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Autore: Eternal_Blizzard    25/08/2012    2 recensioni
Endou Mamoru non ha mai potuto possedere una sua squadra di pokèmon per i divieti imposti dalla madre, ma il suo sogno è da sempre seguire le orme del defunto nonno e diventare l'allenatore più forte del paese. Il suo intento è riuscire a creare la squadra migliore che possa fare, con l'aiuto dei suoi amici Handa Shin'Ichi e Someoka Ryuugo, inseparabili fin da bambini.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Goal #1 - Route 1

«Posso alzarmi?» domandò Endou, posando le bacchette con le quali aveva consumato il pasto preparato dalla madre. Sorridente, il padre rispose affermativamente, così che il ragazzo si sentì libero di farlo, andando all’ingresso ed infilandosi le scarpe per uscire. Non vedeva l’ora di correre dai suoi amici e giocare con i loro pokèmon, parlando delle squadre che avevano intenzione di mettere su e quant’altro, ma il suo entusiasmo era destinato a durare poco.
«Non voglio che li vedi, oggi» sentenziò la madre dalla tavola, senza nemmeno bisogno di voltarsi a guardarlo.
«Scusa, parli di Someoka e Handa? Perché non dovrei vederli?» domandò, avvicinandosi di qualche passo al centro della stanza, perplesso. La donna si limitò a sibilare un “perché no”, cosa che fece irrigidire il ragazzo. «”Perché no” non è una risposta, spiegami per favore..!» insistette, portandosi una mano al petto con vigore.
La madre si alzò da tavola iniziando a sparecchiare, scuotendo il capo. «Perché ho deciso così, un genitore non è tenuto a spiegare sempre ai figli le proprie scelte» spiegò, ancora nervosa per la scena vista quella mattina in camera del figlio. «Dovresti capire che è per il tuo bene, tesoro. Shin’Ichi e Ryuugo sono bravissimi ragazzi, ma hanno pur sempre tredici anni e quelli sono i loro primi pokèmon» iniziò a spiegare, sotto lo sguardo attento del figlio che, di tanto in tanto, annuiva. «Saranno, giustamente, eccitatissimi per la cosa, no? E se gli venisse voglia di provare a combattere tra di loro, così, per gioco? Un attacco potrebbe per sbaglio venire indirizzato a te e a quel punto che faresti, senza un tuo pokèmon a proteggerti peraltro?» domandò, andando a posare gli ultimi piatti nel lavandino e voltandosi a guardarlo, seria. Il ragazzino scosse il capo, decisamente poco convinto dalle ragioni della donna.
«Capirai! Saranno al livello cinque, conoscono massimo azione e ruggito! E poi sono abbastanza agile da evitare un eventuale attacco!» si lamentò, incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance. «E se è per l’essere “indifeso”, allora fatemi prendere un pokèmon, no?» tentò, sperando che per quella volta la risposta divenisse magicamente da “no” un “sì”.
«Non se ne parla nemmeno» replicò secca la genitrice.
«Ma perché?! Almeno spiegamelo, per favore!» continuò, ma ogni suo altro eventuale intervento fu bloccato sul nascere dal rumore che fece la mano della donna quando sbatté con violenza sul ripiano della cucina.
«Mamoru, ti ho detto di no e non si discute, punto!» concluse, iniziando a lavare i piatti intenzionata ad ignorare ogni altra protesta del figlio che, seccato, fece dietro front e si diresse svelto in camera sua, sbattendo la porta alle sue spalle. Afferrò un pallone a forma di pokèball e cominciò a fare qualche palleggio di testa per sbollire l’irritazione. Dopo i pokèmon, la cosa più bella del mondo era il calcio, decisamente. Anzi, forse erano anche allo stesso livello. Passata una decina di minuti decise di fermarsi, posando l’oggetto sferico ed avvicinandosi al ripiano dov’era riposta la foto di Endou Daisuke, il nonno che ammirava tanto, ma che non aveva mai conosciuto.
«Nonno… spiegamelo tu, per favore: perché la mamma ha così paura dei pokèmon? Da dove viene questo suo odio?» domandò guardando la fotografia come se quella fosse davvero la persona che raffigurava. «Sai, se io voglio diventare un allenatore è perché so che tu eri il migliore della regione… è così sbagliato che voglia seguire il tuo esempio e superarti?» gli domandò, ma poi si rispose da solo, scuotendo la testa. «Beh, secondo me no! Mamma esagera!» brontolò. Nonostante avesse chiuso la porta, si guardò intorno con aria furtiva, come se davvero in qualche angolo della sua stanza potesse celarsi una presenza diversa dalla sua e poi, appurato che nessuno lo poteva vedere, scansò la foto dietro la quale si trovava una vecchia e logora pokèball. «Sai, la mamma non sa che io ce l’ho» spiegò, indicando l’oggetto che ora teneva orgoglioso tra le mani. «L’ho trovata per caso nel capanno degli attrezzi in giardino quando avevo cinque anni… Certo, è piuttosto vecchiotta, ma a giudicare dall’”ED” inciso qui sulla parte bianca» indicò picchiettando con l’indice proprio sotto le due lettere, girando la sfera in modo che fossero ben visibili per l’individuo nella foto, «questa era tua, perciò ho deciso che quando catturerò il mio primo pokèmon, lo farò con questa!» affermò entusiasta. «Non è una fantastica idea?» chiese, ridacchiando. Alla sua risata però se ne aggiunse una seconda, più delicata. Mamoru si voltò verso la porta che non aveva sentito aprire e vi trovò affacciato il padre.
«Parlavi con il nonno?» domandò in un sorriso e l’altro annuì, nascondendo in fretta e furia l’oggetto ammaccato al suo posto. Il padre per fortuna non sembrò accorgersene, così il ragazzo si sedette sul pavimento e l’osservò interrogativo. «Volevo dirti una cosa sulla mamma…» sussurrò, entrando interamente nella stanza e richiudendosi delicatamente la porta alle spalle. «Sei arrabbiato con lei?» domandò e l’altro sembrò rifletterci un attimo, roteando gli occhi e storcendo la bocca. Scosse la testa.
«No. Però mi da fastidio che faccia così. Almeno, senza dirmi perché» ammise, incrociando le gambe.
«Lo capisco. A dire la verità, non ha mai detto nemmeno a me il perché di questa sua… chiamiamola fobia, nei confronti dei pokèmon» concesse, prendendo la sedia da sotto la scrivania del figlio e trascinandola accanto a lui, sedendovisi. «Tuttavia, credo sia legata proprio a tuo nonno. Magari stava combattendo di fronte a lei ed è rimasto ferito da un attacco, chissà?» optò, posando una mano sulla spalla di Mamoru, che non smetteva d’osservarlo interdetto. Non poteva essere per un motivo così futile, a suo avviso… «Oppure, è lei ad essere rimasta ferita, che dici? Se uno si mettesse a ragionare senza indizi verrebbero fuori un centinaio di ipotesi tutte plausibili, ma non si potrebbe sapere qual è quella esatta, se c’è» gli sorrise, ma il ragazzo davvero non capiva dove volesse andare a parare il genitore. Lo vide alzarsi e tornare vicino alla porta, che aprì. «Adesso, io parlo da profano e quindi potrei dire una stupidaggine, ma… Anche se io non mi sono mai interessato ai pokèmon, non credo che siano pericolosi. Più che altro dipende da chi li controlla, ma il mondo è pieno di brave persone, quindi non c’è da preoccuparsi» annuì. «A maggior ragione, puoi stare tranquillo con quelli dei tuoi due amici, perciò va’ pure a giocare con loro, che con la mamma metto una buona parola io» ammiccò pacato, mentre il figlio sgranava gli occhi e spalancava la bocca, incredulo. Si alzò con talmente tanta foga che per poco non ricadde per terra di naso e, con un balzo, abbracciò euforico il padre, ridendo.
«Grazie papà, sei il migliore!» esultò, precipitandosi giù per le scale senza pensarci due volte. Corse più forte che poteva, così da limitare i minuti di ritardo fatti e ben presto si ritrovò di fronte ai due compagni, vagamente annoiati dall’aspettare, seppur per poco. Non che ci volesse molto a raggiungerli, ovunque si trovassero, poiché la loro città, Raimon City, era abbastanza piccola. Vi abitavano le loro tre famiglie, vi si trovava un ex laboratorio pokèmon divenuto ristorante e diverse altre case, ma la maggior parte era vuota o abitata da allenatori di pokèmon in pensione oppure persone che non ne avevano mai allenati in vita loro. Sorridente, il ragazzo alzò il pollice verso i due amici, che ricambiarono il sorriso.
«Non credevo che tua madre ti avrebbe fatto venire, oggi» ammise Shin’Ichi, seduto sulla staccionata che dalla loro cittadella portava al primo – ed unico – percorso percorribile per raggiungere altre città, villaggi o quel che c’era al di là di un mare di erba alta ed incolta che, da quanto ne sapevano, esisteva da generazioni e non mutava mai con il passare degli anni. «Meglio così, no?» domandò retorico, alzandosi. Someoka, dal canto suo, era già in piedi, con la schiena ed un piede appoggiati ad un albero, mentre teneva le mani dietro la nuca.
«Senza offesa, ma tua madre ci sono delle volte che mi spaventa davvero…» disse sincero il ragazzo, guardando altrove per il leggero imbarazzo dovuto all’affermazione appena fatta. Quando sentì Endou ridere, arrossì. «Cosa c’è di così divertente?!» domandò, staccandosi dall’albero e piantando con forza il piede sollevato nel terreno.
«Che vuoi che ti dica? Sarò abituato» ridacchiò facendo spallucce. «In realtà è una donna tanto dolce, le voglio molto bene» dichiarò, per poi rabbrividire. «Però se si arrabbia fa paura davvero, lo ammetto…»
I tre s’incamminarono tranquilli per la cittadina, chiacchierando con serenità. Venne fuori che Someoka non intendeva diventare un allenatore qualsiasi, ma voleva essere un maestoso e potente domadraghi. Handa, invece, non aveva preferenze sul tipo, né tanto meno aveva pretese esorbitanti: gli bastava essere un allenatore forte, che non venisse battuto dal primo “Willy Bullo” che gli si presentava davanti, ma probabilmente non avrebbe mai puntato ad un obbiettivo semi impossibile come diventare asso del parco lotta. Fu lì che nacque una discussione tra i due neo allenatori, siccome il ragazzo dalla testa rosa decise di rivolgere un commento poco carino ai pokèmon di tipo normale, considerati da lui i pokèmon più deboli ed inutili. Avendo un Eevee, Handa si sentì giustamente chiamato in causa e, con tranquillità, difese il proprio pokèmon e con lui tutti gli altri dello stesso tipo, ma sentendo che Someoka non era intenzionato a smettere di denigrarli, perse le staffe, dichiarando di non voler più allenare alla buona i pokèmon che incontrava, ma di volersi specializzare e diventare un maestro dei pokèmon di tipo normale. Del resto, erano deboli al tipo lotta, ma erano immuni a quelli di tipo spettro e peraltro potevano imparare mosse di diverso tipo. Sì, avrebbe dimostrato a Someoka che si sbagliava. Inutile dire che, con il carattere irritabile che si trovava, non ci volle molto perché anche l’altro s’infuriasse.
«Andiamo, ragazzi, non c’è bisogno di prendersela così!» li separò Endou, frapponendosi tra i due, che si premevano con forza la fronte l’uno contro quella dell’altro. «Dovreste sapere che ogni pokèmon è magnifico e unico sotto ogni suo aspetto! Non importa il tipo, possono essere tutti imbattibili!» decretò, straconvinto. Gli altri due non poterono che staccarsi, lanciandosi un’ultima occhiata torva. «Pace?» domandò allora il ragazzo con l’immancabile fascia arancione in testa, mentre prendeva le mani dei ragazzi e le avvicinava. Con un sospiro, Handa porse la mano a Someoka, che, dopo un attimo di titubanza, l’afferrò e la stinse.
«Non ce n’era bisogno, non siamo più bambini…» si lamentò il futuro domadraghi, mentre il castano storse le labbra, annuendo concorde.
«Perfetto!» ne sorrise compiaciuto il ragazzo senza pokèmon. Ripresero a camminare, ma rimasero a lungo in silenzio: Endou trotterellando felice ripensando ancora alla sorpresa di quando i suoi amici gli avevano presentato Max ed Axew, sinceramente contento per loro; gli altri due rabbuiandosi un poco. Si lanciarono un’occhiata rapida, e quando uno scosse il capo, l’altro parve contrariato, ma finì con il sospirare dal naso ed annuire. Fu Handa però a rompere il silenzio, mentre camminava con lo sguardo basso, rivolto sui suoi piedi.
«Endou, davvero non puoi convincere tua madre a prendere un pokèmon?» quella domanda gli uscì quasi spontanea, senza che lui fosse davvero intenzionato a farla, tanto che se ne stupì da solo, alzando gli occhi di scatto, preoccupato di aver toccato un tasto doloroso. Mamoru lo guardò, tranquillamente, e poi prese un bel respiro, scuotendo la testa.
«Non credo…» ammise, ma poi si portò un pugno all’altezza del viso, con il fuoco negli occhi. «Ma state certi che prima o poi la convincerò! Non mi importa come, non mi importa quando, io ce la farò!» dichiarò sicuro, ma venne smontato dalla repentina risposta di Ryuugo.
«Però importa a noi, il quando…» asserì, fermandosi. Gli altri due lo imitarono, voltandosi a guardarlo. Mentre Handa sospirò, Endou parve non capire. «A pranzo io ho parlato con i miei genitori e, a sua detta, lui con i suoi» iniziò a spiegare Someoka, ammiccando in direzione di Shin’Ichi. Mentre parlava, Endou si era voltato a guardare l’espressione dell’altro castano, che parve a disagio, ma poi tornò a concentrarsi sul rosato. «Ci hanno detto che, ora che abbiamo un pokèmon, se volessimo potremmo partire per un viaggio per conto nostro» affermò aggrottando le sopracciglia. All’amico brillarono gli occhi.
«Beh? E non è forse una notizia meravigliosa?!» saltò, circondando le spalle di Handa, che per lui era il più vicino, con un braccio. «Sono contentissimo!» dichiarò euforico, ma il ragazzo abbracciato da lui scosse la testa.
«Ci eravamo ripromessi di partire insieme, se mai avessimo avuto tutti un pokèmon…» sussurrò, dispiaciuto.
«E qual è il problema? Partite lo stesso, no? Poi vi raggiungo!» domandò. «Riuscirò a convincere mia madre, è questione di…» evitò di dire giorni, in quanto sapevano bene tutti e tre che fosse impossibile. Rifletté se potesse dire liberamente “mesi”, ma non era affatto sicuro, vista la testardaggine della madre e sicuramente dire “anni” non avrebbe aiutato nessuno. «…di tempo» disse sia agli altri che a se stesso.
«Ma non capisci, Endou?!» sbottò Someoka con la sua voce dura e rauca. «Abbiamo tredici anni! Ci sono ragazzini che partono a sette o dieci anni!» ringhiò.
«Non è quello il fatto, Someoka» intervenne Shin’Ichi. «C’è anche chi parte a venti o chi non parte, che vuol dire…» scosse la testa, liberandosi del braccio di Endou, rimasto ancora intorno al suo collo. «Certo, è vero che vorremmo partite presto, ma…» iniziò, portando una mano sulla pokèball che aveva assicurato alla cintura. «Senza di te non sarebbe lo stesso, non avrebbe senso. In questa città non c’era l’ombra di un pokèmon quand’eravamo piccoli, ricordi? Sei tu che ci hai convinto ad interessarci a loro seriamente e che ci hai spinti a convincere i nostri genitori!» ricordò, portandosi una mano dietro la testa, massaggiandosi la nuca.
«Ma a voi già piacevano, no?» replicò Endou, interrogativo.
«Sì, ma è merito tuo se adesso abbiamo Max e Axew» ribatté il castano. «A noi piacevano, come hai detto, ma vivendo qui dove nessuno ha più un pokèmon ci aveva… come dire…»
«Demoralizzati» irruppe Someoka, con un grugnito. «Nessuno ne aveva e nemmeno noi. Sinceramente, non li trovavamo più così interessanti… o sbaglio?» chiese conferma lanciando una rapida occhiata ad Handa, che scosse la testa dandogli ragione. «Poi un bel giorno sei arrivato tu e ci è tornata tutta la passione, quindi come puoi chiederci di lasciarti indietro?» borbottò, distogliendo lo sguardo. «Se adesso siamo qui è grazie a te» decretò. Endou aveva seguito attentamente tutto ciò che i due amici gli avevano confessato e spiegato, stupito di se stesso. Era vero, come avrebbero potuto partire separatamente? Se l’erano promesso. “Tutti e tre un pokèmon, tutti e tre in partenza” si erano detti. Abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, muovendo la testa in un cenno d’assenso molto lento, che però si velocizzò in fretta finché non si fermò quando il ragazzo puntò lo sguardo improvvisamente serio dentro quello degli altri due.
«Convincerò mia madre oggi stesso. Non voglio essere di peso a nessuno, oggi avrò il mio primo pokèmon e partiremo! O, male che vada, domani!» dichiarò iniziando a correre verso casa propria, non lasciando nemmeno il tempo agli amici di rispondere qualcosa, come il fatto che nessuno, per esempio, lo considerava un peso, anzi. Entrò fiondandosi in casa spalancando la porta di colpo nemmeno dovesse comunicare l’arrivo degli alieni lì nella loro cittadina e fece per dirigersi spedito in cucina, ma frenò di colpo notando con la coda dell’occhio che i genitori si trovavano in salone. Evitò di perdere l’equilibrio per la frenata improvvisa e balzò attraverso la porta della stanza dove si trovavano i due, sistemati su due cuscini di fronte la televisione. Si voltarono entrambi, l’uomo sorridente e la donna, sconsolata, alzando un dito.
«Mamoru, non c’è bisogno che tu dica nu-» iniziò a dire, ma fu repentinamente bloccata dal figlio.
«No, mamma! Ascoltami un attimo, ti devo parlare seriamente!» disse con tono deciso, ma fu a sua volta interrotto da Atsuko, che alzò la voce e portò il dito ancora più in alto.
«No, ascolta tu, Mamoru! Ti stavo dicendo che non hai bisogno di dire nulla, so che vuoi continuare a chiederci un pokèmon!» sbottò per non far riprendere il ragazzino a blaterare e vedendo che quello aveva finalmente intenzione di rimanere in silenzio ricominciò a parlare, ma con tono calmo. «Prima ho parlato con papà. Poi ho sentito i genitori sia di Ryuugo che di Shin’Ichi… ed ho pensato molto» dichiarò sotto lo sguardo attento e speranzoso più che mai del ragazzo. Iniziò una lunga e silenziosa pausa, durante la quale la donna si guardava le mani dando le spalle a Mamoru, il quale non ne poteva più di aspettare il seguito del discorso. Non capiva dove volesse arrivare; dato il preambolo le opzioni erano due: o acconsentiva a dargli un pokèmon, oppure non gliene avrebbe mai concesso uno. Quelle erano le uniche soluzioni che riusciva a concepire in quel momento. Strinse e rilasciò più volte i pugni, con il cuore in gola, ma il silenzio non sembrava volersi spezzare a meno che non fosse proprio lui a infrangerlo. Aprì la bocca ormai secca per la tensione che sentiva addosso, ma neanche a farlo apposta fu Atsuko a parlare, dicendo solo due misere parole. «Va bene» sentenziò.
E lì, ricadde un silenzio tombale.
La reazione di Mamoru non fu immediata come quella avuta poco tempo prima, quando il padre gli aveva concesso la libera uscita. Al contrario fu dannatamente lenta: dapprima, la bocca socchiusa, sgranò lentamente gli occhi, come si muovesse al rallentatore. Passati quegli attimi di incredulità, iniziò ad elaborare le informazioni ricevute, seppur striminzite, e le recepì; questo fece mutare la sua espressione, portandolo ad allargare, sempre molto lentamente come a soppesare il tutto, le labbra ormai piegate in un sorriso smagliante a trentadue denti. Le strinse più forte che poteva per non iniziare a ridere con euforia e decise, prima di esternare la sua gioia, di volersi accertare di aver inteso alla perfezione quel “va bene”. «Cosa, mamma? Esattamente… cos’è, che va bene?» chiese, cercando di mantenere la voce più ferma possibile. In risposta la donna sospirò e si voltò, mostrando un sorriso piuttosto dolce mentre gli si avvicinava. Lanciò un’ultima occhiata ad un oggetto che teneva nascosto tra le mani e sospirò una seconda volta.
«Va bene, avrai il tuo primo pokèmon, Mamoru» sentenziò, mentre osservava il sorriso già enorme farsi ancor più grande sul suo volto. «Alla condizione» riprese, dura, vedendo che quello stava per saltarle al collo e urlare dalla gioia, «che parti con Handa e Someoka. E che tu stia attento. E che-» fu bloccata da un rapido susseguirsi di “sì” di Mamoru, che l’abbracciò più forte che poteva gridando un a dir poco euforico “grazie”. Il tutto, sotto lo sguardo dolce e sereno del padre, che non si era mosso dal suo cuscino, felice anche solo di poter vedere il figlio così contento. «Tieni» aggiunse solo la donna, liberandosi dal suo abbraccio e porgendogli l’oggetto che teneva in mano: una pokèball rovinata. Endou sgranò gli occhi, afferrandola di colpo e la rigirò per controllarne la parte bianca; le lettere “ED” erano ben visibili.
«Tu… tu lo sapevi, mamma?!» domandò incredulo, indietreggiando di un passo timoroso di uno scatto d’ira della genitrice, che però si limitò ad annuire rassegnata.
«Cos’è, speravi che non me ne accorgessi? Non sei abbastanza furbo da fregare tua madre, tesoro» decretò, mentre il figlio si grattava la testa, fissando l’oggetto non più perfettamente sferico da anni e prendendolo delicatamente in mano. Alzò lo sguardo su Atsuko, che indicò la porta. «Su, cammina! Vai al laboratorio, ristorante o quello che è e fatti dare un pokèmon!» ordinò superiore ed è inutile dire che il castano scattò. Corse come un forsennato – non faceva altro, quel giorno – e ben presto arrivò di fronte alla costruzione più grande della città. Con il cuore a mille e un’espressione gioiosa che ancora non si decideva a lasciare il suo viso si apprestò ad entrare, ma si fermò appena si sentì chiamare alle spalle. Voltandosi notò i suoi due amici che lo guardavano piuttosto perplessi.
«Perché stai entrando nel ris-» prima che Shin’Ichi potesse finire la sua domanda, Endou era già saltato di fronte ai due, afferrando le mani di entrambi e scuotendole con agitazione.
«Sì! Ha detto di sì! Non ci crederete mai! Ha detto di sì!» esultò. Appena collegato il “ha detto di sì” al “chi” e al “cosa”, Handa sgranò gli occhi e sorrise tanto quanto l’altro ragazzo, esultando con lui, mentre Someoka gli dava diverse pacche sulle spalle, soddisfatto della notizia.
«Grandissimo, Endou!» disse, smettendo di percuoterlo. «E quindi? Che pokèmon avrai?» chiese, curioso.
«Eh…» annuì in risposta l’altro, che però poi fece spallucce. «Boh? Stavo proprio entrando per chiederne uno!» spiegò, indicando con il pollice l’edificio dietro di sé. Handa inclinò il capo, allungando l’occhio per guardare bene la costruzione ed inarcò un sopracciglio. Quel posto smerciava pokèmon?
«Scusa, non è un ristorante? Mia madre ha detto che non ci sono pokèmon lì da quando ha smesso di essere un laboratorio. Qualcosa come…» aggrottò le sopracciglia, per aiutarsi a ricordare. «Ah, sì, quarant’anni fa circa» annuì. Il ragazzo senza pokèmon si passò l’indice sotto il naso, dubbioso.
«Dici? Mah, io provo comunque…» bofonchiò. Come si suol dire, “tentar non nuoce”. «Mi accompagnate dentro?» chiese, iniziando ad aprire la porta che aveva raggiunto con pochi passi. Gli altri due si guardarono rapidamente e poi fecero spallucce.
«Perché no?» acconsentì il domadraghi esordiente, avvicinandoglisi seguito a ruota da Handa. Entrando notarono che il ristorante non brulicava di gente, al contrario. Al suo interno si trovavano giusto un paio di clienti e il cuoco ai fornelli, che non li degnò di uno sguardo. Aveva l’aria decisamente burbera, sotto quei suoi occhiali tondi da sole e le folte sopracciglia bianche che teneva aggrottate mentre affettava le cipolle.
«Ci scusi… potrebbe aiutarci?» domandò Endou, accostandosi al bancone. Era tutta una vita che abitavano lì, eppure nessuno dei tre aveva mai messo piede in quel ristorante. Il cuoco non diede una risposta immediata, ma dopo qualche istante, senza voltarsi a guardarlo, gli domandò cosa potesse fare per lui. Quello sorrise e si sporse sul bancone. «Ecco, questo un tempo era un laboratorio pokèmon, giusto? Mi chiedevo se potesse darmi un pokèmon per partire per l’avventura!» dichiarò entusiasta, ma il cuoco non parve dargli ascolto.
«Ti sei risposto da solo. Questo era un laboratorio. Come puoi vedere, adesso non lo è più» replicò apatico dopo un paio di minuti. Quella risposta deluse il ragazzo, che però non volle demordere.
«Beh, ma qualche vecchio pokèmon sarà anche rimasto, no? Mica li avrete buttati o che so io!» tentò, ma l’altro scosse la testa, voltandosi seccato.
«Ragazzo, qui c’erano pokèmon quarant’anni fa. Se non vuoi mangiare niente, sei pregato di andartene insieme ai tuoi amichetti» sbuffò, ammiccando all’uscita. Fece per rigirarsi, ma la sua attenzione fu catturata dalla pokèball che Endou si apprestò a tirare fuori dalla tasca, fissandola imbronciato. Sgranò gli occhi.
«Ma senza pokèmon non posso andare sulla Route 1!» si lamentò. Shin’Ichi inclinò la testa, osservando poco convinto l’oggetto, dandogli un colpetto con il dito indice.
«Endou… Cosa..? Con questa faresti ben poco, basta un Bidoof che te la frantuma…» commentò, sentendosi rispondere che al contrario era perfettamente resistente perché in passato aveva tenuto al suo interno chissà quale dei sei migliori pokèmon di suo nonno.
«Mah, se sei contento… basta che regga» si unì Someoka, scettico quanto Handa.
«Ragazzo» li interruppe il cuoco, lasciando i fornelli e spostandosi di fronte a loro, seppur dalla parte opposta del bancone. «Posso?» domandò afferrando la sfera con la sua manona. La rimirò per diversi istanti a bocca aperta e poi, con un’espressione indecifrabile la porse nuovamente al giovane. «Devo dedurre, da questa sfera e dal tuo discorso di prima che sei il nipote di Daisuke?» domandò, facendo sobbalzare Endou, che annuì con veemenza.
«Conosci mio nonno?!» domandò incredulo, mentre Handa lo rimproverava di dargli del lei, anche se al cuoco parve non importare. «Quindi sapresti dirmi anche che pokèmon conteneva questa sfera?!» chiese, forse con troppa foga perché l’anziano gli premette la mano in testa, con forza.
«Vedi di darti una calmata» l’ammonì. «Comunque, ho visto che è quella marcata “ED”, quindi era quella contenente il suo pokèmon preferito e compagno più fidato» annuì. Ad ogni parola gli occhi di Endou brillavano sempre più.
«Quindi… puoi dirmi che pokèmon era?!» insistette, ma venne ignorato. Il signore di grattò il mento sotto la spessa barba e rimuginò diversi minuti, osservando il soffitto. Quando spostò nuovamente lo sguardo sul ragazzo gli spuntò un mezzo sorriso in viso.
«Tu sei sicuro di volere un pokèmon, eh?» domandò. In risposta non ottenne alcun “sì” ben scandito vocalmente, ma il cenno di conferma di Mamoru, accompagnato dalla serietà che in quel momento aveva preso possesso del suo sguardo, gli furono più che sufficienti. Osservò i due ragazzi rimasti in silenzio, da dopo la conversazione sulla pokèball ammaccata. «E voi? Avete già un vostro pokèmon?». Entrambi annuirono.
«Un Eevee» confermò Shin’Ichi.
«E io un Axew» concluse Ryuugo.
«Però. Accoppiata interessante…». L’uomo tornò con gli occhi sul nipote di Daisuke. «E tu? Ti va bene uno starter qualsiasi oppure ne vuoi uno classico di tipo fuoco, erba o acqua?»
«Non ho preferenze sul tipo… Per quanto mi riguarda, andrebbe bene anche un Pidove» ammise, facendo spallucce. Lui amava i pokèmon in generale, perché in ognuno sapeva trovare i pregi e non vedere solo i difetti. «Perché? Stai dicendo che quindi nello sgabuzzino o non so dove hai dei pokèmon?!» esultò, convinto di poter finalmente ricevere il tanto agognato mostriciattolo, ma il barbuto scosse la testa.
«Mi spiace deluderti, ma qui dietro, nello “sgabuzzino”, come lo chiami tu, son rimasti solo i macchinari. Niente pokèmon» spiegò, asciugandosi le mani sul proprio grembiule. Afferrò il suo telefono e borbottò qualcosa su come quei macchinari ormai sarebbero dovuti essere arrugginiti e quindi inutilizzabili, mentre componeva un numero. Quando si portò il telefono all’orecchio Mamoru fece per domandare qualcosa, ma fu fermato dall’uomo con un gesto della mano che l’intimava a stare in silenzio. «Onigawara? Sono Hibiki… Sì, non ci sentiamo da un po’…» parlò, annuendo. «Non ci crederai mai, ma ho qui il nipote di Daisuke. Già. Già. Sì, come no. Ascolta, non è che potresti mandarmi quello? Sì. Sì. Esatto, sempre qui. D’accordo allora, ti ringrazio, ci si sente» concluse ed attaccò. «Ragazzo… Se hai la pazienza di aspettare un giorno o due, arriverà qui il pokèmon perfetto per te» spiegò. «Rispetto molto tuo nonno, ragazzo, quindi sono proprio curioso di vedere che traguardi raggiungerai…» ammise con un mezzo sorriso, ma il ragazzo ricambiò facendone uno intero e smagliante.
«Ovviamente diventerò un allenatore eccellente come lui! Non ci sono dubbi!» affermò con convinzione. L’uomo inarcò un sopracciglio e non trattenne una sonora risata.
«D’accordo, staremo a vedere» annuì, riavvicinandosi ai fornelli. «Adesso però, se non volete mangiare, sparite, altrimenti vi butto fuori io a calci» ordinò, burbero come l’orso quale sembrava e i tre eseguirono immediatamente, correndo fuori dal locale vagamente spaventati. Si fermarono appena sentirono la porta chiudersi e sospirarono.
«Allora, sei contento? Presto avrai il tuo primo pokèmon!» gli diede un pugnetto sulla spalla il ragazzo dalla boccia rosa, soddisfatto per la notizia data all’amico, che però non sembrava appagato appieno.
«Non mi va di aspettare tanto… E poi, finché non avrò un pokèmon mamma non mi permetterà mai nemmeno di avvicinarmi all’erba della Route 1!» borbottò, picchiettandosi con il dito indice sul mento.
«Beh, c’è poco da fare… Per un giorno o due non moriremo…» disse Handa con nonchalance, facendo per andarsene. «Adesso io devo andare, ma ci vediamo… non so, o stasera o direttamente domani, ci si vede!» salutò, incamminandosi poi verso casa sua con le mani portate dietro la nuca. Gli fu concesso di muovere solo pochi passi, perché ben presto Endou gli fu dietro, afferrandolo per il colletto.
«Aspettate. Mi è appena venuta un’idea…» sorrise il castano, trascinando Shin’Ichi al punto di partenza. «Mia madre ha detto che avrei avuto il mio pokèmon, adesso, giusto? Eppure, non ha specificato come…» iniziò, venendo interrotto da un sospiro del ragazzo dagli occhi marroni.
«Sei sicuro? Non mi sembra una donna che parli in modo “vago”…» bofonchiò, ma venne ignorato agitando una mano all’aria, come a sottolineare che non era un problema.
«Anche se fosse, non ha importanza» disse semplicemente. «Il punto è che io, a differenza vostra, ho una pokèball vuota!» dichiarò prendendola in mano, ma gli altri non capirono. Sapevano che aveva quella… cosa, dato che al ristorante l’aveva mostrata tutto fiero. «Potremmo fare un salto rapido nell’erba laggiù» disse indicando il percorso visibile anche da lì, «e io tirerei la sfera al primo pokèmon che incontriamo, tanto qui son tutti debolissimi. Fosse anche un Pidove, non mi lamenterei!» affermò, suscitando una risatina di Handa.
«E due. Cos’è, un messaggio implicito per dirci che vuoi un Pidove?» scosse la testa.
«Per me si può fare» acconsentì Ryuugo, stringendo una mano a pugno. «E poi se il pokèmon non dovesse entrare subito nella sfera, noi potremmo tramortirlo con Eevee e Axew, così faremmo anche un incontro di prova!» propose, tirando fuori la sfera contenente il piccolo draghetto. Endou batté le mani contento dell’idea e rivolse lo sguardo all’ultimo ragazzo rimasto calmo, che li guardava scettico. Storse le labbra, ma poi le piegò in un sorriso, annuendo. Essendo tutti e tre convinti e abbastanza carichi, si diressero a passo svelto e deciso verso il percorso erboso, con il cuore a mille. Era vero che non vi si potevano trovare pokèmon diversi da Rattata, Bidoof o chi per loro, ma se si voleva partire per l’avventura, bisognava per forza percorrere quella strada e nonostante loro non stessero partendo sul serio, l’emozione era grande. I genitori gli avevano sempre proibito di avvicinarsi a quell’erba, ma ora eccoli lì, pronti a catturare un pokèmon. Handa e Someoka fecero uscire i rispettivi compagni dalle sfere, per precauzione, ed aprirono la strada all’amico senza pokèmon, che camminava tranquillo e guardingo, sperando di trovare presto un qualsiasi mostriciattolo. Quella speranza fu presto accolta, poiché l’attenzione dei tre ragazzi e dei due pokèmon fu catturata da un rumore alla loro destra. Si voltarono tutti di scatto e videro apparire un piccolo topo viola, che annusava l’aria, attento ad ogni loro movimento.
«Eccolo! Lui sarà il mio primo pokèmon!» esultò Endou, additandolo.
«…no, sul serio vuoi un Rattata?» chiese dubbioso il ragazzo dalla pelle più scura.
«Rattata sarà quel è, ma i Raticate sono forti…» brontolò Shin’Ichi, ricordandosi della discussione avuta poche ore prima sul tipo dei pokèmon.
«Certo che lo voglio!» rispose il futuro neo allenatore, non badando ai toni degli amici. «Adesso lancio la sfera, se il Rattata esce… beh, mi affido a voi!» ridacchiò, voltandosi un istante per guardare sorridente i due ragazzi alle sue spalle, ma tornando subito con lo sguardo al topino viola. Era il momento. Con il cuore a mille si apprestò a lanciare la sfera ammaccata che colpì in pieno il Rattata, il quale, invece che esserne risucchiato, fece un salto all’indietro spaventato. Rimase all’erta per decidere se fosse meglio fuggire o attaccare quegli umani.
«…scusa, anche se poi si fosse liberato…» iniziò Handa.
«…la sfera non avrebbe dovuto risucchiarlo, per qualche secondo?» concluse Someoka.
Endou non seppe che rispondere, andando a raccogliere l’oggetto rimasto a terra. Era evidentemente deluso: non poteva credere che la sfera di suo nonno non funzionasse. Che Handa avesse ragione e non fosse più utilizzabile? Al pensiero sentì un groppo in gola, ma prima che potesse toccare la pokèball per tirarla via dal suolo, quella vibrò qualche istante e si aprì, liberando un fascio rosso che si modellò sulla forma di un pokèmon più grande sia di Axew che di Max. i tre ragazzi sgranarono gli occhi.
«La sfera..!» boccheggiò il padrone dell’Eevee.
«Conteneva un pokèmon..?!» sobbalzò il compagno di Axew.
«Quindi non è vero che non funzionava!» gioì il nipote di Daisuke, mente gli occhi brillavano per l’eccitazione. Eccolo, il fascio di luce iniziò a svanire e ben presto mostrò nella sua interezza quello che dal padrone del ristorante era stato definito il pokèmon preferito di Endou Daisuke, un enorme ragno giallo e blu. «Questo è… un Galvantula..?»


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FUUUUUUUUUUUH. Scrivere fic sui pokèmon è un'agonia, per me @_____@ Eppure,e cco qua il primo vero capitolo (?) della mia pokèzuma *esausta*. L'avrei postato prima, ma tra l'ask di tumblr, commissioni, fic su kakuryuu e tsurugi dovute alla visione del film e fic su Handa... e il terzo capitolo di "A year after"... (stasera le posterò entrambe ma chissene imposta) non ho avuto tempo- O meglio, avevo scritto quattro pagine del primo capitolo, dopo il proglogo! Poi ne ho scritta un'altra e mezza. E ora ho finito, con un totale di nove pagine scritte piccole, ma vabbè. Spero solo ch enon vi annoi..! D:
Allooooora, la scelta di un Galvantula ha un senso, nella mia capoccia bacata, quindi... se serve, lo spiegherò, ma adesso, per non allungare troppo il brodo, voglio solo dire che i titoli dei vari capitoli saranno tutti i "goal" di Endou e compagni (parola scelta perché la fic andrà avanti per "obbiettivi", ossia i goal, come ben saprete. Che poi ci sia un riferimento al calcio è pura casualità [citazione necessaria]) e quindi spesso avranno a che fare con gli obbiettivi da allenatore, oppure, più semplicemente le città. ...e a tal proposito. So che Raimon City (e future) è un nome stupido, ma... Raimontopoli non l'avrei mai usato. Così come per le altre città/squadre. pls. ...ok, siccome sto letterlmente morendo dal caldo, mi do allegramente :°D Spero solo che questo capitolo - dove ancora non accade nulla, se non l'arrivo del primo pokèmon di Endou - non abbia annoiato nessuno e vogliate continuare a leggere! ><

Ryka
  
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