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Autore: La Sarus    24/08/2012    1 recensioni
Questa è la mia prima fanfiction, quindi non so proprio come sarà il risultato finale...
Ho voluto semplicemente narrare come Roy arriva a scoprire e ad utilizzare la sua Alchimia di Fuoco.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Riza doveva decidersi a mettere ordine in quella casa: cominciò dalla sua camera. Aprì uno dei cassetti del suo comodino e rimase un attimo stranita: era vuoto e conteneva solo un piccolo biglietto. Lo sollevò e vide che era ricoperto di polvere. Soffiò per mandarla via. “Roy Mustang”. Adesso ricordava: era il biglietto da visita che gli aveva lasciato il giorno del funerale di suo padre. “Per qualsiasi cosa puoi rivolgerti alle autorità in qualunque momento” così le aveva detto. Restò un attimo ferma, in piedi, con quel fogliettino in mano e le tornarono in mente ancora le parole di Roy. “Se potrò essere utile a questo paese e riuscirò a proteggere la gente con queste mani allora credo che ne varrà la pena”. E lei? Che cosa avrebbe fatto della sua vita? Decise di conservare quel biglietto. “I suoi sogni sono meravigliosi” aveva risposto lei stessa a Mustang. Quel pomeriggio fu la prima volta che ci pensò: arruolarsi, ricominciare tutto da capo, poter essere utili al proprio paese… non era opzione da scartare.

L’alchimista e il cecchino.

Era un altro villaggio di Ishbar. “Sparare, metterli con le spalle al muro e bruciarli”, questo era quello che faceva ormai da tempo e che anche quel giorno avrebbe dovuto fare la squadra dell’Alchimista di Fuoco. Sì, ogni squadra ne aveva uno di alchimisti: erano una sicurezza in più, delle vere e proprie armi umane. La squadra avanzava nei vicoli facendosi terra bruciata attorno: gli spari riuscivano pure a coprire le urla degli abitanti. Il maggiore era indietro e seguiva la squadra un po’ più da lontano: a lui sarebbe spettato il lavoro sporco. Disfarsi degli ultimi, quelli che avevano fatto resistenza. Roy camminava nelle strade percependo l’odore pungente del sangue; l’unica consolazione era quella di non avere ancora l’uniforme impregnata del fetore di fuoco e carne umana bruciata. Dovette d’un tratto accelerare il passo e poi correre perché aveva senti che i suoi reclamavano il suo aiuto.. Abbandonò una delle strade principali per affacciarsi nel vicolo da cui proveniva il richiamo. Una decina dei suoi erano con le spalle al muro, senza via di fuga, accerchiati da una ventina di ishbariani, armati. Non avrebbe di certo potuto utilizzare le fiamme perché se non le avesse controllate perfettamente avrebbe rischiato di carbonizzare anche i suoi uomini. Iniziò a percorrere a grandi passi il vicolo lungo e stretto delimitato da abitazioni ormai vuote. Poi sentì il flebile rumore di uno sparo, come se provenisse dall’alto e da lontano. Alzò automaticamente lo sguardo per cercare l’appostamento del cecchino e subito dopo guardò in fondo al vicolo, dove quelli di Ishbar cadevano uno dopo l’altro. I nemici apparvero disorientati e cinque di loro si diressero correndo verso la fonte di quegli spari: la più alta torre del villaggio. Adesso i suoi potevano cavarsela perché gli Ishbariani continuavano a cadere sotto i loro colpi e quelli del cecchino. Il maggiore non esitò sul da farsi e si precipitò ad inseguire gli altri che si dirigevano verso la torre. Li avrebbe sorpresi con una fiammata alle spalle. Peccato solo che quelli erano già arrivati alla torre e, dopo aver abbattuto una porta di legno, forse chiusa dall’interno, iniziarono a salire verso la cima. Roy arrivò in quel punto dopo pochi secondi e si affacciò sulle scale che salivano a chiocciola. Portò avanti entrambe le braccia e schioccò le dita in modo che le sue fiamme potessero iniziare a salire su. Sperò solo che quei bastardi non fossero già arrivati in cima, almeno sarebbero potuti bruciare prima che le fiamme raggiungessero anche il cecchino.

L’afa del deserto arrivava fino alla cima di quella sporca torre, ma il cecchino doveva concentrarsi sui suoi obiettivi Inginocchiato prendeva la mira neanche in un secondo e sparava, ripetendo l’azione a continuativamente, come se si fosse fuso con la sua arma. Smise di sparare: quelli sotto adesso potevano cavarsela. Più di dieci li aveva buttati giù con i suoi proiettili. Sospirò, come se respirare profondamente potesse alleggerire il suo corpo vessato dalle fatiche di quella guerra. Tap, tap, tapSubitò tornò sull’attenti, voltandosi assieme al suo fucile: qualcuno stava salendo e sicuramente aveva sfondato la porta giù; non si preannunciava niente di buono.

Le gambe del maggiore seguirono il suo schiocco dita e così anche lui cominciò a salire il più velocemente possibile. Attorno a lui tutto era avvolto dalla luce rossa e intensa delle fiamme e faceva un caldo tremendo: si aprì la giacca dell’uniforme per non soffocare. Quel fuoco gli bruciava l’ossigeno e qualsiasi altra cosa si trovasse davanti. Voleva verificare che i nemici fossero stati uccisi. Sentì delle urla più in su e poco dopo ne vide tre agonizzanti nel fuoco. Li scavalcò con agilità per non incendiarsi lui stesso. Ne mancavano due all’appello: sfregò di nuovo il pollice e il medio per generare nuove fiamme alchemiche.

Delle urla tremende ruppero il ritmo dei passi degli sconosciuti. Sentì la temperatura della stanza innalzarsi vertiginosamente e il suo respiro si fece più affannoso. Prima che potesse muoversi la porta che dava sulle scale si spalancò violentemente e due corpi in fiamme sfiorarono la punta del suo fucile. Uno si accasciò subito a terra ma l’altro procedeva nella sua direzione. Con freddezza gli sparò in fronte e quell’uomo, se uomo poteva ancora dirsi, cadde di schiena. Il respiro era sempre più affannoso e la stana in fiamme. Doveva fuggire o sarebbe stata la fine.  

Roy continuò a correre ma le fiamme non avevano mutato di intensità: sicuramente erano arrivate in cima. Ed infatti un groviglio di fuoco avvolgeva l’angusto spazio che seguiva le scale: un ottimo appostamento per un cecchino, un pasto veloce per le sue fiamme. Tra quei guizzi rossastri il maggiore sentì tossire forte e intravide un corpo che ancora si muoveva avvolto da un’uniforme militare. Afferò il braccio del cecchino e lo tirò forte a se’, buttandosi giù a capofitto per le scale fino a raggiungere il vicolo lì sotto.

Cercava di stare al passo con lui ma quelle falcate erano troppo lunghe in confronto alle sue. Rischiò di cadere più volte ma il braccio del maggiore sostenne quel corpo scoordinato. In quei pochi secondi in cui scese le scale, avrebbe voluto avere la forza di impugnare meglio il suo fucile per ficcare una pallottola in testa a quel bastardo che la precedeva. Sì, le stava salvando la vita ma dentro di lei bruciava una delusione senza fine. Quell’Alchimia alla fine chissà contro quanti nemici era stata usata e chissà quanti ne aveva uccisi! Ma lei lo sapeva che fra i due la colpa era solo sua: l’ingenua ragazzina incantata da un cane dell’esercito che si spacciava per un eroe. Quella ragazza adesso non esisteva più: adesso dentro di lei c’era una donna, spietata e fredda. Carambolarono entrambi a terra quando arrivarono giù nel vicolo. Il cecchino si tirò subito in piedi, animato da una rabbia violenta e strattonò il maggiore per un braccio per alzarlo. Per un attimo il suo viso fu a pochi centimetri da quello di Roy. Gli stessi occhi del bambino di molti anni fa: non sarebbe riuscita a torcergli neppure un capello. Quando lui fu in piedi, sbigottito, se la ritrovò davanti mentre esibiva il suo saluto militare.

“Signore, le devo la vita, ma sappi che se lei non fosse un mio superiore avrei preferito prenderlo a pugni per ore.”

I muscoli di Roy si contrassero tutti contemporaneamente: due occhi color del grano segnati dalla forza bruta della guerra, ma comunque quegli occhi nocciola che lui già conosceva. Se ne era già scappata. Rimase lì, solo, con le narici piene dell’odore di fuoco, sangue e cenere, mentre un’onda di tristezzagli invadeva la mente trascinando via qualsiasi pensiero positivo. Si portò una mano guantata sul viso. “Sono un’idiota: ho deluso lei. Ho deluso il mio maestro”.

Riza correva anche se non vedeva dove si stava dirigendo. Nella sua mente aveva soltanto l’immagine dei suoi guanti d’accensione con il cerchio alchemico del fuoco, sentiva il suo braccio dolorante per la stretta ferrea di Roy, percepiva il suo sguardo ancora conficcato nel suo. Si era fatta ingannare: lui era come gli altri, come lei, un assassino. Continuò a correre finche non le scivolò via tutta quella rabbia di dosso.

Nota: non ho mai narrato scene d’azione perciò non so quale sia il risultato xD L’episodio me lo sono inventata di sana pianta e rappresenta l’incontro alternativo di Roy e Riza a Ishbar

  
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