoco.
Sorrisi a quel ricordo, e pensare alla mia vita da persona normale mi aiutò a
prendere sonno...
Era tutto bianco intorno, non vedevo
nulla: era impossibile che si trattasse ancora del legame empatico, là
nell’oltretomba era tutto nero. All’improvviso mi accorsi di un particolare:
indossavo una tunica greca bianca candida, e i miei capelli biondi erano
raccolti in una treccia ornata di fiori che cadeva sulla mia spalla destra.
-
Ti piace? – domandò una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, il cuore a mille,
e quando vidi da chi proveniva la voce, il cuore sembrò quasi fermarsi: era un
ragazzo di circa la mia età, capelli corti, biondi e ben tenuti, fisico
atletico, veste greca e occhiali da sole.
- Scusa – disse con un sorriso vedendo
che lo fissavo. – La tunica è la mia veste per le occasioni ufficiali, e questa
lo è, ma non potevo mancare di aggiungere un tocco di classe con i miei rey
ban. – Si tirò su gli occhiali e vidi per la prima volta i suoi occhi: verdi
così intensi da brillare come uno smeraldo vero, quegli occhi non potevano
essere umani. – In caso non l’avessi capito, io sono Apollo. – disse sfoggiando
il suo ennesimo sorriso.
Il cuore sembrò veramente smettere di
battere: Apollo era il mio dio preferito da sempre, e reincarnava esattamente
quello che era il mio ragazzo ideale, biondo, atletico con gli occhi verdi.
- So che ti piace il Giappone, vuoi che
ti dedichi un haiku? – domandò lui facendomi l’occhiolino.
- Dove mi trovo? – chiesi senza
rispondere alla sua domanda. – Perché sono qui, e perché indosso questa tunica?
–
Lui mi guardò aggrottando le
sopraciglia.
- Beh, la veste era semplicemente un
regalo per te da parte mia – commentò lui come se la cosa fosse ovvia. Qualcosa
nel suo tono di voce intendeva ricevere un ringraziamento, ma io domandai solo:
- Perché? -
Lui sbuffò.
- Mamma mia, ma quanto è difficile
trattare con una mezzosangue figlia di Zeus! Non capisci quando qualcuno ti sta
corteggiando? -
Arrossii praticamente fino alla punta
dei capelli: avrei voluto scomparire o per lo meno avere l’abilità di fingere
che la cosa non m’importasse, ma come al solito il mio volto era un libro
aperto. Non era possibile che Apollo mi facesse il filo, il dio che mi piaceva
più di tutti da quando alle elementari avevamo parlato degli dei dell’antica
Grecia. Poi mi ricordai dei miti su di lui, e tornai con i piedi per terra.
- Sì, corteggiare me… un po’ come con
Daphne, o sbaglio? – commentai amaramente, ma mi morsi subito un labbro: non
potevo permettermi di parlare così male ad un dio.
Lui ridacchiò e disse solo: - Hey, se
vuoi tirare in ballo tutte le donne che ho provato a sedurre da quando esisto,
non credo che finirai mai… -
- Perché io allora? – chiesi
imperterrita.
Lui camminò avanti e indietro un paio
di volte, poi incrociò le braccia e disse: - In realtà tutto è iniziato quando
il consiglio degli dei ha ascoltato la profezia. Non posso rivelare a voi
mortali perché, ma mi è stato chiesto di tenerti d’occhio, e più lo facevo, più
mi sei sembrata una persona interessante: sei stata la prima a dare a Paul una
possibilità di riscattarsi, gli hai suggerito che sono stato io a sconfiggere
Pitone quando lui non si ricordava di me… -
- Quindi… state dicendo che
v’interessate a me solo perché sono gentile con un mio amico che, per caso è
vostro figlio? L’amore vero non è riconoscenza… - dissi tentando di essere
distaccata, ma non ne ero molto capace: ricevere simili attenzioni da Apollo mi
lusingava e non poco.
- Se vuoi sentirmi dire ad alta voce la
lista dei pregi che io vedo in te, allora non siamo poi molto diversi… - disse
lui con un sorriso che mi paralizzò dal tanto che m’incantava. – Sei una buona
amica, non ti fermi di fronte a nulla, sei leale, coraggiosa e credi nei
sentimenti umani… detta così potresti sembrare una tra le mille eroine che
questa terra ha visto, ma credimi se ti dico che quello che il cuore vede, le
parole e la poesia a volte non riescono a spiegarlo. Sei diversa dalle altre, è
questo che sento. –
Abbassai lo sguardo: trattenerlo di
fronte a tutte quelle lusinghe per me era impossibile.
- Ti dico solo una cosa: le mie non
sono mai state storie serie, forse perché io in primo luogo non sono mai stato
serio. Io sono sempre stato solo il fratello irritante di Artemide: sono il
sole, la musica e la poesia: tutto parole e niente fatti. Ma credo che anche gli dei siano in grado di
cambiare, e io voglio farlo. - mi prese le mani e fui così costretta a
guardarlo in quegli occhi così profondi da sembrare irreali. - Quello che ti
sto proponendo è di diventare mia sposa sull’Olimpo. –
Ci impiegai parecchio per capire di
cosa stesse parlando; probabilmente il mio cuore aveva veramente smesso di
funzionare, forse il cervello riceveva sempre meno ossigeno, per questo i miei
tempi di reazione erano così tardi.
- Io… s-sposa sull’Olimpo? – balbettai.
Lui annuì, sembrava veramente serio;
tutte le storie sulla superficialità di Apollo, il modo superficiale in cui si
era presentato… tutto era svanito, improvvisamente sembrava un’altra persona.
Dicono che l’amore vero cambia le persone. Poteva forse cambiare anche gli dei?
Gli dei potevano cambiare?
- Io non ho una compagna nell’Olimpo –
continuò lui. – E vedo in te mia moglie, insieme a tutti gli altri dei. Dopo
tutti questi secoli voglio una compagna per tutta la mia esistenza, e il mio
cuore mi dice che questa compagna sei tu, Robby. -
Oddio, che cosa imbarazzante… volevo
dirgli di no: non lo conoscevo veramente, ma non potevo dire di non sapere
nulla di lui in realtà, poi lui era perfetto, praticamente quello che, da
piccola, era il mio Principe Azzurro… improvvisamente mi si attanagliarono
altri pensieri, quelli più importanti forse.
- Ma… vostro padre è Zeus che è anche
mio padre. Inolte io non potrei starvi vicino sull’Olimpo – dissi.
- Le parentele tra dei funzionano
diversamente… - mi spiegò. – Poi non potresti starmi vicino come una
mezzosangue comune, ma come dea sì. – disse lui, e capii quello che voleva
intendere. – Tu completa la missione che ti è stata assegnata nell’Ade, e
quando tornerai chiederò io agli dei di renderti immortale, di renderti una
dea. -
Io…
immortale. Io… una dea. Sarebbe stato un happy ending delle fiabe: l’eroina
impavida sconfigge il mostro cattivo, il bel principe le chiede di sposarla e i
due vivono per sempre felici e contenti. E sarebbe stato veramente per sempre.
Eppure la cosa di per sé mi sembrava così falsa e inverosimile…
- Io… non credo che potrei… non so… -
balbettai agitata senza sapere cosa rispondergli.
- Facciamo così – disse lui. - per ora
ti lascio con un altro piccolo regalo – il suo viso si avvicinò sempre di più
al mio, le sue labbra praticamente sfioravano le mie, ed io mi sentii
pietrificata, col fiato corto, catturata dai suoi occhi. - così potrai pensarci
su e sarai pronta a rispondermi quando ci rivedremo finita la tua impresa,
perché sono certo che tu, mio figlio e l’altro ragazzo ce la farete, e non ci
vogliono profezie per saperlo: mi fido di voi e riporrei nelle tue mani la mia
stessa esistenza… -
A quel punto mi baciò. Credo che il mio
cuore smise veramente di battere. O forse batteva troppo. O forse avevo la
febbre. Avevo caldo. Eccome se avevo caldo. Il tempo sembrava non passare più,
come se si fosse fermato tutto all’improvviso, probabilmente era quella la
sensazione di essere immortali… il caldo si fece sempre più intenso. Sentivo le
vene nel mio corpo pulsare forte, non mi sarei sorpresa se stessero bollendo.
Caldo, veramente troppo caldo. Stavo andando a fuoco…
-
AAAAAAHHHHH!!! – urlai mettendomi a sedere di scatto, e tutta agitata e con il
fiato corto, tentai di togliermi il più velocemente possibile il mio sacco a
pelo, e cercai di uscire dalla tenda senza prima averla aperta, con il
risultato che per poco non si ribaltava, nonostante fosse stata assicurata a terra
dai picchetti.
-
Robby, che ti succede?! – domandò alle mie spalle la voce di Paul preoccupata e
ancora mezza addormentata.
-
E perché indossi quella veste greca? – chiese Nico, ma io ignorai tutti e due e
quando finalmente riuscii ad aprire la tenda, mi misi a correre e, senza
pensarci troppo, mi buttai nel laghetto che c’era vicino alle nostre tende. Non
appena mi immersi nell’acqua, dalla superficie salì del fumo. Mi sommersi in
acqua fino a sopra la testa: volevo solo acqua, acqua fresca…
-
Robby, non annegarti…! – sentii l’eco della voce di Nico provenire da sopra di
me, fuori dall’acqua. Uscii dal laghetto e ripresi il respiro: aria ai polmoni
e corpo rinfrescato, stavo veramente meglio, anche se il cuore non riusciva a
trovare il normale ritmo.
-
N-non… non mi stavo uccidendo… - balbettai ancora col fiato corto per
assicurare loro che stessi bene.
-
Si può sapere che è successo? – chiese Paul allarmato. – Ti sei svegliata
urlando e sei scappata dalla tenda come una pazza, vestita con una tunica
greca, e non appena ti sei immersa nel lago è salito un vapore assurdo… -
Mi
veniva quasi da piangere dall’imbarazzo e dalla confusione, ma mi avrebbe messo
ancora più in imbarazzo mostrare le mie lacrime e le mie debolezze. Rimasi in
acqua, le braccia incrociate sul bordo del laghetto, mentre sia Nico che Paul
se ne stavano seduti sul bordo fissandomi in attesa di una risposta.
-
Io non… - non riuscivo a parlare. Almeno non con loro. Incrociai lo sguardo di
Paul: come potevo dirgli che suo padre mi aveva appena baciata? Come potevo
dirgli che suo padre mi voleva sposare? Era una cosa assurda. Poi guardai
quello di Nico, e mi sentii nuovamente ardere il volto.
-
Potremmo… non parlarne per favore? – balbettai evitando il loro sguardo.
-
Ma… e se è qualcosa di fondamentale per la missione? – chiese Paul
imperterrito.
-
Credimi, non lo è – risposi subito. – Preferisco non parlarne… è… una…
questione privata… - borbottai.
-
Ma ora stai bene? – mi domandò Nico. Io annuii continuando ad evitare i loro
sguardi.
Paul
e Nico ancora non sembravano convinti, ma si alzarono.
-
Andate a dormire… - suggerii loro. – Io me ne sto qui ancora un po’, poi
rientro, promesso. -
Fu
difficile convincerli che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, ma quando
finalmente i due entrarono, tirai un sospiro di sollievo.
Ripensai
a quello che era successo con Apollo: perché doveva complicarmi la vita? Perchè
gli dei gli avevano chiesto di tenermi d’occhio? Mi sfiorai le labbra con le
dita, e le sentii ancora calde, quasi incandescenti. Nonostante avessi
rischiato di andare a fuoco, dovevo ammettere che il bacio non era stato male,
e sorrisi a malincuore. Sentivo ancora quello strano sapore di miele in bocca,
non avrei veramente mai pensato che Apollo potesse sapere di miele… dovevo
raccontarlo a qualcuno, immediatamente. Uscii dall’acqua fradicia, e corsi ad
aprire il mio zaino: i vestiti che avevo addosso prima di incontrare Apollo
erano lì dentro, ben piegati. Mi tolsi velocemente quella veste, mi misi i miei
normali vestiti e iniziai a scrivere sul diario mio e di Helénia. Le raccontai
del mio incontro con Apollo, e mentre rileggevo quello che avevo scritto, mi
detestai: sembravo una scolaretta delle scuole medie. Era questo che odiavo
dell’Amore: il fatto che ti rende la persona più vulnerabile di tutte. Non che
fossi innamorata, chiariamoci. Ma tutta quella storia era così assurda che mi
metteva in totale agitazione… Poi ripensai all’ultima volta che io ed Helénia ci
eravamo scritte: avrebbe sicuramente tirato in ballo Nico. Sbuffai irritata:
forse era meglio tenermi tutto per me e non dirle nulla. Ma ormai era tardi, le
avevo già scritto.
Basta,
dovevo ragionare oggettivamente, come sempre facevo: Apollo non lo conoscevo
per niente di persona, e Nico era solo un amico. Punto.
Credo
che mi convenga non pensarci più di tanto. Scrissi infine. Ci
sono problemi più gravi di questo: devo arrivare nell’Oltretomba il prima
possibile per salvare Ade, Persefone e quella ragazza che sognavo in Italia. Non
ho tempo da perdere in simili sciocchezze. Domani puntiamo di arrivare a Denver
e di arrivare a Los Angeles tra tre giorni. Dobbiamo farcela.
Fulmini e saette, ecco lo spazio dell'autrice!
Ho pensato questa volta di scrivere il mio commento in fondo per non fare spoiler.Prima di tutto ciao a tutti e scusate il ritardo, ma sono sommersa dallo studio: il prossimo capitolo credo che riuscirò a scriverlo e postarlo tra un mesetto, perchè a fine settembre ho un esame veramente tosto e non posso permettermi di non passarlo. Dopo di che, passiamo a parlare del capitolo.
Ecco, sta storia di Apollo praticamente l'ho sognata di notte: lui è veramente il mio dio preferito. Non mi piaceva presentarlo solo come è stato presentato da zio Rick nella saga (irritante e basta) mi piace pensare che gli dei, annoiati dalla solita routine, di tanto in tanto vogliano cambiare e tentino di diventare persona diverse. Se poi Apollo ce la farà o meno, credo che si scoprirà alla fine della storia. Forse questa storia di Apollo può sembrare un po' fuori dal contesto della storia, ma credetemi che ha TUTTO a che fare con la storia e con la profezia. Non dico altro a proposito, altrimenti vi rovino tutto!
Dopo di che Chiara. Ecco, finalmente sono riuscita a presentarla con un nome nella storia. Ci tenevo proprio a farlo, ma ci vorranno ancora quattro o cinque capitoli prima di incontrarla faccia a faccia.
Sulla storia di Persefone e Ade incatenati nell'Oltreromba senza poteri a causa di un mortale, lascio a voi le ipotesi di come possa essere avvenuta, non credo che ci arriverete tanto facilmente! C:
Per ora vi lascio sperando che non sarete delusi dalla mia storia!
Al prossimo capitolo!
Calipso