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Autore: Shizuru117    04/06/2004    2 recensioni
Una mia vecchia fanfiction, riscritta e riadattata...In un mondo diverso dal nostro, dove ci sono segreti nascosti, la vita di una ragazza diversa...
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Desidero fare questa ultima nota, cercando di evitare le accuse di plagio che mi verranno probabilmente rivolte. Questa storia è stata ideata e scritta nel 2002, finita precisamente ad ottobre. Quella che potete leggere è una specie di riedizione visto che, rileggendola, mi sono accorta della forma scorretta e poco scorrevole. Ci sono alcune parti che potrebbero far riferimento al telefilm "Dak Angel" ma, credetemi, io l'ho scritta prima che si potesse vedere in Italia. Dopotutto, è stato mandato in onda solamente nel 2003. Se non mi credete, sarò ben felice di rispondere alle vostre critiche via e-mail attraverso il servizio dei contatti. Spero, in ogni caso, che crederete alla mia buona fede. Grazie.

 

LA MUSHROOM TOWER.

 

Un lampo squarciò il cielo, rapido e veloce come solo la luce sa fare. Per un attimo illuminò il cupo manto notturno, rendendolo incredibilmente bello e surreale. Poi, sempre più piano, si avvicinò un rumore forte, un boato. Il suono di quell'evento così lontano era infine giunto alle orecchie, irretite da quel suono così particolare, tipico dei temporali. Se si restava in vibrante ascolto, si poteva persino sentire l'odore acre di qualcosa che bruciava, in lontananza, colpito dal fulmine.

 

Erian chiuse gli occhi ed aguzzò i sensi, cercando di percepire quelle informazioni che solo l'aria sa darti. Si era isolata da ciò che le stava intorno, chiudendosi in un mondo fatto solamente di cielo e terra, senza palazzi, senza gente. Le cadde una goccia sulla punta del naso, poi in una spalla, infine tra i lucenti capelli corvini. Stava cominciando a piovere.

 

Ritornando in sè, si voltò indietro, alla ricerca del ragazzo. Aprì gli occhi e, per effetto del tempo, diventarono dello stesso colore delle onde che si infrangono sugli scogli. Trovò il suo accompagnatore al suo fianco, che la guardava. Aveva uno strano modo di osservarla, con i suoi luminosi occhi verdi. C'era una vena di divertimento, di cinismo. Poi le sorrise. Lei non fece altrettanto e, voltandosi verso la gigantesca struttura che le si stagliava di fronte, cominciò ad avanzare.

 

La Mushroom Tower era anche chiamata 'il fungo maledetto', a causa della sua strana forma ma, soprattutto della sua funzione. Sotto il grigio cielo di Michelangelo City, quello che poteva sembrare un grattacielo, si ergeva imponente, come se controllasse l'intera città. In quanto a grandezza, non è che fosse molto grande però, se si parlava di altezza, il discorso cambiava radicalmente.

 

La sua struttura era fatta interamente di acciaio, senza l'ombra di qualche colore; semplice. Non vi erano finestre se non nella parte finale che, a vederla, sembrava proprio il cappello di un fungo: ampio e grande, rispetto la parte sottostante. Tutto era grigio, un colore freddo come la stessa torre. Molti sapevano qual'era la funzione, pochi in realtà vi erano mai entrati.

 

Essa, infatti, era la sede di Nova. Tutti sapevano chi fosse Nova; il supercomputer, dotato di un'intelligenza artificiale, che controllava l'intera città, se non l'intera prefettura. Dalle fattezze quasi umane, era un essere privo di qualsiasi sentimento, incapace di provare amore od odio. Lei sapeva solo distruggere, distruggere ciò di cui aveva paura. Era stata programmata, molti anni fa, da alcuni scienziati che avevano riposto in lei molta fiducia, nella speranza di creare qualcosa che avrebbe combattuto contro le guerre e la fame nel mondo.

 

Ma, si sa, che molti sogni dell'uomo sono destinati a rimanere utopia. In un primo momento, Nova apprendeva con piacere tutto quello che c'era da sapere sul pianeta in cui viveva...finchè non le avevano parlato di Dio. Le avevano detto che era un'essere onnipotente, che aveva creato tutte le persone, di cui tutti avevano timore.

 

Così aveva cominciato a creare i Galerians, per essere come Dio stesso. Degli esseri, o per meglio dire degli automi, che agiscono con il suo potere e per il suo interesse. Li controllava come se fossero burattini, li trasformava in macchine di morte. Non si distinguevano tra la gente, si confondevano con gli umani. Poi colpivano, veloci e letali come mantidi religiose. Chiunque ne abbia riconosciuto uno, non è vissuto abbastanza per poterlo raccontare in giro. Anche il precedente sindaco. Aveva provato a fare qualcosa e, per tutta risposta, era stato ucciso e appeso al mausoleo, come segno di ammonimento per tutti gli altri che volevano distruggere Nova.

 

Erian era arrivata all'entrata della Mushroom Tower, dove c'erano a guardia alcuni soldati. Si guardò intorno, ne riconobbe qualcuno, altri non li aveva mai visti. Di solito erano dei semplici cittadini, che non sapevano riconoscere la sottilissima differenza che esisteva tra un galerians e un umano. Erano buon pagati, ciò bastava; non desideravano conoscere altro. Proseguì, mostrando un lasciapassare al custode, che la fece entrare senza troppi convenevoli. Si trovò subito nell'atrio, grande e spoglio. Il ragazzo la seguiva a ruota, senza mai toglierle gli occhi di dosso.

 

Si avvicinarono ad un piccolo ascensore, entrando. Non digitarono alcun piano, la telecamera posizionata sopra di loro li aveva già riconosciuti. Cominciarono a salire, mentre Michelangelo City dormiva sotto di loro. Erian odiava quello spazio angusto, le sembrava di ritrovarsi chiusa dentro ad una bara. Non che soffrisse di claustrofobia o cose del genere, ma dividere quel poco di posto che c'era con un altro, così vicino, le faceva venire il voltastomaco.

 

Cercò di non pensarci, mentre i numeri sopra le porte dell'ascensore continuavano ad aumentare...50...51...52...

 

Arrivati al 77° piano, si fermarono di colpo. Uscirono e si ritrovarono in una stanza abbastanza piccola, tutta dipinta di rosso bordeaux; c'era solamente una porta. Rispetto all'intero ambiente, era incredibilmente maestosa. Interamente fatta di metallo e di legno bianco, guardava tutti dall'alto dei suoi 3 metri d'altezza. Con passo felino, Erian si avvicinò, bussando.

 

"Avanti" Disse una voce metallica, al di là della porta. Era roca e dalle parvenze femminili.

 

Così come le era stato chiesto, entrò. Subito le sue narici furono inondate di quel tipico odore che solo alcuni ospedali riescono a darti. Un'aria umida, asettica, senza alcun tipo di profumo. Erano entrati in una stanza enorme dove, al centro, troneggiava una gigantesca macchina e, al suo interno, si trovava una figura dalle fattezze umane. Era alta e snella, a vederla da lontano poteva sembrare una donna. Non aveva capelli, non aveva vestiti, il suo corpo grigio risplendeva, il che faceva capire immediatamente che era fatta di metallo. Gli occhi erano rossi come il sangue.

 

Dopo alcuni secondi, che parvero quasi interminabili, i due ragazzi si inginocchiarono, abbassando la testa.

 

"Madre, la vostra umile figlia Erian è appena ritornata dalla missione da voi affidatagli" Disse la ragazza, con tono solenne e austero. Portava rispetto per la sua creatrice, tanto da non voler parlare con lei in piedi ma inchinandosi. Nova si avvicinò, lentamente, scrutando i suoi fidi Galerians.

 

"Allora, hai fatto quello che ti avevo chiesto?" Disse in seguito, fissandola.

 

"Sì." Una risposta secca, tanto da non ammettere repliche. La madre cominciò a ridere di gusto, mentre la sua strana voce riecheggiava dappertutto.

 

"Molto bene. Il signor Colin si è comportato bene?" Domandò, con scherno.

 

"Non ha regito bene così l'ho ucciso, come voi mi avete ordinato. Non posso permettere che uno stolto vi uccida, madre." Poi si voltò verso il ragazzo. "Rion ed io non abbiamo fatto in tempo a pulire tutto quel disastro, abbiamo abbandonato la metropolitana."

 

Il volto di Nova si accigliò un po', ma tornò subito rilassato. Cominciò a guardare con curiosità il ragazzo vicino a lei, come se le fosse venuta un'idea stuzzicante in mente. Si allontanò un poco dai due, per poterli vedere meglio.

 

"Dimmi Erian, tu vuoi bene a Rion?" Domandò, con voce autoritaria. A quella domanda, lo vide sussultare.

 

"Con tutto il rispetto che ho per voi, madre, l'addestramento non prevedeva niente del genere. Non so cosa può significare voler bene ad una persona." La sua voce era gelida, incolore. Nel dire quelle cose, non provò un benchè minimo sentimento.

 

"Certo, ogni tanto non rammendo che tu sei il Dark Angel." Si guardò intorno, prendendo poi un bastone colorato interamente nero. "Alzati Erian, prego, vieni qui vicino a me." Lei, un po' sorpresa, lo fece come se le avesse dato un ordine. Si avvicinò, mettendosi di fronte a lei, a testa bassa. "Ti piacerebbe avere quest'arma?"

 

Nel dire questo, premette un bottone nascosto sul bastone. Velocemente, due lame spuntarono fuori dalle due estremità. Erano lucenti, levigate, pulite, quasi trasparenti. Persino all'interno di quel salone così tetro, brillavano di luce propria. Erano molto lunghe ed affusolate, avrebbero tagliato una testa in pochi secondi.

 

"Mi perdoni, madre, ma di che..." Non fece in tempo a finire la frase che Nova, con un gesto fulmineo, appoggiò una delle lame sulla mano di Erian. Al solo contatto, un rivolo di sangue cominciò a sgorgare da un piccolo taglio.

 

"Di che materiale sono fatte? Di diamante, duro ed infrangibile. E' la riproduzione di una vecchia arma usata nel medievo per le torture, interessante, non è vero? Prendila, è tua. Sarà la tua nuova arma."

 

La prese, incredula. Era stato un dono veramente ottimo, un'arma unica ed invincibile.

 

"Vi ringrazio." Si inginocchiò di nuovo, facendo ritornare le lame al suo posto.

 

"Ora andatevene immediatamente. Ho dei compiti da assolvere." Detto questo, si girò e cominciò ad esaminare alcuni file in un computer.

 

I due, senza proferir parola, aprirono la porta ed uscirono. Tra quelle stanze vigeva la regola del silenzio assoluto, in ogni momento. Presero una boccata d'aria e poi, ritornando all'ascensore, si prepararono a ritornare a casa.

 

CONTINUA...

  
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