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Autore: Fanny77    24/08/2012    8 recensioni
“La vita è una lotta. Perciò impara a combattere.”
Questa frase è sempre stata il mio credo, la mia linea di vita.
Ma ora mentre cado nuovamente a terra;
mentre ogni parte del mio corpo urla di dolore;
mentre i miei muscoli implorano pietà …
Mi chiedo: cosa ho ottenuto da tutto ciò?
Mai nessuna ricompensa, nessuna vittoria.
Desidero solo raggiungerti, in quel luogo lontano dove non posso seguirti …
Se non quando le mie palpebre si abbasseranno, i miei respiri si faranno sempre più lievi e il mio cuore cesserà di battere.
Genere: Erotico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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PICCOLO UOMO

Kuzushi - “Squilibrio”

“It’s time to forget about the past
To wash away what happened last
Hide behind an empty face
Don’t ask too much, just say
‘Cause this is just a game
It’s a beautiful lie
It’s the perfect denial
Such a beautiful lie to believe in
So beautiful, beautiful it makes me”

“beautiful lie” 30 seconds to mars

 
Mentre il sole calava dietro le montagne, un bambino sedeva solo nella foresta.
Appoggiato ad un grande pino si stringeva le ginocchia al petto,raggomitolandosi su se stesso, quasi a difendersi dal buio opprimente che lo circondava.
Sul volto, seminascoste da ciuffi di capelli ribelli, spiccavano lacrime argentate che lentamente cadevano a terra senza alcun suono.
Piangeva il bambino, in silenzio, senza emettere un singhiozzo. Troppo orgoglioso per ammettere di avere paura.
Paura di quelle tenebre che parevano volerlo soffocare nel loro abbraccio gelido.
Paura di rimanere solo per un’intera notte in quei boschi che aveva imparato a temere anche con la luce del sole.
Paura delle creature notturne che presto avrebbero abbandonato le loro tane per dare inizio alla caccia.
Paura di allontanarsi e smarrirsi tra quegli alberi.
Paura, paura … c’era tanta paura.
Ma questa era la sua punizione e lui avrebbe dovuta scontarla senza fiatare.
Gli avevano detto che era stato cattivo, che meritava di essere punito. Lui non aveva potuto far altro che abbassare il capo, colpevole di aver aiutato un bambino più piccolo di lui.
Ma in quel luogo il mondo girava all’incontrario: ciò che era buono diventava cattivo e ciò che era cattivo diventava buono.
Sfregò tra di loro le mani gelate senza però ricavare alcun calore.
Non era il periodo né il luogo giusto per passare una notte all’aperto, in autunno dopo il tramonto la temperatura scendeva di parecchi gradi, inoltre i venti dal nord, in quei mesi spazzavano quelle campagne. Gli alberi in parte lo proteggevano dalle folate di aria gelida, ma non dal freddo, che implacabile lo stringeva nella sua morsa.
Era abituato ai clima rigidi, ma l’idea di dover aspettare il mattino per poter ritrovare il calore delle mura della sua stanza e delle coperte del suo letto, seppur molto leggere, gli fece sfuggire un sospiro sconfortato.
Probabilmente gli conveniva cercare di addormentarsi, nel sonno il tempo passa più veloce.
Ma era troppo teso per poter sperare di dormire. A ogni minimo rumore scattava spaventato e persino il frusciare delle foglie lo metteva in agitazione.
Un fruscio più forte degli altri lo fece balzare in piedi. Con circospezione scrutò nell’oscurità, deglutendo più volte a vuoto per cercare di calmarsi.
Rumori di passi leggeri spezzavano il silenzio della notte mentre una figura si avvicinava lentamente.
Un’ombra scura emerse dal fogliame entrando nello piccolo spiazzo erboso.
Il nuovo arrivato lo superava in altezza di un bel pezzo, il suo viso si intravedeva a malapena, grazie ai raggi lunari che lo illuminavano delicatamente. Il più piccolo lo riconobbe all’istante.
Sorpreso guardò il ragazzo che gli stava di fronte, mentre sentiva le mani smettere di tremare.
-Che ci fai tu qui?- domandò incredulo, cercando di rallentare i battiti del cuore che pulsava frenetico.
-Sono venuto a vedere come te la stavi cavando.- rispose l’altro. Sedendosi a terra con uno sbuffo.
Il bambino lo guardò silenzioso, non sapendo bene cosa pensare di quel comportamento tanto bizzarro. Non era certo possibile che quel tipo fosse venuto fin lì di notte solo per vedere se stava bene. Solo un pazzo lo avrebbe fatto.
-Perché?- domandò all’improvviso.
-Perché cosa?-
-Perché sei venuto?-
-Mi sembra di avertelo già detto!- esclamò il più grande esasperato -Invece di ringraziarmi ti lamenti pure, bell’ingrato!- detto questo si appoggiò al tronco dell’albero più vicino, incrociando le mani dietro la testa e accavallando le gambe.
Non sembrava per nulla spaventato. Anzi, il suo viso appariva calmo e rilassato.
Era più grande e si vedeva.
-Non ho bisogno del tuo aiuto … - sussurrò il bambino, sedendosi accanto a lui.
Bugia. Bugia bella e buona. Non voleva restare di nuovo solo.
-Ah giusto, quasi dimenticavo che tu sei un uomo grande e forte … - disse l’altro sorridendo ironico -Allora prima non stavi tremando di paura?-
-Certo che no!!- il più piccolo alzò lo sguardo indignato, ben deciso a difendere il proprio orgoglio -Io … -
Ma non poté continuare perché l’altro, con estrema delicatezza, gli aveva appoggiato una mano sulla guancia. Senza una parola, il giovane, fece scorrere le dita su quella pelle morbida, leggermente umida di lacrime.
Sorpreso il bambino non osò fiatare né muoversi, ricordandosi solo in quel momento delle leggere scie bagnate che gli percorrevano il viso.
Il ragazzo ritrasse la mano con un sospiro.
-Hai avuto tanta paura?- la domanda rimase per qualche istante sospesa tra loro,senza ricevere alcuna risposta.
Arrossendo appena il bambino aveva abbassato lentamente lo sguardo, consapevole che era inutile negare ancora.
Si sentiva stupido e debole, quei quattro anni che li separavano sembrarono raddoppiare, aprendo un abisso che gli pareva non sarebbe mai stato in grado di colmare.
Aveva paura di incontrare i suoi occhi pieni di compassione, che lo avrebbero guardato silenziosi ma carichi di significato.
-Guardami- lo richiamò la voce dell’altro. -E stai fermo.-
Il giovane gli si avvicinò lentamente, tra le mani stringeva un piccolo gessetto blu. -Questo l'ho preso in un’aula.- disse sotto il suo sguardo interrogativo.
Con movimenti precisi il più grande passò il gesso sul volto de bimbo, tracciando linee blu lungo le guance.
Il bambino, sorpreso provò a ritrarsi.
-Aspetta … - la sua voce gentile lo sorprese, non si aspettava quel tono.
-Non ti faccio nulla- continuò l’altro, senza smettere di dipingergli il volto -questi sono simboli di forza, di coraggio … venivano disegnati sui volti dei giovani che dovevano affrontare la prova per diventare uomini. Sono simboli sacri,affidati solo a coloro che si dimostravano meritevoli.-
Incantato il bambino lo fissava a bocca aperta.
-Simboli di forza …?- chiese titubante.
-Esatto … solo gli uomini possono portarli … e tu sei un uomo non è vero?-
Il più piccolo annuì con forza, desideroso di dimostrare che sì, lui era abbastanza grande e forte.
Il ragazzo si allontanò, mentre un sorriso dolce si affacciò sul suo viso. Osservò in silenzio il volto dell’altro su cui spiccavano quattro zanne blu, due per guancia.
Simboli di forza.
-Ora non puoi avere paura, perché questa notte tu sei un uomo e la tua forza e il tuo coraggio sono superiori a qualsiasi timore.-
L’altro annuì, guardandolo serio, mentre con mano tremante sfiorava quei segni che tanto coraggio gli infondevano.
Quella notte non dormì, ma non ebbe più paura, sentendosi abbastanza forte da affrontare qualunque cosa.
Il più grande rimase con lui.


Il giorno in cui Kai Hiwatari arrivò in Giappone pioveva.
Il ragazzo osservava il cielo plumbeo, appoggiato ad una delle colonne che sorreggevano l’imponente aeroporto di Tokio. Le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere a terra, mentre un vento freddo scuoteva le strade.
I passeggeri appena atterrati si sbracciavano sui marciapiedi nel tentativo di attirare l’attenzione dei taxi.
Con uno sbuffo infastidito il suo accompagnatore si accese una sigaretta, il fumo acre si disperse nell’aria.
Era un uomo imponente, dall’aria truce, a cui era stato affidato l’ingrato compito di scortarlo durante il viaggio.
Kai non aveva nemmeno provato a simpatizzare con quello che, sapeva essere, l’unico ostacolo tra lui e la libertà. Non si sarebbe presentata mai più un occasione come quella per andarsene, fuggire e non tornare mai più. Lasciarsi ogni cosa alle spalle … per sempre.
Di lì a poco si sarebbe ritrovato nuovamente rinchiuso fra quattro mura, prigioniero di uomini conviti di aiutarlo privandolo della sua libertà, per proteggerlo da tutto ciò che vi era al di là della loro gabbia di perfezione.
Credevano di fare il suo bene.
Si sentivano coinvolti da una vita che in fondo non li toccava da vicino, e che non poteva nuocere loro in alcun modo. L’unico a rimanere ferito era sempre soltanto lui.
Ma aveva smesso da tempo di sperare in un appoggio da parte di qualcuno che non fosse lui stesso. Aveva imparato ad ignorare e disprezzare qualsiasi tipo di aiuto esterno. Sapeva che se si fosse concesso di sperare per lui sarebbe finita, se avesse osato fidarsi tutto il suo mondo sarebbe crollato.
Non era più disposto a soffrire … non più.
-Sai, non sono sicuro che arriverà qualcuno … - disse l’altro, lanciandogli un’occhiata ironica.
Kai strinse le labbra, maledicendolo mentalmente. Non lo avrebbe mai ammesso ma il dubbio che nessuno sarebbe venuto a prenderlo, era più che reale.
In fondo chi avrebbe voluto accollarsi la responsabilità di uno come lui. Sicuramente un pazzo, uno in procinto di ricevere la beatificazione oppure un povero idiota che si era accorto troppo tardi della stronzata che stava facendo.
Probabilmente avrebbe finito col ritornare in Russia per essere rinchiuso in una casa famiglia, o in più probabilmente in un manicomio.
A quel pensiero sentì un moto di nausea assalirlo.
Una voce maschile richiamò la sua attenzione,distraendolo da quei cupi pensieri.
-Hiwatari? … Kai Hiwatari?-
Sorpreso, il ragazzo si girò di scatto, incontrando lo sguardo di un uomo imponente, che avanzava a fatica in mezzo alla folla, dirigendosi verso di lui.
Aveva un viso abbronzato, dai lineamenti marcati, a prima vista appariva molto giovane; solo delle leggere rughe agli angoli della bocca e degli occhi denotavano la sua reale età.
Doveva avere circa quarant'anni.
I suoi occhi, di un nero intenso, lo scrutavano curiosi.
Kai ricambiò lo sguardo, per nulla intimorito.
-Lei deve essere il sig. Kinomiya.- disse la sua scorta con voce annoiata -E’ in ritardo … -
-Ho avuto qualche leggero contrattempo.- replicò l’altro senza degnarlo di uno sguardo, per rivolgere tutta la sua attenzione verso Kai.
Stava proprio di fronte al ragazzo, e lo osservava silenzioso, ispezionando con cura ogni particolare del volto dell’altro. Pareva voler memorizzare ogni caratteristica di quel viso, in particolare si soffermò sui suoi occhi, che ricambiavano il suo sguardo con fermezza, ed una certa nota di inquietudine.
I due si scrutavano studiandosi, in una silenziosa battaglia di sguardi.
Il Sig. Kinomiya ruppe quel velo di tensione creatosi fra loro, curvando appena le labbra in un sorriso e lasciandosi sfuggire una leggera risata.
-Sono felice di conoscerti Kai, il mio nome Tatsuya, piacere.- detto questo porse la mano al ragazzo, che si limitò a ricambiare la stretta senza dire una parola.
Era sorpreso. Quell’uomo non era come se lo sarebbe aspettato. Lo aveva stupito con la forza del suo sguardo, aveva avuto l’impressione che mentre lo osservava stesse cercando qualcosa, gli era parso di essere sottoesame mentre quegli occhi scuri lo analizzavano. Il sorriso dell’altro non era altro che la conferma che l’uomo aveva trovato quel che stava cercando. E qualunque cosa fosse sembrava averlo reso felice.
-Ora che ci siamo presentati direi che è il caso di andare, mio figlio è a casa che ci aspetta, e tu hai atteso fin troppo sotto la pioggia.- detto questo rivolse una rapida occhiata all’accompagnatore di Kai, che fino a quel momento li aveva osservati perplesso, incuriosito da quel gioco di sguardi.
-Arrivederci a lei e grazie per aver accompagnato Kai in Giappone.- disse semplicemente, ricevendo in risposta un lieve cenno del capo da parte dell’uomo, che dopo aver rivolto un’ultima occhiata a Kai si diresse lentamente verso l’aeroporto.
Tatsuya seguì per qualche istante la figura dell’individuo, non riuscendo a nascondere il disprezzo che provava nei suoi confronti: non aveva dubbi su chi fosse l’uomo per il quale quel bastardo lavorava.
Ci volle qualche istante prima che si accorgesse dello sguardo perplesso del ragazzo accanto a sé, che lo guardava in silenzio. Kai alzò un sopracciglio in una muta domanda.
Tatsuya sorrise scuotendo lievemente il capo.
-Mi ero solo incantato … ero sovrappensiero, a volte mi capita …!-
Kai lo guardò scettico, ma non disse nulla. Quel tipo aveva decisamente qualcosa di strano, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Di solito tendeva ad ascoltare le proprie sensazioni e il proprio istinto.
Probabilmente avrebbe dovuto essere il più cauto possibile con quell’uomo, attento e all’erta, per evitare spiacevoli sorprese.
-Forza …!- lo richiamò Tatsuya facendogli cenno di seguirlo -Diamoci una mossa, è tardi e … ah quasi dimenticavo!!!- si bloccò di colpo.
Velocemente, l’uomo cominciò a frugarsi nelle tasche, preso nell’evidente ricerca di qualcosa. Attento, Kai osservava tutte le mosse dell’altro.
-Eccolo!!!- con impeto, Tatsuya, estrasse un braccialetto argentato da una delle tasche della giacca.
Prima che Kai potesse fare un solo passo si sentì afferrare per il braccio. Con movimenti precisi e veloci l’uomo allacciò il bracciale al polso del ragazzo, che disperato cercò invano di ritrarsi.
Appena Kinomiya lo lasciò andare, il giovane si lasciò sfuggire un’imprecazione.
-Ma che diavolo …?!?- invano tentò di sfilarsi l’odioso oggetto, che impassibile rimase ben allacciato al suo polso.
-Che cavolo è sta’ roba … !! … Toglimelo di dosso … toglimi sto’ cacchio … - urlò furioso strattonando il braccialetto.
-Finiscila!- esclamò Tatsuya, lanciandogli un’occhiata indecifrabile -non puoi toglierlo, solo io posso e non ho intenzione di farlo … e non guardarmi così, è stata la Corte dei Minori a proporre quel coso, io ho solo avuto l’ordine di fartelo indossare.-
Kai lo guardò incredulo -Che cavolo dici … la Corte … cosa c’entra la Corte … e cosa diavolo è …?-
-Contiene un segnalatore.- lo interruppe Tatsuya -Entra in funzione nel momento in cui superi i confini di Tokio. In questo modo eviteremo una tua possibile fuga. Infatti quell’affare è direttamente collegato con i computer della polizia, mostrerà loro immediatamente la tua posizione, non avrai nemmeno il tempo di provare a scappare che ti saranno subito addosso. A quel punto puoi ben immaginare cosa avverrà … una casa famiglia sarebbe la migliore delle ipotesi.-
Kai lo guardava a bocca aperta.
Lentamente il significato di quelle parole si fece largo in lui, mentre sentiva la consapevolezza di essere stato fregato. Quei grandissimi bastardi lo avevano anticipato, assicurandosi di poterlo controllare senza problemi. Lo avevano sbattuto in un vicolo cieco senza vie d’uscita, incatenandolo come un animale da circo.
Perché è questo che era: in catene, ironicamente rappresentate da un grazioso bracciale in argento. Oltre il danno, la beffa.
Ma la cosa peggiore era rendersi conto che persino gli avvocati e i giudici che avevano seguito la causa, erano ben consapevoli di quel che gli passava per la testa, tanto da indovinare le sue mosse future con estrema precisione. Si era sbagliato su di loro, non erano gli ingenui che credeva.
In un attimo vide tutte le sue speranze svanire, mentre la realtà lo colpiva in tutta la sua forza. Avrebbe dovuto vivere con Kinomiya e la sua famiglia. Almeno fino alla fine del processo.
Lanciò uno sguardo carico d’odio all’uomo, che si limito ad alzare le spalle con noncuranza.
-Dovrai abituarti. E ti avviso che guardarmi così non servirà a nulla, prova almeno a fingere di essere un minimo entusiasta di tutta la faccenda.-
Kai si limitò a sollevare il volto con fare altezzoso, ostentando noncuranza. Non avrebbe dato alcuna soddisfazione a quell’uomo.
Con un sospiro rassegnato Tatsuya afferrò una delle valigie del russo, per poi dirigersi lentamente verso il parcheggio dove aveva lasciato l’auto, seguito a pochi metri di distanza dal ragazzo.
-Sai- disse, continuando a guardare di fronte a sé -Quando ho deciso di prendermi cura di te mi avevano avvertito che eri un tipo particolarmente permaloso, ma così si esagera … sorridere ogni tanto non fa male … dovresti provarci.-
Dall’altro nessuna risposta.
Rassegnato Tatsuya si passò una mano tra i capelli bruni, in un gesto stanco.
Sarebbe stata dura, certo … ma in fondo una promessa è sempre una promessa.

Takao Kinomiya lanciò uno sguardo esasperato al pesante orologio appeso al muro della cucina.
Erano già le otto di sera e lui non aveva ancora cominciato a cucinare. Avrebbe tanto voluto scansare quell’ingrato compito, ma suo padre era stato molto chiaro al riguardo. Voleva fare buona impressione a quel ragazzo, quel Kei… Kai … o come diavolo si chiamava, così avevano passato tutta la mattinata a pulire e sistemare la casa, giusto per renderla presentabile. Un lavoro che Takao si sarebbe risparmiato volentieri. E ora pretendeva anche che preparasse chissà cosa per cena, senza consederare che lui ai fornelli era un vero incapace.
E tutto per un tizio che nemmeno conosceva, che tra parentesi doveva essere un mezzo delinquente con seri problemi familiari.
Fantastico, davvero fantastico.
Con uno sbuffo il ragazzo si lasciò cadere su una delle sedie, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo. Ignorò deliberatamente la montagna di libri e quaderni disseminati intorno a lui, segnò evidente del passaggio di Hilary.
La ragazza era stata lì nel pomeriggio, nel tentativo di aiutare Takao a rimettersi in pari con i compiti. Ovviamente con scarsi risultati.
Se ne era andata un’ora prima, con uno sguardo omicida negli occhi, lasciando dietro di sé un Takao a dir poco disperato.
Definire il giapponese poco portato per lo studio era dir poco, odiava la scuola, e tutto ciò che la riguardava.
Hilary, però, sembrava ben intenzionata a fare di lui una specie di genio, e nemmeno gli scarsi risultati ottenuti fino a quel momento l’avevano scoraggiata. Era la sua migliore amica e sembrava aver preso il suo compito fin troppo seriamente.
Con sguardo affranto Takao si alzò in piedi, doveva darsi una mossa altrimenti sarebbero rimasti senza cena. A quel punto chi lo sentiva suo padre.
Passò l’ora successivo impegnato nell’ardua impresa di organizzare una cena come si deve: apparecchiò la tavola, piazzandoci al centro un vecchio centro tavola tutto striminzito. Preparò il ramen, sperando che il padre non si accorgesse fosse di quelli istantanei, accompagnandolo con del pesce. Alla fine si fece una doccia nel tentativo di calmarsi. Doveva prepararsi a quella che non sarebbe stata una serata tranquilla.
Indossò senza fretta un paio di jeans e una maglietta leggera, mentre con un asciugamano si riavviava i capelli fradici. Lo specchio gli rimandava il suo riflesso, così simile a quello del padre: la stessa pelle abbronzata, lo stesso fisico robusto ma slanciato, gli stessi capelli scuri, che il ragazzo però teneva più lunghi, ma soprattutto gli stessi occhi neri e profondi.
Il ragazzo individuò il proprio cellulare appoggiato sulla scrivania. Con fare annoiato scorse i numerosi messaggi, mentre lentamente scendeva le scale che portavano in salotto.
Ma la sua testa era altrove. Non riusciva a non pensare a quel ragazzo, quel Kai.
Suo padre gli aveva detto poco su di lui. Sapeva solo che aveva avuto un passato difficile e che fin da piccolo viveva con il nonno in Russia. Quest’ultimo non era proprio uno stinco di santo e il nipote aveva vissuto in parecchie case famiglia. Ora l’uomo era incriminato in un caso importante e Kai era stato spedito in Giappone nella speranza di tenerlo lontano da orfanotrofi e quant’altro. Tatsuya si era offerto di prendersi cura del ragazzo, in quanto vecchio amico del padre, ora defunto.
Nient’altro.
Aveva un quadro generale della situazione, ma gli mancavano i particolari.
Invidiava suo fratello Hitoshi perso nei meandri delle università di Tokio. Troppo preso dai suoi studi per preoccuparsi dell’arrivo di un nuovo coinquilino. Probabilmente avrebbe ignorato l’intera faccenda.
Ma lui avrebbe vissuto ventiquattr'ore su ventiquattro con questo tizio, visto che avrebbero frequentato la stessa scuola e con la fortuna che si era trovato erano finiti pure nella stessa classe. Non era pronto per una cosa del genere.
Ne aveva parlato con i suoi amici, con risultati a dir poco sconfortati. Sembravano tutti entusiasti all’idea di un nuovo arrivato, infondo non erano loro a doverlo ospitare. Avevano persino proposto una festa in suo onore, ma Takao si era rifiutato categoricamente, anche perché visto quel poco che sapeva, dubitava che lui avrebbe gradito.
Aveva praticamente dovuto cacciare di casa Hilary poco prima, per impedirle di assistere all’arrivo di Kai. Non che non volesse i suoi amici con sé, semplicemente Tatsuya era stato chiaro al riguardo: doveva essere una cosa di famiglia.
Ma ovviamente non aveva protestato quando Hitoshi aveva declinato l’invito, inventandosi un improbabile corso serale dell’ultimo minuto.
Il rumore della chiave nella serratura, lo fece sussultare.
Fece appena in tempo a dirigersi verso la porta d’ingresso che la voce di suo padre risuonò per la casa -Eccoci arrivati …Takao siamo a casa!!!-
-Eccomi!!- esclamò di rimando, apparendo dalla porta del salotto, avanzando circospetto, timoroso di vedere il suo nuovo “fratello”.
Di tutto si sarebbe aspettato. Ma sicuramente non questo.
Sulla porta della sua piccola villetta c’era un angelo. Un angelo con le ali nere e lo sguardo di fuoco, uscito dalle schiere di Satana in persona.
Perché il ragazzo che aveva di fronte non poteva essere umano. Nessun umano poteva possedere quel fascino sinistro, che in parte ti ammalia senza pietà, ma che allo stesso tempo ti spinge a scappare il più lontano possibile.
Il fascino del leone che incanta con la sua bellezza regale, del lupo che ipnotizza con la fierezza del suo sguardo, della fenice che strega risorgendo dalle sue ceneri.
Una bellezza pericolosa. Affascinante, ma pericolosa.
Il ragazzo era alto più o meno come lui, ma era anche più asciutto e sicuramente più muscoloso. Attraverso la maglietta si indovinavano senza sforzo i muscoli del torace e delle braccia.
La sua carnagione era stupefacente, chiarissima di un bianco perlaceo, quasi che nessun raggio di sole avesse mai sfiorato la sua pelle. Solo le gote erano leggermente più rosee, donandogli un aspetto quasi infantile.
Aveva un volto bellissimo, in cui si mischiavano i tratti morbidi orientali a quelli più rigidi europei. Un naso leggermente all’insù, e una bocca morbida con delle labbra piene ma delicate.
I capelli erano pazzeschi. La frangia gli ricadeva disordinatamente sulla fronte, ed era di un argento brillante, che dietro la nuca sfumava in lucido nero. Ma i colori erano talmente splendidi che Takao dubitava seriamente che fossero tinti, erano troppo accesi, troppo luminosi.
Ma la cosa che più lo colpì furono gli occhi. Mai, in tutta la sua vita, aveva visto degli occhi simili. Le iridi avevano il colore dell’ametista più pura, ed erano di un’intensità stupefacente.
Era sorpreso. Mai avrebbe immaginato che il suo nuovo coinquilino sarebbe stato così … attraente.
Anche se nel suo sguardo aveva notato un’amarezza che in parte induriva i suoi tratti, dandogli una rigidità innaturale.
-Takao ti presento Kai … Kai questo è mio figlio Takao.- il giapponese si riprese di scatto, e con titubanza si fece avanti per stringere la mano al nuovo arrivato. La sua pelle era morbidissima, ma gelida, come se l’avesse immersa nella neve. Il russo gli aveva rivolto uno sguardo vuoto, privo di alcuna emozione.
Un pesante imbarazzo scese sulla scena, mentre un silenzio opprimente si faceva largo tra loro.
-Bene Takao porta di sopra le valigie, mentre io faccio vedere la casa a Kai.- esclamò Tatsuya facendo segno a Kai di seguirlo, quest’ultimo lo raggiunse senza degnare Takao di uno sguardo.
Con uno sbuffo infastidito il giapponese afferrò una valigia e imprecando la trascinò per le scale. Mentre nella sua mente era stampato ancora il bel volto di Kai Hiwatari.

Seduto a gambe incrociate sul suo letto, Kai cercava di non pensare a poche ore prima.
Aveva rovinato la cena a casa Kinomiya con il suo mutismo e le sue frasi appena accennate, rendendo l’atmosfera pesante e tesa.
Tatsuya aveva provato a coinvolgerlo in un discorso qualunque, e persino Takao si era dimostrato disposto a conversare con lui.
Ma lui niente, solo poche parole erano sfuggite al suo controllo. Non voleva simpatizzare con loro, non voleva dargli la possibilità di conoscerlo meglio. Troppo rischioso.
Meglio mantenere le distanze e alzare quel muro di diffidenza che era diventato la sua seconda pelle. Era bravo a fregarsene degli altri, a fare lo stronzo e l’egocentrico. Alla fine le persone si stufavano e gli stavano alla larga.
La sua era una tecnica affinata in anni di esperienza. Presto anche loro lo avrebbero capito e probabilmente lo avrebbero rimandato in Russia.
Con un sospiro Kai si guardò velocemente intorno. La stanza che gli avevano dato era piuttosto grande, ma cosa più importante aveva un enorme finestra che dava sui prati dietro la casa. Non avrebbe sopportato di rimanere rinchiuso tra quattro muri senza alcuna visuale sull’esterno.
Socchiuse gli occhi, affranto, mentre le ultime parole di Tatsuya gli rimbombavano ancora nelle orecchie “Domani andremo a parlare con il preside della scuola, verrai iscritto direttamente alla quarta di quest’anno insieme a Takao.Vedrai qui ti troverai bene”.
Sicuro, come no. Ma stiamo scherzando? Lui a scuola. Non era mai andato a scuola.
Aveva sempre preso lezioni private, e a dirla tutta non ci si vedeva proprio in un aula piena di suoi coetanei ad ascoltare vecchi professori ammuffiti e odiosi.
No, non faceva per lui.
Ma questa volta doveva farlo. Non aveva scelta.
Mestamente accarezzò il braccialetto legato al polso, sotto i suoi polpastrelli il metallo freddo era liscio e gradevole al tatto.
In un lampo di rabbia afferrò il monile cercando di strapparselo dal polso, ma quello rimase immobile quasi deridendolo per i suoi sforzi. Se non fosse stato per quel dannato coso se ne sarebbe già andato, ma non era tanto stupido da rischiare quel poco che aveva.
Avrebbe dovuto adattarsi a quella nuova vita. Almeno fino ai diciotto anni. E poi via per sempre.
Libero finalmente.

Takao cercava disperatamente di reprimere il disgusto. Ma dalla sua espressione dovette trapelare qualcosa, perché Kai inarcò un sopracciglio in una muta domanda.
Era da circa dieci minuti che il giapponese lanciava occhiate disgustate, verso il bicchiere che il russo teneva fra le mani.
-Takao che diavolo ti ha fatto quel bicchiere?- Tatsuya osservò perplesso il figlio, bevendo tranquillamente la sua tisana aromatica.
-Non è il bicchiere … ma quello che c’è dentro …!!- esclamò il ragazzo guardando inorridito il liquido biancastro.
-Latte?- disse Kai con ironia, mentre si portava la tazza alle labbra.
-Appunto!! Come fai a bere quella roba? Di prima mattina poi!!-
-Parla quello che mangia riso!- esclamò il Russo, scuotendo il capo, non ce l'aveva fatta a trattenersi dal rispondere.
-Scherzi!- replicò Takao con enfasi -Questa sì che è una colazione decente, altro che latte …- aggiunse agitando le mani con aria drammatica.
Erano le sette di mattina, e un pallido sole si affacciava nella piccola cucina di casa Kinomiya. Takao aveva già indossato la divisa, dei semplici pantaloni grigi abbinati a una giacca blu, Kai invece si era rifiutato di indossarla prima del previsto.
L’idea di dover portare un’uniforme non lo entusiasmava minimamente.
Tatsuya aveva cercato di trasmettergli un po’ di entusiasmo da “primo giorno di scuola”, ma senza successo.
Improvvisamente il suono del campanello li riscosse dalla contemplazione della tazza di Kai.
-Deve essere Hitoshi. Apri tu?- disse Tatsuya rivolgendosi al figlio, che sbuffando si alzò da tavola.
Kai lo seguì pochi istanti dopo, però proseguì dalla parte opposta. Imboccò le scale e si diresse verso la sua camera.
Non aveva nessuna voglia di conoscere l’ultimo membro della famiglia Kinomiya.
Aveva trascorso tutta la notte passando da un incubo all’altro, e al risveglio aveva trovato Tatsuya e figlio già attivi di prima mattina, che volevano propinargli del riso per colazione.
Ma stiamo scherzando.
Ora ci si metteva pure il fratello maggiore di Takao; una specie di secchione, genio in chimica e, a detta del fratello, un grandissimo stronzo. Proprio il suo tipo, non c’è che dire.

Al piano inferiore Takao si trovò di fronte un gioviale Hitoshi accompagnato da quello che doveva essere un suo compagno di università.
Suo fratello era molto diverso da lui e da suo padre. Non solo di aspetto, era infatti più asciutto di entrambi e decisamente più pallido, ma anche di carattere. Era uno strafottente, superbo e egocentrico, ma anche incredibilmente intelligente e questo decisamente stonava con la tradizione di casa Kinomiya.
Insomma, non si sarebbero detti parenti.
-Ciao Tak mi fai entrare o mi lasci qui sulla porta?- disse al fratello esibendo il solito sorriso strafottente.
-Sono indeciso!- replicò Takao storcendo il naso, irritato dall’esuberanza dell’altro.
Con una risata Hitoshi entrò in casa, seguito dall’amico.
-Accidenti fratellino!! Cos’è quell’aria da funerale? Fai venire la depressione!- esclamò il ragazzo dirigendosi con decisione verso la cucina, dove salutò con un cenno del capo il padre.
-Sta’ zitto và!- esclamò Takao irritato -Si può sapere come mai ti sei degnato di venire a trovarci?- mentre lo diceva si risedette al tavolo della cucina, per riprendere la sua colazione lasciata a metà.
-Volevo vedere il nuovo coinquilino, no! Allora; dov’è?-
-Di sopra- rispose il fratello ingoiando un boccone di riso -Ma non andare a disturbarlo. E’ appena arrivato, abbi un po’ di pietà. Non vorrà certo sorbirsi le tue battute già il primo giorno!-
-Che noia! Almeno dimmi com’è!-
Involontariamente Takao arrossì. Com’era? Bella domanda.
Non poteva certo dirgli che era il ragazzo più bello che avesse mai visto; ma che purtroppo era anche freddo come il ghiaccio e decisamente poco propenso alla conversazione.
No, decisamente non poteva.
-Non saprei …- cominciò, in parte per nascondere l’imbarazzo.
-Non riesci nemmeno a rispondere a una domanda tanto semplice? Ma che hai al posto del cervello? Rape?- lo rimbrottò l’altro sorridendo sarcastico -Sai almeno dirmi il nome?-
-Baka! Certo che lo so! Kai, Kai Hiwatari.-
-CHE COSA?!-
I due fratelli si voltarono, verso il giovane che aveva accompagnato Hitoshi.
Fino a quel momento il ragazzo se ne era stato in un angolo, facendosi gli affari suoi e ignorando deliberatamente i due.
Ma ora era scattato in avanti e li guardava con un volto a dir poco sconvolto.
-Ehi tutto bene?- domandò Hitoshi guardandolo preoccupato.
L’altro non rispose, limitandosi a guardare nel vuoto per lunghi istanti, ignorando gli sguardi perplessi dei tre Kinomiya.
Alla fine parve ritornare alla realtà.
-Devo andare.- disse semplicemente, e senza lasciare il tempo a nessuno di replicare, sparì oltre la porta che dava sul corridoio.
-Che strano tipo …- commentò Takao perplesso.

Ma il ragazzo non se ne andò.
Si diresse invece verso le scale, salendo i gradini a due alla volta.
Il cuore gli martellava frenetico nel petto, mentre una piacevole calore si diffondeva all’altezza dello stomaco. Nella sua mente un’unica parola rimbombava con la forza di mille voci: Kai, Kai, Kai e ancora Kai.
Spalancò diverse porte trovando solo stanze vuote. Fino a che, in fondo al corridoio, in una delle ultime stanze, lo vide. Appoggiato al davanzale della finestra, guardava silenzioso il paesaggio, mentre il vento gli scompigliava i capelli.
Troppo emozionato per parlare, il giovane si avvicinò lentamente beandosi della sua vista. Osservò intensamente la sua figura, ritrovandolo poi non molto cambiato. Sorrise.
Lentamente si avvicinò, fino a che, con studiata lentezza, non gli prese un polso tra le dita. Sospirò al contatto con la sua pelle.

Quando si sentì afferrare, Kai si girò di scatto, irritato che qualcuno si prendesse quelle confidenze.
Ma mai si sarebbe aspettato quel che avvenne.
Due labbra morbide si posarono sulle sue, in un bacio dolce e delicato. Sorpreso cerco di ritrarsi sentendosi però afferrare per la vita, da due braccia forti.
Poi quella bocca estranea si allontanò dalla sua, per sussurrargli con una voce fin troppo familiare.
-E’ bello rivederti Kai.-





Accidenti se è stata dura!!! Soprattutto perché questa è la nostra prima fanfic, e oltre a essere emozionate, siamo decisamente inesperte …! ;)
Ma ce l’abbiamo fatta, e adesso eccoci qui alla fine del primo capitolo.
Cosa c’è da dire? Bella domanda, non lo sappiamo nemmeno noi …
In fondo è difficile parlare dei propri lavori, alla fine si rischia di risultare noiosi.
Sappiate solo che il primo capitolo era un’introduzione alla storia vera e propria, ma già dal prossimo risponderemo ad alcune delle vostre domande.
Ammettetelo vi siete chiesti chi ha baciato Kai alla fine del capitolo?? Ma dovrete aspettare il prossimo per scoprirlo … xD!
Attendiamo i vostri commenti!!!
Abbraccio!!
Fanny e Kim

  
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