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Autore: Fanny77    11/09/2012    4 recensioni
“La vita è una lotta. Perciò impara a combattere.”
Questa frase è sempre stata il mio credo, la mia linea di vita.
Ma ora mentre cado nuovamente a terra;
mentre ogni parte del mio corpo urla di dolore;
mentre i miei muscoli implorano pietà …
Mi chiedo: cosa ho ottenuto da tutto ciò?
Mai nessuna ricompensa, nessuna vittoria.
Desidero solo raggiungerti, in quel luogo lontano dove non posso seguirti …
Se non quando le mie palpebre si abbasseranno, i miei respiri si faranno sempre più lievi e il mio cuore cesserà di battere.
Genere: Erotico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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PICCOLO UOMO

Katame-waza - “tecnica del controllo”

 “Show me the meaning of being lonely
Is this the feeling I need to walk with
Tell me why I can't be there where you are
There's something missing in my heart”

 
“Show me the meaning of being lonely”  backstreet boys



 
-Yuriy?!-
Kai arretrò incredulo sciogliendosi dall’abbraccio dell’altro.
Yuriy Ivanov lo osservava divertito.
I suoi occhi, due pozze gelate, lo scrutavano con gioia, catturando ogni minima reazione alla sua presenza. Accolse con un sorriso la serie di espressioni sorprese che attraversò il volto di Hiwatari, immaginando il suo sconcerto.
Il loro incontro non era previsto. Sicuramente non dopo anni di silenzi nei quali avevano deliberatamente ignorato l’uno l’esistenza dell’altro.
Anche lui faticava a credere che una tale coincidenza fosse possibile. In fondo era dai quei lontani giorni a Mosca che non si vedevano. Era passato troppo tempo per poter credere che il destino avesse voluto concedergli una nuova occasione.
Eppure ora si trovava lì, in compagnia dell’incarnazione di ogni suo ricordo. Non gli importava né il perché né il come. Ci sarebbe stato tempo per chiarirsi e allora avrebbero parlato. Ma in quel momento le parole erano di troppo, avrebbero rovinato quell’attimo, quel tempo di un respiro dove finalmente si erano riuniti.
Non si accorse Yuriy dello sguardo dell’altro. Troppo preso da quella gioiosa incredulità, non notò il gelo improvviso calato nella stanza, né il respiro di Kai che andava via via facendosi sempre più affannoso. Non notò i suoi occhi che lo fissavano vuoti e inespressivi. Non notò le mani dell’altro scosse da un lieve tremore.
Ma sentì distintamente la voce, che come una pugnalata gelida infranse la bolla di felicità che l’aveva avvolto.
-Cosa ci fai tu qui?- la voce di Kai era fredda e severa. Non lasciava spazio ad alcuna emozione e prendeva senza esitazione le distanze tra loro due.
Incredulo Yuriy non seppe cosa rispondere, mentre quel dolce calore che fino a poco prima avvertiva nel petto era scomparso improvvisamente, lasciando dietro di sé un gelido vuoto.
-Che razza di domanda è questa?- chiese quasi con rabbia, aggrottando le sopracciglia irritato.
-Smettila … e rispondi! Tu non dovresti essere qui, credevo fossi in Russia … perché il Giappone ...?-
-Quindi adesso non posso andare dove mi pare e piace … cosa ti aspettavi, che restassi a Mosca per sempre?- esclamò ironico -E poi potrei farti la stessa domanda!!- non gli piaceva il tono assunto da Kai. Sembrava quasi lo stesse accusando della sua stessa presenza.
-Perché sei qui?- ripeté imperterrito l’altro.
Yuriy sentì la terra scivolargli sotto i piedi. Perché continuava con quelle parole gelide? Alzò gli occhi in cerca di una risposta, ma incontro solo due iridi fredde che lo fissavano.
Ricambiò quelle occhiate gelide con altrettanta freddezza, desiderando però solo di poter colmare la distanza che li separava. Agognava il suo tocco, a lungo desiderato nei periodi di lontananza. L’impulso di stringerlo a sé era forte, frenato in parte dalla consapevolezza che in quel momento sarebbe stato rifiutato.
Sulle labbra sentiva ancora il sapore dell’altro. Prima così dolce e ora amaro.
-Rispondi!- l’ordine secco di Kai venne deliberatamente ignorato da Yuriy, che con uno sbuffo infastidito si appoggiò alla parete della camera, scostandosi un ciuffo di capelli rossi dal viso.
Il silenzio cadde tra loro come un macigno.

Kai scrutava l’altro con un certo nervosismo, pronto ad affrontare la rabbia che Ivanov sembrava controllare a malapena. Osservava con attenzione il suo viso teso, soffermandosi sulle labbra serrate e gli occhi ridotti a due fessure. Contò in silenzio i pesanti respiri del ragazzo, che non tentava nemmeno di nascondere il fastidio che provava.
Si era aspettato una reazione del genere. Aveva calcolato le conseguenze delle sue parole, sapeva che avrebbe ferito Yuriy con la sua freddezza. Ma davvero, non era pronto a fare i conti con quella parte della sua vita.
Non ancora.
Forse un giorno … ma di certo non ora. Era passato troppo poco tempo, e la ferita bruciava ancora, ora più vivida che mai.
Non che non fosse contento di rivedere Yuriy. Gli voleva bene, era come un fratello per lui, ma questo non bastava per poter rendergli meno doloroso quel momento. Perché la sua presenza aveva riportato a galla ricordi che aveva tentato in tutti i modi di sotterrare, nei recessi più profondi della sua mente.
Era stato uno shock trovarselo di fronte, non si era mai aspettato di rivederlo. In realtà aveva dato per scontato che i loro rapporti si fossero interrotti per sempre.
Era stato lui a volere quella separazione, in un periodo dove l’unica cosa che poteva lenire il suo dolore era la lontananza.
Lontananza da quei luoghi, da quelle persone …
Ma era stato inevitabile, appena aveva visto Yuriy, ricordarsi anche di lui.
Proprio ora che aveva cominciato una nuova vita, non più schiavo di un ricordo … ecco ogni cosa cadere a terra come vetro in frantumi.
Yuriy non poteva capire, per quanto ci provasse, quanto ancora non riusciva a liberarsi del suo ricordo. Anche se ormai per tutti gli altri era solo un'immagine nel passato, per Kai rimaneva più reale del realtà stessa.
Vedendo che l’altro non accennava a muoversi Kai si diresse verso di lui, cercando invano il suo sguardo. Con un sospiro si appoggiò accanto a lui, incrociando le braccia al petto, aspettando che Yuriy si decidesse a parlare.
Ivanov non si mosse, scrutando silenziosamente le loro immagini nello specchio di fronte. Gli sfuggì un sorriso nel notare la differenza di statura tra lui e Kai: lo superava di un bel pezzo, ma forse era normale visti i tre anni di differenza tra di loro.
Kai notò il sorriso ironico dell’altro e incrociò il suo sguardo nello specchio. Yuriy fissò quegli occhi severi, che lo osservavano con un’intensità devastante.
Alla fine si decise a parlare, più per spezzare quella tensione insopportabile, che per compiacere Kai.
-Sono qui su consiglio di Serjey. Ha pensato che fosse il posto adatto dove rifarsi una vita … ormai è circa un anno che frequento il corso di Legge insieme a quell’idiota di Kinomiya … sai ho pensato che l’Università fosse un buon punto di inizio … invece tu?-
Kai sospirò, mentre i pensieri volavano verso un ragazzone biondo dal sorriso perpetuo e lo sguardo caldo; anche lui gli era mancato. Sospirò.
-Avrai sentito della storia di mio nonno. La polizia lo ha beccato mentre trafficava con un importante gruppo mafioso, la solita storia. Non è la prima volta che succede, ma adesso hanno tirato in ballo i servizi segreti e solo Dio sa cos’altro. Così hanno trovato un sacco di vecchi casi in cui quel bastardo era implicato, tutti misteriosamente rimasti irrisolti, hanno aperto un processo e ovviamente in mezzo ci sono finito pure io. Gli avvocati hanno deciso che Mosca non era un posto adatto a un ragazzo … come è che mi hanno chiamato … ? Ah sì “altamente instabile”… alla fine salta fuori un certo Kinomiya, giapponese, che dice di essere un vecchio amico di mio padre, io ovviamente non l’ho mai sentito nominare, ma a chi importa?-
Yuriy rimasto stupefatto da quel fiume di parole, si girò verso l’altro, aggrottando le sopracciglia di fronte alla sua aria indiffifferente.
-Ne avevo sentito parlare, sì.- ammise -ma non pensavo che fosse una cosa seria. Insomma lo stronzo se l’è sempre cavata fin’ora.-
-Non questa volta a quanto pare! Spero che lo sbattano in prigione a vita!- mentre parlava Kai continuava a fissare le loro immagini riflesse, rifiutandosi di parlare direttamente all’altro.
- … Tu come stai?-
Quella frase sorprese non poco Kai, che si girò verso l’altro con le sopracciglia inarcate in una muta domanda.
-Bene, mi sembra ovvio.-
-Bugiardo.-
Yuriy lo scrutò a lungo. Conosceva l’altro da tempo, e sapeva riconoscere e interpretare i suoi sguardi e le sue parole. E di certo Kai non stava bene.
-Sembri stanco.- continuò, ricevendo in risposta uno sbuffo esasperato.
-Sto bene. Sei tu che hai bisogno di una visita dall’oculista.-
-Finiscila di fare l’orgoglioso del cazzo. Con me non funziona … tu hai qualcosa che non và!-
-Ma dai!? Non mi dire. Yuriy sinceramente quando mai nella mia vita qualcosa è andato per il verso giusto …? Sono appena andato a vivere in una casa piena di estranei, in un Paese che non ho mai visto, è ovvio che non sprizzi gioia da tutti i pori, e poi francamente ti sembro il tipo da esultare di gioia?- nel dire quelle parole sorrise, quasi ridendo all’idea.
-No.- replicò secco Yuriy -Ma il trasferimento non c’entra niente … c’è qualcos’altro, che non vuoi ammettere!-
-È l’Alzheimer. Tra qualche mese non mi ricorderò nemmeno come mi chiamo, allori sì che avrai il diritto di preoccuparti.-
-Da quando fai dell’ironia Hiwatari? Non sembri più tu. È l’aria del Giappone che ti fa questo effetto?-
-Ci sono lati di me che ancora non conosci … pensa che ho persino cominciato a scrivere un libro di barzellette!-
-Hai un futuro come comico, non c’è che dire!-
Kai non rispose, limitandosi ad accennare un sorriso ironico.
Yuriy al suo fianco rimase a osservarlo a lungo. Mentre una triste consapevolezza si faceva strada in lui. Quando parlò la sua voce gli parve terribilmente innaturale.
-Pensi ancora a lui … non è vero?
Dolore.
Solo dolore. Una stilettata di sofferenza che lo attraversò da capo a piedi, paralizzandolo. Kai spalancò gli occhi. La sua mente fu invasa da una quantità incredibile di immagini, sensazioni, emozioni … un caos senza fine. Un tornado di ricordi confusi e indistinti, dominati però da un’immagine comune: un volto.
Un volto che lo perseguitava. Un volto che aveva cercato di scacciare in un angolo della sua mente, ma che si faceva largo tra i suoi pensieri con una prepotenza inaudita, ogni volta che ne aveva l’occasione.
Kai si piegò su sé stesso, cadendo in ginocchio, mentre una nausea improvvisa lo assaliva. Sentì il disperato bisogno di urlare, piangere e correre. Tutto contemporaneamente. Ma si limitò a fissare il pavimento in silenzio.
Respirare era, per lui, un’impresa titanica. Gli pareva che l’aria non bastasse mai.
Yuriy lo fissò in silenzio, mentre una tristezza senza fine lo pervadeva. Senza una parola si inginocchiò di fronte all’amico, scrutando il suo volto sconvolto.
-Dopo tutto questo tempo, non sei ancora riuscito a liberarti di  … -
-ZITTO!- l’urlo di Kai gli bloccò le parole in gola.
Raramente lo aveva visto perdere il controllo. Guardò quel ragazzo distrutto dalla sofferenza e dal dolore, ormai ombra di sé stesso. Reduce da una guerra terminata da tempo, che non trovava il suo posto nel mondo. Viveva nel ricordo di un tempo passato, nutrendosi di quei momenti felici, ormai perduti per sempre.
Non provò pena per lui, solo una profonda comprensione che non era in grado di esprimere a parole. Non era bravo a parlare e temeva di allontanarlo con frasi stupide e insulse. Voleva comprendesse che lui non l’avrebbe abbandonato per nulla al mondo. Ma l’orgoglio gli impedì di confessare tutto ciò, mettendo a tacere quel sentimento.
-Tu devi andare avanti, devi smetterla di rifugiarti in un ricordo. Hai avuto tempo per accettare la cosa, ma ora è tempo di dimenticare e cercare la tua strada … non puoi continuare a nasconderti, devi capire che lui non è più qui tra noi e poi, insomma, lui non avrebbe voluto questo, lui … -
-ZITTO! T-TUNON SAI COSA LUI … TU NON PUOI IMMAGINARE … tu non capisci … !- Kai aveva portato entrambe le mani sulle orecchie, nel disperato tentativo di ignorare quelle parole così piene di verità.
Non voleva sentire. Non voleva credere.
Ogni cosa che Yuriy gli aveva detto era vera, ma sentirla pronunciare ad alta voce equivaleva a ricevere una pugnalata nel petto per ogni parola.
Perché doveva fare così male?
Perché doveva soffrire così?
Yuriy sospirò.
Sapeva che Kai non avrebbe accettato il suo aiuto. Non gli avrebbe concesso il piacere di consolarlo, anzi avrebbe fuggito qualsiasi contatto, agognando solo la solitudine dove avrebbe ripreso il controllo delle sue emozioni impazzite.
Sapeva di doverlo lasciare solo. Sapeva che il loro incontro era finito lì, e che era tempo di andare.
Ma non era disposto ad accettare una nuova separazione. No, non questa volta.
Senza una parola si alzò in piedi e raggiunse la scrivania in fondo alla stanza. Staccò un foglio da un piccolo bloc-notes e dopo aver rimediato una penna, segnò il suo numero di cellulare e il suo indirizzo. Quindi tornò da Kai.
-Ti lascio solo, ok?- non ottenne alcuna risposta. Sospirò scoraggiato, quindi fece scivolare nella tasca della felpa di Kai il biglietto.
-Questo nel caso avessi bisogno di me … -
Kai rimase perfettamente immobile, insensibile alle sue parole. Yuriy allora si avvicinò al suo volto e con delicatezza unì le loro labbra in casto bacio nella speranza di ottenere una qualche reazione da Kai. Senza però avere successo.
Per un istante assaporò il contatto, percependo la morbidezza delle labbra dell’altro, che erano fredde come il ghiaccio … o forse era Kai stesso ad essere completamente gelato.
Si staccò di pochi centimetri, e dopo un istante di silenzio sussurro sulle sue labbra, con voce a malapena udibile, quasi avesse paura di rompere l’incantesimo che li avvolgeva: -Sono felice di averti rivisto … -
Kai per un attimo parve riprendersi. Lo fissò e si limitò ad annuire in silenzio.
Yuriy si alzò e lentamente si diresse verso la porta della stanza.
Dietro di lui Kai strinse con forza il piccolo biglietto.
 
Takao tamburellava con le dita sul tavolo della cucina.
Accanto a lui Hitoshi si era lanciato, in un lungo e alquanto improbabile, resoconto sul suo ultimo appuntamento con una ragazza del suo corso. Appuntamento che, il giapponese, sospettava che il fratello si fosse solo inventato.
Non aveva fatto altro che vantarsi delle sue capacità di seduttore, intavolando discorsi immaginari da soap opera di serie B. Per di più la suddetta ragazza era una specie di top-model, terribilmente sexy, che assomigliava in modo sospetto alla protagonista di uno dei film preferiti di Hitoshi.
Ovviamente non credeva a una sola parola. Da quel che sapeva le uniche ragazze disposte ad uscire con il fratello erano le tipiche sfigatelle di turno, che non avevano altra scelta se non quella accontentarsi delle sue (terribili) avance.
Non le invidiava nemmeno un po’.
Ma in realtà non lo stava nemmeno ascoltando. Infatti non riusciva a togliersi dalla testa lo strano ragazzo dai capelli rossi che aveva dato in escandescenze poco prima, per poi andarsene senza una parola. Non capiva a cosa fosse dovuta la sua reazione o, per lo meno, non riusciva a trovarci un senso.
Malgrado sembrasse assurdo, il rosso aveva reagito non appena lui aveva pronunciato il nome di Kai. Che si conoscessero? Ma com’era possibile visto che Kai era appena arrivato in Giappone? E poi da quello che ne sapeva il ragazzo non aveva mai lasciato la Russia prima di allora. Quindi era matematicamente impossibile che quei due si conoscessero. Giusto?
Però … però a pensarci bene Yuriy era un nome russo. E i tratti del suo viso ricordavano quelli tipici del nord Europa. Di certo non era giapponese, ma non era in grado di dargli una nazionalità precisa.
Ma probabilmente le sue erano solo supposizione campate per aria. Non era possibile che Kai e quel tipo si conoscessero, era lui che si faceva un sacco di paranoie mentali. Si era costruito un castello immaginario, quel ragazzo era scattato in quel modo per un altro motivo e beh … perché con ogni probabilità non aveva tutte le rotelle a posto.
Le sue riflessioni furono interrotte dal suono del campanello.
-Lo so, lo so vado io … - esclamò Takao anticipando il padre, che sorrise divertito. Si alzò di malavoglia e con passi eccessivamente lenti raggiunse la porta in fondo al corridoio, trovandola stranamente già aperta.
Ad attenderlo sulla soglia di casa Kinomiya c’erano i suoi due migliori amici.
Max Tate da una parte: una furia bionda, con due occhi azzurro mare, da poco trasferitasi da New York nella capitale giapponese, un bravo ragazzo anche se aveva l’irritante tendenza a imbottire ogni frase con strane esclamazione tipicamente americane.
Dall’altra Rei Kon: un pacato ragazzo di origini cinesi che viveva a Tokio fin da bambino, un concentrato di buon senso e stravaganza, particolarmente legato alla lunga chioma scura (rigorosamente fermata in una coda) con la propensione ad elargire perle di saggezza a chiunque gli capitasse a tiro, senza nessuna esclusione.
Sorrise radioso nel vederli.
-Ragazzi!!- esclamò battendo il pugno ad entrambi e facendosi da parte per farli entrare in casa.
-Hi guy!!- 
-Ciao Takao.-
Avevano dei caratteri diametralmente opposti e una visuale del mondo anni luce l’uno dall’altro. Eppure, in qualche strano modo e grazie a chissà quale miracolo, riuscivano a far combaciare le loro personalità alla perfezione.
Erano i suoi amici e Takao li conosceva abbastanza da dubitare seriamente che fossero lì per lui.
-È già arrivato quel ragazzo … quello nuovo … hai capito no?- domandò Max sporgendosi nella piccola cucina, ma rimanendo alquanto deluso trovando soltanto gli altri due componenti della famiglia Kinomiya.
Takao sospirò rassegnato, chissà perché se l’aspettava.
-È di sopra, penso che si stia ancora cambiando … - con un cenno del capo alluse alle divise scolastiche che tutti e tre indossavano. Odiato obbligo scolastico per cui ogni alunno che si rispetti provava un viscerale disprezzo.
-Allora aspettiamo!!- disse l’americano appoggiandosi al bancone della cucina e ravviandosi i capelli biondi con un sorriso entusiasta.
Rei, ora seduto accanto a Hitoshi, lo guardavacon aria ironica.
-Ecco ritrovato il figliol prodigo!- disse con un ghigno rivolgendosi al maggiore dei Kinomiya -non dirmi che anche tu sei qui per vedere il tuo nuovo fratellastro: non è da te Hitoshi!-
A quelle parole quest'ultimo arrossì vistosamente, mentre intorno a lui gli altri si sbellicavano dalle risate.
-Colpito e affondato!- esclamò Takao, sogghignando con perfidia in direzione del fratello.
-Ma sta’ zitto và!- replicò l’altro cercando di nascondere l’imbarazzo e di ritrovare il contegno.
Ancora una volta ad interromperli arrivò il fastidioso suono del campanello.
-Ma che succede oggi!?- esclamò Takao esasperato mentre si avviava per l’ennesima volta ad aprire la porta.
Questa volta ad attenderlo sulla soglia c’era niente meno che Hilary. La ragazza lo aggredì prima che riuscisse ad accennare un saluto.
-Dov’è? Dove, dove?- i suoi strilli acuti ricordarono al povero giapponese gli urli di un’aquila infuriata. A stento riuscì a controllare l’irruenta amica e a impedirle di fiondarsi in camera del povero Kai, ancora ignaro di ciò che lo attendeva al piano inferiore.
Trascinò la ragazza in cucina obbligandola a sedersi e intimandole un minimo di controllo. Hilary sbuffò contrariata ma acconsentì ad attendere con gli altri. Ma era evidente che la curiosità la divorava, infatti continuava a sporgersi dalla porta lanciando occhiate inquisitorie lungo le scale.
Tatsuya guardava divertito il nutrito gruppo di ragazzi che, nel giro di pochi minuti, gli aveva invaso la casa. Un branco di scimmie nel periodo degli amori sarebbe stato meno invasivo e inopportuno. Ma in fondo tutto quel caos non lo infastidiva, anzi.
Solo si chiedeva come avrebbe reagito Kai di fronte a quel plotone d’accoglienza.
Non riuscì a trattenere una risata mentre si immaginava la scena.

Respira.
Calma.
Controllati.
Kai allacciò l’ultimo bottone della divisa cercando di frenare il tremito alle mani.
Doveva riprendersi e recuperare il suo solito autocontrollo. Non poteva mostrarsi debole e fragile, soprattutto di fronte a degli estranei. Si sarebbe comportato naturalmente e avrebbe soffocato quel mare di emozioni che poco prima lo aveva travolto.
Non era abituato a provare delle sensazioni così forti, non era in grado di gestirle. Perdeva subito il controllo su sé stesso, come era successo poco prima.
Ma non avrebbe permesso a Yuriy di sconvolgerlo. Lui era Kai Hiwatari e nessuno poteva pensare di piegarlo in quel modo … non più. Era stato un momento di debolezza. Un cedimento fisico e mentale che non si sarebbe ripetuto. Era tutta questione di autocontrollo. Tutto qui. Era facile.
Afferrò la giacca della divisa che aveva abbandonato sul letto.
Era facile … bastava solo controllarsi … facile … facile …
Stronzate! Tutte stronzate!
Si stava autoconvincendo come un idiota di qualcosa che sapeva non essere in grado di controllare.
E lui non poteva accettare che qualcosa sfuggisse al suo controllo, in particolare se quel qualcosa era lui stesso!
No! Ora basta! Avrebbe mandato a farsi fottere sentimenti e stronzate annesse. Come del resto aveva sempre fatto. Non si sarebbe lasciato sconvolgere.
Si infilò la giacca con estrema lentezza cercando di ignorare il disgusto verso quell’inutile costrizione.
Accidenti a quella cacchio di scuola. A che serviva poi? A nulla … ecco a cosa.
Ma ovviamente a nessuno era venuto in mente di chiedergli se a lui andava bene l’idea di entrare a metà anno in una nuova classe. Senza aver frequentato né la prima né la seconda. Certo teoricamente aveva il diploma per entrambi gli anni. Ma solo sulla carta. A suo nonno non c’era voluto molto per avere quel dannato foglio senza che lui avesse frequentato un solo giorno di scuola. Aveva cercato di chiarire questo facile concetto a Tatsuya che ovviamente non aveva capito un’acca.
“Riceverai un supporto in quanto studente straniero” così gli aveva detto. Ma lui non era semplicemente indietro per la lingua. Magari fosse solo quello! Il pinto era che non aveva mai studiato seriamente nessuna delle numerose materie contemplate nel suo ben poco veritiero curriculum.
Certo sapeva il giapponese, ma solo perché suo nonno era nato e cresciuto in Giappone.
Per il resto non sapeva nulla né di storia né di geografia, scienze, matematica o chissà cos’altro. Non sapeva distinguere un verbo al passato prossimo da un congiuntivo, né un protone da un elettrone, non conosceva il codice civile russo figurarsi quello giapponese, conosceva poche parole di inglese e non aveva idea se fosse esistito prima l’homo erectus o l’homo di Neandhertal.
In compenso sapeva distinguere senza difficoltà una AK-47 da un cecchino VSR10N, era in grado di curare ferite superficiali e contusioni senza l’aiuto di un medico, poteva orientarsi nelle grandi città o nei boschi senza una bussola e riusciva a capire l’ora dalla posizione del sole; in poche parole sapeva cavarsela, ma queste erano ovviamente cose che non importavano agli insegnati e che non gli sarebbero state d’aiuto nella nuova scuola, purtroppo.
Con uno sbuffo di rabbia afferrò lo zaino nero abbandonato contro la scrivania e si diresse verso le scale. Scese i gradini con calma, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto affrontare quei pazzi dei Kinomiya.
Una parte di lui sperava quasi che Yuriy non se ne fosse andato, per fargli da supporto morale. Ma era una parte molto piccola, che subito venne ignorata.
Un leggero nervosismo si impossessò di lui mentre si avvicinava alla porta della cucina. Sentiva un gran numero di voci che si accavallano una sull’altra. Aveva il terribile sospetto che non si trattasse della televisione.
Prima che potesse decidersi a fare dietro-front e ritornare in camera, Takao si sporse dalla porta e lo vide. Un gran sorriso illuminò il viso del giapponese.
-Finalmente sei arrivato! Ti stanno tutti aspettando!-
“Tutti” chissà perché questa parola non gli piacque. Ma prima che potesse accennare un passo indietro Takao lo afferrò per un braccio e lo trascinò in cucina.
“È un incubo.” pensò Kai di fronte a quella miriade di facce entusiaste e sorridenti che lo accolsero.
“Non può essere vero … è solo un incubo …!”
 
Ancor prima di incontrarlo, Rei, si era fatto un’idea precisa sul nuovo fratello di Takao.
Si era immaginato un ragazzo distrutto dalle numerose delusioni che la vita gli aveva riservato. Una persona fragile e insicura, desiderosa di un affetto che per troppo tempo gli era stato negato. Si era convinto che quel povero sfortunato gli avrebbe guardati con gratitudine, e si sarebbe affidato a loro per colmare tutte le sue insicurezze e paure.
Ebbene Kai era leggermente diverso da come si aspettava.
Di certo definirlo semplicemente distaccato voleva dire minimizzare. Era freddo, asociale, scontroso, distante, menefreghista … tutte “qualità” di cui si era accorto dopo appena dieci minuti di conversazione, se così si potevano definire i monosillabi che uscivano dalla bocca del russo.
Il suo comportamento non aveva però scalfito l’entusiasmo né di Takao né di Max, che si erano lanciati in una appassionata discussione sugli effetti del jetlag nel tentativo di coinvolgere anche il russo. Senza grandi risultati.
Hitoshi si era mostrato guardingo fin da subito e anche ora ignorava totalmente l’altro mostrando un’indifferenza che avrebbe irritato chiunque, ma che sembrava non dispiacere affatto a Kai. Era evidente che il ragazzo non era a proprio agio con le persone troppo invadenti e in questo il comportamento del maggiore dei Kinomiya doveva risultare perfetto. Ma definirla una scelta calcolata non era propriamente esatto, probabilmente si mostrava distaccato perché in parte la presenza di Kai minacciava il suo ruolo di maschio alfa.
Hilary, come era prevedibile, fin dal primo momento non aveva fatto che guardare il ragazzo con due occhi da pesce lesso e l’aria di che ha visto la luce divina scendere dal cielo. Le guance le si erano imporporate di un bel rosso acceso, e quando parlava con lui un leggero balbettio sostituiva il suo solito tono. Era pazzesco come quel ragazzo l’avesse mandata in crisi. Non era mai successo che la Tachibana reagisse in quel modo di fronte a qualcuno. Maschio o femmina che fosse.
Ma in parte Rei la capiva. Nemmeno lui, un etero doc, era riuscito a rimanere indifferente di fronte alla devastante bellezza del russo. Il suo aspetto attraente stonava con il carattere schivo, generando un’aria affascinante e misteriosa che avvolgeva il giovane da capo a piedi, ottenendo l’effetto opposto a quello che, evidentemente, il russo sperava.
-Vedrai la scuola qui ti piacerà! Certo forse sarà un po’ diversa da quella russa, ma ti abituerai … - la voce di Max lo distrasse e il cinese spostò lo sguardo sul gruppetto raccolto intorno a Kai, che con l’aria di un condannato a morte, scosse la testa.
-Non so … - disse Kai pentendosi pochi istanti dopo di aver aperto bocca e lasciando la frase in sospeso.
Gli altri aggrottarono le sopracciglia perplessi. Persino Rei non comprese il senso di quelle parole.
-Cosa intendi?- chiese sporgendosi leggermente in avanti sul tavolo della cucina -La scuola qui da noi non è così male, certo a parte le divise, comunque non dovrebbe essere così diversa da quella a cui eri abituato, o sbaglio?-
Kai non rispose e si limitò a fissarlo con uno sguardo indecifrabile.
Fu Tatsuya riempire il vuoto lasciato dal russo, chiarendo i dubbi di tutti al posto suo.
-Ragazzi, Kai non è mai andato in una scuola vera e propria, ma ha sempre preso lezioni privatamente. Per questo è molto importante che lo aiutiate ad orientarsi per i primi tempi, sapete quanto può essere difficile arrivare in una scuola nuova. Figurarsi se è la prima volta che la si frequenta.-
Tutti rimasero colpiti da quelle parole. Era strano immaginare che quel ragazzo non avesse mai fatto parte di una classe, ma avesse sempre dovuto seguire i suoi studi chiuso in casa con un insegnante privato. Oltre ad essere una prospettiva terribilmente deprimente, sembrava anche assurda. Perché qualcuno dovrebbe impedire a un ragazzo di studiare insieme ai suoi coetanei?
Un silenzio imbarazzante cadde nella stanza.
Fu la voce di Kai a rompere quella tensione, che per la prima volta prese la parola spontaneamente.
-Risparmiatevi la compassione, non me ne faccio niente della vostra pietà.-
Diretto. Preciso. Letale.
Lo guardarono tutti increduli. Stupiti da tanta sfacciataggine. Non si era fatto nessun problema a dirgli in faccia quello che pensava, parlando con la massima sincerità e tranquillità.
Tatsuya ridacchiò di fronte ai loro volti sorpresi. -Vi conviene abituarvi! Il nostro Kai, non si fa troppi problemi a dire ciò che gli passa per la testa, anzi vi consiglio cautela per il futuro … - a queste parole il suo sorriso si allargò in modo inquietante - … penso che il signorino non si farà troppi problemi a mandarvi a quel paese tutti quanti un giorno di questi!- detto questo scoppiò a ridere incurante degli sguardi imbarazzati dei suoi due figli.
-Papà!- Takao diede una leggera spintarella di protesta sulla spalla del genitore, poi lanciò uno sguardo di scuse a  Kai che però non sembrava minimamente offeso, anzi il suo sguardo aveva un’aria compiaciuta.
-Beh … - disse Hilary, cercando di nascondere il leggero tremito nella voce -sono certa che non avrai problemi, ma nel caso avessi bisogno di aiuto io, cioè noi siamo a tua disposizione.- mentre parlava il rossore sul suo volto aveva raggiunto livelli preoccupanti, tanto che Max si chiese se per caso non avesse mangiato del peperoncino per colazione.
-Sì! Sì!- intervenne un Takao entusiasta -E poi ti faremo conoscere tutti i nostri amici! Vedrai ti piaceranno … - a quelle parole Kai storse il viso in una smorfia sofferente.
-Potremmo pure iscriverlo al club di football o a quello di piscina e … - continuò Takao lanciando un’occhiata entusiasta al russo, ma vedendo la sua espressione lasciò cadere la frase scoraggiato.
-Certo, certo- intervenne Tatsuya -ma non farete proprio un bel niente se non vi decidete a darvi una mossa.- nel parlare indicò l’orologio appeso al muro della cucina -è tardi e di questo passo a scuola non ci arrivate proprio!-
Scattarono tutti in piedi e, afferrando zaini e cappotti dimenticati nell’ingresso, uscirono di casa.
 
Come era prevedibile Kai era l’ultimo. Non aveva fatto nemmeno un passo lungo il vialetto di casa Kinomiya quando si sentì chiamare.
-Kai!- sorpreso si voltò verso Tatsuya, che avanzava verso di lui con al seguito un annoiato Hitoshi.
-Torna pure in casa. Arrivo subito.- disse al figlio. Il ragazzo sbuffò esasperato e si allontanò non prima di aver rivolto al russo un’occhiata omicida.
-Ascolta Kai- comincio Tatsuya -so che adesso tutto questo può sembrarti assurdo. Ed è probabile che ora tu ci disprezzi tutti, ma vorrei che facessi uno sforzo per cercare di ambientarti. Non è così male come sembra, la scuola intendo. Non pretendo certo nulla, solo vorrei che tu fossi felice qui … ci proverai vero?- il suo sguardo era molto intenso, e Kai non poté non cedere a quelle parole.
Ma in cuor suo sapeva che malgrado i suoi sforzi nemmeno Tatsuya avrebbe potuto fare di lui una persona “felice”.
-Lei non deve aspettarsi nulla da me … quando la gente si aspetta qualcosa da me rimane delusa. Andrò a scuola perché devo, cercherò di provare simpatia per gli altri ragazzi perché devo, fingerò di far parte della sua famiglia perché devo. Ma non può chiedermi di essere felice … perché finirei solo per deluderla.- senza aggiungere altro Kai si voltò per raggiungere gli altri che lo attendevano pochi metri più avanti.
 
L’enorme scuola superiore di Tokio era un imponente edificio, che si apriva su un elegante parco in stile seicentesco, meta quotidiana di numerosi alunni in fuga dalle aule polverose.
La struttura poggiava su un basamento in pietra che la rialzava di un paio di metri da terra, una scalinata portava all’ingresso sorretto da grandi colonne. Dietro di esse si apriva l’ingresso principale: un grande portone in legno di fianco al quale a intermittenza comparivano le entrate secondarie.
La scuola contava quattro piani che terminavano in una terrazza recintata da una balconata anch’essa in pietra.
Intorno all’edificio si affollava un numero pazzesco di studenti che lentamente sciamavano all’interno.
Kai osservava quel mare di ragazzi con una leggera punta d’ansia. Non potevano pretendere seriamente di rinchiuderlo là dentro con tutta quella gente! Non avrebbe resistito un’ora, anzi nemmeno dieci minuti!
Provò l’impulso di sbattere la testa contro quelle stupide colonne. Magari con un po’ di fortuna sarebbe finito in coma. Sempre meglio che quello schifo di posto.
-Prima io e te passiamo in segreteria.- disse Takao indicando con un gesto l'ala destra dell'edificio. Kai si limitò a scrollare le spalle con aria indifferente.
Almeno poteva rimandare il supplizio … anche se di poco.
Si separarono dagli altri che si diressero verso le loro rispettive classi e si avventurarono in quel labirinto di corridoi e aule.

Mentre camminava di fianco a Kai, Takao cominciò a sentirsi osservato. Non c’era un solo studente in corridoio che al loro passaggio non si girasse a guardare il russo con tanto d’occhi.
Era impressionante il numero di sguardi che il russo aveva attirato su di sé. In parte il giapponese ipotizzò che la curiosità degli altri alunni derivasse dai tratti decisamente stranieri del ragazzo, ma in realtà sapeva che a calamitare quei visi su di lui era il suo aspetto e in particolare la sua bellezza.
Kai pareva indifferente a quelle occhiate. Quasi fosse abituato a quel genere di situazione. Non aveva degnato di uno sguardo nessuno dei numerosi ragazzi che si erano girati al suo passaggio. Aveva mantenuto la sua solita aria controllata e fredda, tanto che a Takao venne l’ironico dubbio che l’altro non si accorgesse di quelle occhiate, o che se anche le notava le interpretava in tutt’altro modo.
Comunque riuscirono a raggiungere la segreteria, incassata in fondo al corridoio del piano terra. Una stanza allungata disseminata di scrivanie, armadi ripieni di cartellette e vasi con piante dall’aria parecchio sofferente.
Di fronte alla stanza c’era anche una sala d’attesa lungo cui correva una fila di sedie in plastica. Takao fece cenno a Kai di aspettarlo lì mentre lui consegnava i documenti.
Con aria annoiata il russo si appoggiò al muro della saletta, che risultava fin troppo affollata per i suoi gusti. Un gruppetto di ragazze ridacchiava, per solo Dio sa cosa, nell’angolo opposto al suo. Lungo le pareti attendevano un’altra decina di ragazzi dall’aria forse più disperata e depressa di lui.
 
Fu allora che accadde.
Un gruppo di studenti fece il suo ingresso in sala.
Kai non li degnò di uno sguardo. Ma non poté fare a meno di provare un brivido lungo la schiena sentendo su di sé degli occhi che lo guardavano con insistenza, quasi a volerlo sondare. Ma c’era un che di lascivo nel modo in cui sentiva quegli occhi scivolare lungo il suo corpo, soffermandosi fin troppo su ogni particolare.
Infastidito cercò il proprietario di quello sguardo, pronto a fargli passare la voglia di guardarlo.
Incontrò due occhi di un blu elettrico che lo fissarono pieni di sottintesi. Rimase inchiodato da quelle iridi che ironiche non perdevano il contatto con lui, ma anzi si soffermavarono senza vergogna sulle sue labbra.
Il ragazzo che lo fissava in quel modo era a pochi metri da lui, appoggiato all’enorme finestra che dava sul parco.
Doveva avere un paio d’anni più di lui, ed era più alto. Sul suo volto spiccava un sorriso pieno di malizia, che gli gelò il sangue nelle vene.
A completare il quadro una massa di capelli rosso-arancione che gli conferivano un’aria decisamente accattivante. Intorno a lui i suoi amici parlavano tra loro ridendo e scherzando ignari di quel gioco di sguardi.
Sostenne gli occhi dell’altro ben deciso a mostrare tutto il suo disprezzo.
Ma si ritrovò presto a pentirsi della sua decisione.
Il rosso accentuò il sorriso beffardo, constatando di aver ricevuto la sua attenzione, rivolgendogli uno sguardo da lupo famelico. E infine con estrema lentezza si passò la lingua sulle labbra, in un gesto fin troppo chiaro.
E Kai arrossì.
Non potè farne a meno, le sue gote si imporporarono, mentre gli occhi si spalancarono in un’espressione incredula. Fissò l’altro senza riuscire ad articolare un suono, mentre questo rideva del suo imbarazzo.
Infine distolse lo sguardo, incapace di sopportare quelle iridi piene di malizia. Sentendo la vergogna bruciare in lui come fuoco, e l’umiliazione scorrere come elettricità nelle vene.
A salvarlo fu l’arrivo di Takao che con un sorriso a trentadue denti uscì dall’ufficio.
-Qui abbiamo finito, ora dobbiamo … ehi!- senza troppi complimenti Kai afferrò il giapponese trascinandolo fuori dalla stanza, mentre la risata del rosso accompagnava la sua fuga.

-Ragazzi vi presento il vostro nuovo compagno di classe: Kai Hiwatari. Viene dalla Russia!-
Così la professoressa Sakamoto, insegnante di lettere, lo presentò alla classe, sorridendogli con aria affabile.
Kai immobile davanti alla cattedra fissava con occhi vacui i venticinque ragazzi con cui avrebbe condiviso gran parte delle sue giornate. Quella prospettiva non gli piacque per niente.
Ad accoglierlo arrivarono le occhiate interessate e vogliose delle ragazze, ma anche quelle ostili e diffidenti della maggior parte dei maschi presenti in aula.
Cercando di ignorarli raggiunde il suo posto in ultima fila, accanto a Takao. Il giapponese gli sorrise incoraggiante, cercando di infondergli un po’ di ottimismo. Kai si sedette di malavoglia, ma ringraziando mentalmente il compagno per avergli lasciato il posto accanto alla finestra.
-Allora Kai, vuoi dire qualcosa per presentarti?- l’insegnante si protese verso di lui, appoggiando i gomiti sulla cattedra e guardandolo con un sorriso di incoraggiamento. Il resto della classe si era voltato nella sua direzione e lo osservava curioso.
-No.- rispose semplicemente.
-Come? Non vuoi dirci niente di te?-
-No.- ripeté. Perché, perché dovevano essere così invasivi? Non potevano lasciarlo in pace e basta?
La donna inarcò un sopracciglio perplessa. Mai, in tutta la sua carriera, un alunno le aveva risposto in quel modo così spudoratamente sincero. Guardava negli occhi quello strano ragazzo chiedendosi se la sua fosse una specie di sfida o se semplicemente non voleva rispondere alle sue domande.
Ancora un volta il provvidenziale intervento di Takao salvò il russo da una situazione non proprio piacevole.
-Mi scusi … ecco, vede Kai non voleva essere maleducato, è solo che come lei sa lui non è di qui e beh … in Russia le cose non funzionano come da noi … - il giapponese guardò speranzoso la donna, cercando nel suo volto la conferma che stava bevendosi tutte le balle che le aveva rifilato. La professoressa lo guardava con malcelato interesse, segno evidente che aveva abboccato all’amo. -Kai non sa ancora bene come comportarsi, ma vedrà che con nel giro di poco le cose miglioreranno e … -
-Basta così Takao.- lo interruppe la donna, alzando una mano come a fermare il fiume di parole del giapponese. Quindi rivolse la sua attenzione a Kai -Mi dispiace di essere stata troppo invadente, non era mia intenzione. Capisco il tuo desiderio di non esporti troppo e lo rispetto.- mentre parlava il suo sguardo si inchiodò a quello del russo, che rispose alle sue parole con un lieve cenno del capo.
Senza aggiungere altro la donna concentrò tutta la sua attenzione sul registro, e con la massima tranquillità cominciò a fare l’appello.
Con un sorriso orgoglioso Takao si girò verso il compagno, guardandolo con aria di superiorità.
-Come minimo pretendo un grazie- disse, accennando con il capo all’insegnante.
-Non ha creduto ad una sola parola di quello che hai detto.- replicò il russo, senza guardarlo.
-Cosa? Ma … - esclamò Takao perplesso.
-È più intelligente di quanto sembri- fu la vaga risposta di Kai. Ma prima che il giapponese potesse chiedergli altre spiegazione il richiamo dell’insegnante lo costrinse a riportare la sua attenzione sulla donna.
Il resto della giornata proseguì senza ulteriori intoppi. Gli altri insegnanti si limitarono a lanciargli occhiate curiose, senza però azzardarsi a fargli qualsiasi tipo di domanda. Di questo Kai sapeva di dover ringraziare la Sakamoto, che doveva aver raccomandato ai suoi colleghi di trattarlo con le pinze.
In un certo senso non gli dispiaceva essere considerato un soggetto instabile. Se sanno che sei potenzialmente pericoloso, le persone non ficcano il naso nella tua vita per paura di farti saltare i nervi. E in fondo a loro non fregava veramente nulla di lui, se facevano delle domande era solo per darsi l’aria di professori comprensivi e attenti ai bisogni dei ragazzi, che però non ci pensavano su due volte prima di rifilarti un bel tre.
Come volevasi dimostrare, durante le ore successive, Kai vide sfilare davanti ai suoi occhi una sfilza di brutti voti che avrebbero fatto impallidire chiunque, ma che non scalfirono minimamente quei severi giudici che implacabili coloravano di un bel rosso acceso tutti i fogli che gli capitavano tra le mani. Anche Takao rimediò il suo quattro nel compito di matematica. Che a quanto pareva doveva essere l’ennesimo visto la stoicità con la quale il ragazzo incassò il colpo.
Ovviamente Kai si limitava ad osservare, senza che nessuno dei professori lo interpellasse o facesse gran caso a lui. Ma sapeva che non sarebbe durato a lungo, dopotutto quello era solo il primo giorno.
Cercò di sopportare come meglio poteva quelle interminabili ore. In certi momenti cercò persino di concentrarsi sulle lezioni, senza avere successo. Così inevitabilmente finì per perdersi nei meandri della sua mente.
Più volte il volto del ragazzo della sala d’attesa si fece largo tra i suoi pensieri, provocandogli brividi di rabbia e vergogna. Si era comportato come un idiota, e aveva distolto lo sguardo per primo mostrando la sua debolezza. E quello stronzo ci aveva goduto, eccome se ci aveva goduto. 
In quei momenti, quando sentiva il proprio autocontrollo annullarsi e i livelli di rabbia e frustrazione salire pericolosamente, si concentrava sul paesaggio fuori dalla grande finestra e cercava di regolarizzare i respiri. Più volte sentì su di sé lo sguardo preoccupato di Takao.
Fu così che, finalmente, arrivò la fine di quella tremenda giornata.

Appoggiato alla testata del suo letto Kai scrutava silenzioso i fulmini che squarciavano il cielo, illuminando per un istante la sua camera altrimenti completamente buia.
Il temporale infuriava scaricando una cascata d’acqua su Tokio, che infreddolita e spaventata si chiudeva su sé stessa mostrando il suo lato più vulnerabile. Le strade erano tappezzate da specchi d’acqua che silenziosi osservavano i pochi passanti correre  e affanarsi per trovare un riparo. Un vento freddo si abbatteva sulla città, scuotendo le chiome degli alberi con violenza. Le macchine si muovevano con cautela nella foschia, timorose e nella cecità più completa.
Kai, abituato al clima ben più rigido della Russia, non si era certo fatto impressionare da un po’ d’acqua. Anzi. La pioggia gli piaceva. Sembrava voler ripulire il mondo dallo sporco che lo ricopriva. Gli dava un sensazione di pace.
A Mosca era raro piovesse. Di solito a cadere dal cielo erano i delicati fiocchi di neve che, ben lungi dall’imitare la loro sorella pioggia, si attaccavano al suolo, ricoprendo di bianco la fredda e cinica Russia.
Barriere bianche si innalzavano sui marciapiedi, mentre il ghiaccio rendeva scivoloso e insidioso l’asfalto.
I moscoviti, fin troppo abituati alle nevicate improvvise, accendevano i camini e tiravano fuori i cappotti pesanti. Poi, armandosi di coraggio, affrontavano la tempesta lasciandosi dietro di loro il nido sicuro delle case.
Capitava persino, che interi paesi rimanessero isolati per settimane. Ma la gente era pronta. Preparata al peggio. Non si faceva certo sorprendere del gelo. Le macchine venivano sostituite, dalle più pratiche slitte, e tutti si adattavano.
Lui faceva parte di un popolo forte che da secoli lottava a mani nude contro madre natura. E ne era fiero.
Queta era anche la frase preferita di suo padre. Amava elogiare il suo popolo, a dispetto dei mille difetti che da sempre venivano accreditati alla popolazione russa. Era un uomo sincero e malgrado le sue origini nipponiche non si era mai sentito parte del Giappone. Suo padre lo aveva sempre ammesso; malgrado il suo aspetto fosse orientale, il suo cuore era completamente e indiscutibilmente della “Grande Madre Russia”.
Con la mente rivide i tratti dell’uomo che mai aveva potuto chiamare padre. Solo una foto gli permetteva di ricordarsene ancora il volto. Nulla però più che un’immagine sfocata che certo non gli rendeva giustizia. Ma gli bastava. Gli bastata per poter rivedere l’uomo che gli aveva dato la vita.
Lentamente Kai si alzò. Attraversò la camera immersa nella penombra, sfiorando con la punta delle dita le superfici dei numerosi oggetti che affollavano la stanza. Si fermò solo quando senti sotto i polpastrelli una stoffa ruvida. La sua valigia.
Con delicatezza aprì una delle tasche laterali, da cui estrasse una fotografia spiegazzata, dall’aria molto vecchia. Aveva i bordi strappati in più punti e gli mancava persino un angolo.
Raggiunse la finestra, illuminata a tratti dai lampi. Appoggiò le spalle al vetro, che freddo gli trasmise l’umidità che regnava fuori. A malapena distingueva le figure ritratta nella fotografia. Ma non ne aveva bisogno. Conosceva quell’immagine a memoria. Sulla destra un uomo di circa venticinque anni che, sorridendo, si passava una mano tra i capelli neri scompigliandoli. Con l’altro braccio cingeva la vita di una donna, che doveva avere un paio d’anni meno di lui. Era molto bella, con quel viso delicato incorniciato da lunghi capelli scuri. Ma la cosa che più colpiva erano i suoi occhi; due iridi violette simili alle ametiste.
Con un sorriso triste Kai accarezzò la foto, facendo scorrere le dita su quei volti felici, ignari di quel che il destino aveva in serbo per loro.
-Ciao mamma, ciao papà.-

 
 

 
Rieccoci qua!! Sempre noi: Fanny e Kim!
Con un ritardo terribile, è vero!! Chiediamo venia, ma è tutta colpa della scuola che si avvicina e dei suoi esami!! (non avevamo il tempo nemmeno per pensarci alla storia!)
Però ora siamo qui e promettiamo che d’ora in avanti ci impegneremo per pubblicare più velocemente: fate il tifo per noi!! :D
Siamo felici di aver ricevuto tante recensioni positive solo con il primo capitolo!! Siamo davvero commosse!! GRAZIE!! Speriamo che continuerete a seguirci!
Ma ora passiamo al capitolo: molte di voi pensavano che il famoso baciatore fosse Boris … sorry! Ma il nostro Bo avrà un altro ruolo nella storia (speriamo che non ne rimarrete deluse!) …^^
In ogni caso speriamo che la comparsa di Yuriy non vi abbia troppo deluso, ma davvero noi non riusciamo a vedere Yu esile e deboluccio!! ;)
Anche nel cartone superava Kai di un bel pezzo in altezza … (Kai: Cosa dite?! Io sono altissimo!! Fanny: Certo tesoro! Un gigante! **)
In questo capitolo abbiamo conosciuto un nuovo personaggio … il ragazzo della sala d’attesa … non ci vuole molto a capire chi è, comunque la “risposta definitiva” nel prossimo capitolo!! Sappiate in ogni caso che sarà un personaggio fondamentale per la storia (anche se non diciamo se in senso buono o cattivo ++!)
Speriamo comunque che anche questo capitolo vi sia piaciuto, perché dovrete prepararvi ai prossimi dove si entrerà nel vivo della storia!! ^^
Prima di lasciarvi  ringraziamo tutti quelli che ci hanno seguito: PICH SHROOMS, REFYIA, CHARLENE, PICCOLA KUZNESTOV, AKY IVANOV, SA 92, INAZUMAHANTIKCHAN e DARK HIWATARI.
E anche tutti i lettori che sono rimasti nell’ombra!! ;)
Un abbraccio a tutti quanti!!
Fanny e Kim

  
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