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Autore: forever young    24/08/2012    1 recensioni
Il fantasma di un amore perduto perseguita Grace, letteralmente. Che a soli diciannove anni crede che l'amore non potrà più appartenerle, che non può meritarselo.
Ma una persona, la più inaspettata al mondo, le accenderà la fiamma che credeva spenta.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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cap 1
01. Guilty








Grace giunse finalmente davanti alla porta dello studio.
Si chiese come si era fatta convincere ad andarci. Ma la risposta la sapeva già.
L'aveva fatto per sua madre.
Un conto era che lei stesse male per qualcuno, un altro era che qualcuno stesse male per lei. Non lo sopportava.
Perciò aveva fatto uno sforzo ed aveva ingoiato il dolore insieme alle lacrime. Aveva provato a ritornare normale ma non era stato sufficiente. Non per Amelia.
Allora ci aveva provato sul serio, non solo per sua madre e per Lynn, ma anche per se stessa.
Era stato inutile, per quanto ci provasse, sentiva un nodo all'altezza dello stomaco che non le permetteva di vivere normalmente.
Una parte era dovuto al senso di colpa per la morte di Alex.
L'altra parte ... era dovuto proprio a lui.
Le prime volte che lo aveva visto pensava d'avere le allucinazioni, di essere diventata pazza e lo credeva tutt'ora. Perchè non solo il suo defunto ragazzo le si rivelava ma le parlava anche. E non erano parle dolci e amorevoli quelle che si scambiavano.
Ogni volta che provava a non pensarlo, lui ritornava. Con quello sguardo di disprezzo e risentimento dicendole che era stata colpa sua se era morto.
Chiuse gli occhi per un momento ricacciando le lacrime indietro che già promettevano di uscire. L'ultima cosa che avrebbe voluto era farsi vedere da uno sconosciuto in quello stato.
E ricordò cosa successe due notti fa.
La presenza improvvisa di Alex l'aveva scossa nel profondo.

<< Non guardarmi così, ti prego >> singhiozzai nascondendo il viso tra le mani, sperando che se non lo avessi più guardato sarebbe sparito.
Ma no, lui era lì e non sembrava intenzionato ad andarsene.
<< Io ti amavo Alex, te lo giuro. Io ti amo >> dissi in un lamento mentre sentivo un forte dolore all'altezza del cuore.
Quasi sussultai all'ultima parola pensata. Il mio cuore era morto nello stesso momento in cui Alexander aveva lasciato questo mondo per sempre; ormai non batteva più, ne ero sicura. Eppure quella morsa soffocante lo stringeva tra le sue spire impedendomi anche di pensare per quanto la sofferenza era forte.
Perché tutto ciò era successo a me? Ero così felice e spensierata prima di quel dannato incidente.
Avevo una vita perfetta: un fidanzato che amavo e che mi amava, una amica a cui volevo bene più della mia stessa vita e la mia famiglia speciale. Perché tutto questo era sparito? Perché avevo insistito così tanto per andare a quella maledetta festa con lui? Perché non avevo ascoltato Lynn e non ero rimasta a casa sua, per chicchierare con lei di cose futili come quanto fosse figo questo attore o alla moda quel vestito? Perché ero stata così stupida da salire in quella fottuta macchina? Importava davvero tanto andare a quella festa per dimostrare di essere popolare?
Perché non ero morta io quella notte?

Sospirò e riaprì gli occhi soffermandosi sulla scritta adesiva della porta davanti a lei, che riportava un nome:

" 
Dr. Liam J. Knight "

Uno sconosciuto.
Fu tentata di girare i tacchi e levare le tende e fanculo alla segretaria che la guardava con curiosità dall'altra parte della stanza.
No, non poteva. Sua madre ci sarebbe rimasta male. lei credeva veramente che una specia di specialista del cervello l'avrebbe aiutata.
A Grace veniva da ridere.
La segretaria alzò le sopracciglia preoccupata seriamente per la salute mentale della neo-paziente che se ne stava lì impalata indecisa se piangere o mettersi a ridere.
La mora, innervosita dalle attenzioni di quella donna, si morse il labbro inferiore e si costrinse ad abbassare la maniglia dello studio.
Fece incerta alcuni passi in avanti e lasciò volontariamente la porta aperta alle sue spalle. Non per mancanza di educazione, ma perchè sperava in una via di fuga veloce.
Guardandosi attorno notò che la stanza era più piccola di quella precedente.
Più soffocante, pensò.
Non c'era nemmeno una piccola finestra. Nessuna luce naturale, solo quella artificiale e fredda del neon sulla sua testa.
Una pianta mezza spoglia e dalle foglie secche in un angolo.
Una carta da parati grigia e piuttosto triste.
Sembrava la descrizione del suo stato d'animo di quegli ultimi due mesi.
" Lei deve essere Grace Hope Sullivan. Si accomodi, prego. " le disse una voce maschile che proveniva da dietro una scrivania piena di fogli accatastati.
Sobbalzò quasi per lo spavento e si voltò a guardare l'uomo che non aveva nemmeno alzato lo sguardo verso di lei.
Guardò poi la poltroncina di fianco ed incerta si sedette.
Lo psicologo si alzò, improvvisamente, ed andò a chiudere la porta.
Grace sospirò rassegnata. Le aspettavano quarantacinque minuti di tortura.
Come avrebbe voluto che ci fosse stata Lynn con sè...


Lynn si accasciò a terra nascondendo il viso tra le mani. Le lacrime le scorrevano sulle guance e i singhiozzi le facevano tremare le spalle.
Era stanca, tremendamente stanca.
Non solo aveva dovuto sopportare la morte di una persona che amava ma, adesso, la sua migliore amica, sua sorella, era completamente impazzita. E questo era troppo, davvero troppo, da sopportare per una ragazza di appena diciannove anni come lei.
Aveva resistito quando aveva avuto la notizia che Alex -il suo amato Alex, il sempre solare e divertente Alex, così pieno di vita-  era morto a causa di un incidente d'auto. Doveva occuparsi di Grace, si era detta, lei di sicuro stava molto peggio e doveva sostenerla. E aveva resistito: aveva trattenuto le lacrime e  aveva finto di essere forte e allegra come sempre.
Ma come poteva, ora, sopportare di vedere l'altra persona che amava andare da uno strizzacervelli perché credeva di vedere il fantasma del suo fidanzato morto?
Si alzò dal pavimento e si trascinò in bagno per lavarsi il viso con dell'acqua fredda. 
Doveva resistere, sopportare, lottare contro tutto questo -si disse mentre guardava il suo pallido riflesso allo specchio- o sarebbe crollata per sempre anche lei.



Finalmente il Dr. Knight alzò il suo sguardo sulla paziente che si torturava le mani convulsamente.
La studiò tranquillamente mentre si risiedeva sulla sua sedia.
La ragazza faceva vagare, continuamente, gli occhi per tutta la stanza evitandolo. Era nervosa e preferiva essere da tutt'altra parte che qui, questo riusciva ad avvertire Liam.
Sospirò ed incominciò la seduta.
" Sono contento che alla fine tu sia venuta. Tua madre mi ha parlato di te e del tuo caso e non credeva di riuscire a convincerti a venire " le fece sorridendole.
Un sorriso forzato, di circostanza, che Grace detestò immediatamente.
Restò in pausa a valutarla, cosa che urtò la mora.
Forse si aspettava una risposta? Si chiese.
Grugnì in assenso non aggiungendo altro.
Liam, capendo che non avrebbe aggiunto altro, continuò.
" Allora ... ti va di parlare un po' della notte dell'incidente? "
Grace voltò il capo verso di lui guardandolo con disprezzo.
" Che ne dici invece se chiariamo la situazione!? " fece retorica la ragazza, parlando per la prima volta ed accavallò le gambe.
Lo psicologo scattò sorpreso ed incuriosito.
" Io ti pago, vengo a queste stupide sedute e non parliamo di niente. Così tutti sono più contenti. Io, tu e mia madre, che crede che tu possa aiutarmi. "
Liam si rilassò. Era di routine, da parte dei giovani che avevano subito traumi come quello di Grace, ricevere compromessi del genere. Ma lui aveva una dignità, non poteva accettare o non avrebbe poi potuto accettarsi come uomo.
" Non è così che funziona. Io voglio veramente aiutarti. "
" Vorrebbe dirmi che lo farebbe anche senza soldi?! " chiese ancora retorica e un po' ironica la mora.
" Cos'è che vuoi veramente, Grace? Essere lasciata in pace o voler ritornare a stare bene? " le domandò ignorando la sua provocazione.
La domanda doveva averla colpita, pensò Knight, guardandola esitare.
" Non mi sembra di averle dato il permesso di chiamarmi per nome. " fece infine testarda.
" D'accordo ... signorina Sullivan " Liam si passò una mano sugli occhi sfregando pollice e indice sulle palpebre. La seduta era appena iniziata e già si sentiva stanco al pensiero della lotta che -ne era sicuro- si sarebbe tenuta per la seguente ora. 
"Quella sarebbe stata una lunga giornata" si ritrovò a pensare guardando gli occhi scuri e pieni di rabbia repressa della ragazza davanti a lui.
" Non mi chiami così, non mi piace " sibilò acida Grace iniziando a controllarsi le unghie.
" Così non mi faciliti il compito di aiutarti " sussurò l'uomo passandosi una mano tra i  capelli castani e seguendo i movimenti della ragazza con gli occhi verdi.
" Non ho bisogno nè di aiuto, nè di lei " sentenziò incrociando le braccia.
" Questo lascialo stabilire a me ".
" E allora come pensa di fare? Qual è la sua tattica? " gli chiese scettica.
" Magari parlando del problema, sfogandoti... " iniziò ma Grace lo interruppe.
" Questo non risolverebbe niente, mi farebbe solo ammettere l'evidenza. Cioè, che il mio ragazzo è morto! " disse piccata.
" Sarebbe più semplice per te condividere il peso, il dolore e con piccoli passi  ... "
" Cosa? Potrò ritornare alla vita di prima? E' questo che cerca di dirmi? " lo interuppe ancora alterandosi. " Non succederà mai! " concluse fredda e quasi disperata.
Liam sperò di aver toccato il tasto giusto per capire cosa non andava in lei. Perchè, da quanto gli aveva riferito la madre di Grace e da quanto stava vedendo adesso, c'era qualcosa che la bloccava. Non era solo il dolore della perdita di un amato. Era come se ...
" Perchè no? Sei giovane, hai solo diciannove anni e un futuro davanti. Il dolore passerà, è solo questione di tempo. " 
Grace fece per parlare ma, non trovando parole,  richiuse la bocca con stizza.
Se fosse davvero così semplice...
Si ritrovò a pensare lei con tristezza.
Forse il tempo può cancellare le ferite, come afferma il Dr. Knight, ma il senso di colpa? ... No, quello ti rimane.
Liam osservò la mora che sembrava essersi calmata. Aspettò con pazienza la nuova reazione che avrebbe avuto.
" Ha mai perso una persona a lei cara? " gli domandò all'improvviso la mora cambiando tono di voce.
Liam se l'aspettava quella domanda. I pazienti avevano bisogno di qualcuno che li poteva capire.
" Si, mio padre. " Rispose senza nemmeno rifletterci.
" Com'è successo? " continuò Grace senza che ne fosse veramente interessata.
" Grace ... "
" Non le ho ancora detto che può chiamarmi così. "
Lo psicologo si trattenne dallo sbuffare spazientito. Lo stava facendo uscire pazzo ed era ironico visto che lui i pazzi li curava.
" Daccordo, allora, non ti chiamerò e basta. "  la accontentò  " Quello che volevo dire è che preferirei non cambiare argormento. Qui stiamo parlando di te, non di me. "
" Non sto, infatti, cambiando argomento. Voglio solo sapere come è morto. "
" Un infarto, due anni fa. " si ritrovò ad assecondarla ancora.
Knight pensava che avrebbe taciuto o che avrebbe iniziato ad aggredirlo di meno, ma non fu così.
" Il mio invece faceva il poliziotto. Gli hanno sparato ed è morto quando avevo quindici anni. "
Il dottore piegò la testa di lato.
" Dove vuoi arrivare? " le chiese.
" Vede, io amavo molto mio padre ma quando è morto io l'ho accettato
, come forse avrà fatto anche lei. Perchè sapevo che sarebbe potuto capitare e nonostante mi manchi ancora io sono andata avanti. "
" E allora perchè non riesci ad andare avanti dopo Alexander? Il suo è stato un incidente, poteva capitare a chiunque. "
" Si, ma io ne sono la causa.  E questo non si può cambiare con il tempo è una cosa che ti perseguita. "
Liam non seppe più chi fosse il dottore e chi il paziente.
Fu colpito da quelle parole, dal suo ragionamento. Ma non fiatò, voleva che lei si aprisse finalmente e che non si nascondesse dietro il suo muro.
" E' lei l'esperto, quindi mi dica come posso lasciarmelo alle spalle, come posso guardarmi ancora allo specchio sapendo che è stata colpa mia se è salito su quella dannata macchina, per collpa di un mio stupido capriccio!? " rispose Grace urlando e singhiozzando.
" Grace ... " iniziò Liam ma si fermò temendo che lei intervenisse ancora facendogli notare che lui non poteva ancora chiamarla per nome, ma la mora non fiatò limitandonsi a coprirsi gli occhi ormai stracolmi di lacrime.
Finalmente era riuscito a farla sfogare ma non ne fu soddisfatto come pensava, sentiva solo un nodo allo stomaco.
G
uardare quelli occhi lucidi e cupi, lo rattristò. Era una cosa che non capitava dai primi mesi in cui iniziò a lavorare.
Prendeva i problemi dei suoi pazienti molto più seriamente e non con la dovuta distanza e freddezza. Si era lasciato influenzare dalle emozioni. 
Poi, a distanza di cinque anni, era diventato uno psicologo eccellente. Riusciva a rimediare otto casi su dieci.
Ma adesso si sentiva come tornato a cinque anni prima. Si sentiva inesperto e influenzato dal caso di Grace.
Voleva capirla. Non solo perchè il lavoro glielo imponeva.
" Non è colpa tua. Non ... " non sapeva che altro aggiungere per alleviare il suo dolore.
Aveva capito che il problema  che la bloccava era il senso di colpa e doveva lavorarci su quello. 
Si alzò dal suo posto e si avvicinò alla poltroncina di Grace. Quest'ultima avvertendo lo spostamento voltò la testa dall'altra parte imbarazzata.
" Tieni. " sentì la voce del Dr. Knight troppo vicina e si turbò, soprattutto perchè adesso il suo tono era odiosamente comprensivo.
Con la coda dell'occhio vide che le porgeva un fazzoletto da taschino.
All'inizio, testarda com'era, l'aveva ignorato ma poi sentì la neccessità di asciugarsi il viso e afferrò con stizza il pezzo di stoffa senza nemmeno ringraziarlo.
Liam non si accorse della sua mano a mezz'aria che voleva poggiarsi sulla spalla della ragazza per confortarla. 
La ritirò immediatamente. Di sicuro lei non avrebbe gradito.
Un suono fece trasalire entrambi. Era un trillo proveniente dalla scrivania.
L'uomo si affrettò a spegnere il timer.
" Devo andare. " disse Grace alzandosi ed aggiustandosi le pieghe del vestito.
" Già. Però, Grace, torna a trovarmi daccordo? " le chiese ad un passo dalla porta.
Lei si voltò incrociando i loro occhi che parvero più grandi e tristi di quando era entrata.
" Devo! " rispose quasi assente sparendo poi oltre la soglia.
L'uomo andò a sedersi, sospirò e ripensò a quei malinconici occhi marroni.
  
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