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Autore: purepura    27/08/2012    1 recensioni
Sono passati anni. Kyle, come sappiamo, è in giro per il mondo, in compagnia temporanea di Declan*, ad aiutare. Josh e Andy sono lontani, al college per studiare, mentre Lori è tornata in città, a Seattle, per seguire le orme della madre, studiando psicologia. Kyle ha lasciato Amanda. Non volendola esporre a inutili pericoli, continuava a mentirle, finché si è reso conto che non avrebbe più potuto proseguire (la produzione aveva detto che sarebbe stato solo, sentimentalmente, e così è). Decide di lasciarla in un giorno di sole. Poco tempo dopo parte. Resta solo per un po’, venendo in seguito raggiunto da Declan.
Ma Jessi?
Prendetela come un esperimento. Un esperimento molto fantasioso…
*Alcune delle informazioni sono basate su un’intervista fatta ai produttori. Altre le ho aggiunte io (come quella per la quale Declan lo accompagna nei suoi viaggi).
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo la seconda morte
03 - Per un solo istante



Per l’attesa, e quell’istante in cui verrà soddisfatta.



    Quando Declan arrivò, era in compagnia di altre persone. Asiatici, senza dubbio, tuttavia parlavano un americano perfetto.
    Mi vide seduta sul davanzale di una finestra aperta. Sbarrò gli occhi e rallentò.
    «Tranquillo, Declan, non ho intenzione di picchiarti. Vai a dire a Kyle che sei tornato. Credo fosse preoccupato».
    «Come fai a essere già qui?»
    «Ho preso il primo aereo diretto in Asia, come ti dicevo».
    «Kyle sta bene?»
    «Non avendo elementi con cui comparare la sua situazione di questo pomeriggio, non saprei. Tu stesso potresti persino farti un’idea, meglio di me».
    Lo seguii in casa. La stanza che avevo visto in precedenza era vuota, a eccezion fatta per un tavolo ingombro di carte.
    «Sono andati in camera, Jessi?»
    «Non lo so. Non entro in casa da quando ho discusso con Kyle».
    «Hai fatto cosa? Non avresti potuto lasciarlo riposare?»
    «Scusami, sai. Io ho troncato il discorso, e lui mi ha seguito fuori per continuarlo. Vedi di calmarti, anche tu. Che cosa c’è di negativo dal fatto che sono andati in camera?»
    Attraversammo la stanza. Declan bussò.
    «Probabilmente era troppo stanco per reggersi in piedi».
    Sbarrai gli occhi. Non feci in tempo a chiedere nient’alto, perché Foss aprì la porta. Ci fissò entrambi, prima di dire: «Sarei grato a Jessi se aspettasse fuori».
    Eravamo passati dal tono aggressivo a quello educato. Forse era un consiglio di Kyle. Per me non faceva alcuna differenza.
    Lo scostai rude con una mano. Ansiosa, sorpassai l’entrata.
    La stanza era calda, quasi troppo. Era sdraiato su un letto, il che sarebbe dovuto sembrarmi strano. Mi avvicinai. Di nuovo, Foss mi afferrò un polso.
    «Dorme. Non disturbarlo».
    Mi scostai. «Che cos’ha?»
    «Febbre. Ha questi picchi di febbre altissima. Il termometro fin ora indica quarantadue, ma non escludo che sia superiore».
    «Non dirmi che hai usato quello al mercurio». La mia indignazione per quell’aggeggio si sentiva chiaramente.
    «Jessi, trovami un altro tipo di termometro…».
    «Kyle è un medico, no? Avrà dei termometri più efficaci».
    «Li stanno usando gli altri medici presenti nel campo. Non ha voluto che fossero sottratti ai pazienti».
    «Ridicolo», mormorai. Mi voltai verso di loro. «Me ne posso occupare io, se volete una pausa». Mi sforzasi di essere educata.
    Si squadrarono.
    «Che c’è? Non vi fidate?»
    «Non è questo», disse Declan. «Davvero, è solo…».
    «Perché mi hai chiamata?», lo interruppi. «A cosa servo, Declan? Mi hai chiamato tu, non Kyle. Perché

    Le sue labbra. Fresche, sul mio corpo.
    Una risata. La mia mano che passa fra i suoi capelli.
    Il mio corpo intrecciato al suo. Un ‘Ti amo’ sussurrato al mio orecchio.
    Lui dentro di me. Il suo cuore che batte.
    Il mio piacere. I suoi sospiri.

    Un tonfo mi risvegliò. Per un momento, la luce delle immagini sognate mi abbagliò.
    Poi vidi il letto vuoto, le coperte ritirate da un lato.
    Era davanti alla finestra, il petto nudo, un posacenere accanto. Era stato il posacenere posato sul davanzale, a svegliarmi. Mi stava guardando. Gli occhi spalancati, dava l’idea di non volersi perdere nemmeno un respiro.
    «Sognavi», mormorò. «Che cosa?» Il fumo della sigaretta che gli usciva dalle labbra, lo rendeva impalpabile, come attraverso una spessa nebbia.
    Mi dimenai, seduta sul pavimento, a quelle nuove attenzioni. Appena arrivata, era come se non fossi mai esistita. Ora quel suo sguardo mi ricordava i mille che mi aveva lanciato, nelle giornate di sole più belle, sorridendomi. Non ero in grado di mentirgli, se mi fissava così.
    Arrossii. Forse capì. O forse ricordò anche lui.
    Distolsi lo sguardo, alzandomi.
    «Sei malato, ti hanno imbottito di morfina e fumi? Mossa intelligente, davvero».
    «Questa non mi ha ancora ucciso», precisò. «Ma tanto non cambi argomento. È questo che sogni, Jessi? Dovrei sentirmi lusingato?».
    Mi bloccai. «Che cosa vuoi? Non sono più libera di sognare quel che voglio?»
    «Al contrario, Jessi. Ma non ti dispiace che il sogno sia finito? E inoltre è maleducazione farlo trasparire così bene».
    Mi avvicinai svelta, spaventata: che diavolo di comportamento era, adesso, questo? Anche a distanza sentii che bruciava, ancora più di prima.
    «Dovresti stenderti. Sei bollente».
    «Sto benissimo».
    «Non direi. Dici cose senza senso».
    Gli sfilai la sigaretta dalle dita. Mi lasciò fare, vagando con lo sguardo sul mio viso.
    «Vado a chiamare Foss. Sarà contento di sapere che sei…».
    Mi toccò la guancia, all’improvviso.
    Le sue mani sul mio corpo.
    Sussultai.
    Elettricità. Pura e semplice elettricità.
    Avevo pregato anni che ritornasse. Avevo sognato per anni i suoi baci e i suoi tocchi.
    Questo non aveva nulla di reale, eppure stava accadendo.
    «Non fare nulla di cui potresti pentirti», mormorai.
    Non distruggermi di nuovo. Morirei.
    Distolse lo sguardo. Si allontanò, recuperando il pacchetto di sigarette.
    «Chiamo Foss». E picchio Declan.
    Nell’altra stanza, seduto su una sedia, Foss beveva. Non era acqua e non era caffè. Frettolosamente, mi richiusi la porta alle spalle.
    «Qualcosa non va?» Ansioso, si alzò, abbandonando il bicchiere.
    «Si è solo svegliato. E sta fumando. Dice di sentirsi bene, nonostante la febbre sia ancora alta».
    «Grazie mille». Mi scrutò. «Tu stai bene?»
    Dovevo sembrare veramente turbata. Mi sentivo stanca, e gli occhi pizzicavano.
    «Dov’è Declan?»
    «Fuori. Forse dovresti riposarti, però, non hai l’aria di stare troppo bene».
    «Tu pensa a Kyle». In tono poco educato misi fine al discorso. Non mi andava di essere così facile da leggere. Dannazione! Doveva smetterla, quell’idiota, di giocare con me. Non importava se stava male, se aveva bisogno di distrazioni o il cielo sapeva cos’altro gli fosse passato per la testa. Non avrei dovuto farlo avvicinare mai più.
    Fuori era l’alba. Non ricordavo di aver dormito tanto.
    «Non avresti dovuto chiamarmi!»
    Declan sussultò, intento a maneggiare del ferro. «Te l’ho detto: non l’avrebbe mai ammesso, ma ti vuole qui».
    «No, a te servo qui, per tenere a bada il lavoro di Kyle. Non a lui». Mi passai una mano fra i capelli. Mi avevano assalito troppe sensazioni, e nessuna era positiva.
    In quel momento desiderai veramente non sapere nulla. Volevo ancora trovarmi a Ottawa, a dedicarmi alle ricerche e all’università. Stare qui faceva male, soprattutto se si arrogava il diritto di sconvolgermi ogni volta che gli andava.
    «Non è vero. Jessi, gli mancavi».
    «No, è quella sgualdrina che gli manca!»
    «Jessi…».
    «Jessi».
    Mi fermai, a un passo dall’urlare.
    «Kyle, dovresti stenderti e…».
    «Camminiamo». Un ordine.
    Ignorò Declan. I suoi occhi erano puntati su di me.
    «Non intendo più camminare al tuo fianco», mormorai, voltandomi dall’altra parte. «Non posso aiutarti con la malattia? Foss era sveglio, nell’altra stanza, e ho dormito tranquilla per una notte, col sonno talmente leggero da poter sentire la cenere che cadeva. Non hai bisogno di me. Ti aiuterò col tuo progetto, questo sì, ma stammi lontano. Ti prego».
    «Parli come se ti abbia costretto a rimanere».
    «No. Parlo come quella che è stufa. Tu non ti rendi conto. Non capisci. Se avessi capito, non parleresti così. Né mi chiederesti cose assurde. Non mi avresti toccata, né tantomeno guardata».
    «Ti è dispiaciuto?»
    «Non è questo il punto».
    «No, il punto è che sono passati cinque anni».
    «Grazie, Kyle, io da sola non me ne sarei accorta!»
    «Cinque anni nei quali io sono andato avanti, e tu no».
    «Avanti? Ti sei messo con lei, l’hai lasciata e sei scappato. Davvero, hai proprio dimenticato il passato». Pochi passi e mi ritrovai davanti a lui. La mano partì da sola. Mi fermò il polso. Era forte come un tempo. Io no. Avevo smesso di esercitarmi, da quando avevo lasciato i Trager. Certo, ero ancora in grado di stendere un Foss piuttosto stanco, ma, ad esempio, con Declan e il suo addestramento avrei dovuto impegnarmi di più. Perciò, quando tentai di colpirlo, nonostante fosse malato e tranquillo da giorni, mi bloccò senza problemi.
    Mi tenne ferma così, a pochi centimetri da lui.
    «Perché per una volta non dici cosa, veramente, ti dà fastidio?» Parlò piano, ma non c’era traccia di tranquillità nella sua voce. Era minacciosa, pronta ad alzarsi in pochissimi attimi. «Non hai interesse per Amanda Bloom. Me ne sono andato per smettere di mettere in pericolo le persone. Tutte le persone che mi stavano vicino. Tu, invece, provi ancora tanto di quel rancore».
    «Questo non te lo permetto. Non analizzarmi. Non giudicare. Hai fatto una cosa ammirevole, Kyle, io stessa sono la prima a dirlo. Ma ora che sono qui, ti stai comportando male. Sembra quasi che tu ti diverta. Prima mi sorpassi con lo sguardo, non mi saluti, mi dici di andare, non esprimi nemmeno il desiderio di volermi incontrare… Poi eccoti il giorno dopo con le tue domande sfacciate, invadenti, stupide! E… e… tu avresti potuto pensare… avresti potuto evitare». Distolsi lo sguardo. Ero patetica! Non riuscivo nemmeno a rimproverargli la carezza. Forse perché non mi dispiaceva così tanto come volevo credere…
    «Non è così». Mi lasciò il braccio. Distolse lo sguardo. Non mi allontanai. «Stavo cercando di mantenere un certo distacco. Pensavo sarebbe stato meglio per entrambi. Mi sono detto che se dovevi venire, avresti dovuto anche essere in grado di andartene. Poi ti ho vista lì, per terra, su un pavimento logoro, a vegliarmi senza che nessuno te l’avesse chiesto… Mi sono detto che non avrei più potuto ignorarti». Un piccolo sorriso gli aleggiò sulle labbra. «Con quella tua allusione silenziosa mi hai fatto ricordare. Non che avessi dimenticato, ma mi ero imposto di non pensarci. Poi…».
    «Poi ci hai pensato». Annuii. Mi allontanai di qualche passo, avvicinandomi a un piccolo blocco di marmo abbandonato. Mi ci sedetti sopra.
    Mi stava di nuovo osservando. Tutto ciò che aveva detto, aveva senso. Mi aveva sempre perdonato, per le mie scelte sbagliate, per i miei comportamenti discutibili, persino verso di lui o la sua famiglia. Non che questo suo gesto fosse grave. In effetti, denotava solo quanto in realtà non avesse dimenticato.
    «Scusa», mormorai.
    «Tu ti scusi? Io devo chiederti scusa. In ogni modo», continuò, «se te la senti di restare, se proprio vuoi, puoi dare una mano a Declan. Là da solo, con tutti quei cervelloni, potrebbe trovarsi in difficoltà».
    Risi. Non mi era sfuggito l’affetto intriso nel suo tono.
    «Però prima devi fare colazione», mormorai. «Che cosa mangi, di solito?»















Salve a tutti!
Prima di tutto ringrazio ShioriS per avere recensito entrambi i capitoli, grazie infinite!
Volevo avvisare inoltre che da questo capitolo in poi inizia l’era dei tagliuzzamenti. Non è un caso, se non ho mostrato il dialogo fra Declan e Jessi, quando lei gli chiede la ragione del suo arrivo lì. In questa storia, mi è venuto spontaneo lasciare spazi bianchi. Non troppo lunghi o lacunosi, ma ci sono. Alcuni li colmeranno i personaggi, e Jessi per loro siccome è suo il POV, altri forse rimarranno vaghi volutamente. Mi sono sentita in dovere di avvertirvi nel caso in cui qualcosa non vi fosse suonato nel modo giusto. :)
Vi volevo inoltre tranquillizzare: Kyle potrebbe sembrarvi OOC, ma sono passati cinque anni e non sta bene. Una situazione del genere può sconvolgere il carattere di una persona o può far tirare fuori alla suddetta persona lati del carattere che prima non mostrava. Kyle mi è sempre sembrato molto meno ingenuo e più sicuro di Jessi. Anche qui è così, solo che ora Kyle mostra qualcosa in più, che da ragazzo non aveva bisogno di esternare.
Ora vi saluto, e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento, che spero non sia troppo in là. :)

  
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