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Autore: Moonage Daydreamer    23/08/2012    3 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Twenty Flight Rock.
 


L'abbaiare terrorizzato di Frency riuscì a riscuotermi dall'incubo.
Spalancai gli occhi sulla stanza illuminata.
Il riverbero del sole sulle lacrime che correvano lungo le mie guancie mi accecò e io mi dovetti riparare gli occhi con la mano. Le tempie mi pulsavano tanto da sembrare di essere sul punto di scoppiare e l'abbaiare del cucciolo di bobtail certo non aiutava.
Gemetti e cercai di respirare normalmente, ma i latrati di Francy erano amplificati nella mia mente e mi davano il tormento.
- Frency, ti prego: basta.- mormorai coprendomi il volto con le mani.
Il cane era in un angolo, stretto fra la scrivania e il muro, con la coda fra le gambe e il corpo tremante almeno quanto il mio, se non di più.
Scesi dal letto e strisciando mi avvicinai al cucciolo, tentando di mostrarmi calma.
- Calma, piccolo, va tutto bene. - sussurrai; allungai la mano incerta verso di lui e lo accarezzai, anche se più che altro sfioravo il suo pelo bianco e nero. Con l'altra mano mi asciugai le lacrime.
Lo presi fra le braccia e lo strinsi al petto.
- Va tutto bene. - ripetei. Sentii il suo piccolo cuoricino rallentare un poco i battiti e lo riappoggiai a terra, ma Frency guaì e si precipitò fuori dalla stanza.
Sospirai e riuscii a calmarmi, poi mi rialzai e rifeci distrattamente il letto guardando fuori dalla finestra.
La luce del sole incoronava d'oro le fronde degli alberi, che ospitavano una quantità inimmaginabile di uccellini cinguettanti.
Ancora una volta, pareva che Dio, o Madre Natura, o Zeus, o quegli ammassi di gas che componevano l'atmosfera, o chiunque ci fosse lassù mi stesse prendendo in giro.
Mi passai una mano fra i capelli spettinati.
Cristo, era già passato un mese...
- Anna, devi portare Frency a spasso!- gridò Elisabeth dal piano di sotto.
- Lo so. - dissi, anche se la mia madre adottiva non poteva certo sentirmi.
Mi vestii lentamente e per ultimo indossai il foulard azzurro, sebbene la giornata si preannunciasse a dir poco calda; non uscivo mai senza di esso e lo mettevo anche se contrastava con gli altri abiti che indossavo.
Scesi le scale e mi assicurai che Frency si fosse calmato. Il cucciolo mi aspettava di scodinzolando nel giardino davanti alla casa, e si mise a rincorrere una farfalla.
Eravamo tutti contagiati dal suo entusiasmo e persino in un giorno come quello riuscì a strapparmi un sorriso.
- Qualcuno dovrebbe spiegare alla palletta di pelo che le farfalle in genere non sono così tonte da farsi acchiappare da cuccioli goffi e sgraziati. - disse James fermandosi a guardare il cane.
- Ma no, dai.-  replicai sforzandomi di sorridere. - Non roviniamogli la festa così presto. In genere non si aspetta che i bambini abbiano sei, sette anni prima di dire loro che Babbo Natale non esiste?-
- Solo tu potresti trovare affinità fra una farfalla e Babbo Natale. - commentò il mio padre adottivo.
Gli feci l'occhiolino, poi andai in cucina per prendere i farmaci e fare colazione al volo in compagnia della mia madre adottiva.
- Quando è sceso, Frency sembrava terrorizzato. Cos'è successo? - mi chiese Elisabeth.                                                                                                                                                 
- Dobbiamo trovargli un'altra sistemazione. - dissi trangugiando i biscotti - La mia stanza non è il luogo più appropriato: i miei incubi lo spaventano. -
Non ero dell'umore adatto per domande o discorsi filosofici, perciò andai a prendere il blocco da disegno e il guinzaglio di Frency e corsi incontro al cucciolo che giocava nel prato.

Facemmo una passeggiata fino ad arrivare a Calderstones Park, dove tolsi il guinzaglio a Frency perché potesse giocare in libertà sul prato, tuttavia dopo aver corso un po' in giro, spossato dal caldo, il cucciolo andò a sdraiarsi all'ombra di un albero.
- Siamo telepatici, piccolo. - gli dissi sedendomi accanto a lui fra l'erba. - Questo è uno dei miei posti preferiti. -
Frency cominciò a scodinzolare tenendo la lingua di fuori.
Presi dalla borsa il blocco da disegno e iniziai a ritrarlo. Per fortuna finii lo schizzo di partenza in fretta, perché Frency si stufò di quella posizione in poco tempo e si avvicinò a me, appoggiandomi la testa sulla gamba, sbirciando il mio lavoro.
- Questo sei tu. - gli avvicinai il foglio al naso. - Ti riconosci?-
Il cucciolo si mise a pancia in su, guardandomi con occhi imploranti.
Era davvero incredibile la velocità con la quale si era adattato a quella nuova vita.
- Forza, bello, è ora di tornare indietro. -
Mi alzai e Frency cominciò a trotterellarmi dietro.

Elisabeth e James uscirono subito dopo pranzo per andare alla festa che come ogni anno si teneva  il sei luglio presso la chiesa di St. Peter's.
Io non andai, poiché quello era l'ultimo luogo in cui volevo trovarmi quel giorno.
Ero in camera mia, con Frency che giocava da una parte e il piccolo quadro che si era salvato, ancora coperto dal telo bianco, davanti agli occhi.
"Non può essere così difficile, no?" mi dissi.
La mia politica era quella di non iniziare nuovi lavori se ce n'era anche solo uno che doveva essere ancora finito. Quindi dovevo finire quella tela.                                                                                            Allungai la mano e afferrai il panno bianco, ma indugiai.
"Forza! Nemmeno Dorian Gray aveva così paura di togliere un dannato telo da un quadro!" pensai e feci scivolare il panno.
Guardai le due figure che avevo disegnato sulla tela. Non era cambiato assolutamente niente da quando l'avevo visto l'ultima volta.
Sospirai per il sollievo, come se davvero avessi temuto di vedere davanti a me qualcosa di mostruoso, che riflettesse il sudiciume della mia anima, come era successo al protagonista del romanzo di Oscar Wilde.
Tuttavia, i miei sentimenti nei confronti di esso erano mutati. Ero stata così entusiasta di quella tela, quando l'avevo iniziata, ma ora lo sentivo così distante, quasi non mi appartenesse più.
In ogni caso, anche se controvoglia, presi i pennelli e i colori e mi apprestai a finire gli occhi della bambina. Inizialmente pensai al verde, poi cambiai idea e presi il tubetto marrone; rimasi con il pennello a mezz'aria per qualche secondo prima di passare definitivamente all'azzurro.Usai tutte le sfumature di colore che riuscii a trovare e mi sembrò che il risultato finale fosse abbastanza buono, sebbene non ne fossi completamente soddisfatta.
Il campanello suonò. Sbuffai, appoggiai i pennelli sulla scrivania e mi pulii le dita sporche di colore sui jeans, quindi, seguita da Frency, scesi le scale. Suonarono di nuovo, con più insistenza. 
- Arrivo, arrivo.- borbottai.
Andai alla porta per aprire, ma quando lo feci, Frency si lanciò fuori e "assalì" Paul. Il ragazzo prese il cucciolo in braccio e giocherellò un po' con lui, ridendo come un pazzo.
- Ah, toglietemi la Bestia di dosso! - esclamò chiamando il cane con il soprannome che gli aveva affibbiato. - Lo so che ti sono mancato; mi sei mancato anche tu, lo sai?-
- Non incoraggiarlo, Paul: è già abbastanza agitato di suo. - dissi mentre lui rimetteva Frency a terra.
- Be', è un cucciolone pieno di energia: che ti aspettavi?- replicò Paul sorridendo.
- Vuoi entrare?-
- No, grazie. Sono solo passato a prenderti. -
- Per andare dove?- chiesi accigliata.
- Alla festa di St. Peter's. - rispose con naturalezza, come se fosse scontato. Effettivamente, quasi tutta la popolazione di Woolton e buona parte di quella di Allerton partecipava quella festa; nemmeno a me, a dir la verità, era mai dispiaciuto andarci, ma quell'anno era una cosa diversa.
- Non me la sento di uscire oggi. - mormorai.
- Eh, no, bella! Non accetterò un no come risposta. E poi non sono da solo. -
- In che senso?-
- Tu non lo puoi vedere, ma sono venuto insieme al mio amico immaginario! - rispose con sarcasmo, ma la mia occhiata gli fece intuire che non ero in vena di ironia.
Paul mi indicò con un cenno del capo un ragazzo fermo al di là della strada.
- E' quell'amico che conosce i Quarrymen. Ti ricordi? Te ne ho parlato qualche giorno fa. - spiegò Paul.
Annuii, anche se in realtà non ero affatto sicura di voler uscire di casa, né di voler rimanervi.
- Dai! Non puoi startene chiusa in casa con il caldo che fa! - insistette, poi strinse le labbra e assunse un'espressione implorante.
- E va bene!- sbuffai - Ma sappi che mi devo portare dietro la Bestia. -
Paul scrollò le spalle:- Non vedo come questo possa costituire un problema! Adesso datti una mossa che...-
-... siamo in ritardo sulla tabella di marcia! - conclusi la frase per lui, scoppiando a ridere.
- Come hai fatto ad indovinare? - chiese, poi simulò un'espressione d'incredulità - Non è che sei una specie di strega o cose del genere?!-
Scossi la testa mentre prendevo il guinzaglio e le chiavi di casa.
Solo quando tornai fuori mi accorsi della Zenith che il mio amico aveva a tracolla.
- Non si sa mai. - spiegò lui una volta accortosi del mio sguardo.
Ci recammo dal ragazzo che ci stava aspettando e Paul me lo presentò, dicendo che era un suo compagno di scuola, Ivan.
Le strade erano praticamente deserte, se si escludevano gli autobus e qualche automobile che ci passava di fianco di tanto in tanto, ma man mano che ci avvicinavamo alla chiesa si sentiva sempre più forte il vociare della folla e il numero di persone che incontravamo cominciava ad aumentare sempre di più.
Giungemmo a St. Peter's che la sfilata dei carri era già cominciata da un po', così decidemmo di recarci direttamente nel prato dietro la chiesa, dove i bambini giocavano con il classico tiro a segno con le noci di cocco. Frency era a dir poco esaltato da quell'atmosfera festosa e continuava a correre da una parte all'altra, scodinzolando e tirando il guinzaglio.
Passammo di fianco al cimitero e in un secondo l'allegria del pomeriggio svanì. Mi fermai davanti al cancello, con lo sguardo vacuo.
Era strano trovarsi lì, esattamente un mese dopo, in un contesto tanto diverso.
Sentii la mano di Paul stringermi la spalla.
- Stai bene?- mi sussurrò.
- Sì. - risposi battendo le palpebre per riscuotermi. - Andiamo, dai. La festa è da quella parte. -
Mi affrettai ad allontanarmi dal cimitero, trascinandomi dietro gli altri due ragazzi.
- E così, alla fine, sei venuta!- esclamò James quando mi vide. Dovetti scrutare tra la folla per un po' prima di riuscire a scorgere lui ed Elisabeth.
- Torno subito. - dissi a Paul.
- Posso accompagnarti?- chiese lui.
- Con piacere!-
Ci avvicinammo ai miei genitori con Frency che continuava ad andare da una parte all'altra, rischiando di farci inciampare nel guinzaglio.
- Paul mi ha praticamente tirata fuori di casa con la forza.- affermai, riferendomi alla precedente osservazione di James.
- Quanto sei melodrammatica...- borbottò Paul arrossendo.
Gli diedi uno schiaffetto contro il braccio: - Ma è vero! -
Il ragazzo mi rivolse uno sguardo di sottecchi.
- Credo che rimarrà sempre il mistero su come realmente si sono svolti i fatti. - commentò James ridacchiando.
- Comunque sia andata la cosa, te ne siamo davvero grati. - aggiunse Elisabeth.
Paul sorrise, ma non fece in tempo a dire qualcosa a sua volta, che Frency cominciò ad abbaiare.
- Lascialo a noi. - mi propose Elisabeth guardando il cucciolo.
- Sicuri? E' una mina vagante!- replicai.
- Sì, tranquilla. Ci fa sempre piacere stare con la palletta di pelo. Va' a divertirti con i tuoi amici, adesso. - mi rassicurò James. Sorrisi e gli passai il guinzaglio, poi io e Paul tornammo da Ivan.
- Che ragazza crudele: abbandonare così un povero cucciolo... - mormorò il mio amico.
- Mi spiace, ma oggi non ho intenzione di farmi venire sensi di colpa.- ribattei.
Dei rumori provenienti dal piccolo palco montato in fondo al prato focalizzò la nostra attenzione su di esso. Ci avvicinammo rapidamente, mentre sei ragazzi, in jeans stretti e camicia,  vi salivano sopra, imbracciando gli strumenti. Li conoscevo tutti di vista, ma, a parte Pete Shotton, non ricordavo i loro nomi.
Lennon era salito per primo e si posizionò all'unico microfono che c'era sul palco, davanti a tutti gli altri componenti del gruppo. Disse qualcosa al microfono, presentò il gruppo e fece qualche battuta, ma non prestai molta attenzione alle sue parole, anche se era piacevole stare ad ascoltarlo. Il suo comportamento era diverso dal solito, anche se nel suo modo di atteggiarsi da strafottente riuscivo a riconoscere senza problemi il Lennon di tutti i giorni. Il gruppo cominciò a suonare.
Non erano male, sebbene mi fossi aspettata di meglio. Lennon suonava la chitarra come se fosse un banjo e per quasi tutto il tempo sembrava che lui e gli altri stessero improvvisando.
Tuttavia il risultato complessivo era qualcosa di piuttosto buono, anche se ciò era per la maggior parte merito di Lennon, che catalizzava tutta l'attenzione su di sé.
Dopo un paio di canzoni riconobbi gli accordi iniziali di "Come go with me"dei Del Vikings, ma ben presto mi accorsi che il ragazzo non sapeva le parole e le sostituiva con strofe prese da pezzi blues.
Down, down, down to the penitentiary...
Inarcai un sopracciglio.
- Ma sta scherzando?!- esclamai, ma Paul mi rivolse un'occhiataccia che mi convinse a non aggiungere altro.
Tornai a concentrarmi sulla musica e alla fine dell'esibizione dovetti ammettere che Lennon aveva dimostrato una certa intelligenza, o quanto meno un certo spirito di adattamento, per inventarsi dei testi nuovi che stessero bene con la musica così velocemente.
Dopo un'esibizione dei cani della polizia, i Quarrymen tornarono sul palco e suonarono qualche altra canzone, tra cui  "Be-Bop-A-Lula".
Mi persi completamente nell'esecuzione, sebbene essa fosse tutt'altro che impeccabile (anche perché, inutile dirlo, Lennon non conosceva il testo) ma il ragazzo fu in grado di trascinarmi; la sua voce era qualcosa di... incredibile.
Quando terminarono anche il secondo spettacolo, i Quarrymen scesero dal palco e  Ivan ci fece strada fino al gruppo di ragazzi che stavano ritirando gli strumenti.
Tutti i Quarrymen salutarono con calore il ragazzo, il quale cominciò a chiacchierare allegramente con Pete Shotton.
- Ehi, Ivan, come mai ti sei portato dietro la drogata?- chiese ad un certo punto Lennon guardandomi con astio e spezzando l'atmosfera rilassata.
Ressi senza difficoltà la sua occhiata.
- Veramente...- mormorò Ivan, ma poi decise di lasciar perdere la domanda e cambiare argomento. Indicò Paul. - Lui è un mio compagno di scuola; è davvero bravo con la chitarra. -                                       L'attenzione di Lennon si spostò da me al mio amico. Lo squadrò per qualche secondo, poi fece un mezzo sorriso e gli si avvicinò.
- In questo caso, potremmo chiudere un occhio sul fatto che ti trascini dietro la sfigata con problemi mentali. - disse il ragazzo senza lasciarsi sfuggire l' occasione di insultarmi.
Vidi Paul irrigidirsi, ma gli feci cenno di non dargli ascolto.
- Io sono John. -  
Lennon, una volta tanto memore della buona educazione, gli porse la mano e il quindicenne gliela strinse.
- Paul. - si presentò a sua volta.
Rimasero a guardarsi negli occhi, studiandosi a vicenda.
- Tu suoni una Gallotone Champion, vero? -
- Sì. -
- Me la fai vedere?- chiese educatamente Paul.
Lennon rimase qualche altro secondo a fissarlo, poi gli passò la chitarra. L'altro la imbracciò e sfiorò le corde, poi la riaccordò velocemente. La ripassò al suo proprietario.
- Ecco, adesso è a posto. - disse Paul sorridendo.
Ci fu un altro contatto visivo fra i due: gli strafottenti occhi nocciola  di Lennon in quelli verdi di Paul.
- Bene, Ivan dice che sei bravo. - disse Lennon - Bravo quanto?-
- Abbastanza. - rispose l'altro, anche se il suo sorriso tradì il fatto che si reputava egli stesso un chitarrista piuttosto capace.
- Facci vedere, allora. - lo invitò Lennon alzando un sopracciglio con scetticismo.
Paul si sfilò la chitarra da tracolla e controllò che fosse accordata.
- La tieni al contrario, lo sai?- gli fece notare Lennon con la sua solita gentilezza.
Paul gli rivolse un'occhiata divertita, poi cominciò a suonare.
 
Oh well, I've got a girl with a record machine
When it comes to rockin' she's the queen
We love to dance on a Saturday night
All alone, I can hold her tight
But she lives in a twentiest floor up town
The elevator's broken down

So I walked one, two flight, three flight, four
Five, six, seven flight, eight flight more
Up on the twelfth I started to drag
Fifteenth floor I'm ready to sag
Get to the top, I'm too tired to rock
 

Mai in tutta la mia vita avevo provato tanta soddisfazione per avvicinarsi a quella che provai quando vidi l'espressione arrogante di Lennon, il quale era palesemente convinto di trovarsi davanti ad un ragazzino che aveva praticamente appena finito le elementari, trasformarsi in sconcerto malcelato dai patetici tentativi del teddy boy.
Per non scoppiargli a ridere in faccia dovetti battere la ritirata e allontanarmi di qualche passo dal gruppo, ma nessuno mi notò, poiché tutti erano rapiti da Paul e dalla sua chitarra.
 Mi portai una mano alla bocca, quasi a nascondere il sorriso compiaciuto che non riuscivo a scollarmi dal viso.
Notai Stu appoggiato contro il palco, che spostava lo gli occhi da me al prato, quasi non osasse guardarmi.
Mi avvicinai a lui, e trassi un respiro profondo, ma non ebbi il coraggio di salutarlo io per prima.
- Ciao. - mormorò lui dopo qualche secondo.
- Mi dispiace, Stu! Io non... - non riuscii a trovare le parole. - Scusa. -
Abbassai lo sguardo e arrossii, conscia del fatto che con tutte le probabilità avevo fatto la figura dell'idiota.
- Mi sono comportata malissimo. - aggiunsi - Ho fatto la stronza e...-
Stu mi interruppe abbracciandomi. Nessuno dei due disse niente, bastò solo quel contatto per trasmettere all'altro quello che ciascuno di noi stava pensando.
Mi venne istintivo chiedermi, però, se realmente meritassi di essere perdonata così facilmente.                                                                         
Stu non disse niente mi accompagnò di nuovo dai Quarrymen e da Paul, il quale aveva nel frattempo finito di suonare.
Il ragazzo stava scrivendo per Lennon le parole di "Be-Bop-A-Lula".
- Ecco a te. - disse il mio amico passando il foglio all'altro ragazzo.
- Uhm, sì, grazie. - biascicò Lennon appoggiando il foglio da una parte, senza prestargli molta importanza, poi disse ai suoi compagni di cominciare a prepararsi per l'esibizione serale.
- Ci si vede in giro. - disse Paul, anche se nei suoi occhi scorsi un lampo di delusione, che il ragazzo non diede a vedere.
- Stammi bene. - rispose Lennon senza entusiasmo.
Paul si rimise la Zenith a tracolla e io salutai Stuart, poi insieme ci allontanammo dalla festa.
Camminammo per un po' in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri, ma poi mi accorsi della strana espressione dipinta sul volto del ragazzo.
- Com'è andata allora?- gli chiesi.
- Bene. - rispose lui, ma non aggiunse altro.
- Perché quando c'è qualcosa che non va gli individui di genere maschile hanno sempre la straordinaria capacità di rispondere a monosillabi? - borbottai tra me e me, riuscendo a strappare un sorriso a Paul.
- Non te la prendere. E' semplicemente incapace di comportarsi in maniera civile con le persone. - commentai - Ma se non ti prende non avrà più alcuna speranza di non essere considerato un essere privo di cellule cerebrali. -
- Perché, se mi prende sì, invece? - mi stuzzicò Paul.
- Dico sul serio!- esclamai.
- Secondo te gli ho fatto una buona impressione?-
- Era stupefatto, e così tutti gli altri. - lo rassicurai - Ripeto: se non ti prende è un idiota. -
 
Qualche giorno dopo un Paul incredibilmente esaltato venne a casa mia e mi annunciò che Lennon gli aveva chiesto di unirsi al gruppo e che lui  aveva accettato ed era entrato a far parte de Quarrymen.


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Finalmente sembrerebbe che io sia riuscita a superare il blocco creativo (ma starei attenta a non dirlo troppo ad alta voce perché non è del tutto sicuro).
Comunque sia, per fortuna, questo capitolo è stato decisamente più semplice da scrivere e sono riuscita a finirlo in tempi accettabili!
Non che sia un'opera d'arte, ma per lo meno mi sembra ci sia stato un miglioramento rispetto al precedente.


Jane across the universe : Innanzitutto grazie mille per i complimenti e per aver recensito! Sono contenta che il capitolo precedente sia piaciuto almeno a qualcuno, poiché non avevo idea di cosa far succedere e mi sono messa a scrivere praticamente a caso!

Lonely Heart: In realtà, credo che tutta la storia stia cominciando a perdere punti dal punto di vista della qualità, ma ci sono ormai troppo affezionata per mollare tutto e ho troppe idee su cosa accadrà in futuro per scrivere una fine "anticipata" rispetto a quello che mi immagino.
La parte di Frency è l'unica che salverei di tutto il capitolo...

Grazie mille a tutti!

Peace n Love.

 

 

  
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