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Autore: ___MoonLight    24/08/2012    5 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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18

It's gonna be OK, someday






"All day long I think of things but nothing seems to satisfy
Think I'll lose my mind if I don't find something to pacify
Can you help me occupy my brain?"


[Paranoid – Black Sabbath]





18 Marzo, 8:20, Villa Stark

Tony sollevò gli occhiali protettivi, osservando il metallo fuso dal saldatore mentre cercava di perfezionare il legamento dell'articolazione. Naturalmente si era già rotto tre volte e lo aveva riprogettato per ben cinque. E adesso aveva sbagliato la saldatura per colpa della sua mano sinistra recalcitrante a collaborare.
"Dannati menischi. E questo cos'è?" si chiese tra sé, rasentando l'esasperazione.
Tastò con una pinzetta un fascio di tendini sintetici senza riuscire a collocarlo nella sua mappa mentale dell'anatomia di un ginocchio, probabilmente lacunosa. Il sonno arretrato non era d'aiuto. Si risolse a prendere l'articolazione virtuale che fluttuava accanto a lui, inserendola nella protesi per verificarne la struttura e le eventuali mancanze.
"È un crociato, ed è dove non dovrebbe essere," concluse, scacciando via con una schicchera lo spettro azzurrino.
Lasciò perdere momentaneamente il ginocchio e tornò al lavoro che stava svolgendo fino a poche ore prime, cioè la realizzazione delle altrettanto stramaledette dita dei piedi: aveva quasi pensato di lasciarle perdere, ma se voleva riprendere a camminare in maniera decente doveva riprodurle alla perfezione, o si sarebbe ritrovato con la colonna vertebrale distrutta. Ian aveva già accennato a future sessioni di fisioterapia, e personalmente non vedeva l'ora di prendere a calci qualcosa.
«JARVIS, confronta e riconfronta quest'arnese con la mia gamba, poi ricontrolla. E quando hai finito ricontrolla ancora. Tutto chiaro, latta scaduta?»
«Sì, signore. Analisi in corso.»
E poi Ian aveva il coraggio di accusarlo di superficialità...

Tony sbuffò, ancora risentito per la discussione poco illuminante avuta col medico, poi si rimise a lavorare sorseggiando di tanto in tanto la sua clorofilla e dimentico dello scorrere del tempo, come sempre quando era in laboratorio. Cinque ore, molte imprecazioni e innumerevoli errori dopo, stava ancora sudando sul mignolo: aveva progettato la struttura di ogni singolo dito e l'aveva anche quasi realizzata, ma i dettagli...
"Chi se ne frega, dei dettagli."
Smise di lavorare sulle dita: ci sarebbe ritornato su quando avrebbe avuto un pezzo in più di gamba. Per ora l'avrebbe fatto stare in piedi e tanto bastava. In realtà la piastra d'aggancio della protesi era pronta, ma giaceva in un angolo del laboratorio, per lo più ignorata. Avrebbe già potuto approntare la data dell'operazione con Ian, ma si trovava riluttante a rendere ufficiale la cosa. Non l'avrebbe mai ammesso esplicitamente, ma sentiva una ragionevole dose di paura nel pensare all'intervento, considerando che era sopravvissuto per miracolo al primo. E poi cosa se ne faceva della sola piastra d'aggancio, senza una gamba pronta a sostenerlo? Erano giorni che non riusciva a stare fermo e sentiva l'impulso frenetico di camminare, correre, fare a botte, volare... troppe cose, tutte irrealizzabili e fuori dalla sua portata.
Si trovò a soffermarsi frustrato sul piede della protesi, ancora poco più di un abbozzo informe. Poggiò la testa sulla mano, fissando assente quell'ultimo, piccolo e insormontabile ostacolo che lo separava dall'avere di nuovo una gamba. Si era buttato anima e corpo – per quanto possibile – in quel progetto azzardato e non ricordava di aver passato un solo giorno dall'incidente senza pensare alle protesi, a miglioramenti da apportare e modifiche da effettuare. Aveva la testa traboccante di dati, idee, scarti di produzione e pensieri ancora irrealizzabili. Ecco, quelli avrebbe dovuto eliminarli del tutto, perché portavano inevitabilmente a... all'occhio e a quanto fosse difficile...
"Pepper. Non prendiamoci in giro."
Resettò il cervello: non era quello il momento per pensarci. I suoi pensieri presero un'altra direzione. Era bello potersi distrarre a comando, quasi come sfogliare i dati dei suoi computer: pensiero spiacevole? Bastava cambiare pagina. Ultimamente aveva talmente tanti pensieri, che non gli riusciva difficile mettere in pratica quella tattica.
Intrecciò le dita e le scrocchiò con tenue soddisfazione sentendo i legamenti e le giunture che funzionavano a dovere, accusando una lieve fitta alla spalla per la tensione muscolare. Gli era sempre piaciuto lavorare e dare il meglio di sé in ogni sua invenzione, ma adesso cominciava ad averne la nausea e ad odiare il suo laboratorio, soprattutto perché doveva costringersi a non guardare la parete delle armature, dove adesso troneggiavano solo la Mark I semidistrutta, l'ammasso informe della Mark III e la decisamente obsoleta Mark II. Non aveva avuto né tempo né modo di smantellarle, momentaneamente o per sempre, ma la sola vista della cromatura rosso e oro semi-fusa bastava ad annebbiarlo di altre preoccupazioni. Chissà quanta gente continuava ad aspettare Iron Man...
Si coprì il volto con la protesi, affondando il naso nell'incavo del gomito: era stanco, terribilmente stanco, ma allo stesso tempo straripava di tanto nervosismo messo sotto pressione da non riuscire a riposarsi. L'insonnia e i frutti onirici deviati del suo inconscio, quelle rare volte in cui riusciva a dormire, ne erano un chiaro sintomo. Avrebbe voluto trovare qualche sfogo che non comprendesse armeggiare con saldatori e cacciaviti. Aveva anche un'idea di quale poteva essere, ma i giorni dei suoi party esplosivi e delle notti brave passate in hotel a cinque stelle con belle donne erano molto lontani, in quel momento – in quelle condizioni. Si immerse brevemente in quei ricordi vietati ai minori e decisamente piacevoli. O spiacevoli, a seconda di quanto fosse stato ubriaco alla fine di ciascuna di quelle serate. O disturbanti, visto che a quelle immagini si intersecava irremediabilmente la figura di Pepper e di quanto avrebbe voluto...
"Reset."
I suoi pensieri virarono sul più rassicurante terreno della progettazione delle protesi, anche se un senso d'insoddisfazione latente rimase a stuzzicarlo. 
Riaprì una delle schermate ridotte a icone, rituffandosi in schemi, calcoli e preoccupazioni più tangibili. Doveva ancora fare il calco di ciò che rimaneva della sua gamba per portarlo ad Ian, che lo aspettava da circa tre giorni. Forse erano passati più di tre giorni.
"Stavolta mi ammazza."

***


19 Marzo, Villa Stark

«Non sono passati tre giorni?»
«Una settimana, signor Stark. Una settimana.» 
Ian si sporse minacciosamente verso di lui, le iridi chiare ingrandite dagli occhiali che accentuavano il suo sguardo inquisitore.
«Erano tre giorni quattro giorni fa. Quattro più tre fa ancora sette, vero?» si arrampicò sugli specchi Tony, con un sorrisetto nervoso.
«Le sue condizioni fisiche potranno aver turbato tutto il mondo, ma le leggi fondamentali rimangono invariate. Così come il suo essere costantemente in ritardo.»
«Buono a sapersi. Ho bisogno di qualche punto fermo nella mia vita,» rispose sollevato Tony, ruotando con fare irritante sulla sedia girevole.
«E stia fermo. Mi dà la nausea,» proruppe Ian.
Tony interruppe a malincuore le sue acrobazie.
"Adesso viene il bello..." pensò poco entusiasta, ma consapevole che non poteva rimandare ancora l'argomento solo perché la sua mente aveva inaspettatamente deciso di cedere a una paura irrazionale.
«A quando la festa?» esclamò quindi, forzando un sorriso smagliante.
«Prego?»
Ian si tolse gli occhiali e cominciò a pulirli, segno che si stava preparando alla sua ennesima stravaganza.
«Ma l'operazione, ovviamente! Non è contento di avere una scusa per liberarsi di me?»
Ian gli scoccò un'occhiata tanto penetrante che non si sarebbe stupito di ritrovarsi un foro di proiettile in testa.
«Il suo umorismo fa passi da gigante ogni giorno, signor Stark.» Il medico scosse la testa e si rimise gli occhiali, ormai rassegnato. «Comunque, dipende da quanto le ci vorrà per ultimare il lavoro, no?»
«Giusto...» ammise Tony, facendosi esitante. «La piastra d'aggancio in realtà è già pronta, devo solo revisionarla. Intanto mi sto avvantaggiando un po' di lavoro sul resto, così da accelerare i tempi dopo l'operazione.» 
Pronunciò con malcelata apprensione quelle ultime parole, consapevole di volersi solo teletrasportare magicamente a quel "dopo" senza dover affrontare di nuovo tutto il calvario che l'avrebbe preceduto.
«Mi assicuri solo la partecipazione del suo super-cervellone. Sa... quindici ore in sala operatoria sono lunghe. E avrò bisogno di pause anch'io,» sottolineò Ian.
«Posso programmare JARVIS affinché racconti barzellette per intrattenerla. Almeno non si addormenterà sul mio quasi-cadavere.»
«Ok, ritiro tutto sul suo umorismo: sta diventando veramente macabro.»
«Solo se ci crede davvero,» lo rimbeccò lui, ostentando un ghigno spavaldo.
Tony si distolse da ulteriori riflessioni potenzialmente nocive e riprese a parlare a raffica riguardo ai dettagli della protesi, cercando di non dare peso né allo sguardo turbato di Ian, né alla sommessa marea d'apprensione che cresceva dentro di lui di secondo in secondo.

***


21 Marzo, Villa Stark

Tony deglutì a vuoto, scoccando un'occhiata falsamente sicura di sé alla donna bionda che lo seguiva suadente ad appena un passo di distanza; forzò sulle sue labbra un sorriso che sperava fosse affascinante, chiedendosi in realtà cosa diavolo stesse facendo. 
Non gli era ben chiara la concatenazione di eventi che aveva portato Christine Everhart a casa sua, ma era abbastanza convinto che fosse stata influenzata dallo stato di totale agitazione in cui l'aveva colto la sua chiamata inattesa. Dopo due notti insonni – e le molte altre che le avevano precedute – passate a imprecare contro un relè che non voleva saperne di funzionare come avrebbe dovuto, una fusione di unobtanium fallita, l'assenza imprevista di Pepper costretta a presenziare a un'assemblea a Seattle, e il crescente senso di panico che lo attanagliava all'avvicinarsi dell'operazione, non doveva essere stato nel pieno delle sue facoltà mentali quando aveva acconsentito a rilasciare un'intervista per Vanity Fair e l'aveva invitata alla villa.
Infatti si era pentito di quanto promesso non appena Christine si era presentata alla sua porta, per poi rendersi conto in modo del tutto irrazionale che non gli dispiaceva poi così tanto che lei fosse lì. Quindi aveva temporeggiato. Le aveva concesso qualche domanda frivola e poi le aveva offerto un drink e aveva bevuto anche lui dopo tanto tempo perché... perché no?
Poi
erano passati a rivangare il loro ultimo incontro e l'intervista era scivolata in secondo piano, tramutandosi in... altro, in modo molto simile a quanto accaduto poco più di un anno prima in circostanze del tutto diverse. Non sapeva se essere grato o meno alla sua innata risposta pronta, ma quando le parole "non concedo interviste, ma sarei disposto a concederle altro" avevano lasciato la sua bocca non era riuscito a capire se fosse il caso di prendersi a schiaffi o stringersi da solo la mano – e avrebbe fatto molto male in entrambi i casi.
Forse Pepper aveva ragione, quando diceva che non lo si poteva lasciar solo un istante... almeno stavolta non avrebbe dovuto buttare lei la "spazzatura".
E ora si ritrovava a fare strada a Christine in camera da letto – non quella che ricordava lei al piano di sopra, ma quella nuova al piano terra, e già quel dettaglio gli aveva fatto perdere un po' di sicurezza. Avvertì un nodo di tensione che gli stringeva la gola, assieme a un altro, più in basso e a lui totalmente estraneo, di cui al momento non voleva preoccuparsi. Si sentiva come quando da adolescente si intrufolava in casa con una ragazza approfittando delle frequenti assenze dei suoi. Quante volte l'avevano beccato...
Farsi sorprendere adesso sarebbe stato decisamente peggio, concluse, chiudendo la porta della camera dietro di sé, terribilmente consapevole dello sguardo della donna che seguiva ogni suo movimento impacciato, in particolare quelli della protesi. Magari avrebbe dovuto togliersela? Non era calibrata per...
"Ma che cazzo ti è venuto in mente?" gli esplose nel cervello, annullando qualunque altro pensiero coerente e lasciandogli un velo di sudore freddo sulla pelle nel sentirsi così osservato.
Era ancora in tempo per mandarla via.
Invece si stampò in faccia un sorriso provocante e si sedette sul letto con fare disinvolto, nonostante la goffaggine con le stampelle, nonostante non fosse mai stato più consapevole della protesi attaccata al suo corpo e del moncherino della gamba che gli inviava stilettate di dolore e dell'evidenza della benda sull'occhio e della luce del reattore che filtrava appena nella penombra da sotto la camicia già semiaperta. Il suo cervello continuava a pungolarlo, a urlargli di sottrarsi volontariamente da quella situazione dalla quale, ne aveva la netta impressione, sarebbe altrimenti uscito decisamente malconcio. Sentiva già la dignità scivolargli sotto i piedi – il piede, si corresse con rabbia – mentre trovava difficoltà a sbottonarsi la camicia, costringendo Christine a intervenire.
Maledisse il suo corpo inutile con tutto se stesso e relegò quei pensieri in fondo alla propria mente, perché in quel momento aveva davvero bisogno di non pensare.
Nel giro di una manciata di secondi si ritrovò disteso a torso nudo e con la donna semisvestita sopra di lui, ma era più intento a domare il dolore al moncherino e i suoi pensieri frammentati e presi dal panico, piuttosto che ad ammirare quel corpo sinuoso premuto contro il proprio. Non trattenne però un sospiro di piacere a quel contatto, e riuscì a rilassarsi appena nel sentirsi addosso le mani della donna.
Un paio d'ore senza pensieri poteva concedersele, giusto? Un solo momento di blackout totale prima di un'operazione che probabilmente l'avrebbe ucciso, visto che non ci era riuscita quella precedente. Anche solo qualche manciata di minuti lontano dal laboratorio, dai progetti, dall'insonnia, da quel senso di insoddisfazione costante, dagli incubi e dal dolore fisico... chiedeva davvero così tanto?
Un'ombra di colpevolezza gli artigliò la coscienza al ricordo di una doccia di caffè freddo e di un bacio mancato, e si trovò ancor più propenso a sopprimere qualunque barlume di lucidità gli fosse rimasto. La vista gli si annebbiò e i suoi ragionamenti divennero ancor più sconclusionati quando si trovò a stringere d'istinto i fianchi della donna, cercando la sua bocca e premendola contro di sé mentre sentiva le sue dita lambirgli l'orlo dei jeans diventati troppo stretti.
Dio, se aveva bisogno di non pensare. Di cedere.
Si lasciò avvolgere da quell'oblio confuso e invitante di sensazioni piacevoli. La consapevolezza di ciò che stava facendo scivolò via assieme al suo autocontrollo.
"Non pensare."
Cedette.


***


Tony si schiarì appena la gola  e rimase prono sul letto, solo parzialmente coperto dal lenzuolo, mentre osservava Christine che radunava le proprie cose dal pavimento. Il suo corpo nudo e abbronzato era indiscutibilmente una visione incantevole, ma si trovò a fissarlo con indifferenza, seguendone le curve in modo apatico.
«Ehi,» la chiamò con voce distrutta, senza la forza di muoversi.
La donna si girò appena, con uno sguardo intriso di una chiara traccia di imbarazzo. Per lui, immaginò. O forse era compassione?
Non avrebbe saputo dire cosa fosse peggio.
«Questo non riportarlo a Vanity Fair, ok?» si trovò a dire, desiderando di poter imprimere un qualche tipo di inflessione alla sua voce atona.
«Non ho intenzione di macchiarmi la carriera,» replicò lei asciutta, finendo di rivestirsi senza mai guardarlo.
«Bene. Neanch'io.»
«La tua carriera professionale mi sembra già abbastanza compromessa senza rovinare anche quella di playboy.»
Tony non contestò la verità di quella cruda affermazione e rimase in silenzio, col volto premuto contro il materasso a nascondere lo sfregio. La benda giaceva da qualche parte nella stanza, assieme ai suoi vestiti e al suo orgoglio a brandelli.
«Conosci la strada,» le disse infine, quando vide che era pronta ad andarsene.
Lei lasciò la stanza senza una parola di congedo, chiudendo la porta dietro di sé e lasciandolo nel silenzio della sua camera in penombra.
Portò solo allora una mano al moncherino, soffocando un grido stentato e non ricordando l'ultima volta che gli aveva fatto così male. Sentì di odiarlo più di ogni altra cosa al mondo, in un sentimento così violento da essere subordinato solo al furioso ribrezzo che provava per se stesso in quel momento. Se solo avesse preso i suoi antidolorifici, quella mattina... ma no, doveva sempre fare di testa sua e sbagliare, anche nelle cose più semplici.  Continuò a respirare a forza contro il materasso, domando le fitte taglienti che lo scuotevano. Erano comunque più sopportabili rispetto a prima, quando aveva visto lampi di dolore ad ogni movimento più brusco, fino ad accasciarsi esanime con le lacrime ad appannargli la vista, desiderando solo di scomparire in quell'istante dagli occhi di Christine e del mondo intero. Sentiva ancora su di sé i suoi occhi disorientati... no, non su di sé: sulle sue ferite, sui punti di sutura ancora sensibili, sul braccio meccanico goffo e innaturale, sul suo volto asimmetrico, sul moncherino inutile, sul reattore orribilmente incastrato nel suo sterno. Un'ondata di nausea gli strinse la bocca dello stomaco, comprimendogli il petto e facendolo sentire sul punto di collassare su se stesso, come se gli si fosse aperto un buco nero nel petto.
Percepì la fasciatura della gamba che diventava leggermente umida, ma lui non ebbe neanche la forza di controllarla: che sanguinasse pure. In fondo, era giusto che gli facesse così male. Ed era giusto che non avesse concluso nulla; con un corpo così malridotto era un miracolo che non fosse svenuto dopo i primi cinque minuti, che gli avevano comunque regalato un piacere fasullo e colpevole – e sapeva perché, lo sapeva, ma lo soffocò come i propri lamenti contro il materasso.
Fece leva sul gomito sano e riuscì a raggiungere il cuscino senza ferirsi ulteriormente, affondandovi il volto accaldato. Le sue narici colsero il lieve sentore dolciastro del profumo di Christine e fu come se l'avessero improvvisamente accecato con uno spillo rovente.
Scagliò con violenza il cuscino dall'altra parte della stanza, disgustato, e accolse quasi con liberazione l'atroce fitta che gli scosse la gamba mutilata.


***


26 Marzo, Villa Stark

«E allora gli ho detto "no, non sei il mio tipo; insomma, non potrei mai uscire con qualcuno che porta camicie hawaiane tutti i giorni". E lui cosa ha fatto? Se ne è andato sul serio! Ed è stato un bene, non aveva proprio il senso dell'umorismo. Capisci quello che voglio dire? È frustrante dopo un po' dover parlare solo e solamente di...»
«Kyle?»
«Sì, Virginia?»
«Davvero, è interessante, ma...»
«Non è il momento, lo so, stavo cercando di distrarti.» L'avvocato bevve un sorso di tè «Almeno ci sono riuscito?»
Pepper gli sorrise un po' forzata, apprezzando comunque il suo tentativo. Nascose il volto nella tazza fumante, evitando di guardare l'avvocato seduto di fronte a lei, che non sembrava affatto a disagio per quell'improvviso silenzio. La donna gli rivolse uno sguardo esitante e fece per parlare. Kyle scosse la testa e sorrise nervoso:
«Le undici e venticinque. Cinque minuti in più di cinque minuti fa...»
«Giusto,» convenne Pepper, un po' imbarazzata.
Tony era dentro da tre ore: ancora una decina la separava dal sapere. L'aveva salutata come se stesse per partire per uno dei suoi soliti viaggi di lavoro in capo del mondo. Il realizzarlo non l'aveva tranquillizzata, considerando la conclusione dell'ultimo di quei viaggi.
"Ci vediamo dopo, Pep!", aveva detto, facendole "ciao, ciao" con la mano meccanica apparentemente rilassato, prima di cedere all'anestesia. Lei avrebbe voluto avere anche solo un briciolo del suo autocontrollo, che le era sembrato comunque innaturale per lui, considerando il suo umore prima della precedente operazione.
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, sentendosi oppressa e irrequieta.
Tony si era comportato in modo più incomprensibile del solito nel corso dell'ultima settimana. Passava molto meno tempo in laboratorio, spostandosi irrequieto da una parte all'altra della villa senza una meta apparente, anche se tendeva a soffermarsi spesso sulla soglia della cucina ancora semidistrutta. Inoltre, per ben tre volte l'aveva trovato a dormire sul divano in laboratorio. Non sapeva se stupirsi di più per il fatto che dormisse, o che non lo facesse in un comodo letto – anche se era un miglioramento rispetto al banco da lavoro. Non aveva osato indagare su quei fatti anomali, ma non aveva potuto ignorare le occhiate intense e in un certo senso... spaventate che l'uomo a volte le rivolgeva, nonostante con lei si comportasse con l'esuberante brio di sempre.
La carenza di sonno a volte lo sprofondava ancora nel nervosismo, soprattutto quando lavorava, ma fuori dal laboratorio sfoggiava una sorta di distaccata allegria, simile a quella che sfoggiava ai grandi eventi pubblici. Aveva anche notato come si tenesse a una distanza molto maggiore da lei, senza invadere il suo spazio personale col suo solito fare giocoso. Si chiese se quelli fossero i famosi "paletti" di cui aveva sentito tanto parlare, e si chiese anche quanti ne avesse posti lei stessa per spingere Tony Stark, un individuo notoriamente privo di alcuna inibizione, ad imporseli a sua volta.
Ripensò a tutte le volte in cui aveva evitato il confronto e si era mostrata fredda ai suoi tentativi di parlarle, temendo che chissà quale catastrofe o rivelazione si potesse abbattere su di loro nell'aprire quel vaso di Pandora. Forse si era rassegnato a quella situazione di impasse interminabile. O forse aveva semplicemente capito con chiarezza quali colpe gravassero sulle spalle di entrambi e aveva deciso di aspettare che fosse lei ad accorgersi delle proprie.
Quei pensieri tortuosi e involuti scandivano con esasperante lentezza l'attesa, ricordandole con fredda insistenza che non l'aveva neanche salutato come avrebbe voluto prima che lui entrasse in sala operatoria. Si era limitata a stringergli la mano con fare incoraggiante, al che lui le aveva sorriso appena, per poi lasciar scivolare lo sguardo già appannato dal sedativo sulle sue labbra, come aveva fatto molti giorni prima. Un filo di tensione si era allungato tra loro, palpabile, invitante e allo stesso tempo inviolabile.
Pepper era stata sul punto di posargli un bacio sulla guancia, in un atto che sperava fosse insieme un incoraggiamento e un'offerta di pace, ma lui le aveva lasciato un po' bruscamente la mano, mascherando quel gesto improvviso con un saluto scherzoso e una risata leggera e un po' intontita per l'anestesia. Si era addormentato subito dopo.
E adesso era dentro e chissà se l'avrebbe mai...
Scosse la testa con fermezza e sollevò di nuovo gli occhi su Kyle.
«Le undici e mezza,» sospirò lui. «Andiamo a fare un caffè, ne avremo bisogno,
» propose poi.
Pepper annuì appena, ma non si mosse.
«Ti raggiungo subito.»
Kyle la fissò dubbioso, ma non insistette e la lasciò coi suoi pensieri.
Pepper fissò spaesata la vetrata e il mare oltre essa, come sperando di potervi annegare la sua angoscia.
"Solo le undici e mezza."
Sprofondò nel divano, prendendosi il volto tra le mani.




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Revisione effettuata il 01/03/2018

Note delle Autrici:

Ore 1:15. Stiamo crepando di sonno, ma Light mantiene sveglia (se così si può dire) MoonRay a suon di angst per PUBBLICARE DOPO UN MESE! *Euforismo di Light che sprizza ovunque* *M: =_____=*
Quindi, bando alle ciance... grazie a Micchi, Sherlock_Watson, blackpearl_ e Rogue92 che hanno recensito lo scorso capitolo e grazie a tutti coloro che continuano a leggere, che hanno recensito in precedenza e che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate <3 Grazie a tutti! Tony saluta :D

Moon&Light

Edit 01/03/2018: ok... chi si era accorto dell'enorme buco di trama di Phoenix? Io, per esempio, a un'imbarazzata rilettura. Le scene aggiuntive con la Everhart sono funzionali a rattoppare quella svista.
Il progetto iniziale prevedeva citare Christine di striscio molto più avanti nella storia, ma in seguito alle varie revisioni e ridimensionamenti della trama ho pensato di inserire direttamente la scena in questione, che sarà propedeutica anche per altri eventi futuri. E per sottolineare che, dopotutto, Tony è umano anche sotto quel punto di vista – e immagino che per un ex-dongiovanni come lui non sia così semplice stare "a riposo", con tutte le turbe mentali e fisiche che ritrovarsi improvvisamente mutilati comporta.
Sorry, Tony, ti si lovva comunque [-Light-]

 



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