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Autore: ashley_    25/08/2012    1 recensioni
Ero innamorata anche della pioggia che ormai non mi infastidiva neanche più. Ero innamorata di tutto lì, sembrava di essere in una fiaba.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Mi voltai velocemente. Stava quasi per cadermi il caffè. Il mio sguardo passò dalla mano che mi teneva il polso, al viso di questa persona. Non parlai, cercai Bea con lo sguardo, ma era già fuori, probabilmente. Tutto questo in una frazione di secondi. E si potrebbe anche morire in una frazione di secondi.
Hey, come va?” Fu la prima volta che lo sentii parlare velocemente. Per istinto, mi liberai subito dalla presa. Poi sorrisi, infondo volevo evitare di fare, per l’ennesima volta, la pazza. “Bene, grazie.” Mi sentivo una stupida, avevo entrambe le mani occupate da buste e in una di queste c’era una torta che sarebbe dovuta andare in frigo già da un po’. Avevo uno chignon troppo alto, la matita sbavata e il cappuccio della felpa al contrario. Una rincoglionita, insomma.
Ti serve una mano?” riprese subito dopo. “No, non preoccuparti, ce la faccio.” Finii giusto la frase e la borsa che era sulla mia spalla scivolò lungo il braccio,  facendomi sobbalzare. Rise di me. Prese le buste dalla mia mano destra e mi aprì la porta. “Prego…” Cazzo, tra tante buste, doveva prendere proprio quella col cuscino, dove c’era anche la sua faccia? Ma dai. Uscimmo e lui iniziò a camminare. “Dove stai andando?” Aveva le mie buste, avevo il diritto di saperlo. “L’altra volta hai detto di abitare a due passi da qui, ti accompagno.” Ok, non potevo ricommettere lo stesso errore. “Come vuoi” risposi. Mi incazzavo con me stessa quando facevo così, volevo sempre tenere un’aria da altezzosa. Ma quello non era un ragazzo qualunque.
Davvero, non so spiegare cosa provavo in quel momento. Una cosa però mi stava infastidendo: il cellulare. Lo sentivo vibrare ogni minuto. Lo presi dalla tasca posteriore del jeans e mi erano arrivati una trentina di messaggi, tutti i miei amici che mi davano gli auguri. Che carini. Ma non era proprio il momento. Misi il silenzioso, ma in quel preciso istante Bea mi scrisse. Non mi stava mandando gli auguri lei, non credo. “Vedendo che eri in buona compagnia, sono tornata a casa. Fa la brava.” Che stupida. Fa la brava? A malapena riuscivo a respirare. Riposai subito il cellulare. Dovevo forse scusarmi con lui? Dovevo aprire io il discorso?
Mi tolse presto ogni preoccupazione.
Ehm, come stanno andando le vacanze? Ti piace Londra?” Ok, quest’argomento mi piaceva. “Benissimo. Ho sempre sognato di venire qui, è una splendida città, mia nonna me l’ha sempre detto.” H: “Già, tua nonna è inglese…” Si ricordava. Io: “Si, e questa è casa sua.” Eravamo arrivati e gli indicai quella splendida dimora.  Fu incredibile. Quando percorrevo quella strada da sola, sembrava di non arrivare mai, quando invece ero in compagnia, non facevamo neanche in tempo a scambiarci due parole. “Quindi sei arrivata, sono davvero due passi” Appena disse questo, feci per riprendermi le buste. Ma come potevo farmi scappare anche quest’occasione, infondo era il mio compleanno. Quella stupida vocina mi urlava: “Fallo entrare! Fallo entrare!” Okay, okay. No. Presi le buste e: “Grazie per l’aiuto.” H: “Figurati, allora…ciao!” io: “Ciao.” Presi le chiavi dalla borsa e mi voltai verso la porta. “Che cazzo stai facendo Taylor? Se ne sta andando!” Ancora quella stupida voce nella mia stupida testa. “Hey aspetta!” Si era già allontanato, dovetti urlare. Mi sentì e subito si girò, pur non tornando indietro e stando in silenzio. “Oggi è il mio compleanno, qui dentro c’è una torta – alzai la busta dove c’era quel favoloso dolce – ti va di mangiarne una fettina?” Sembravo una gallina spennata ad urlare in quel modo, ma ce l’avevo fatta e non potevo crederci. Sorrise e tornò indietro senza dire una parola. Feci un respiro profondo e entrammo, ero pronta a tutto con Bea in casa.
Sono a casa e non sono sola!” Lo aggiunsi subito dopo, non si sa mai. “Non dirmi che l’hai portato!” Lui ovviamente non stava capendo assolutamente niente e continuava a guardarmi strano.
Accomodati pure dove ti pare.” Ero abbastanza imbarazzata. Lui si sedette sul divano del salotto. “Carina la casa, molto accogliente.” Trovai la forza di parlare dopo quel sorriso: “Si, lo dico sempre anch’io – ma aggiunsi subito in italiano – Bea scendi che mangiamo la torta!
Dopo due minuti lui si alzò dal divano e mi si avvicinò: “Hai detto che è il tuo compleanno e non ti ho nemmeno dato gli auguri? Che sbadato, scusa!” Okay, Taylor, scappa! Scappa ora! Gli auguri si danno con i baci sulla guancia e io ero troppo giovane per morire, il giorno del mio compleanno poi! Ma non potevo scappare da casa mia. Sorrisi e feci la tranquilla, ma probabilmente avevo il viso cadaverico. Mi diede un bacio su entrambe le guancie e io risposi con una voce talmente sottile, fioca e bassa che forse non mi sentì: “Grazie.” H: “Quanti anni compi?” Io: “Diciotto” Avevo l’aria soddisfatta.
Bea scese, e io le chiesi a bassa voce, molto gentilmente, di non cantarmi nessuna canzonicina. La situazione sarebbe diventata critica. Lei accennò un si, ma ero ancora preoccupata che lo facesse. Alla fine, mi risparmiò. Mangiammo la torta, Harry mi fece i complimenti per quanto fosse bella e buona e chiacchierammo anche d’altro, solo io e lui, quindi in inglese. Tant’è che Bea si mise nell’altra stanza al telefono con un’altra nostra amica, non ne poteva più evidentemente di far finta di capire una lingua che non era la sua.
Si fecero le 22:30 e per le abitudini inglesi, non era esattamente presto, non essendo Venerdì. Guardò l’orologio e sgranò gli occhi. “Oh, io devo andare, è tardissimo!” Pensai subito che mi stava scaricando, nella mia casa, tra l’altro. Ci alzammo entrambi dal divano, posammo i bicchieri sul tavolo e lo accompagnai alla porta. “Ma adesso sei a piedi?” Esatto, era a piedi. “Si, ma fa niente, abito qui vicino eh!” Che cosa? Io e Harry Styles eravamo, momentaneamente, vicini di casa? Io: “Oh, okay, sicuro?” H: “Sono sicuro di dove abito, si.” Ridemmo entrambi, ma lui si fece stranamente serio dopo un secondo e ricominciò: “Domani nel primo pomeriggio che hai da fare?” Niente! Ero lì in vacanza. Cosa avevo da fare? Niente. “Non so, devo parlare con Bea, non vorrei lasciarla sola.” Bea m’avrebbe uccisa, dopo questa. “Oh, okay. Ehm, beh, il mio numero ce l’hai, fammi sapere.” Eravamo alla porta. Io: “Okay.” Ma ripresi subito: “Volevo giusto dirti una cosa riguardo quel giorno. Ecco, devi sapere che non è facile e io sono un poco isterica, ma solo  certe volte, in casi rari, tipo questo.” Mi interruppe: “Non fa niente, tranquilla Taylor!” Ma ormai avevo attaccato la macchinetta, doveva lasciarmi finire: “No Harry, fammi finire. Forse, m’hai presa per pazza, ma non volevo fare quella scenata inutile, alla fine non avevi fatto niente di che – pausa – insomma, quello che voglio dire è: scusa.” Mi diede un bacio sulla guancia, il terzo della serata e mi diede la buonanotte.
Indietreggiai fino ad entrare in casa e chiusi la porta.
Di sicuro, non scorderò mai il mio diciottesimo compleanno.  
  
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