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Autore: Aurora_Boreale    26/08/2012    6 recensioni
Johel, abitante di Arcobaleno, ha da pochi giorni compiuto venticinque anni. Secondo la legge del suo mondo, il ragazzo ha raggiunto l'età per scegliere la sua anima gemella. Non importa che essa sia una ragazza o un ragazzo; non importa se provenga da Rostgard, il primo pianeta che vortica attorno ad Arcobaleno, o da Blue Moon, il pianeta d'origine della madre. L'importante è che il candidato – o la candidata – sia un Figlio dell'Arcobaleno. Johel è pronto per fare la sua Scelta...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo1

Note: Che emozione, pubblico la mia prima Original!
Avevo iniziato a scrivere questa storia per il contest 'Alla luce delle stelle' indetto da FOY_Contest (con il prompt e parola: Arcobaleno - Farfalle). Purtroppo, non sono riuscita a concluderla in tempo e quindi non ho partecipato. Pazienza, vorrà dire che i giudici sarete voi lettori^^. Dato che si tratta della mia prima Original, ci tengo particolarmente. Spero vi piaccia!
Buona lettura.
Aury

P.S. Il bellissimo banner è stato fatto da YUKO CHAN e il servizio è offerto da 'EFP editing'. 


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Capitolo 1

Arcobaleno

Johel, terzogenito del Signore di Palazzo Indaco, aveva da pochi giorni compiuto venticinque anni, indi per cui era giunto per lui il momento della Scelta. Tale Scelta consisteva nel fatto di andare in cerca della propria anima gemella. Era una delle tradizioni più importanti di Arcobaleno e Johel, in quanto suo abitante, non poteva sottrarsi a ciò. Per tale motivo il ragazzo se ne stava rinchiuso da ore nell’immensa biblioteca della propria dimora, intento a consultare uno ad uno i candidati disponibili, sotto il controllo vigile della sorella maggiore.
Johel stava iniziando a perdere la pazienza, che già di norma non era molta. Quasi nessuno dei giovani che aveva visto fino a quel momento aveva attratto il suo interesse e il fatto lo stava portando a un livello di irritazione sempre maggiore. Lanciò un’occhiata veloce al di fuori della finestra: il cielo era meravigliosamente terso, perfetto per volare. Oh, quanto avrebbe desiderato trovarsi sul dorso del suo drago, invece che in quella stanza stracolma solo di libri.
“Johel!” lo richiamò la voce di Yane. “Non ti distrarre!”
L’interpellato emise un gemito pieno di frustrazione, infilando le mani nei folti capelli neri. Dio, odiava quell’arpia! Perché diavolo suo padre l’aveva affidato a lei? Non poteva esserci Luca lì? Già, Luca, il primogenito, tanto responsabile quanto posato e gentile. Oh, Johel sapeva che suo fratello non lo avrebbe mai tiranneggiato a quel modo; gli avrebbe lasciato più libertà, la possibilità di fare almeno delle pause e… Johel ne avrebbe approfittato senza concludere nulla! Ne era conscio lui, così come gli altri componenti della sua famiglia; ecco perché suo padre aveva optato per Yane, l’unica con un carattere tale da essere in grado di farlo stare in riga.
Riportato ai suoi doveri dal monito di Yane, scrutò con aria assorta i piccoli globi variopinti che non aveva ancora preso in considerazione e infine optò per uno di colore carminio.
Sfruttando il potere della telecinesi, Johel fece ballonzolare nell’aria la sfera prescelta, la fece rimanere in sospensione per un po’, poi, con uno schiocco secco delle dita, la attivò. Il globo baluginò, proiettando nella stanza l’immagine onirica di una ragazza proveniente dal Regno di Fuoco, il primo pianeta. La fanciulla aveva lunghi capelli neri, pelle color cioccolato e due iridi rosse tipiche degli abitanti di Rostgard; era slanciata e flessuosa, con curve armoniose nei punti giusti. Johel la ammirò come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo della sua età che si trova davanti a una bella ragazza. I suoi occhi blu si soffermarono sul seno alto e sodo, esaltato dal corto corpetto damascato, per poi slittare sul ventre nudo fino ad incontrare l’orlo dorato degli ampi pantaloni di lino, che nascondevano la forma delle sue gambe. Johel le immaginò lunghe e ben modellate, soprattutto sapendo che le donne di Rostgard erano trattate alla pari degli uomini e quindi anch’esse venivano allenate all’arte della spada fin dalla tenera età.
“È molto bella.” La constatazione era arrivata da Yane.
Johel alzò un sopracciglio, in attesa: sapeva che sua sorella non aveva finito; di solito i suoi complimenti erano sempre seguiti da un’affermazione pungente.
“Però mi sembra essere troppo altera e piena di sé.”
A quelle parole, Johel rise di cuore. “Yane, ma quale abitante del primo pianeta non lo è? Sai bene che è una loro peculiarità quella di sentirsi superiori agli altri.”
Yane fece una smorfia scocciata, scrollando le spalle con aria di sufficienza. “Contento tu, fratellino.”
Johel non si fece ingannare. Certo, la scelta della sua futura compagna o futuro compagno era solo sua, ma era conscio che Yane l’avrebbe tormentato fino alla nausea se avesse optato per qualcuno a lei poco gradito. Essendo l’unica figlia femmina, era stata sempre viziata, di conseguenza non ci si poteva stupire del suo atteggiamento dispotico. Nonostante quell’aspetto antipatico del suo carattere, Yane era anche estremamente gentile e disponibile con coloro che rientravano nelle sue simpatie.

Dopo aver fatto sparire la ragazza di Rostgard, con un sospiro Johel si decise ad attivare un’altra sfera; questa era di un bel blu elettrico, segno che proveniva da Blue Moon, il pianeta d’origine della madre.
Yane batté le mani in maniera entusiasta appena scorse l’immagine tridimensionale della nuova candidata. “Lei mi sta simpatica!”
Il fratello annuì, concorde.
La fanciulla mostrava un viso solare e dolce al contempo; era anche molto graziosa, presentando le caratteristiche tipiche del Popolo del Mare: capelli argentei e mossi come le onde, occhi di un vivido azzurro e carnagione pallida. Se doveva essere sincero con se stesso, Johel trovava più intrigante l’aspetto degli abitanti di Rostgard, ma sapeva altrettanto bene che la loro bellezza era accompagnata da un carattere piuttosto difficile e belligerante.
“Come ti chiami?”
La ragazza sorrise prima di rispondere. “Irwin, mio signore.”
La candidata era una pura emanazione magica di quella in carne e ossa, però la fisionomia e gli atteggiamenti rispecchiavano quella reale, in modo tale che ogni giovane di Arcobaleno al momento della Scelta potesse dare il suo giudizio senza la necessità di allontanarsi dal pianeta.
“Irwin,” ripeté Johel, assaporando tra le labbra la musicalità di quel nome. “Mostrami dove abiti, Irwin.”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. 
La sfera blu che aveva racchiuso la sua identità brillò intensamente e poi tutto nella sala della biblioteca mutò; le mura scomparvero, insieme ai libri disposti sulle scaffalature, così come le sedie e i tavoli da lettura. Johel e Yane si ritrovarono su una spiaggia di sabbia bianca, impalpabile come zucchero a velo. L’aria odorava di salsedine e un mare turchese si stagliava all’orizzonte, cangiante di riflessi argentei sotto i caldi raggi solari.
“Questa è la Baia delle Sirene,” disse Irwin, indicando con un cenno vago della mano la zona circostante. “Fa parte dell’isola di Crònos, una delle isole commerciali.”
Johel inspirò a pieni polmoni: quel luogo aveva un sapore di libertà.
Blue Moon era un pianeta costituito prevalentemente d’acqua e i suoi abitanti vivevano sulle numerose isole presenti. Era gente semplice e di indole mite, dedita alla pesca, alla coltivazione di piccoli appezzamenti terrieri e al commercio. Johel amava Blue Moon e non solo perché era il pianeta d’origine della madre.
“Quindi presumo che i tuoi genitori siano commercianti?”
Irwin sorrise in maniera dolcissima e Johel pensò che fosse una buona cosa che la ragazza fosse tanto solare.
“Sì, vendono pietre preziose.”
“Beh, hai visto abbastanza, Johel? Possiamo andare?” chiese Yane con voce lamentosa, interrompendo subito quello scambio di informazioni.
Il ragazzo represse a fatica un’esclamazione alla vista della sorella che tentava di preservare dalla sabbia gli orli del lungo abito che indossava. Alzò gli occhi al cielo, quasi incredulo di avere dei geni in comune con lei. Ma alla fine di cosa si stupiva? Yane era sempre stata la più schizzinosa della famiglia. Con la coda dell’occhio notò Irwin nascondere un sorrisino divertito dietro ad una mano, ma lui non poteva di certo darle torto. Il comportamento della sorella era assurdo, visto che quel luogo non era reale, ma solo un parto delle reminiscenze di Irwin.
“Va bene così, Irwin,” mormorò Johel, onde evitare altre lamentele.
Neanche un battito di ciglia dopo, si trovarono nuovamente nella sala austera della biblioteca.
Johel sospirò. Si sentiva soffocare lì dentro, nonostante l’immensità della stanza, ma nemmeno la camera più grande del palazzo si sarebbe potuta comparare con gli spazi sconfinati di Arcobaleno. “Bene,” affermò con una certa risolutezza, “direi che posso fare un primo viaggio.”
Yane spalancò le palpebre a quelle parole. “Ma hai visionato la metà delle sfere,” disse con voce concitata. “E hai ritenuto idonei solo due soggetti,” aggiunse in fretta, indicando prima Irwin e poi Zac, il ragazzo di Arstgard, che se ne stava seduto su una sedia facendo roteare in aria, con espressione svogliata, un piccolo pugnale affilato.
Johel fece spallucce. “Beh, intanto posso andare a conoscere loro due. Più avanti darò un’occhiata anche alle altre sfere. Dopotutto ho la possibilità fare tre incontri, no?”
“Sì, ma sai bene che il primo è quello importante. Oltre ai gusti personali, c’è anche in gioco un bilanciamento di tipo magico.” La risposta della sorella fu sferzante. Senza lasciare all’altro il tempo di replicare, andò avanti imperterrita. “Il modo corretto di agire è quello di visionare prima tutte le sfere e poi scegliere in base a quello che provi. La tua magia dovrebbe reagire di fronte alla persona giusta.”
Il giovane strinse le labbra in una linea sottile. “Yane, il mio potere magico non è abbastanza elevato perché ciò avvenga.”
La ragazza gli rivolse un’occhiata velenosa. “Se ti fossi applicato di più nello studio, lo sarebbe a sufficienza. Ma no, tu preferivi passare il tempo a volare su quella stupida bestia, invece che esercitarti sul tuo potere, vero?”
“Sarabi non è stupida!” sbottò di rimando Johel alzando il tono della voce. Se c’era una cosa che lo faceva subito incazzare era quando qualcuno offendeva il suo drago. “Anzi, sono convinto che sia molto più intelligente di te!”
Il viso solitamente pallido di Yane si arrossò per la collera. Afferrando saldamente i bordi del tavolo tanto che le nocche le divennero bianche, si concentrò per rilasciare il suo potere contro il fratello. A differenza dell’altro, lei si era esercitata per lunghi anni per averne un pieno controllo.
Johel notò subito gli occhi della sorella divenire di un viola brillante, fissandosi decisi su di lui. Il suo corpo si irrigidì appena ne intuì le intenzioni. “Yane,” provò a chiamarla, “non ti azzardare a...”
Non riuscì a concludere la frase, poiché la sua stessa mano destra lo schiaffeggiò forte sulla guancia, lasciandolo sbalordito.
“Yane!” gridò oltraggiato. Odiava il potere magico della sorella, che le permetteva di controllare gli altri come se fossero dei burattini. Oh, e odiava ancora di più l’espressione vittoriosa che quell’arpia esibiva in quel momento.
Johel digrignò i denti; la rabbia di essere magicamente più debole di lei, unita alla frustrazione di essere ancora rinchiuso tra quelle mura, lo portò ad una soluzione drastica del problema. Sua sorella insisteva sul fatto che dovesse guardare tutte le sfere? Benissimo! L’avrebbe fatto, ma a modo suo.
Con un ghigno ben poco raccomandabile, fissò l’attenzione sul gruppo di globi che non aveva ancora preso in considerazione: era circa una trentina. Diede un’occhiata alla camera, senza avvedersi dello sguardo stranito di Yane per quel suo improvviso silenzio.
Adesso ti accontento, sorella, pensò con una punta di soddisfazione. Fece levitare le sfere fino al centro del salone, disponendole in un ordine del tutto casuale, poi schioccò le dita al fine di attivarle. Tutte in contemporanea. La stanza si affollò per la presenza dei restanti candidati.
“Johel!” eruppe Yane a quell’azione sconsiderata. “Ti sembra il caso...”
“Seguo le tue istruzioni,” rispose il fratello con aria angelica.
A tale affermazione, Yane non seppe più come argomentare. Rassegnata, si accomodò sulla sedia e lasciò all’altro la possibilità di continuare come meglio preferiva. Anche se quello non era di sicuro il modo migliore di procedere, almeno suo fratello avrebbe visto tutti i possibili compagni.
Johel diede un’occhiata veloce ai giovani nella speranza di trovarne qualcuno di suo gusto. I candidati presenti provenivano dai sette pianeti che gravitavano attorno ad Arcobaleno. La loro peculiarità consisteva nel fatto che ognuno di loro era nato nel momento esatto in cui nel cielo era comparso un arcobaleno e, per tale motivo, erano chiamati i Figli dell’Arcobaleno.

Johel era tanto concentrato in quel compito che sobbalzò nel percepire una mano ferma posarsi sulla sua spalla. Dopo aver sollevato lo sguardo, notò che si trattava di Zac, l’unico candidato che aveva attratto il suo interesse insieme ad Irwin. Il ragazzo gli rivolse un pigro sorriso prima di avvicinare il viso al suo orecchio. “Bella mossa, mio signore,” mormorò in un soffio.
Johel trattenne il respiro al suono suadente di quella voce; il fiato di Zac era tiepido, le labbra morbide e appena umide quando si appoggiarono sul suo padiglione, mentre il suo odore sapeva di muschio e di pioggia. Il cuore di Johel prese a martellare a un ritmo più incalzante sotto a quegli stimoli sensoriali. Avvertì la lama del pugnale di Zac scorrere lungo la sua coscia e quel movimento gli provocò dei brividi freddi per tutto il corpo.
Come quell’approccio era iniziato, allo stesso modo finì: d’improvviso Zac arrestò le sue azioni, proprio un momento prima che l’estremità della sua arma raggiungesse il cavallo dei pantaloni di Johel, e si scostò facendo un passo indietro.
Johel lo osservò con sguardo perso, le sue iridi blu notevolmente incupite per il desiderio. Zac gli restituì un sorrisetto, gli occhi di una vivida tonalità arancione risplendenti di ironia, segno che era conscio del subbuglio che aveva provocato. Si portò una ciocca di capelli rossi dietro all’orecchio appuntito, prima di girarsi e rimettersi a sedere come se niente fosse successo.
Yane rimase in religioso silenzio durante quello scambio di sguardi, ma non poté evitare di rivolgere un’espressione sdegnosa nei confronti del giovane proveniente da Arstgard. Per quanto si sforzasse di essere tollerante, sapeva che i suoi atteggiamenti erano diametralmente opposti a quelli del popolo del secondo pianeta, dove l’istinto e le pulsioni erano tenute in maggiore considerazione rispetto alla razionalità. In cuor suo poteva ammettere che Zac godesse di un bell’aspetto. Solo un cieco sarebbe stato insensibile a quel corpo muscoloso, a quei capelli scarmigliati che parevano fatti di fuoco e a quegli occhi dal taglio allungato, quasi ferini. Oh, non era tanto stupida da non capire il motivo dell’interesse del fratello; dopotutto era conscia che Johel era attratto da tutto ciò che poteva significare avventura e mistero. Si augurava solo che fosse abbastanza coscienzioso nel suo giudizio da scegliere qualcuno non solo per mera attrazione fisica.
Johel si schiarì la voce nel tentativo di riprendere padronanza di sé. Riflettendoci, perché doveva perdere tempo nel cercare altri candidati, quando Zac e Irwin gli avevano fatto una tale buona impressione?
Non mi importa di ciò che dice Yane, pensò assorto. La scelta in fondo è mia.
Con una nuova risoluzione, decise che gli altri candidati non lo interessavano. Stava per farli sparire, quando la sua attenzione si focalizzò su uno dei ragazzi presenti nel centro del salone. A differenza degli altri, che se ne stavano fermi in attesa di un suo eventuale cenno per poter conferire con lui, quel giovane si guardava attorno con evidente stupore. Johel aggrottò la fronte alla vista di un comportamento tanto strano. Sembrava quasi che il ragazzo non sapesse dove si trovava o perché fosse lì. Incuriosito, Johel schioccò le dita facendo sparire tutti gli altri candidati. Nella stanza rimasero solo lui, Yane e quello strano ragazzo; fu allora che capì cosa c’era di tanto particolare in quel tipo: sopra la sua testa brillava una piccola sfera verde.
“Oh, cielo!” esclamò sua sorella portandosi le mani alla bocca. “Un abitante di Gea.”
Johel si girò a fissarla e nelle sue iridi viola vi lesse il suo stesso, sconcertante stupore. Erano secoli che non appariva un candidato per Gea. Nonostante su quel pianeta continuassero a nascere dei Figli dell’Arcobaleno, spesso questi avevano un livello magico talmente basso che non riuscivano nemmeno a rispondere alla chiamata astrale al momento della Scelta. Non era un caso che Gea, chiamata volgarmente Terra dai suoi abitanti, fosse considerato il Pianeta Perduto, in quanto, nel corso dei secoli, la magia che lo aveva reso uno dei Sette aveva abbandonato progressivamente la sua naturale collocazione.
Johel ritornò a guardare il ragazzo: dimostrava all’incirca venti anni, aveva sottili capelli castani, un po’ crespi e lunghi fin sotto alle orecchie, e degli splendidi occhi verdi. Si alzò dalla sedia e gli si avvicinò per poterlo guardare meglio, sorridendo interiormente nel notare che, nonostante il viso che mostrava una palese confusione, il giovane non era retrocesso.
Bene, gli piacevano i ragazzi determinati.
Quando gli fu di fronte, constatò che era più alto di quel che aveva presupposto; era probabile che quel suo fisico asciutto lo avesse tratto in inganno. Tenendo conto della sua statura elevata, decretò che l’altro fosse più basso solo di cinque centimetri.
“Come ti chiami?”
Vide le labbra del ragazzo aprirsi, poi chiudersi di scatto e infine riaprirsi. “Dove sono?”
Johel alzò un sopracciglio con fare superiore. “Quando qualcuno ti rivolge una domanda, sarebbe buona educazione rispondere, invece che porre un altro quesito.”
L’interpellato lo fulminò con un’occhiataccia, stringendo al contempo tanto forte le labbra tra loro da far apparire delle piccole rughe d’espressione agli angoli della bocca. Johel sogghignò. Oh, quel ragazzino iniziava a piacergli.
Si fissarono vicendevolmente, entrambi concentrati nello studiarsi, nessuno dei due intenzionato a parlare per primo, quasi avessero intrapreso una sorta di sfida.
Alla fine, con uno sbuffo scocciato, il giovane di Gea si decise a rompere quel silenzio che lo stava solo facendo innervosire. “Mi chiamo Christian.”
Johel esibì un sorrisino vittorioso. Allungò una mano e richiuse il mento dell’altro tra le proprie dita; con il pollice ne accarezzò il labbro inferiore, percependolo morbido e carnoso. Christian rilasciò un singulto a quel tocco. Era evidente che non si aspettava nulla di simile. Johel vide le sue guance abbronzate colorarsi di un soffuso rossore e le sue iridi verdi risplendere come smeraldi. Oh, quel ragazzino era delizioso. Il suo cuore ebbe un fremito, così come il suo pene, che si contrasse nei pantaloni.
Christian si riprese in fretta; con un cipiglio battagliero schiaffeggiò la mano che lo stava trattenendo e fece un passo indietro. “Come diavolo ti permetti!” eruppe indignato.
“Non dirmi che non ti piaccio,” lo canzonò Johel. Alle sue parole, notò il rossore del ragazzo farsi più marcato e, a tale visione, la sua magia vibrò in risposta, spandendogli dei brividi lungo la spina dorsale. Si girò di scatto verso la sorella, che per tutto il tempo se ne era rimasta zitta e immobile.
“Yane,” mormorò in un soffio, quasi incredulo per ciò che stava per dire. “È lui.”
La sorella sbatté le palpebre in stato di shock. “Ne sei sicuro?”
Johel semplicemente annuì e Yane si accorse che le mani del fratello stavano tremando, forse impreparato alle scariche di magia che lo stavano avvolgendo. Sospirò; da un lato era felice che Johel avesse reagito nella maniera corretta – dato il livello del suo potere, non era sicura che ciò sarebbe avvenuto – dall’altro era preoccupata. Si alzò per potersi avvicinare a sua volta al giovane proveniente da Gea.
Christian, la cui attenzione era stata tutta rivolta nei confronti del ragazzo, spalancò le palpebre quando notò la fanciulla. Vedendo i due vicini, li catalogò subito come parenti: entrambi erano alti, con carnagioni pallide e capelli nerissimi. Erano quasi troppo belli per essere veri e questo lo portò in fretta alla supposizione che stesse sognando. Tale congettura si rafforzò in lui, appena si rese conto che le iridi della ragazza erano viola.
“Porti delle lenti a contatto colorate?” domandò ad alta voce. Non era riuscito proprio a trattenersi. E si sentì un perfetto idiota nel momento in cui fu bersagliato da due identici sguardi allucinati.
“Lenti-che?” chiese Yane, la fronte aggrottata.
“I tuoi occhi...” disse Christian con espressione stranita. “Sono viola.”
Il fine sopracciglio di Yane si arcuò alla stessa maniera del fratello. “Ma va? In ventotto anni della mia vita sono sempre stati così.”
“Ma non è normale,” balbettò Christian.
Il cipiglio scettico di Yane sparì, sostituito presto da un sorriso condiscendente. “Forse non lo è sul tuo pianeta, ma ti assicuro che qui su Arcobaleno il colore dei miei occhi è tra i più comuni.”
Qui su Arcobaleno, rifletté tra sé Christian. Arcobaleno? Ma che razza di sogno stava facendo? Mai più peperoni a cena, si ingiunse mentalmente. A quanto pare mi sono indigesti.
Johel si rivolse alla sorella, il viso trepidante per l’imminente viaggio. “Parto subito alla volta di Palazzo Verde. Avvisi tu nostro padre?”
“Cosa? Vuoi andare da solo? Non se ne parla!” esclamò Yane, cercando di farlo ragionare.
Il ragazzo sorrise. “Vado con Sarabi. Con lei non correrò alcun pericolo.”
Yane mostrò un’espressione preoccupata. “Johel, tu lo sai che il terrestre potrebbe non ricordarsi nulla di quanto successo qui? È già singolare il fatto che sia riuscito a rispondere alla Chiamata.”
Johel fece una smorfia amara. Era conscio di quella possibilità, ma non era sua abitudine rinunciare prima ancora di aver tentato l’impresa. “Riuscirà a rammentare tutto, ne sono sicuro,” rispose con decisione.
“Ah, c’è un altro particolare,” gli fece presente la sorella, le guance che le si imporporavano per ciò che stava per dire.
“Quale?” domandò Johel, la sua mente già occupata nei preparativi imminenti.
“Ehi, non parlate tra voi come se io non esistessi!” sbottò a quel punto Christian, piuttosto indispettito che quei due lo ignorassero in maniera tanto palese. Con suo grande disappunto, non si voltarono nemmeno a guardarlo. Imbronciato, incrociò le braccia al petto e si chiuse in un silenzio ostinato.
Pochi attimi dopo si dimenticò della rabbia, poiché tutta la sua attenzione si focalizzò su un enorme poster affisso sulla parete che aveva di fronte. In un primo momento Christian aveva creduto che fosse una riproduzione del Sistema Solare, ma gli ci era voluto ben poco per rendersi conto che né i nomi citati né le dimensioni dei pianeti gli erano familiari.
Incuriosito, si avvicinò per vedere meglio. Al centro della cartina, dove, secondo le sue conoscenze astronomiche, vi sarebbe dovuto essere il Sole, vi era raffigurato un piccolissimo pianeta multicolore.
“Arcobaleno,” mormorò il ragazzo, leggendo la dicitura impressa con caratteri arabescati.
I suoi occhi slittarono sul nome del primo pianeta, di un vivido rosso, che ruotava attorno ad Arcobaleno.
“Rostgard,” enunciò a bassa voce. Trovò quelle assonanze strane e difficili da pronunciare. Poi, con la mente elencò gli altri pianeti in successione: Arstgard, Sun, Gea, Blue Moon.
Stava per leggere il nome degli ultimi due pianeti, quando venne distratto nell’udire il suo nome. Si voltò verso i due ragazzi, i quali stavano parlando ad alta voce, incuranti di essere ascoltati. 
Cercò allora di capire quello che si stavano dicendo.
“Beh, immagino che tu ti ricordi degli usi e dei costumi di Gea,” disse Yane, titubante. Al cenno di assenso di Johel, si impose di continuare. “Nonostante siano progrediti dal punto di vista tecnologico, gli abitanti sono ancora molto indietro su alcune questioni.”
“Yane, per favore, non girarci attorno e arriva al dunque!”
La ragazza strizzò tra le mani la stoffa della sua veste, poi sbottò: “Il terrestre potrebbe non gradire le tue avances!”
Johel spalancò la bocca, scioccato per quell’assurda evenienza. “E perché mai, di grazia?”
Yane roteò gli occhi; come aveva presupposto suo fratello aveva studiato le cose in maniera spicciola e discontinua. “Gran parte della popolazione di Gea è convinta che l’accoppiamento giusto e naturale sia tra un uomo e una donna.”
“Questo è ridicolo!” obiettò Johel. “Cosa cavolo importa il sesso, se due persone si piacciono?”
Vedendo lo sbigottimento dell’altro, Yane si preoccupò ancora di più. Oh, sapeva che quello sarebbe stato un grosso ostacolo; né su Arcobaleno e né sugli altri pianeti vigeva un pensiero tanto assurdo e bigotto. L’amore era amore, in ogni sua forma.
“Beh,” fece vaga, lanciando uno sguardo distratto a Christian, “suppongo che possiamo scoprire subito qualcosa a riguardo.”
Ponendo tutta la sua attenzione sul ragazzo, il suo viso si sciolse in un dolce sorriso. “Posso farti una domanda, Christian?”
Il terrestre grugnì in assenso; aveva ascoltato i discorsi tra i due, ma ne aveva compreso solo la metà. Quello era in assoluto il sogno più strano che avesse mia fatto in tutta la sua vita.
“Se potessi scegliere, usciresti con me o con mio fratello?”
Alla domanda di Yane, Johel si impose di osservare attentamente le reazioni del giovane; lo vide spalancare le palpebre in maniera assai comica, poi guardare sua sorella come se fosse pazza e infine – Oh, miracolo! – notò le sue iridi verdi incontrare il suo volto concentrato. Appena i loro sguardi si incrociarono, Christian arrossì di colpo.
Yane, avendo a sua volta registrato quella reazione, ridacchiò, assai sollevata. “Johel, sei fortunato. Mi pare che tu non abbia niente di cui preoccuparti.”
Il fratello fece un sorriso enorme, senza distogliere il contatto visivo dal terrestre.
Christian male interpretò quei sorrisi. A scuola era stato talmente canzonato per il suo orientamento sessuale che tendeva a reagire in maniera brusca a ogni più piccolo segno derisorio. Stringendo le mani a pugno, ribatté con astio: “Sì, sono gay, qualche problema?”
Non avrebbe mai permesso a nessuno di mettergli i piedi in testa e poco gli importava che si trattasse solo di un sogno. Dopo gli anni tormentati dell’adolescenza, durante i quali si era sentito inadeguato e sbagliato, si era ripromesso di non vergognarsi mai più di se stesso. Con sua grande sorpresa, il giovane dai capelli neri ampliò il suo sorriso, mettendo in mostra una dentatura bianca e regolare. Il cuore di Christian saltò un battito, appena scorse due piccole fossette comparire sulle guance dell’altro.
Dio, quel tizio era bello da far male.
Johel scosse la testa. “Nessun problema, te lo garantisco,” mormorò con voce carezzevole. Guardò Christian diritto negli occhi; voleva che la sua attenzione fosse tutta per lui. “Il mio nome è Johel. Non ti dimenticare di me, Christian. Verrò a cercarti e a conoscerti, ma non ti dimenticare di me. Solo se riuscirai a ricordare, potremo stare insieme.”
Pronunciò quelle frasi in maniera volutamente lenta e cadenzata, al fine che penetrassero nella mente del terrestre.
Christian si immobilizzò e una strana ansia lo invase. Quelle parole sembravano quasi profetiche.
“Se ti ricorderai di me,” continuò Johel, alzando al contempo la mano destra, “segui il tuo istinto per trovarmi.” Poi, detto ciò, schioccò con decisione le dita.
Christian scomparve, la sfera verde come unica testimone della sua passata presenza.
Johel trasse un profondo sospiro e Yane richiamò la sua attenzione toccandogli il gomito con gentilezza. Allo sguardo confuso del fratello, lei gli sorrise con calore, poi si azzardò a scompigliargli i folti capelli com’era solita fare quando erano piccoli. “Buona fortuna, fratellino.”
Il ragazzo ammiccò in risposta e si erse in tutta la sua statura. Ora non gli restava altro da fare che preparare la sacca da viaggio, prendere arco e frecce e trovare il suo drago. Con tali pensieri in testa, si precipitò fuori dalla biblioteca. Ad avvisare i genitori ci avrebbe pensato Yane.

Era talmente emozionato che perse il minimo tempo indispensabile per infilare alcuni cambi e qualcosa da mangiare nel borsone, poi si affrettò in direzione delle scuderie, dove avrebbe trovato l’arco e la sella di Sarabi.
Si permise di riprendere fiato solo quando raggiunse i giardini che si trovavano sull’ala ovest del palazzo, i quali confinavano con la foresta di Nimm, luogo ideale per la caccia perché ricca di selvaggina. Immaginando che il suo drago stesse sorvolando quelle zone, decise di richiamarlo tramite il fischietto ad ultrasuoni che teneva sempre al collo.
Se lo portò alle labbra e vi soffiò dentro.
Una volta. Due volte. Alla terza, Johel sentì un ruggito in risposta e allora alzò la testa in tempo per notare Sarabi avvicinarsi a gran velocità. Da quella distanza sembrava una chiazza di colore scintillante e il cuore del ragazzo si gonfiò d’orgoglio a quella vista. Pochi attimi dopo il drago atterrò in un turbinio di ali sbattute, frustrando al contempo l’aria con la lunga coda.
“Ciao, bella,” la salutò con calore, mentre le si accostava con la sella infilata sotto al braccio. Sarabi lo fissò con i suoi grandi occhi gialli e poi si protese con il muso verso la mano del ragazzo, che si affrettò a far scorrere le dita sulle scaglie dell’animale, risplendenti come pietre preziose. Il suo manto presentava un color carminio su tutta la parte superiore del corpo, mentre quella inferiore era ricoperta da scaglie dorate. Johel sorrise quando il drago rilasciò un basso mormorio dal fondo della gola, evidentemente apprezzando quelle lievi carezze.

Johel aveva ben vivido il ricordo del giorno in cui, per il suo sedicesimo compleanno, suo padre gli aveva concesso la possibilità di avere il suo drago personale. Alla notizia aveva urlato di gioia e poi corso a perdifiato fino alle zone adibite alla cova. Sapeva già quale razza desiderava: non un dragone d’acqua, come quello di suo fratello Luca, né un drago delle montagne come quello del padre, ma un drago rosso. Erano draghi intelligenti, ottimi volatori ed estremamente leali. Sarabi era l’unica femmina della nidiata e Johel aveva notato che lei, a differenza degli altri cuccioli intenti a giocare tra loro sotto lo sguardo vigile della madre, stava già cercando di lasciare la protezione del nido provando a volare, nonostante fosse più che logico che le membrane alari fossero ancora troppo fragili per sostenerne il peso. Appena la scorse, così intraprendente e ostinata, fu amore a prima vista.

“Adesso stai buona un attimo,” sussurrò il ragazzo mentre appoggiava la sella sulla base del collo dell’animale, dove vi era un incavo naturale prima che iniziasse il dorso; era anche l’unica zona priva delle creste appuntite, le quali si diramavano lungo tutta la spina dorsale. Come se avesse compreso le parole del giovane, il drago se ne stette immobile durante tutto il processo di bardatura, permettendo così a Johel di concludere l’operazione in breve tempo.
Finito quel compito, il ragazzo frugò nella tasca esterna della sacca finché riuscì a estrarre la Map, una liscia pietra azzurra perfettamente tonda. 
Tenendo l’oggetto sul palmo della mano, scandì a chiare lettere il luogo di partenza del suo viaggio: “Palazzo Indaco.”
La Map rilasciò un soffuso bagliore prima di attivarsi e ricreare a mezz’aria l’aspetto dell’edificio menzionato in un perfetto modellino tridimensionale. Johel non poté che essere orgoglioso della dimora dove abitava: la parte esterna era interamente ricoperta da lapislazzuli e solo quel particolare rendeva il palazzo una meraviglia da guardare. Con la coda dell’occhio si accertò che Sarabi stesse attenta a ciò che la Map mostrava. Una volta assicuratosi di ciò, si decise a dire il luogo di destinazione. “Monte Olimpo, da raggiungere tramite il volo di drago.”
Le immagini prodotte dall’oggetto magico si susseguirono le une alle altre; Johel riconobbe il bosco di Nimm, poi le catene montuose Intac e infine il fiume Beor, le cui acque si gettavano nel Lago delle Fate. E lì, sulle sponde opposte di quello stesso lago, il giovane scorse il Monte Olimpo, la sua meta, poiché all’apice di quella altura sorgeva Palazzo Verde, che era a presidio del portale che lo avrebbe teletrasportato su Gea.
Guardò il drago e sorrise. “Cucciola, dobbiamo andare lì. È un viaggio abbastanza lungo, ma ci divertiremo insieme, vero?”
Sarabi ruggì la sua approvazione, poi si accucciò premendo il ventre a terra, in modo da permettere a Johel di salirle in groppa. Il ragazzo assicurò la sacca e la faretra alla sella e poi, con un’agilità data da anni di pratica, si issò sulla sua fiera cavalcatura. 
“Vai, Sarabi!”
A quell’incitazione il drago dispiegò le immense ali, si rannicchiò per imprimere tutta la forza propulsiva nelle zampe e infine, con un ringhio liberatorio, si librò nell’aria.
Johel urlò di felicità, incurante dello stomaco che gli si serrava per la brusca ascesa. Adorava volare. “Pianeta Gea, aspettami!” gridò festante.
Poi, sia lui che il suo drago non furono altro che un puntino nero nel cielo di Arcobaleno.

***

 

Christian socchiuse le palpebre e si guardò intorno con aria assonnata. Ci mise un po’ a mettere a fuoco prima l’angolo cottura del suo piccolo appartamento e poi lo schermo del portatile, il quale rilasciava un debole chiarore. Merda! Si era addormentato sul tavolo del soggiorno. Si stropicciò gli occhi; sentiva le palpebre pesanti, le ciglia appiccicate tra loro e il sopraggiungere di un’emicrania con i fiocchi. 
Lanciò un’occhiata veloce all’orologio affisso alla parete: segnava le cinque del mattino. Perfetto! Aveva dormito per ore in una posizione scomodissima, tanto che era sicuro che i suoi stessi muscoli avrebbero gridato vendetta se fossero stati dotati di parola.
“Fanculo!” sbottò inviperito. 
Con passi malfermi si diresse verso la camera da letto, infischiandosene del computer acceso. Aveva ancora tre ore di sonno disponibili ed era fermamente intenzionato a non sprecane nemmeno un secondo. Si buttò a peso morto sul letto matrimoniale, rilasciando un mormorio soddisfatto nel momento in cui le sue membra vennero a contatto con le lenzuola fresche. “Ah, questo è il paradiso.”
Stava per addormentarsi, quando il suo subconscio gli mostrò sprazzi del sogno appena fatto.
Sbatté le palpebre cercando di concentrarsi e di ricordare, poiché in cuor suo sapeva che si trattava di qualcosa di importante. Flash vaghi di iridi blu, pelle pallida e capelli neri gli si affacciarono alla mente, ma in modo troppo vago e confuso perché riuscisse ad afferrarli.
Troppo stanco per porre attenzione, si lasciò scivolare nell’oblio del sonno. Pochi istanti dopo era profondamente addormentato.

 
Continua...

   
 
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