Note: Che emozione, pubblico la mia prima Original!
Avevo iniziato a scrivere questa storia per il contest 'Alla luce delle stelle' indetto da FOY_Contest (con il prompt e parola: Arcobaleno
- Farfalle). Purtroppo, non sono riuscita a concluderla in tempo e
quindi non ho partecipato. Pazienza, vorrà dire che i giudici
sarete voi lettori^^. Dato che si tratta della mia prima Original, ci tengo particolarmente. Spero vi piaccia!
Buona lettura.
Aury
P.S. Il bellissimo banner è stato fatto da YUKO CHAN e il servizio è offerto da 'EFP editing'.
Capitolo 1
Arcobaleno
Johel,
terzogenito del Signore di Palazzo Indaco, aveva da pochi giorni
compiuto venticinque anni, indi per cui era giunto per lui il momento
della Scelta. Tale Scelta consisteva nel fatto di andare in cerca della
propria anima gemella. Era una delle tradizioni più importanti
di Arcobaleno e Johel, in quanto suo abitante, non poteva sottrarsi a
ciò. Per tale motivo il ragazzo se ne stava rinchiuso da ore
nell’immensa biblioteca della propria dimora, intento a
consultare uno ad uno i candidati disponibili, sotto il controllo
vigile della sorella maggiore.
Johel stava iniziando a perdere la pazienza, che già di norma
non era molta. Quasi nessuno dei giovani che aveva visto fino a quel
momento aveva attratto il suo interesse e il fatto lo stava portando a
un livello di irritazione sempre maggiore. Lanciò
un’occhiata veloce al di fuori della finestra: il cielo era
meravigliosamente terso, perfetto per volare. Oh, quanto avrebbe
desiderato trovarsi sul dorso del suo drago, invece che in quella
stanza stracolma solo di libri.
“Johel!” lo richiamò la voce di Yane. “Non ti distrarre!”
L’interpellato emise un gemito pieno di frustrazione, infilando
le mani nei folti capelli neri. Dio, odiava quell’arpia!
Perché diavolo suo padre l’aveva affidato a lei? Non
poteva esserci Luca lì? Già, Luca, il primogenito, tanto
responsabile quanto posato e gentile. Oh, Johel sapeva che suo fratello
non lo avrebbe mai tiranneggiato a quel modo; gli avrebbe lasciato
più libertà, la possibilità di fare almeno delle
pause e… Johel ne avrebbe approfittato senza concludere nulla!
Ne era conscio lui, così come gli altri componenti della sua
famiglia; ecco perché suo padre aveva optato per Yane,
l’unica con un carattere tale da essere in grado di farlo stare
in riga.
Riportato ai suoi doveri dal monito di Yane, scrutò con aria
assorta i piccoli globi variopinti che non aveva ancora preso in
considerazione e infine optò per uno di colore carminio.
Sfruttando il potere della telecinesi, Johel fece ballonzolare
nell’aria la sfera prescelta, la fece rimanere in sospensione per
un po’, poi, con uno schiocco secco delle dita, la attivò.
Il globo baluginò, proiettando nella stanza l’immagine
onirica di una ragazza proveniente dal Regno di Fuoco, il primo
pianeta. La fanciulla aveva lunghi capelli neri, pelle color cioccolato
e due iridi rosse tipiche degli abitanti di Rostgard; era slanciata e
flessuosa, con curve armoniose nei punti giusti. Johel la ammirò
come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo della sua età che si
trova davanti a una bella ragazza. I suoi occhi blu si soffermarono sul
seno alto e sodo, esaltato dal corto corpetto damascato, per poi
slittare sul ventre nudo fino ad incontrare l’orlo dorato degli
ampi pantaloni di lino, che nascondevano la forma delle sue gambe.
Johel le immaginò lunghe e ben modellate, soprattutto sapendo
che le donne di Rostgard erano trattate alla pari degli uomini e quindi
anch’esse venivano allenate all’arte della spada fin dalla
tenera età.
“È molto bella.” La constatazione era arrivata da Yane.
Johel alzò un sopracciglio, in attesa: sapeva che sua sorella
non aveva finito; di solito i suoi complimenti erano sempre seguiti da
un’affermazione pungente.
“Però mi sembra essere troppo altera e piena di sé.”
A quelle parole, Johel rise di cuore. “Yane, ma quale abitante
del primo pianeta non lo è? Sai bene che è una loro
peculiarità quella di sentirsi superiori agli altri.”
Yane fece una smorfia scocciata, scrollando le spalle con aria di sufficienza. “Contento tu, fratellino.”
Johel non si fece ingannare. Certo, la scelta della sua futura compagna
o futuro compagno era solo sua, ma era conscio che Yane l’avrebbe
tormentato fino alla nausea se avesse optato per qualcuno a lei poco
gradito. Essendo l’unica figlia femmina, era stata sempre
viziata, di conseguenza non ci si poteva stupire del suo atteggiamento
dispotico. Nonostante quell’aspetto antipatico del suo carattere,
Yane era anche estremamente gentile e disponibile con coloro che
rientravano nelle sue simpatie.
Dopo
aver fatto sparire la ragazza di Rostgard, con un sospiro Johel si
decise ad attivare un’altra sfera; questa era di un bel blu
elettrico, segno che proveniva da Blue Moon, il pianeta d’origine
della madre.
Yane batté le mani in maniera entusiasta appena scorse
l’immagine tridimensionale della nuova candidata. “Lei mi
sta simpatica!”
Il fratello annuì, concorde.
La fanciulla mostrava un viso solare e dolce al contempo; era anche
molto graziosa, presentando le caratteristiche tipiche del Popolo del
Mare: capelli argentei e mossi come le onde, occhi di un vivido azzurro
e carnagione pallida. Se doveva essere sincero con se stesso, Johel
trovava più intrigante l’aspetto degli abitanti di
Rostgard, ma sapeva altrettanto bene che la loro bellezza era
accompagnata da un carattere piuttosto difficile e belligerante.
“Come ti chiami?”
La ragazza sorrise prima di rispondere. “Irwin, mio signore.”
La candidata era una pura emanazione magica di quella in carne e ossa,
però la fisionomia e gli atteggiamenti rispecchiavano quella
reale, in modo tale che ogni giovane di Arcobaleno al momento della
Scelta potesse dare il suo giudizio senza la necessità di
allontanarsi dal pianeta.
“Irwin,” ripeté Johel, assaporando tra le labbra la
musicalità di quel nome. “Mostrami dove abiti,
Irwin.”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte.
La sfera blu che aveva racchiuso la sua identità brillò
intensamente e poi tutto nella sala della biblioteca mutò; le
mura scomparvero, insieme ai libri disposti sulle scaffalature,
così come le sedie e i tavoli da lettura. Johel e Yane si
ritrovarono su una spiaggia di sabbia bianca, impalpabile come zucchero
a velo. L’aria odorava di salsedine e un mare turchese si
stagliava all’orizzonte, cangiante di riflessi argentei sotto i
caldi raggi solari.
“Questa è la Baia delle Sirene,” disse Irwin,
indicando con un cenno vago della mano la zona circostante. “Fa
parte dell’isola di Crònos, una delle isole
commerciali.”
Johel inspirò a pieni polmoni: quel luogo aveva un sapore di libertà.
Blue Moon era un pianeta costituito prevalentemente d’acqua e i
suoi abitanti vivevano sulle numerose isole presenti. Era gente
semplice e di indole mite, dedita alla pesca, alla coltivazione di
piccoli appezzamenti terrieri e al commercio. Johel amava Blue Moon e
non solo perché era il pianeta d’origine della madre.
“Quindi presumo che i tuoi genitori siano commercianti?”
Irwin sorrise in maniera dolcissima e Johel pensò che fosse una buona cosa che la ragazza fosse tanto solare.
“Sì, vendono pietre preziose.”
“Beh, hai visto abbastanza, Johel? Possiamo andare?” chiese
Yane con voce lamentosa, interrompendo subito quello scambio di
informazioni.
Il ragazzo represse a fatica un’esclamazione alla vista della
sorella che tentava di preservare dalla sabbia gli orli del lungo abito
che indossava. Alzò gli occhi al cielo, quasi incredulo di avere
dei geni in comune con lei. Ma alla fine di cosa si stupiva? Yane era
sempre stata la più schizzinosa della famiglia. Con la coda
dell’occhio notò Irwin nascondere un sorrisino divertito
dietro ad una mano, ma lui non poteva di certo darle torto. Il
comportamento della sorella era assurdo, visto che quel luogo non era
reale, ma solo un parto delle reminiscenze di Irwin.
“Va bene così, Irwin,” mormorò Johel, onde evitare altre lamentele.
Neanche un battito di ciglia dopo, si trovarono nuovamente nella sala austera della biblioteca.
Johel sospirò. Si sentiva soffocare lì dentro, nonostante
l’immensità della stanza, ma nemmeno la camera più
grande del palazzo si sarebbe potuta comparare con gli spazi sconfinati
di Arcobaleno. “Bene,” affermò con una certa
risolutezza, “direi che posso fare un primo viaggio.”
Yane spalancò le palpebre a quelle parole. “Ma hai
visionato la metà delle sfere,” disse con voce concitata.
“E hai ritenuto idonei solo due soggetti,” aggiunse in
fretta, indicando prima Irwin e poi Zac, il ragazzo di Arstgard, che se
ne stava seduto su una sedia facendo roteare in aria, con espressione
svogliata, un piccolo pugnale affilato.
Johel fece spallucce. “Beh, intanto posso andare a conoscere loro
due. Più avanti darò un’occhiata anche alle altre
sfere. Dopotutto ho la possibilità fare tre incontri, no?”
“Sì, ma sai bene che il primo è quello importante.
Oltre ai gusti personali, c’è anche in gioco un
bilanciamento di tipo magico.” La risposta della sorella fu
sferzante. Senza lasciare all’altro il tempo di replicare,
andò avanti imperterrita. “Il modo corretto di agire
è quello di visionare prima tutte le sfere e poi scegliere in
base a quello che provi. La tua magia dovrebbe reagire di fronte alla
persona giusta.”
Il giovane strinse le labbra in una linea sottile. “Yane, il mio
potere magico non è abbastanza elevato perché ciò
avvenga.”
La ragazza gli rivolse un’occhiata velenosa. “Se ti fossi
applicato di più nello studio, lo sarebbe a sufficienza. Ma no,
tu preferivi passare il tempo a volare su quella stupida bestia, invece
che esercitarti sul tuo potere, vero?”
“Sarabi non è stupida!” sbottò di rimando
Johel alzando il tono della voce. Se c’era una cosa che lo faceva
subito incazzare era quando qualcuno offendeva il suo drago.
“Anzi, sono convinto che sia molto più intelligente di
te!”
Il viso solitamente pallido di Yane si arrossò per la collera.
Afferrando saldamente i bordi del tavolo tanto che le nocche le
divennero bianche, si concentrò per rilasciare il suo potere
contro il fratello. A differenza dell’altro, lei si era
esercitata per lunghi anni per averne un pieno controllo.
Johel notò subito gli occhi della sorella divenire di un viola
brillante, fissandosi decisi su di lui. Il suo corpo si irrigidì
appena ne intuì le intenzioni. “Yane,” provò
a chiamarla, “non ti azzardare a...”
Non riuscì a concludere la frase, poiché la sua stessa
mano destra lo schiaffeggiò forte sulla guancia, lasciandolo
sbalordito.
“Yane!” gridò oltraggiato. Odiava il potere magico
della sorella, che le permetteva di controllare gli altri come se
fossero dei burattini. Oh, e odiava ancora di più
l’espressione vittoriosa che quell’arpia esibiva in quel
momento.
Johel digrignò i denti; la rabbia di essere magicamente
più debole di lei, unita alla frustrazione di essere ancora
rinchiuso tra quelle mura, lo portò ad una soluzione drastica
del problema. Sua sorella insisteva sul fatto che dovesse guardare
tutte le sfere? Benissimo! L’avrebbe fatto, ma a modo suo.
Con un ghigno ben poco raccomandabile, fissò l’attenzione
sul gruppo di globi che non aveva ancora preso in considerazione: era
circa una trentina. Diede un’occhiata alla camera, senza
avvedersi dello sguardo stranito di Yane per quel suo improvviso
silenzio.
Adesso ti accontento, sorella, pensò
con una punta di soddisfazione. Fece levitare le sfere fino al centro
del salone, disponendole in un ordine del tutto casuale, poi
schioccò le dita al fine di attivarle. Tutte in contemporanea.
La stanza si affollò per la presenza dei restanti candidati.
“Johel!” eruppe Yane a quell’azione sconsiderata. “Ti sembra il caso...”
“Seguo le tue istruzioni,” rispose il fratello con aria angelica.
A tale affermazione, Yane non seppe più come argomentare.
Rassegnata, si accomodò sulla sedia e lasciò
all’altro la possibilità di continuare come meglio
preferiva. Anche se quello non era di sicuro il modo migliore di
procedere, almeno suo fratello avrebbe visto tutti i possibili compagni.
Johel diede un’occhiata veloce ai giovani nella speranza di
trovarne qualcuno di suo gusto. I candidati presenti provenivano dai
sette pianeti che gravitavano attorno ad Arcobaleno. La loro
peculiarità consisteva nel fatto che ognuno di loro era nato nel
momento esatto in cui nel cielo era comparso un arcobaleno e, per tale
motivo, erano chiamati i Figli dell’Arcobaleno.
Johel
era tanto concentrato in quel compito che sobbalzò nel percepire
una mano ferma posarsi sulla sua spalla. Dopo aver sollevato lo
sguardo, notò che si trattava di Zac, l’unico candidato
che aveva attratto il suo interesse insieme ad Irwin. Il ragazzo gli
rivolse un pigro sorriso prima di avvicinare il viso al suo orecchio.
“Bella mossa, mio signore,” mormorò in un soffio.
Johel trattenne il respiro al suono suadente di quella voce; il fiato
di Zac era tiepido, le labbra morbide e appena umide quando si
appoggiarono sul suo padiglione, mentre il suo odore sapeva di muschio
e di pioggia. Il cuore di Johel prese a martellare a un ritmo
più incalzante sotto a quegli stimoli sensoriali. Avvertì
la lama del pugnale di Zac scorrere lungo la sua coscia e quel
movimento gli provocò dei brividi freddi per tutto il corpo.
Come quell’approccio era iniziato, allo stesso modo finì:
d’improvviso Zac arrestò le sue azioni, proprio un momento
prima che l’estremità della sua arma raggiungesse il
cavallo dei pantaloni di Johel, e si scostò facendo un passo
indietro.
Johel lo osservò con sguardo perso, le sue iridi blu
notevolmente incupite per il desiderio. Zac gli restituì un
sorrisetto, gli occhi di una vivida tonalità arancione
risplendenti di ironia, segno che era conscio del subbuglio che aveva
provocato. Si portò una ciocca di capelli rossi dietro
all’orecchio appuntito, prima di girarsi e rimettersi a sedere
come se niente fosse successo.
Yane rimase in religioso silenzio durante quello scambio di sguardi, ma
non poté evitare di rivolgere un’espressione sdegnosa nei
confronti del giovane proveniente da Arstgard. Per quanto si sforzasse
di essere tollerante, sapeva che i suoi atteggiamenti erano
diametralmente opposti a quelli del popolo del secondo pianeta, dove
l’istinto e le pulsioni erano tenute in maggiore considerazione
rispetto alla razionalità. In cuor suo poteva ammettere che Zac
godesse di un bell’aspetto. Solo un cieco sarebbe stato
insensibile a quel corpo muscoloso, a quei capelli scarmigliati che
parevano fatti di fuoco e a quegli occhi dal taglio allungato, quasi
ferini. Oh, non era tanto stupida da non capire il motivo
dell’interesse del fratello; dopotutto era conscia che Johel era
attratto da tutto ciò che poteva significare avventura e
mistero. Si augurava solo che fosse abbastanza coscienzioso nel suo
giudizio da scegliere qualcuno non solo per mera attrazione fisica.
Johel si schiarì la voce nel tentativo di riprendere padronanza
di sé. Riflettendoci, perché doveva perdere tempo nel
cercare altri candidati, quando Zac e Irwin gli avevano fatto una tale
buona impressione?
Non mi importa di ciò che dice Yane, pensò assorto. La scelta in fondo è mia.
Con una nuova risoluzione, decise che gli altri candidati non lo
interessavano. Stava per farli sparire, quando la sua attenzione si
focalizzò su uno dei ragazzi presenti nel centro del salone. A
differenza degli altri, che se ne stavano fermi in attesa di un suo
eventuale cenno per poter conferire con lui, quel giovane si guardava
attorno con evidente stupore. Johel aggrottò la fronte alla
vista di un comportamento tanto strano. Sembrava quasi che il ragazzo
non sapesse dove si trovava o perché fosse lì.
Incuriosito, Johel schioccò le dita facendo sparire tutti gli
altri candidati. Nella stanza rimasero solo lui, Yane e quello strano
ragazzo; fu allora che capì cosa c’era di tanto
particolare in quel tipo: sopra la sua testa brillava una piccola sfera
verde.
“Oh, cielo!” esclamò sua sorella portandosi le mani alla bocca. “Un abitante di Gea.”
Johel si girò a fissarla e nelle sue iridi viola vi lesse il suo
stesso, sconcertante stupore. Erano secoli che non appariva un
candidato per Gea. Nonostante su quel pianeta continuassero a nascere
dei Figli dell’Arcobaleno, spesso questi avevano un livello
magico talmente basso che non riuscivano nemmeno a rispondere alla
chiamata astrale al momento della Scelta. Non era un caso che Gea,
chiamata volgarmente Terra dai suoi abitanti, fosse considerato il
Pianeta Perduto, in quanto, nel corso dei secoli, la magia che lo aveva
reso uno dei Sette aveva abbandonato progressivamente la sua naturale
collocazione.
Johel ritornò a guardare il ragazzo: dimostrava
all’incirca venti anni, aveva sottili capelli castani, un
po’ crespi e lunghi fin sotto alle orecchie, e degli splendidi
occhi verdi. Si alzò dalla sedia e gli si avvicinò per
poterlo guardare meglio, sorridendo interiormente nel notare che,
nonostante il viso che mostrava una palese confusione, il giovane non
era retrocesso.
Bene, gli piacevano i ragazzi determinati.
Quando gli fu di fronte, constatò che era più alto di
quel che aveva presupposto; era probabile che quel suo fisico asciutto
lo avesse tratto in inganno. Tenendo conto della sua statura elevata,
decretò che l’altro fosse più basso solo di cinque
centimetri.
“Come ti chiami?”
Vide le labbra del ragazzo aprirsi, poi chiudersi di scatto e infine riaprirsi. “Dove sono?”
Johel alzò un sopracciglio con fare superiore. “Quando
qualcuno ti rivolge una domanda, sarebbe buona educazione rispondere,
invece che porre un altro quesito.”
L’interpellato lo fulminò con un’occhiataccia,
stringendo al contempo tanto forte le labbra tra loro da far apparire
delle piccole rughe d’espressione agli angoli della bocca. Johel
sogghignò. Oh, quel ragazzino iniziava a piacergli.
Si fissarono vicendevolmente, entrambi concentrati nello studiarsi,
nessuno dei due intenzionato a parlare per primo, quasi avessero
intrapreso una sorta di sfida.
Alla fine, con uno sbuffo scocciato, il giovane di Gea si decise a
rompere quel silenzio che lo stava solo facendo innervosire. “Mi
chiamo Christian.”
Johel esibì un sorrisino vittorioso. Allungò una mano e
richiuse il mento dell’altro tra le proprie dita; con il pollice
ne accarezzò il labbro inferiore, percependolo morbido e
carnoso. Christian rilasciò un singulto a quel tocco. Era
evidente che non si aspettava nulla di simile. Johel vide le sue guance
abbronzate colorarsi di un soffuso rossore e le sue iridi verdi
risplendere come smeraldi. Oh, quel ragazzino era delizioso. Il suo
cuore ebbe un fremito, così come il suo pene, che si contrasse
nei pantaloni.
Christian si riprese in fretta; con un cipiglio battagliero
schiaffeggiò la mano che lo stava trattenendo e fece un passo
indietro. “Come diavolo ti permetti!” eruppe indignato.
“Non dirmi che non ti piaccio,” lo canzonò Johel.
Alle sue parole, notò il rossore del ragazzo farsi più
marcato e, a tale visione, la sua magia vibrò in risposta,
spandendogli dei brividi lungo la spina dorsale. Si girò di
scatto verso la sorella, che per tutto il tempo se ne era rimasta zitta
e immobile.
“Yane,” mormorò in un soffio, quasi incredulo per ciò che stava per dire. “È lui.”
La sorella sbatté le palpebre in stato di shock. “Ne sei sicuro?”
Johel semplicemente annuì e Yane si accorse che le mani del
fratello stavano tremando, forse impreparato alle scariche di magia che
lo stavano avvolgendo. Sospirò; da un lato era felice che Johel
avesse reagito nella maniera corretta – dato il livello del suo
potere, non era sicura che ciò sarebbe avvenuto –
dall’altro era preoccupata. Si alzò per potersi avvicinare
a sua volta al giovane proveniente da Gea.
Christian, la cui attenzione era stata tutta rivolta nei confronti del
ragazzo, spalancò le palpebre quando notò la fanciulla.
Vedendo i due vicini, li catalogò subito come parenti: entrambi
erano alti, con carnagioni pallide e capelli nerissimi. Erano quasi
troppo belli per essere veri e questo lo portò in fretta alla
supposizione che stesse sognando. Tale congettura si rafforzò in
lui, appena si rese conto che le iridi della ragazza erano viola.
“Porti delle lenti a contatto colorate?” domandò ad
alta voce. Non era riuscito proprio a trattenersi. E si sentì un
perfetto idiota nel momento in cui fu bersagliato da due identici
sguardi allucinati.
“Lenti-che?” chiese Yane, la fronte aggrottata.
“I tuoi occhi...” disse Christian con espressione stranita. “Sono viola.”
Il fine sopracciglio di Yane si arcuò alla stessa maniera del
fratello. “Ma va? In ventotto anni della mia vita sono sempre
stati così.”
“Ma non è normale,” balbettò Christian.
Il cipiglio scettico di Yane sparì, sostituito presto da un
sorriso condiscendente. “Forse non lo è sul tuo pianeta,
ma ti assicuro che qui su Arcobaleno il colore dei miei occhi è
tra i più comuni.”
Qui su Arcobaleno, rifletté tra sé Christian. Arcobaleno? Ma che razza di sogno stava facendo? Mai più peperoni a cena, si ingiunse mentalmente. A quanto pare mi sono indigesti.
Johel si rivolse alla sorella, il viso trepidante per l’imminente
viaggio. “Parto subito alla volta di Palazzo Verde. Avvisi tu
nostro padre?”
“Cosa? Vuoi andare da solo? Non se ne parla!”
esclamò Yane, cercando di farlo ragionare.
Il ragazzo sorrise.
“Vado con Sarabi. Con lei non correrò alcun
pericolo.”
Yane mostrò un’espressione preoccupata. “Johel, tu
lo sai che il terrestre potrebbe non ricordarsi nulla di quanto
successo qui? È già singolare il fatto che sia riuscito a
rispondere alla Chiamata.”
Johel fece una smorfia amara. Era conscio di quella possibilità,
ma non era sua abitudine rinunciare prima ancora di aver tentato
l’impresa. “Riuscirà a rammentare tutto, ne sono
sicuro,” rispose con decisione.
“Ah, c’è un altro particolare,” gli fece
presente la sorella, le guance che le si imporporavano per ciò
che stava per dire.
“Quale?” domandò Johel, la sua mente già occupata nei preparativi imminenti.
“Ehi, non parlate tra voi come se io non esistessi!”
sbottò a quel punto Christian, piuttosto indispettito che quei
due lo ignorassero in maniera tanto palese. Con suo grande disappunto,
non si voltarono nemmeno a guardarlo. Imbronciato, incrociò le
braccia al petto e si chiuse in un silenzio ostinato.
Pochi attimi dopo si dimenticò della rabbia, poiché tutta
la sua attenzione si focalizzò su un enorme poster affisso sulla
parete che aveva di fronte. In un primo momento Christian aveva creduto
che fosse una riproduzione del Sistema Solare, ma gli ci era voluto ben
poco per rendersi conto che né i nomi citati né le
dimensioni dei pianeti gli erano familiari.
Incuriosito, si avvicinò per vedere meglio. Al centro della
cartina, dove, secondo le sue conoscenze astronomiche, vi sarebbe
dovuto essere il Sole, vi era raffigurato un piccolissimo pianeta
multicolore.
“Arcobaleno,” mormorò il ragazzo, leggendo la dicitura impressa con caratteri arabescati.
I suoi occhi slittarono sul nome del primo pianeta, di un vivido rosso, che ruotava attorno ad Arcobaleno.
“Rostgard,” enunciò a bassa voce. Trovò
quelle assonanze strane e difficili da pronunciare. Poi, con la mente
elencò gli altri pianeti in successione: Arstgard, Sun, Gea, Blue Moon.
Stava per leggere il nome degli ultimi due pianeti, quando venne
distratto nell’udire il suo nome. Si voltò verso i due
ragazzi, i quali stavano parlando ad alta voce, incuranti di essere
ascoltati.
Cercò allora di capire quello che si stavano dicendo.
“Beh, immagino che tu ti ricordi degli usi e dei costumi di
Gea,” disse Yane, titubante. Al cenno di assenso di Johel, si
impose di continuare. “Nonostante siano progrediti dal punto di
vista tecnologico, gli abitanti sono ancora molto indietro su alcune
questioni.”
“Yane, per favore, non girarci attorno e arriva al dunque!”
La ragazza strizzò tra le mani la stoffa della sua veste, poi
sbottò: “Il terrestre potrebbe non gradire le tue
avances!”
Johel spalancò la bocca, scioccato per quell’assurda evenienza. “E perché mai, di grazia?”
Yane roteò gli occhi; come aveva presupposto suo fratello aveva
studiato le cose in maniera spicciola e discontinua. “Gran parte
della popolazione di Gea è convinta che l’accoppiamento giusto e naturale sia tra un uomo e una donna.”
“Questo è ridicolo!” obiettò Johel.
“Cosa cavolo importa il sesso, se due persone si piacciono?”
Vedendo lo sbigottimento dell’altro, Yane si preoccupò
ancora di più. Oh, sapeva che quello sarebbe stato un grosso
ostacolo; né su Arcobaleno e né sugli altri pianeti
vigeva un pensiero tanto assurdo e bigotto. L’amore era amore, in
ogni sua forma.
“Beh,” fece vaga, lanciando uno sguardo distratto a
Christian, “suppongo che possiamo scoprire subito qualcosa a
riguardo.”
Ponendo tutta la sua attenzione sul ragazzo, il suo viso si sciolse in
un dolce sorriso. “Posso farti una domanda, Christian?”
Il terrestre grugnì in assenso; aveva ascoltato i discorsi tra i
due, ma ne aveva compreso solo la metà. Quello era in assoluto
il sogno più strano che avesse mia fatto in tutta la sua vita.
“Se potessi scegliere, usciresti con me o con mio fratello?”
Alla domanda di Yane, Johel si impose di osservare attentamente le
reazioni del giovane; lo vide spalancare le palpebre in maniera assai
comica, poi guardare sua sorella come se fosse pazza e infine – Oh, miracolo! –
notò le sue iridi verdi incontrare il suo volto concentrato.
Appena i loro sguardi si incrociarono, Christian arrossì di
colpo.
Yane, avendo a sua volta registrato quella reazione, ridacchiò,
assai sollevata. “Johel, sei fortunato. Mi pare che tu non abbia
niente di cui preoccuparti.”
Il fratello fece un sorriso enorme, senza distogliere il contatto visivo dal terrestre.
Christian male interpretò quei sorrisi. A scuola era stato
talmente canzonato per il suo orientamento sessuale che tendeva a
reagire in maniera brusca a ogni più piccolo segno derisorio.
Stringendo le mani a pugno, ribatté con astio: “Sì,
sono gay, qualche problema?”
Non avrebbe mai permesso a nessuno di mettergli i piedi in testa e poco
gli importava che si trattasse solo di un sogno. Dopo gli anni
tormentati dell’adolescenza, durante i quali si era sentito
inadeguato e sbagliato, si era ripromesso di non vergognarsi mai
più di se stesso. Con sua grande sorpresa, il giovane dai
capelli neri ampliò il suo sorriso, mettendo in mostra una
dentatura bianca e regolare. Il cuore di Christian saltò un
battito, appena scorse due piccole fossette comparire sulle guance
dell’altro.
Dio, quel tizio era bello da far male.
Johel scosse la testa. “Nessun problema, te lo garantisco,”
mormorò con voce carezzevole. Guardò Christian diritto
negli occhi; voleva che la sua attenzione fosse tutta per lui.
“Il mio nome è Johel. Non ti dimenticare di me, Christian.
Verrò a cercarti e a conoscerti, ma non ti dimenticare di me.
Solo se riuscirai a ricordare, potremo stare insieme.”
Pronunciò quelle frasi in maniera volutamente lenta e cadenzata, al fine che penetrassero nella mente del terrestre.
Christian si immobilizzò e una strana ansia lo invase. Quelle parole sembravano quasi profetiche.
“Se ti ricorderai di me,” continuò Johel, alzando al
contempo la mano destra, “segui il tuo istinto per
trovarmi.” Poi, detto ciò, schioccò con decisione
le dita.
Christian scomparve, la sfera verde come unica testimone della sua passata presenza.
Johel trasse un profondo sospiro e Yane richiamò la sua
attenzione toccandogli il gomito con gentilezza. Allo sguardo confuso
del fratello, lei gli sorrise con calore, poi si azzardò a
scompigliargli i folti capelli com’era solita fare quando erano
piccoli. “Buona fortuna, fratellino.”
Il ragazzo ammiccò in risposta e si erse in tutta la sua
statura. Ora non gli restava altro da fare che preparare la sacca da
viaggio, prendere arco e frecce e trovare il suo drago. Con tali
pensieri in testa, si precipitò fuori dalla biblioteca. Ad
avvisare i genitori ci avrebbe pensato Yane.
Era
talmente emozionato che perse il minimo tempo indispensabile per
infilare alcuni cambi e qualcosa da mangiare nel borsone, poi si
affrettò in direzione delle scuderie, dove avrebbe trovato
l’arco e la sella di Sarabi.
Si permise di riprendere fiato solo quando raggiunse i giardini che si
trovavano sull’ala ovest del palazzo, i quali confinavano con la
foresta di Nimm, luogo ideale per la caccia perché ricca di
selvaggina. Immaginando che il suo drago stesse sorvolando quelle zone,
decise di richiamarlo tramite il fischietto ad ultrasuoni che teneva
sempre al collo.
Se lo portò alle labbra e vi soffiò dentro.
Una volta. Due volte. Alla terza, Johel sentì un ruggito in
risposta e allora alzò la testa in tempo per notare Sarabi
avvicinarsi a gran velocità. Da quella distanza sembrava una
chiazza di colore scintillante e il cuore del ragazzo si gonfiò
d’orgoglio a quella vista. Pochi attimi dopo il drago
atterrò in un turbinio di ali sbattute, frustrando al contempo
l’aria con la lunga coda.
“Ciao, bella,” la salutò con calore, mentre le si
accostava con la sella infilata sotto al braccio. Sarabi lo
fissò con i suoi grandi occhi gialli e poi si protese con il
muso verso la mano del ragazzo, che si affrettò a far scorrere
le dita sulle scaglie dell’animale, risplendenti come pietre
preziose. Il suo manto presentava un color carminio su tutta la parte
superiore del corpo, mentre quella inferiore era ricoperta da scaglie
dorate. Johel sorrise quando il drago rilasciò un basso mormorio
dal fondo della gola, evidentemente apprezzando quelle lievi carezze.
Johel aveva ben vivido il ricordo del giorno in cui, per il suo sedicesimo compleanno, suo padre gli aveva concesso la possibilità di avere il suo drago personale. Alla notizia aveva urlato di gioia e poi corso a perdifiato fino alle zone adibite alla cova. Sapeva già quale razza desiderava: non un dragone d’acqua, come quello di suo fratello Luca, né un drago delle montagne come quello del padre, ma un drago rosso. Erano draghi intelligenti, ottimi volatori ed estremamente leali. Sarabi era l’unica femmina della nidiata e Johel aveva notato che lei, a differenza degli altri cuccioli intenti a giocare tra loro sotto lo sguardo vigile della madre, stava già cercando di lasciare la protezione del nido provando a volare, nonostante fosse più che logico che le membrane alari fossero ancora troppo fragili per sostenerne il peso. Appena la scorse, così intraprendente e ostinata, fu amore a prima vista.
“Adesso
stai buona un attimo,” sussurrò il ragazzo mentre
appoggiava la sella sulla base del collo dell’animale, dove vi
era un incavo naturale prima che iniziasse il dorso; era anche
l’unica zona priva delle creste appuntite, le quali si diramavano
lungo tutta la spina dorsale. Come se avesse compreso le parole del
giovane, il drago se ne stette immobile durante tutto il processo di
bardatura, permettendo così a Johel di concludere
l’operazione in breve tempo.
Finito quel compito, il ragazzo frugò nella tasca esterna della
sacca finché riuscì a estrarre la Map, una liscia pietra
azzurra perfettamente tonda.
Tenendo l’oggetto sul palmo della mano, scandì a chiare
lettere il luogo di partenza del suo viaggio: “Palazzo
Indaco.”
La Map rilasciò un soffuso bagliore prima di attivarsi e
ricreare a mezz’aria l’aspetto dell’edificio
menzionato in un perfetto modellino tridimensionale. Johel non
poté che essere orgoglioso della dimora dove abitava: la parte
esterna era interamente ricoperta da lapislazzuli e solo quel
particolare rendeva il palazzo una meraviglia da guardare. Con la coda
dell’occhio si accertò che Sarabi stesse attenta a
ciò che la Map mostrava. Una volta assicuratosi di ciò,
si decise a dire il luogo di destinazione. “Monte Olimpo, da
raggiungere tramite il volo di drago.”
Le immagini prodotte dall’oggetto magico si susseguirono le une
alle altre; Johel riconobbe il bosco di Nimm, poi le catene montuose
Intac e infine il fiume Beor, le cui acque si gettavano nel Lago delle
Fate. E lì, sulle sponde opposte di quello stesso lago, il
giovane scorse il Monte Olimpo, la sua meta, poiché
all’apice di quella altura sorgeva Palazzo Verde, che era a
presidio del portale che lo avrebbe teletrasportato su Gea.
Guardò il drago e sorrise. “Cucciola, dobbiamo andare
lì. È un viaggio abbastanza lungo, ma ci divertiremo
insieme, vero?”
Sarabi ruggì la sua approvazione, poi si accucciò
premendo il ventre a terra, in modo da permettere a Johel di salirle in
groppa. Il ragazzo assicurò la sacca e la faretra alla sella e
poi, con un’agilità data da anni di pratica, si
issò sulla sua fiera cavalcatura.
“Vai, Sarabi!”
A quell’incitazione il drago dispiegò le immense ali, si
rannicchiò per imprimere tutta la forza propulsiva nelle zampe e
infine, con un ringhio liberatorio, si librò nell’aria.
Johel urlò di felicità, incurante dello stomaco che gli
si serrava per la brusca ascesa. Adorava volare. “Pianeta Gea,
aspettami!” gridò festante.
Poi, sia lui che il suo drago non furono altro che un puntino nero nel cielo di Arcobaleno.
***
Christian
socchiuse le palpebre e si guardò intorno con aria assonnata. Ci mise un po’ a mettere a fuoco prima l’angolo cottura del
suo piccolo appartamento e poi lo schermo del portatile, il quale
rilasciava un debole chiarore. Merda! Si era addormentato sul tavolo
del soggiorno. Si stropicciò gli occhi; sentiva le palpebre
pesanti, le ciglia appiccicate tra loro e il sopraggiungere di
un’emicrania con i fiocchi.
Lanciò un’occhiata veloce all’orologio affisso alla
parete: segnava le cinque del mattino. Perfetto! Aveva dormito per ore
in una posizione scomodissima, tanto che era sicuro che i suoi stessi
muscoli avrebbero gridato vendetta se fossero stati dotati di parola.
“Fanculo!” sbottò inviperito.
Con passi malfermi si diresse verso la camera da letto,
infischiandosene del computer acceso. Aveva ancora tre ore di sonno
disponibili ed era fermamente intenzionato a non sprecane nemmeno un secondo. Si buttò a peso morto sul letto matrimoniale, rilasciando un mormorio soddisfatto nel momento in cui le sue membra vennero a contatto con le lenzuola fresche. “Ah, questo è il paradiso.”
Stava per addormentarsi, quando il suo subconscio gli mostrò sprazzi del sogno appena fatto.
Sbatté le palpebre cercando di concentrarsi e di ricordare,
poiché in cuor suo sapeva che si trattava di qualcosa di
importante. Flash vaghi di iridi blu, pelle pallida e capelli neri gli
si affacciarono alla mente, ma in modo troppo vago e confuso
perché riuscisse ad afferrarli.
Troppo stanco per porre attenzione, si lasciò scivolare
nell’oblio del sonno. Pochi istanti dopo era profondamente
addormentato.
Continua...