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Autore: Akil    27/08/2012    2 recensioni
Prendete il finale di Inheritance e dimenticatelo. Tenete solo la partenza di Murtagh. Nessun addio strappa lacrime, nessuna nave, nessun viaggio verso est.
Mettete Eragon al fianco di suo fratello, aggiungete una promessa più importante di Alagaësia e un viaggio che sotto sotto è una fuga.
Un Eragon cambiato profondamente da segreti nascosti al mondo.
Una famiglia distrutta.
Due giovani promettenti cresciuti senza conoscere parte di ciò che li forma.
Nuovi e vecchi personaggi, travolti dall’amore e dall’amicizia, ma soprattutto dal rancore e dalla vendetta.
Perché ad Alagaësia sono i pregiudizi a essere sovrani e il nome di tuo padre potrebbe decidere il tuo futuro.
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«Be’, ti devo fare i miei più sinceri complimenti, Eragon», disse infine. «Credo tu sia l’unica persona al mondo che è riuscita a cambiare il Fato».
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«Sai cosa c’è di più pericoloso di un pazzo con molto potere, Murtagh?», chiese cambiando apparentemente discorso.
Era ovvio che Eragon non si aspettasse una risposta, perciò stette zitto.
«Un pazzo, con molto potere e un
obbiettivo», spiegò il Cavaliere. «Perché l’unica cosa che gli importa è realizzare quell’obbiettivo, a qualunque costo»
Genere: Azione, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Dove hai intenzione di andare?».
«Non lo so. A nord, forse».
«Cosa farai?»
«Mi fermerò a riflettere. Magari costruirò un castello. Ne avrò tutto il tempo».
«Per quanto starai via?».
«Finché il mondo non mi sembrerà un posto meno detestabile».
Eragon annuì guardando Murtagh negli occhi.
«Devo andare», disse infine il moro.
 «Sii prudente».
«Anche tu... Fratello».
Il Cavaliere rifletté su quella parola. Sorrise. «Fratello», ripeté. D’istinto lo abbracciò. Un abbraccio forte che esprimeva la tristezza che entrambi provavano nel doversi separare dal familiare appena ritrovato.
«Abbi cura di te e di Saphira», lo salutò Murtagh staccandosi e mettendogli una mano sulla spalla. Poi si voltò e montò in sella a Castigo. «Addio, Eragon». Il drago rosso e il suo Cavaliere presero il volo, verso nord. In poco tempo non furono più visibili agli occhi del ragazzo.
Si voltò verso Saphira. Negli occhi della dragonessa lesse tutto il dolore che albergava nella sua anima, quel dolore specchio del suo.
Le ho promesso che l’avrei tenuta sempre al sicuro, disse pieno di nostalgia. Ad Alagaësia non lo potrebbe mai essere.
Cosa pensi di fare allora? gli domandò la sua compagna.
Eragon sorrise.
 
«Quindi vuoi venire con me?»
«Sì. Ti chiedo solo di fermarci in alcuni luoghi. Devo assolutamente risolvere delle questioni».
Murtagh assentì. Era felice: finalmente avrebbe riavuto la sua famiglia, quella famiglia che per colpa di suo padre, Morzan, non aveva potuto avere.
«Certamente. L’importante è non rimanere qui troppo a lungo».
«Tranquillo. Una settimana al massimo, considerando un viaggio piuttosto rilassato».
«Perfetto».
Detto questo, i due fratelli ripresero il volo.
Andarono a Vroengard, nella Rocca di Kuthian, e prelevarono le uova e gli ultimi Eldunarí. Murtagh rimase sconvolto dal male che l’isola sprigionava. Ma fu nulla in confronto alle duecentoquarantatré uova che da cento anni erano nascoste al mondo nella Volta delle Anime.
«Strabiliante, vero?», disse Eragon.
«Incredibile. Resistere a Galbatorix per un secolo! Chi l’avrebbe mai potuto immaginare?».
Il Cavaliere blu sorrise. Anche lui aveva avuto la stessa reazione. In realtà era rimasto stupito dal fatto che Murtagh potesse accedere alla Volta, ma Umaroth gli aveva spiegato che ormai lui non era più una minaccia, anzi, un altro Cavaliere esperto sarebbe stato solo d’aiuto.
Eragon, lo chiamò il compagno di Vrael. Siamo tutti d’accordo sul dover lasciare Alagaësia, poiché non è più il luogo adatto a noi. Ma non puoi portare solo noi. Molti dei nostri fratelli, per troppo tempo sono rimasti schiavi del Distruttore di Uova. Non possiamo abbandonarli.
Il ragazzo annuì. «Certamente, solo... non ho intenzione di tornare tra i Varden e gli Elfi. Credo sarebbe meno doloroso se andassi via e basta».
Eseguirai l’incantesimo che Arya usò per mandare a Brom l’uovo di Saphira. Userai la nostra energia, se ci riposiamo a dovere, dovrebbe bastare.
«Già che ci sei, prendi le armi», suggerì Murtagh.
Il fratello lo guardò curioso, e anche i draghi gli mandarono pensieri interrogativi.
«Nel Palazzo, sotto all’armeria c’è una sala segreta. Lì sono custodite tutti gli armamenti dei Cavalieri periti per mano di Galbatorix e dei Rinnegati. Spade, selle e armature incantate. Fattura elfica, senza alcun dubbio», spiegò. «Se vogliamo formare un nuovo Ordine, ci tornerebbero piuttosto utili».
Eragon assentì e si preparò per dormire. La magia che permeava la Volta, la magia dei Draghi, era così benefica in mezzo a tutto quel male, che avevano deciso di rimanere lì per la notte.
All’improvviso un particolare gli saltò in mente. «E il terzo uovo? Quello in possesso di Galbatorix. Devo...»
No, lo interruppe Umaroth. Sentiamo la volontà del cucciolo. Ha trovato il suo compagno, o meglio, compagna in Arya figlia di Islanzadi.
«Non ci seguirebbe», ammise il ragazzo, gli occhi tristi.
È un elfo, la razza prima di tutto. Era stato Glaedr a parlare. Era dalla partenza che non lo faceva. Eragon e Saphira se ne rallegrarono.
No, è vero. Ma non possiamo lasciare un Cavaliere senza qualcuno che gli insegni. Le manderemo Cuaroc perché la guidi.
L’uomo con la testa di drago, involucro dell’Eldunarí a guardia delle uova, annuì alle parole del compagno di Vrael.
Eragon annuì, addolorato di dover lasciare la sua amata elfa. Lo aveva sempre saputo, in realtà, ma sentirne parlare rendeva tutto imminente e reale. Però ormai lui aveva scelto. E aveva scelto la sua famiglia.
 
Tre giorni dopo erano di nuovo sul continente. Eragon e Saphira indicavano la strada. Stavano sorvolando le cime alberate della Grande Dorsale, nei pressi di Carvahall, quando una radura si aprì sotto di loro. Era grande abbastanza per due draghi non troppo antichi, perfettamente rotonda, un piccolo ruscello limpido la attraversava.
La casupola quasi non si vedeva, tanto era in sintonia con il paesaggio. Piccola, ma non dall’aspetto decadente, anzi, il legno ricoperto di edera, di colore così vivo, creava una visione piuttosto pittoresca e quasi... curata.
Saphira sorvolò la radura in cerchio, perdendo sempre più quota fino ad atterrare esattamente di fronte alla casa. Castigo e Murtagh li seguirono.
Smontati, i due Cavalieri si avvicinarono alla porta. Eragon bussò con forza. Tre colpi ben calibrati al centro dello spesso legno. Grazie al loro udito acuto sentirono i passi cascanti e aritmici di una persona che si avvicinava all’ingresso. Due chiavistelli sbloccati e la porta si spalancò rivelando una vecchia donna dai capelli bianchi, gli occhi scuri e profonde rughe a segnarle il viso. Il suo sguardo attento passò in rassegna i volti dei due giovani. Arrivò poi sui corpi e lì si soffermò a guardare il braccio destro di Eragon. Un nastrino di seta azzurra, legato al polso del Cavaliere, aveva attratto la sua attenzione. La vecchia riportò i suoi occhi in quelli del ragazzo.
«Eragon, immagino», disse dopo un po’ con voce roca, tipica di chi non parla da diverso tempo.
Il Cavaliere annuì semplicemente.
«E il tuo compagno chi è?».
«Murtagh, mio fratello». La vecchia gli lanciò un’occhiataccia, poi li fece entrare.
«Venite, è di qua». Li condusse nella stanza di fianco. Era tutta impolverata, tranne che per una porzione di pavimento che era completamente pulita. Di fianco a questa un tappeto dall’aria pesante stava mezzo piegato.
«Una botola», dedusse Murtagh osservando la vecchia donna cercare di spostare le assi di legno. Eragon la aiutava.
Sotto di loro si aprì un buco buio, dove s’intravedevano i primi pioli di una scala.
«Brisingr», sussurrò il Cavaliere di Castigo. Una fiamma rossa si accese fluttuante nell’aria, andando ad illuminare la stanza sotterranea.
Lentamente scesero ritrovandosi in un locale grande, freddo e umido. Oltre al fuoco magico, l’unica fonte di luce erano le pulsanti braci di un piccolo focolare che ormai andavano completamente spegnendosi. Murtagh aumentò il flusso di magia, così da ingrandire la fiamma rossa. Finalmente tutta la camera era visibile.
Non fece in tempo ad appoggiare il primo piede sul pavimento che, il moro, sentì una grande pressione contro le sue difese fisiche. D’istinto le intensificò, allontanando la minaccia che colpì qualcosa con un forte tonfo. Murtagh si girò di scatto, Zar’roc tesa all’attacco. Gli ci volle qualche secondo per distinguere la forma di un bambino, forse neanche di dieci anni, che velocemente cercava di rialzarsi, il respiro affannoso e una spranga di metallo stretta in mano. Gli colava del sangue dal naso, probabilmente per colpa del contrattacco. Un ciuffo di capelli neri come l’ebano, copriva parte degli occhi verdi chiari, quasi azzurri, decisi. Lo vide prepararsi, pronto a caricare nuovamente.
Il Cavaliere sorrise, rinfoderando subito la spada rossa. Modellò le sue difese in modo che gli coprissero solo il torace e tese una mano avanti.
Forse il bambino, troppo concentrato nel volerlo attaccare, non se ne accorse e non si accorse neanche del suo sorrisetto sfrontato. Fatto sta che iniziò a correre per quei pochi metri che li separavano, la spranga pronta ad abbattersi sul corpo dello sconosciuto. Una mano guantata sulla fronte, però, bloccò ogni suo proposito di attacco.
Murtagh si ritrovò a pensare che, se la vittima fosse stata una persona normale e non un mago o un Cavaliere, probabilmente avrebbe anche causato diversi danni. Ridacchiando, gli prese la spranga con la mano libera.
Fu improvviso: il suo piccolo avversario si allontanò di scatto, cambiando bersaglio.
Eragon, appoggiato allo stipite di una porta, guardava qualcosa attentamente. Si mordeva le labbra e i suoi occhi erano pieni di tormento. E, quasi invisibile, un leggero bagliore azzurrino avvolgeva la mano sinistra del Cavaliere.
Il bambino corse verso il ragazzo e incominciò a colpirlo ripetutamente con dei pugni. Eragon non faceva una piega, incantato da ciò che c’era nella stanza.
«Via da lei!», urlava il bambino. «Non avvicinarti! Stalle lontano». Quando poi, il Cavaliere di Saphira, mosse un passo oltre la soglia della camera, le urla si tramutarono in strilli isterici.
«Basta, ragazzino», lo riprese la vecchia. «Sono quelli che aspettavamo. La devono prendere».
Il moretto la guardò sconvolto. «No! Non possono loro...».
«Lei è loro. Ora vai nell’angolo». Il bambino tirò un ultimo pugno ad Eragon e poi si allontanò. Si sedette in un cantone vicino, le ginocchia al petto e gli occhi puntati sui due sconosciuti.
Murtagh si avvicinò al fratello, sbirciando nella stanza. Era spoglia, c’erano solo un piccolo specchio, una cassa panca chiusa e un giaciglio di paglia con un cuscino di stracci. Spostò il fuoco magico nel locale illuminandolo meglio. Si stupì nel vedere un fagotto avvolto nelle coperte sul pagliericcio. Una bambina di forse due anni, dormiva placidamente, il pollice in bocca.
Guardò Eragon riprendersi dallo stato di torpore che lo attanagliava e avvicinarsi alla piccola. Sorrideva, ma sembrava triste, notò. Lo vide allungare una mano e lasciare una leggera carezza su quel volto innocente.
«Sei uguale a lei», sussurrò. Forse fu un effetto della luce, ma a Murtagh parve proprio che una lacrima solitaria solcasse il viso del fratello.
Lentamente la piccola aprì gli occhi. Grigi. Al Cavaliere ricordavano qualcuno, ma non riuscì a capire chi.
Quello sguardo innocente si puntò in quello dell’Ammazzaspettri. Si aprirono entrambi in un sorriso. La bimba tese le mani come a voler essere presa in braccio. Eragon non esitò. Visti così vicini, si notavano tutte le somiglianze tra quei due. A parte gli occhi erano uguali.
«Identica. Nessuno dubiterebbe che tu sia sua figlia», le disse emozionato.
«E nessuno dubiterebbe che tu sia suo padre», aggiunse Murtagh avvicinandosi.
Il fratello lo guardò malinconico. Il Cavaliere si accorse che veramente c’era stata quella lacrima. «Non sono suo padre», disse semplicemente tornando a rivolgersi alla bambina che reclamava le sue attenzioni.
Stettero in silenzio per un po’, poi Eragon la girò verso l’altro. «Guarda, tesoro, questo qui è Murtagh, mio fratello. Murtagh, questa principessa bellissima è Nadja figlia di Aylins».
Le prese la mano e vi depose un lieve bacio. Nadja fece un risolino, poi, però tornò a rifugiarsi dietro al collo di Eragon.
«Però... siete così simili. Sei proprio sicuro di non esserne il padre?»
Il Cavaliere di Saphira arrossì. «Diciamo che sarebbe impossibile, adesso, che io sia padre... Ti spiegherò tutto durante il viaggio, d’accordo?».
Murtagh assentì, ma un pensiero lo colse all’improvviso. «Aspetta... ‘Sarebbe impossibile’, vuoi dire che tu...».
L’altro diventò porpora. «Sì, mai. Ora che lo sai ti prego di sorvolare, grazie».
Il moro scoppiò a ridere. «Sì, scusa è che... Tra i Varden non c’era nessuna che ti volesse? Eppure eri il grande Cavaliere!».
«MURTAGH!».
Per tutta risposta, questi, rise con più forza.
 
Stavano uscendo. La bambina non aveva niente a parte alcuni stracci spacciati per vestiti, perciò Eragon aveva solo dovuto aspettare che suo fratello si calmasse. Aveva lasciato una saccoccia di venti monete d’oro alla vecchia signora, come ringraziamento. I suoi occhi si erano illuminati nel vederle.
Erano vicini ai draghi, in procinto di montarvi, quando un urlo, «Aspettate!», li bloccò.
Il bambino si avvicinò correndo, non aveva nessuna spranga questa volta, ma la donna continuava a sgridarlo.
«Vi prego, signore», disse appena raggiunse Saphira, non sembrava intimorito dall’enorme dragonessa. «Concedetemi di salutarla», implorò. Eragon, intenerito, annuì lasciando che Nadja gli si avvicinasse.
«Addio, Nana», le disse inginocchiandosi per arrivare alla sua altezza.
«Ciao, Lo», rispose la piccola, sbilanciandosi per posare un piccolo bacio sulla guancia del bambino.
Il Cavaliere sorrise, quel momento gli ricordava tanto... no, non doveva più pensarci. Vide Lo, alzarsi il volto innocente rigato dalle lacrime. Per Eragon fu troppo. Gli posò una mano sulla spalla, delicatamente. I loro occhi si incontrarono e, per un secondo, il ragazzo vi vide la stessa luce, la stessa determinazione, e anche un po’ del dolore dei suoi. In quel momento prese una decisione. Saphira fu d’accordo, ma probabilmente anche se non lo fosse stata, non avrebbe fatto differenza.
«Come ti chiami?», gli chiese.
«Logan».
«Logan», ripeté. «Figlio di...?».
«Di nessuno». La risposta sembrava sforzata. Eragon se ne chiese il perché.
«Capisco. Quanti anni hai, Logan?».
«Sette».
«Sembri più grande. Perché sei qui?».
Prima che il bambino potesse rispondere, la vecchia signora intervenne: «Credo sia scappato. Circa un mese fa è arrivato qua, denutrito, sporco e con il corpo pieno di ferite. Non ha voluto dirmi niente».
Il Cavaliere annuì. «Vuoi tornare dalla tua famiglia?», domandò tornando a rivolgersi a Logan.
Il bambino scosse con forza il capo. «Non ho una famiglia, io», rispose con rabbia.
Solo a quel punto Murtagh capì le intenzioni del fratello. Eragon, non...
Probabilmente i suoi genitori sono morti in guerra, lo interruppe l’altro. Dannazione, Murtagh! Ha sette anni ed è già solo. Non possiamo lasciarlo qui.
Il moro sbuffò e, ancora un po’ contrario, diede il suo consenso.
«TI faccio una proposta, allora».
Logan guardò il compagno di Saphira sospettoso.
«Vieni con me e mio fratello. Baderemo a te, starai al sicuro, ti insegneremo a difenderti e forse ti mostreremo qualche trucchetto».
Il bambino era titubante. «Qual è la fregatura?», chiese. «C’è sempre una fregatura».
«Non pensi di essere un po’ piccolo per pensare questo? In ogni caso, nessuna fregatura. Forse, l’unica... ce ne andremo via da Alagaësia, forse per sempre».
Gli occhi di Logan brillarono. «Via? Per sempre?». Era incredulo, ma in modo... positivo. Si aprì in un grande sorriso. «Accetto». Strinse la mano al Cavaliere con entusiasmo. Si bloccò all’improvviso. «Aspettate... io non so il vostro nome, signore», disse imbarazzato.
Il ragazzo rise e gli scompigliò i capelli. «Eragon, io sono Eragon».



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Salve.
Sono Akil, ed è da un po' che questa idea mi frullava in mente, perciò dopo molta indecisione ho deciso di pubblicarla.
Vi confesso che ho in mente bene i primi 2/3 capitoli, qualche spezzone centrale e la fine, ma mi mancano alcuni passaggi fondamentali per lo sviluppo della trama (che ho già definita). Ma confido nella mia immaginazione.
Vi posso dire di aspettarvi diversi colpi di scena (o perlomeno a me sembrano tali, cercate di non smontarmi, grazie =D).

Avvertitemi se vedete errori nel testo, frasi che non vi sembrano scorrevoli e via dicendo, così posso rivederle.

Spero in qualche recensione.
Ciao,
Akil

  
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