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Autore: x_Dana    25/08/2012    1 recensioni
Brevi storie tratte da varie canzoni del gruppo Power metal "Sonata Arctica". Il tema delle canzoni, e quindi delle storie, è prevalentemente drammatico, romantico e introspettivo.
Genere: Romantico, Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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shy
Shy


Non ricordo bene come arrivai al Citylight la prima volta, nemmeno ricordo l'anno preciso, ma ricordo bene il periodo: era Novembre,  la pioggia scrosciava senza pietà formando rivoli per le strade acciottolate e la luce del sole era ormai un ricordo lontano e impreciso.
Entrai nel locale in cerca di riparo, ricordo che il locale mi colpì appunto per la sua assenza di peculiarità; tutto  rigorosamente in legno scuro e le imbottiture di sedie e divanetti erano di un porpora sbiadito dal troppo uso.
Ordinai un caffè, questo me lo ricordo, scuro e amaro, per poi affondare la testa nel quotidiano e assaporarne il sapore di carta stampata da poco.
Non alzai il volto quando la cameriera mi lasciò la tazza, un pò ingiallita, sul tavolo di legno scuro; quando finalmente mi decisi a ringraziarla scorsi solo i capelli che ondeggiando le coprivano il viso sottile.
Ricordo benissimo il tuffo al cuore e tutte le sensazioni contrastanti che provai, quello scorcio di pelle candida su di uno zigomo appuntito mi perseguitò per giorni prima che ritrovai il coraggio di tornare al Citylight.
Il locale era troppo vicino alla sua casa, non riuscivo a credere che dopo anni fosse finalmente tornata senza dirlo a nessuno, ma la dolorosa speranza che fosse vero mi attanagliava le viscere nel modo più totale.
Ho sempre pensato che sarebbe venuta da me se fossietornata, solo ora capisco quanto mi sbagliavo su entrambe le cose.
Quando tornai al Citylight non badai affatto a tutti i dettagli che di solito mi piace notare: i cuscini lisi, le scritte incise sui tavoli di legno, le tende bruciacchiate e le file di alcolici impolverati dietro al bancone; il mio sguardo vagava irrequieto per locale in cerca della sua chioma rosso scuro.
Quasi ridevo, nascosto  dietro alla mia pagina di cronaca, stavo cercando in una donna rossa quella che da ragazzina aveva sempre avuto i capelli di un pece così profondo da ricordare il buio di quando il sole sparisce dal mondo per mesi.
Alla fine il suo corpo ondeggiava veramente vicino al tavolo al quale ero seduto, non ricordo di aver mai girato lo sguardo così velocemente; l'immagine del lampo che riuscì a vedere fuori dalla finestra appannata rimase impressa nei miei occhi per ore.
Non riuscì a guardarla nemmeno quando le ordinai il solito caffè, speravo di sentire la sua voce, magari mi avrebbe esortato a guardarla e io mi sarei sentito libero di alzare lo sguardo e di scoprire se sopra quello zigomo c'erano davvero degli occhi color ghiaccio.
Non potevo reggere il pensiero di poter essere deluso nel vedere altri occhi che non fossero i suoi e al contempo non volevo scoprire se lei veramente era tornata senza venire da me.
Presi l'abitudine di ordinare direttamente al bancone, dove stava una prosperosa ragazza mora con delle graziose efelidi sul naso, poi mi sedevo vicino alla colonna di legno liscio e affondavo il viso nel giornale.
Ogni giorno mi fermavo fino a tardi, quando uscivo la strada era talmente impregnata di pioggia che riusciva persino ad inumidirmi gli stivali pesanti, non ricordo di averci mai badato poichè il mio cuore e la mia mente erano troppo impegnati a rimproverarsi di non aver guardato nemmeno quella volta.
Un giorno mi decisi ed entrai di fretta nel locale, il primo passo sul pavimento di legno fu talmente pesante da far girare parecchi volti; sorrisi in modo cortese e tutti distolsero l'attenzione, di nuovo non cercai il suo sguardo, ma non me ne preoccupai.
Con fierezza stavo seduto al tavolo, il giornale appoggiato davanti a me e non rialzato come al solito, pronto ad essere usato come scudo per proteggermi dall'illusione dei suoi occhi.
Infine era davanti a me e il mio sguardo era inchiodato sui titoli di testa, come se questi mi legassero la nuca in modo che non potessi distogliere lo sguardo.
Alzai lo sguardo solo quando lei si voltò per tornare dietro al bancone e prepararmi l'ordinazione, fu in quel momento che la mia mente mi giocò lo scherzo più sporco di tutti: avrei giurato di averla vista girarsi, veloce come il lampo che vidi giorni prima, e schiacciare l'occhio nella mia direzione.
Rimasi imbambolato per quelle che mi parvero ore, nemmeno mi accorsi quando l'altra donna mi appoggiò il caffè davanti regalandomi anche, credo, un ampio sorriso.
Non poteva veramente essere la mia Dana, lei non sarebbe tornata senza avvertirmi, presi il coraggio ed alzai gli occhi mentre serviva un gruppo di persone lontano da me.
Il suo sorriso solare, vagamente malizioso, mi faceva venir voglia di fuggire e piangere per ore, poichè non era indirizzato a me.
L'ennesima sera al Citylight, tenevo senza ormai alcuna speranza gli occhi puntati sul giornale, in ogni caso, sembrava stare bene e quegli anni non dovevano essere stati difficili per lei, lontana da casa, come avevo temuto e, infondo, sperato.
Mi ritrovai a scribacchiare sul fondo pagina qualche parola sconnessa, la mia penna era mezza scarica e più che altro grattava la carta col rumore fastidioso di chi vuole parlare ma non ha più voce.

"Morirei ancora per te, ogni giorno"

Non presi nemmeno in considerazione l'idea di farglielo trovare nel piattino del caffè, semplicemente lo gettai nel cestino più vicino prima di andarmene nuovamente sotto la pioggia.
Le stesse scene si ripetevano da settimane ormai e il mio povero cuore già affaticato dalla sua scomparsa temeva in una ricaduta, non riuscivo a staccarmi dalla speranza che una sera, prima di chiudere, mi avrebbe chiamato almeno per dirmi che stavo dimenticando il capello sul tavolo.
Ricordo l'ultima sera che mi ritrovai al Citylight dopo un vagare poco convinto, la strada di ciottoli era stranamente asciutta e nel cielo le stelle erano finalmente prive delle nuvole che le avevano coperte per mesi.
Il solito tavolo era libero e aspettai con pazienza il suo arrivo per ordinarle la solita tazza ingiallita, colma di caffè nero, sentivo i suoi passi farsi vicini e il cuore mi esplodeva nel petto come al solito.
Sapevo che lei si sentiva sempre il mio sguardo sulla schiena, e temevo per l'idea che poteva farsi, ma speravo in una sua parola e in una sua esortazione a guardarla, a dirle il mio nome. Speravo nuovamente in un suo occhiolino nell'allontanarsi e volevo a tutti i costi poterle chiedere se era lei, se era veramente tornata, forse per restare.
Il cuore mi batteva così forte quando alzai lo sguardo, che credetti di morire.
Vidi dei lunghi capelli biondi davanti a me, e un sorriso timido.




  
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