18
It's
gonna be OK, someday
"All
day long I think of things but nothing seems to satisfy
Think I'll
lose my mind if I don't find something to pacify
Can you help me
occupy my brain?"
[Paranoid
– Black Sabbath]
18 Marzo, 8:20, Villa Stark
Tony
sollevò gli occhiali protettivi, osservando il metallo fuso
dal
saldatore mentre cercava di perfezionare il legamento
dell'articolazione. Naturalmente si
era già rotto tre volte e lo aveva riprogettato per ben
cinque. E
adesso aveva sbagliato la saldatura per colpa della sua mano sinistra
recalcitrante a collaborare.
"Dannati menischi. E questo
cos'è?" si chiese tra sé, rasentando
l'esasperazione.
Tastò
con una pinzetta un fascio di tendini sintetici senza riuscire a
collocarlo
nella sua mappa mentale dell'anatomia di un ginocchio, probabilmente
lacunosa. Il sonno arretrato non era d'aiuto. Si risolse a prendere
l'articolazione virtuale che
fluttuava accanto a lui, inserendola nella protesi per verificarne la
struttura e le eventuali mancanze.
"È un crociato, ed è dove non dovrebbe essere,"
concluse, scacciando via con una schicchera lo
spettro azzurrino.
Lasciò perdere momentaneamente il ginocchio
e tornò al lavoro che stava svolgendo fino a poche
ore prime, cioè
la realizzazione delle altrettanto stramaledette dita dei piedi:
aveva quasi pensato di lasciarle perdere, ma se voleva riprendere a
camminare in maniera decente doveva riprodurle alla perfezione, o si
sarebbe
ritrovato con la colonna vertebrale distrutta. Ian aveva già
accennato a
future sessioni di fisioterapia, e personalmente non vedeva l'ora di
prendere a calci qualcosa.
«JARVIS,
confronta e riconfronta quest'arnese con la mia gamba, poi
ricontrolla. E quando hai finito ricontrolla ancora. Tutto chiaro,
latta scaduta?»
«Sì,
signore. Analisi in corso.»
E poi
Ian aveva il coraggio di accusarlo di superficialità...
Tony
sbuffò, ancora risentito per la discussione poco illuminante
avuta col
medico, poi si
rimise a lavorare sorseggiando di tanto in tanto la sua clorofilla e
dimentico dello scorrere del tempo, come sempre quando era in
laboratorio. Cinque ore, molte imprecazioni e innumerevoli errori
dopo, stava ancora sudando sul mignolo: aveva progettato la struttura
di ogni singolo dito e l'aveva anche quasi realizzata, ma i
dettagli...
"Chi se ne frega, dei dettagli."
Smise di
lavorare sulle dita: ci sarebbe ritornato su quando avrebbe avuto un
pezzo in più di gamba. Per ora l'avrebbe fatto stare in
piedi e
tanto bastava. In realtà la piastra d'aggancio della protesi
era
pronta, ma giaceva in un angolo del laboratorio, per lo più
ignorata. Avrebbe già potuto approntare la data
dell'operazione con
Ian, ma si trovava riluttante a rendere ufficiale la cosa. Non
l'avrebbe mai ammesso esplicitamente, ma sentiva una ragionevole dose
di paura nel pensare all'intervento, considerando che era
sopravvissuto per miracolo al primo. E poi cosa se ne faceva della
sola piastra d'aggancio, senza una gamba pronta a sostenerlo? Erano
giorni che non riusciva a stare fermo e sentiva l'impulso frenetico
di camminare, correre, fare a botte, volare... troppe cose, tutte
irrealizzabili e fuori dalla sua portata.
Si trovò a soffermarsi
frustrato sul piede della protesi, ancora poco più di un
abbozzo
informe. Poggiò la testa sulla mano, fissando
assente
quell'ultimo, piccolo e insormontabile ostacolo che lo separava
dall'avere di nuovo
una gamba. Si era buttato anima e corpo – per quanto
possibile – in quel progetto azzardato e non ricordava di
aver
passato un solo giorno dall'incidente senza pensare alle protesi, a
miglioramenti da apportare e modifiche da effettuare. Aveva la testa
traboccante di dati, idee, scarti di produzione e pensieri ancora
irrealizzabili. Ecco, quelli avrebbe dovuto eliminarli del
tutto, perché portavano inevitabilmente a... all'occhio e a
quanto
fosse difficile...
"Pepper. Non prendiamoci in giro."
Resettò
il cervello: non era quello il
momento per
pensarci. I suoi pensieri presero un'altra direzione. Era bello
potersi distrarre a comando, quasi come sfogliare i dati dei suoi
computer: pensiero spiacevole? Bastava cambiare pagina. Ultimamente
aveva talmente tanti pensieri, che non gli riusciva difficile mettere
in pratica quella tattica.
Intrecciò
le dita e le scrocchiò con tenue soddisfazione sentendo i
legamenti
e le giunture che funzionavano a dovere, accusando una lieve fitta alla
spalla per la tensione muscolare. Gli era sempre
piaciuto lavorare e dare il meglio di sé in ogni sua
invenzione, ma
adesso cominciava ad averne la nausea e ad odiare il suo laboratorio,
soprattutto perché doveva costringersi a non guardare la
parete
delle armature, dove adesso troneggiavano solo la Mark I
semidistrutta, l'ammasso informe della Mark III e la decisamente
obsoleta Mark II. Non aveva avuto né tempo né
modo di smantellarle,
momentaneamente o per sempre, ma la sola vista della cromatura rosso
e oro semi-fusa bastava ad annebbiarlo di altre
preoccupazioni. Chissà quanta gente continuava ad aspettare
Iron
Man...
Si coprì il volto con la protesi, affondando il naso
nell'incavo del gomito: era stanco,
terribilmente stanco, ma allo stesso tempo straripava di tanto
nervosismo messo sotto pressione da non riuscire a riposarsi.
L'insonnia e i frutti onirici deviati del suo inconscio, quelle rare
volte in
cui riusciva a dormire, ne erano un chiaro sintomo. Avrebbe voluto
trovare qualche sfogo che non comprendesse armeggiare con saldatori e
cacciaviti. Aveva anche un'idea di quale poteva essere, ma i
giorni dei suoi party esplosivi e delle notti brave passate in hotel
a cinque stelle con belle donne erano molto lontani, in quel
momento – in quelle condizioni. Si immerse brevemente in quei
ricordi vietati ai minori e
decisamente piacevoli. O
spiacevoli, a seconda di quanto fosse stato ubriaco alla fine di
ciascuna di quelle serate. O disturbanti, visto che a quelle
immagini si intersecava irremediabilmente la figura di Pepper e
di quanto avrebbe voluto...
"Reset."
I suoi pensieri
virarono sul più rassicurante terreno della progettazione
delle
protesi, anche se un senso d'insoddisfazione latente rimase a
stuzzicarlo.
Riaprì una delle schermate ridotte a icone,
rituffandosi in schemi, calcoli e preoccupazioni più
tangibili. Doveva ancora fare il calco di ciò che rimaneva
della
sua gamba per portarlo ad Ian, che lo aspettava da circa tre giorni.
Forse erano passati più di tre giorni.
"Stavolta mi
ammazza."
***
19 Marzo, Villa Stark
«Non
sono passati tre giorni?»
«Una
settimana, signor Stark. Una
settimana.»
Ian
si sporse minacciosamente verso di lui, le iridi chiare ingrandite
dagli
occhiali che accentuavano il suo sguardo inquisitore.
«Erano tre
giorni quattro giorni fa. Quattro più tre fa ancora sette,
vero?»
si
arrampicò sugli specchi Tony, con un sorrisetto nervoso.
«Le sue
condizioni fisiche potranno aver turbato tutto il mondo, ma le leggi
fondamentali rimangono invariate. Così come il suo essere
costantemente
in ritardo.»
«Buono
a sapersi. Ho bisogno di qualche punto fermo nella mia vita,» rispose
sollevato Tony, ruotando con fare irritante sulla
sedia girevole.
«E stia fermo. Mi dà la nausea,»
proruppe Ian.
Tony interruppe a malincuore le sue
acrobazie.
"Adesso viene il bello..." pensò poco
entusiasta, ma consapevole che non poteva rimandare ancora
l'argomento solo perché la sua mente aveva inaspettatamente
deciso
di cedere a una paura irrazionale.
«A quando la festa?»
esclamò quindi, forzando un sorriso smagliante.
«Prego?»
Ian
si tolse gli occhiali e cominciò a pulirli, segno che si
stava
preparando alla sua ennesima stravaganza.
«Ma l'operazione,
ovviamente! Non è contento di avere una scusa per
liberarsi di
me?»
Ian gli scoccò
un'occhiata tanto penetrante che non si sarebbe stupito di ritrovarsi
un foro di proiettile in testa.
«Il suo umorismo fa passi da
gigante ogni giorno, signor Stark.»
Il
medico scosse la testa e si rimise gli occhiali, ormai
rassegnato. «Comunque, dipende da quanto le ci
vorrà
per ultimare
il lavoro, no?»
«Giusto...»
ammise
Tony, facendosi esitante. «La piastra d'aggancio in
realtà è
già pronta, devo solo revisionarla. Intanto mi sto
avvantaggiando un po' di lavoro sul resto, così
da accelerare i tempi dopo l'operazione.»
Pronunciò
con malcelata apprensione quelle ultime parole, consapevole di volersi
solo teletrasportare magicamente a quel "dopo" senza dover
affrontare di nuovo tutto il calvario che l'avrebbe preceduto.
«Mi
assicuri solo la partecipazione del suo super-cervellone. Sa...
quindici ore in sala operatoria sono lunghe. E avrò bisogno
di pause
anch'io,»
sottolineò Ian.
«Posso
programmare JARVIS affinché racconti barzellette per
intrattenerla.
Almeno non si addormenterà sul mio quasi-cadavere.»
«Ok,
ritiro tutto sul suo umorismo: sta
diventando veramente macabro.»
«Solo
se ci crede davvero,»
lo rimbeccò
lui, ostentando un ghigno spavaldo.
Tony si distolse da
ulteriori riflessioni potenzialmente nocive e riprese a parlare a
raffica riguardo ai dettagli della protesi, cercando di non dare peso
né allo sguardo turbato di Ian, né alla sommessa
marea d'apprensione che cresceva dentro di lui di secondo in secondo.
***
21 Marzo, Villa Stark
Tony
deglutì a vuoto, scoccando un'occhiata falsamente sicura di
sé alla
donna bionda che lo seguiva suadente ad appena un passo di distanza;
forzò sulle sue labbra un sorriso che sperava fosse
affascinante,
chiedendosi in realtà cosa diavolo stesse facendo.
Non gli
era
ben chiara la concatenazione di eventi che aveva portato Christine
Everhart a casa sua, ma era abbastanza convinto che fosse stata
influenzata dallo stato di totale agitazione in cui l'aveva colto la
sua chiamata inattesa. Dopo due notti insonni – e le molte
altre
che le avevano precedute – passate a imprecare contro un
relè che
non voleva saperne di funzionare come avrebbe dovuto, una fusione di
unobtanium fallita, l'assenza imprevista di Pepper costretta a
presenziare a
un'assemblea a Seattle, e il crescente senso di panico che lo
attanagliava all'avvicinarsi dell'operazione, non doveva essere stato
nel pieno delle sue facoltà mentali quando aveva
acconsentito a
rilasciare un'intervista per Vanity Fair e
l'aveva
invitata alla villa.
Infatti si era pentito di quanto promesso non
appena Christine si era presentata alla sua porta, per poi rendersi
conto in modo del tutto irrazionale che non gli dispiaceva poi così
tanto che lei fosse lì. Quindi aveva temporeggiato. Le aveva
concesso qualche domanda frivola e poi le aveva offerto un drink e
aveva bevuto
anche lui dopo tanto tempo perché... perché no?
Poi erano
passati a
rivangare il loro ultimo incontro
e l'intervista era scivolata in secondo piano, tramutandosi
in... altro, in modo molto simile a
quanto accaduto
poco più di un anno prima in circostanze del tutto diverse.
Non
sapeva se essere grato o meno alla sua innata risposta pronta, ma
quando le parole "non concedo
interviste, ma sarei disposto a concederle altro" avevano
lasciato la sua bocca non era riuscito a capire se fosse il caso di
prendersi a schiaffi o stringersi da solo la mano – e avrebbe
fatto molto
male in entrambi i casi.
Forse Pepper
aveva ragione, quando diceva che non lo si poteva lasciar solo un
istante... almeno stavolta non avrebbe dovuto buttare lei la
"spazzatura".
E ora si ritrovava a fare strada a
Christine in camera da letto – non quella che ricordava lei
al piano di sopra, ma quella nuova al piano terra, e già
quel dettaglio gli aveva fatto perdere un po' di sicurezza.
Avvertì un nodo di tensione che gli stringeva la
gola,
assieme a un altro, più in basso e a lui totalmente
estraneo, di cui
al momento non voleva preoccuparsi. Si sentiva come quando da
adolescente si intrufolava in casa con una ragazza approfittando delle
frequenti assenze dei suoi. Quante volte l'avevano
beccato...
Farsi sorprendere adesso sarebbe stato decisamente
peggio, concluse, chiudendo la porta della camera dietro di
sé,
terribilmente consapevole dello sguardo della donna che seguiva ogni
suo movimento impacciato, in particolare quelli della protesi. Magari
avrebbe dovuto togliersela? Non era calibrata per...
"Ma che
cazzo ti è venuto in mente?" gli esplose nel cervello,
annullando qualunque altro pensiero coerente e lasciandogli un velo
di sudore freddo sulla pelle nel sentirsi così osservato.
Era ancora in tempo per mandarla
via.
Invece si stampò in faccia un sorriso provocante e si
sedette sul letto con fare disinvolto, nonostante la goffaggine con
le stampelle, nonostante non fosse mai stato più consapevole
della
protesi attaccata al suo corpo e del moncherino della gamba che gli
inviava
stilettate di dolore e dell'evidenza della benda sull'occhio e della
luce del reattore che filtrava appena nella penombra da sotto la
camicia già semiaperta. Il suo cervello continuava a
pungolarlo, a
urlargli di sottrarsi volontariamente da quella situazione dalla quale,
ne aveva la netta impressione, sarebbe altrimenti uscito decisamente
malconcio. Sentiva già la dignità scivolargli
sotto i piedi
– il piede, si corresse
con rabbia – mentre
trovava difficoltà a sbottonarsi la camicia, costringendo
Christine
a intervenire.
Maledisse il suo corpo inutile con tutto se
stesso e relegò quei pensieri in fondo alla propria mente,
perché
in quel momento aveva davvero bisogno di non
pensare.
Nel
giro di una manciata di secondi si ritrovò disteso a torso
nudo e
con la donna semisvestita sopra di lui, ma era più intento a
domare
il dolore al moncherino e i suoi pensieri frammentati e presi dal
panico, piuttosto che ad ammirare quel corpo sinuoso premuto contro
il proprio. Non trattenne però un sospiro di piacere a quel
contatto, e riuscì a rilassarsi appena nel sentirsi addosso
le mani della donna.
Un paio d'ore senza
pensieri poteva concedersele, giusto? Un solo momento di blackout
totale prima di un'operazione che probabilmente l'avrebbe ucciso, visto
che
non ci era riuscita quella precedente. Anche solo qualche
manciata di minuti lontano dal laboratorio, dai progetti,
dall'insonnia, da quel senso di insoddisfazione costante, dagli
incubi e dal dolore fisico... chiedeva davvero così tanto?
Un'ombra
di colpevolezza gli artigliò la coscienza al ricordo di una
doccia
di caffè freddo e di un bacio mancato, e si trovò
ancor più
propenso a sopprimere qualunque barlume di lucidità gli
fosse
rimasto. La vista gli si annebbiò e i suoi ragionamenti
divennero
ancor più sconclusionati quando si trovò a
stringere d'istinto i
fianchi della donna, cercando la sua bocca e premendola contro di
sé mentre sentiva le sue dita lambirgli l'orlo dei jeans
diventati troppo stretti.
Dio, se aveva bisogno di non
pensare. Di cedere.
Si lasciò avvolgere da
quell'oblio confuso e invitante di sensazioni piacevoli. La
consapevolezza di ciò che stava facendo scivolò
via assieme al suo
autocontrollo.
"Non pensare."
Cedette.
***
Tony
si schiarì appena la gola e rimase prono sul
letto, solo
parzialmente coperto dal lenzuolo, mentre osservava Christine che
radunava le proprie cose dal pavimento. Il suo corpo nudo e abbronzato
era
indiscutibilmente una visione incantevole, ma si trovò a
fissarlo
con indifferenza, seguendone le curve in modo apatico.
«Ehi,»
la
chiamò con voce distrutta, senza la forza di muoversi.
La donna
si girò appena, con uno sguardo intriso di una chiara
traccia di
imbarazzo. Per lui, immaginò. O forse era compassione?
Non
avrebbe saputo dire cosa fosse peggio.
«Questo non riportarlo
a Vanity Fair, ok?»
si
trovò a dire, desiderando di poter imprimere un qualche tipo
di
inflessione alla sua voce atona.
«Non ho intenzione di macchiarmi
la carriera,»
replicò
lei asciutta, finendo di rivestirsi senza mai guardarlo.
«Bene. Neanch'io.»
«La
tua carriera professionale mi sembra già abbastanza
compromessa
senza rovinare anche quella di playboy.»
Tony
non contestò la verità di quella cruda
affermazione e rimase in
silenzio, col volto premuto contro il materasso a nascondere lo
sfregio. La benda giaceva da qualche parte nella stanza, assieme ai
suoi vestiti e al suo orgoglio a brandelli.
«Conosci la strada,»
le
disse infine, quando vide che era pronta ad andarsene.
Lei lasciò
la stanza senza una parola di congedo, chiudendo la porta dietro di
sé e lasciandolo nel silenzio della sua camera in penombra.
Portò solo allora una mano al moncherino, soffocando un
grido stentato e non ricordando l'ultima
volta che gli aveva fatto così male. Sentì di
odiarlo
più di
ogni altra cosa al mondo, in un sentimento così violento da
essere
subordinato solo al furioso ribrezzo che provava per se stesso in quel
momento. Se solo avesse preso i suoi antidolorifici, quella
mattina... ma no, doveva sempre fare di testa sua e sbagliare,
anche nelle cose più semplici. Continuò
a respirare a forza contro il materasso, domando le fitte taglienti che
lo scuotevano. Erano comunque più sopportabili rispetto a
prima, quando aveva visto lampi di dolore ad ogni movimento
più brusco, fino ad accasciarsi esanime con le lacrime ad
appannargli la vista, desiderando solo di scomparire in quell'istante
dagli occhi di Christine e del mondo intero. Sentiva ancora su di
sé i suoi occhi disorientati... no, non su di sé:
sulle sue ferite, sui punti di sutura ancora sensibili, sul braccio
meccanico goffo e innaturale, sul suo volto asimmetrico, sul moncherino
inutile, sul reattore orribilmente incastrato nel suo sterno. Un'ondata
di nausea gli strinse la bocca dello stomaco, comprimendogli il petto e
facendolo sentire sul punto di collassare su se stesso, come se gli si
fosse aperto un buco nero nel petto.
Percepì la fasciatura della gamba che diventava leggermente
umida, ma lui non ebbe neanche la forza di controllarla: che
sanguinasse pure. In fondo,
era giusto che gli facesse
così male. Ed
era giusto che non avesse concluso nulla; con un corpo così
malridotto era un miracolo che non fosse svenuto dopo i
primi cinque minuti, che gli avevano comunque regalato un piacere
fasullo e colpevole – e sapeva perché, lo sapeva,
ma lo soffocò come i propri lamenti contro il materasso.
Fece leva sul gomito sano e riuscì a raggiungere il cuscino
senza
ferirsi ulteriormente, affondandovi il volto accaldato. Le
sue narici
colsero il lieve sentore dolciastro del profumo di Christine e fu
come se l'avessero improvvisamente accecato con uno spillo
rovente.
Scagliò con violenza il cuscino dall'altra parte della
stanza,
disgustato, e accolse quasi con liberazione l'atroce fitta che gli
scosse la
gamba mutilata.
***
26 Marzo, Villa Stark
«E
allora gli ho detto "no, non sei il mio tipo; insomma, non potrei
mai uscire con qualcuno che porta camicie hawaiane tutti i giorni".
E lui cosa ha fatto? Se ne è andato sul serio! Ed
è stato un bene,
non aveva proprio il senso dell'umorismo. Capisci quello che voglio
dire? È frustrante dopo un po' dover parlare solo e
solamente
di...»
«Kyle?»
«Sì,
Virginia?»
«Davvero, è
interessante, ma...»
«Non
è il momento, lo so, stavo cercando di distrarti.»
L'avvocato bevve
un sorso di tè «Almeno ci sono riuscito?»
Pepper
gli sorrise un po' forzata, apprezzando comunque il suo
tentativo. Nascose il volto nella tazza fumante, evitando di
guardare l'avvocato seduto di fronte a lei, che non sembrava affatto
a disagio per quell'improvviso silenzio. La donna gli rivolse uno
sguardo esitante e fece per parlare. Kyle scosse la testa e
sorrise nervoso:
«Le undici e venticinque. Cinque minuti in più
di cinque minuti fa...»
«Giusto,»
convenne
Pepper, un po' imbarazzata.
Tony era dentro da tre ore: ancora una
decina la separava dal sapere. L'aveva salutata
come se stesse per partire per uno dei suoi soliti viaggi di lavoro
in capo del mondo. Il realizzarlo non l'aveva tranquillizzata,
considerando la conclusione dell'ultimo di quei viaggi.
"Ci
vediamo dopo, Pep!", aveva detto, facendole "ciao, ciao"
con la mano meccanica apparentemente rilassato, prima di cedere
all'anestesia. Lei avrebbe voluto avere anche solo un briciolo del
suo autocontrollo, che le era sembrato comunque innaturale per
lui, considerando il suo umore prima della precedente
operazione.
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, sentendosi oppressa
e
irrequieta.
Tony si era comportato in modo più incomprensibile
del solito nel corso dell'ultima settimana. Passava molto meno tempo in
laboratorio, spostandosi irrequieto da una parte
all'altra della villa senza una meta apparente, anche se tendeva a
soffermarsi spesso sulla soglia della cucina ancora
semidistrutta. Inoltre, per ben tre volte l'aveva trovato a dormire sul
divano in laboratorio. Non sapeva se stupirsi di più per il
fatto che dormisse, o che non lo facesse in un comodo letto –
anche se era un miglioramento rispetto al banco da lavoro. Non aveva
osato indagare su quei fatti anomali, ma non
aveva potuto ignorare le occhiate intense e in un certo
senso... spaventate che l'uomo a
volte le rivolgeva,
nonostante con lei si comportasse con l'esuberante brio di sempre.
La carenza di sonno a volte lo sprofondava ancora nel nervosismo,
soprattutto quando lavorava, ma fuori dal laboratorio sfoggiava una
sorta di distaccata allegria, simile a quella che sfoggiava ai grandi
eventi pubblici. Aveva anche notato come si
tenesse a una distanza molto maggiore da lei, senza invadere il suo
spazio personale col suo solito fare giocoso. Si chiese se quelli
fossero i famosi "paletti" di cui aveva sentito tanto parlare, e
si chiese anche quanti ne avesse posti lei stessa per spingere Tony
Stark, un individuo notoriamente privo di alcuna inibizione, ad
imporseli a sua volta.
Ripensò a tutte le volte in cui aveva
evitato il confronto e si era mostrata fredda ai suoi tentativi di
parlarle, temendo che chissà quale catastrofe o rivelazione
si
potesse abbattere su di loro nell'aprire quel vaso di Pandora. Forse
si era rassegnato a quella situazione di impasse
interminabile. O
forse aveva semplicemente capito con chiarezza quali colpe gravassero
sulle spalle di entrambi e aveva deciso di aspettare che fosse lei ad
accorgersi delle proprie.
Quei pensieri tortuosi e involuti
scandivano con esasperante lentezza l'attesa, ricordandole con
fredda insistenza che non l'aveva neanche salutato come avrebbe
voluto prima che lui entrasse in sala operatoria. Si era limitata
a stringergli la mano con fare incoraggiante, al che lui le aveva
sorriso appena, per poi lasciar scivolare lo sguardo già
appannato
dal sedativo sulle sue labbra, come aveva fatto molti giorni
prima. Un filo di tensione si era allungato tra loro,
palpabile, invitante e allo stesso tempo inviolabile.
Pepper era stata sul punto di posargli un bacio sulla guancia, in un
atto che sperava
fosse insieme un incoraggiamento e un'offerta di pace, ma lui le
aveva lasciato un po' bruscamente la mano, mascherando quel gesto
improvviso con un saluto scherzoso e una risata leggera e un po'
intontita per l'anestesia. Si era addormentato subito dopo.
E
adesso era dentro e chissà se l'avrebbe mai...
Scosse la testa
con fermezza e sollevò di nuovo gli occhi su Kyle.
«Le undici e
mezza,»
sospirò
lui. «Andiamo a fare un caffè, ne avremo bisogno,» propose
poi.
Pepper
annuì appena, ma non si mosse.
«Ti raggiungo subito.»
Kyle
la fissò dubbioso, ma non insistette e la lasciò
coi suoi
pensieri.
Pepper fissò spaesata la vetrata e il mare oltre essa,
come sperando di potervi annegare la sua angoscia.
"Solo le
undici e mezza."
Sprofondò nel divano, prendendosi il volto
tra le mani.
Revisione effettuata il 01/03/2018
Note delle Autrici:
Ore 1:15. Stiamo crepando di sonno, ma Light mantiene sveglia (se così si può dire) MoonRay a suon di angst per PUBBLICARE DOPO UN MESE! *Euforismo di Light che sprizza ovunque* *M: =_____=*
Quindi, bando alle ciance... grazie a Micchi, Sherlock_Watson, blackpearl_ e Rogue92 che hanno recensito lo scorso capitolo e grazie a tutti coloro che continuano a leggere, che hanno recensito in precedenza e che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate <3 Grazie a tutti! Tony saluta :D
Moon&Light
Edit 01/03/2018: ok... chi si era accorto dell'enorme buco di trama di Phoenix? Io, per esempio, a un'imbarazzata rilettura. Le scene aggiuntive con la Everhart sono funzionali a rattoppare quella svista.
Il progetto iniziale prevedeva citare Christine di striscio molto più avanti nella storia, ma in seguito alle varie revisioni e ridimensionamenti della trama ho pensato di inserire direttamente la scena in questione, che sarà propedeutica anche per altri eventi futuri. E per sottolineare che, dopotutto, Tony è umano anche sotto quel punto di vista – e immagino che per un ex-dongiovanni come lui non sia così semplice stare "a riposo", con tutte le turbe mentali e fisiche che ritrovarsi improvvisamente mutilati comporta.
Sorry, Tony, ti si lovva comunque [-Light-]
© Marvel