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Autore: MariaChiraOtaku    27/08/2012    0 recensioni
Kira correva. Non sapeva perché, ma nessuno sa perché agisce nell'Organizzazione. Tutti, però, hanno un obbiettivo comune: distruggere l'Angelo. Ma non tutto è ciò che sembra. Scegli da che parte stare, decidi se essere fedele a te stesso: sei pronto a mettere in dubbio tutte le tue azioni?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Seguirono il flusso di gente che saliva per la via. Camminavano fianco a fianco, con Marcò in testa. Daniel chiacchierava con Edoardo e Kioto. Arl si affiancò a Kira. Si mise le mani in tasca e camminò con lei. Dopo un po’ di silenzio iniziò la conversazione – Ti è piaciuta le tua prima birra? – Kira sorrise – Abbastanza, ammetto che non capisco come tu possa berne anche cinque – Arl sembrava offeso – Io non bevo cinque birre al giorno, oggi ne ho presa una sola – Kira rise – Comunque non credo che diventerò mai un0 ubriacona, o almeno non al tuo livello – Arl fece spallucce – Io non ci scommetterei – Kira gli diede una gomitata. Arl sbuffò – Certo che tu non conosci metodi labiali per convincere la gente – Kira scosse il capo – No, mi spiace – disse, dandogli un'altra gomitata, leggermente più forte. Arl si massaggiò il petto, ancora sorridente. Continuarono a camminare, in silenzio – Mi piace questa città – disse Arl – E’ tutto molto … non so, divertente, luminoso –.
 Kira si guardò intorno. Erano entrati nella zona più moderna della città. La strada iniziava a farsi più ripida. Intorno a loro erano costruiti negozi e casinò, hotel di lusso e ristoranti, bar e locali. Le case erano più rare, e tutte erano colorate di colori come giallo e rosso. Ben presto arrivarono al primo incrocio. Kira osservò le insegne: a destra si arrivava nel “Vicolo di S. David”, a sinistra nel “Vicolo di Adolfo Nith” e, proseguendo dritto, si proseguiva per la via principale. Seguirono il gruppo e continuarono il cammino per la via principale. Kioto e Daniel stavano ridendo per una battuta fatta da Edoardo. – Come ti sembra la compagnia? – gli chiese lei. Arl lanciò uno sguardo ai loro compagni – Non sono male – considerò – Però quel Marcò mi mette un po’ in soggezione – Kira osservò Marcò: aveva rimesso le lenti e camminava da solo davanti a tutti – Secondo me è simpatici – concluse lei – Forse leggermente misterioso – Arl sorrise. Camminarono chiacchierando del più e del meno. Ben presto si ritrovarono a intrattenere una conversazione con Kioto, Daniel ed Edoardo. Marcò, invece, rimaneva sempre solo e silenzioso.
In poco tempo arrivarono al secondo incrocio. Svoltarono, seguendo le indicazioni della barista. Il vico in cui si erano immessi era piuttosto piccolo. Nella parte sinistra correva un giardino che era proprietà di una villa situata su tutto il lato sinistro della strada. A destra, invece, c’erano tutti i locali, i motel, e le case. Tutte le costruzioni erano almeno di tre piani. Molte case erano bui e alcune chiuse con delle napoletane verdi.  
La luce era fornita da lampioni e lanterne. Il cielo era limpido, e la luna brillava fiera nel cielo. Le voci dei passanti riempivano il vicolo che comunque era molto più silenzioso delle strade da loro seguite fino a quel momento. Iniziarono a camminare, cercando di trovare la locanda. Non trovarono, però, alcuna indicazione. Arrivarono a metà della strada. Cercarono si vederne la fine, ma era fin troppo buio. Ripresero la marcia. Dopo una decina di minuti trovarono un’ insegna luminosa sopra una casa “La locanda del bottegaio” era scritto con caratteri cubitali sull’ insegna. Osservarono la facciata della casa: la pietra era in parte coperta di muschio e in parte sfregiata. La porta era di legno marrone, con un pomello di ottone. Un piccolo spioncino era al centro della porta.
I compagni si guardarono, un po’ insicuri sul da farsi.
Alla fine fu Kioto a bussare. Una voce chiese chi fosse. Kioto rispose che erano viandanti e che cercavano un posto dove stare.
Si sentì qualche passo pesante e strusciato, poi il suono di molte serrature che scattavano e la porta si aprì. Ad aprirla era stato un vecchietto. Il volto era raggrinzito e pieno di rughe. Portava due grandi occhiali rotondi molto spessi e un cappellino marrone di lana.
Indossava una camicia bianca, macchiata di caffè e un paio di pantaloni grigi. Li osservò per un attimo.
– Chi siete? – ripeté.
Kioto sorrise – Viandanti, signore. Ci chiedevamo se potete darci qualche camera –.
Il vecchio annuì piano e li lasciò entrare.
All’interno la casa era dipinta di giallo. A sinistra era posizionato il bancone marrone impolverato, dove in un angolo c’era un blocchetto di carta e un portapenne di ceramica.
Dietro al bancone, una sedia di plastica. Il pavimento era di pietra, dipinto di un verde sporco. In fondo c’era una scala di legno che svoltava a sinistra verso i piani superiori.
A destra c’era un’atra porta alla quale era attaccato un cartellino che vietava l’ingresso ai non autorizzati. Il tutto risultava molto triste. Il vecchio si avvicinò al bancone e aprì un cassetto.
Ne tirò fuori un blocco per gli appunti. Controllò per un attimo il blocco, poi prese tre chiavi e gliele offrì.
- Sono le ultime camere rimaste –, disse porgendo loro le chiavi.
Kira prese una chiave e se la rigirò tra le mani. Kioto e Marcò presero le altre chiavi. Il vecchio si sedette sulla sedia.
– Niente colazione né cena né pranzo – li informo, prima che salissero nelle camere. – Se volete dell’acqua ne trovate a volontà nei vostri bagni – fece loro un sorriso sdentato e prese a scarabocchiare su un foglio.
Un po’ demoralizzati, i ragazzi salirono al piano superiore.
Appeso al soffitto c’era un piccolo lampadario con cinque candele. Le camere erano, effettivamente, poche: sette.
Si trovavano su un piccolo corridoio, che terminava con una piccola finestrella, chiusa e con delle ridicole tendine rosse. Le loro camere erano la cinque, sei e sette.
Si diressero infondo al corridoio.
Kira e Arl si avvicinarono alla cinque, mentre Kioto e Marcò, Edoardo e Daniel si dirigevano alle altre stanze. Prima di entrare, Kioto li avvisò che la partenza sarebbe stata alle sei e mezza.
Una volta dentro, Kira chiuse la porta e osservò la stanza.
Era composta da due camere: quella da letto e un bagno. Al centro della camera c’era un letto matrimoniale, che loro si affrettarono a separare.
Sul lato destro, prima del bagno, c’era un piccolo armadio di legno. A sinistra c’era una finestrella che affacciava sulla strada. Ai due lati del letto erano accostati due mobiletti con sopra una candela ciascuno. Appeso al soffitto, un lampadario di ottone.
Il bagno era molto piccolo. A sinistra c’era una minuscola doccia con le porte di vetro.
A destra il gabinetto e un piccolo lavello. Poggiate a terra c’erano cinque o sei bottigliette d’acqua. Lei prese una bottiglia e bevve.
L’ acqua era tiepida, ma Kira si adattò senza problemi.
Arl, intanto, aveva occupato il letto a destra e aveva poggiato zaino e spada si piedi del letto.
Kira seguì l’esempio dell’amico.
Si stese con un sospiro sul letto, che scricchiolò quando la ragazza si appoggiò.
– Dove siamo capitati –,si lamentò Arl, entrando in bagno. Si chiuse la porta alle spalle. Kira cercò un orologio. Ne vide uno sul mobiletto di Arl.
Erano le undici. La giornata era stata lunghissima. Approfittando dell’assenza di Arl, si cambiò velocemente e si mise a dormire. Spense la candela su mobiletto e cadde in un sonno profondo e senza sogni.
Il mattino arrivò subito.
Fu Arl a svegliarla. Era già vestito e armato.
Lei si stiracchiò. - Che ore sono? –,gli chiese sbadigliando.
Lui si sedette sul letto. - Le sei – annunciò. – Preparati che andiamo tra poco -.
Kira si alzò e corse in bagno a cambiarsi. Si guardò per un secondo allo specchio dietro alla porta, poi uscì. Arl si era steso di nuovo sul letto e osservava il soffitto.
Lei si infilò gli scarponi e allacciò la spada al fianco. Arl le lanciò uno sguardo e si tirò in piedi. Prese la spada e aprì la porta. Kira uscì.
Il corridoio era silenzioso. Dalla finestra filtrava un po’ di luce, mentre le candele sul soffitto erano quasi completamente spente. Arl si richiuse la porta alle spalle e andò a bussare alla porta di Kioto.
La ragazza aprì dopo qualche istante.
Era vestita e si stava allacciando la spada alla schiena. Marcò si stava mettendo i suoi soliti occhiali da sole. In quel momento uscirono dalla porta di fronte Edoardo e Daniel. Il primo stava assicurando un borsellino alla cintura, mentre il secondo trotterellava al suo fianco con le mani in tasca.
Attesero che Kioto e il compagno fossero pronti e scesero al piano di sotto.
Trovarono il bancone vuoto. Sentirono qualcuno russare forte dietro la porta riservata al personale. Kioto lasciò una decina di monete sul bancone e uscirono. Il sole era già sorto e le case proiettavano lunghe ombre sul terreno. Soffiava un timido vento che trascinava nel suo cammino sabbia e piccole cartacce.
Era una giornata invernale, doveva esser l’inizio di Gennai, eppure nel deserto il sole batteva come se fosse stata piena estate.
La stradina era deserta, ma si vedevano molte persone passeggiare lungo la via. I primi locali stava aprendo. I ragazzi si immisero nella via.
Kioto fu la prima a rompere il silenzio. – Che ne dite di comprare dei cavalli? –.
Tutti si voltarono verso di lei.
La ragazza fece spallucce. – Dopo tutto siamo lenti a piedi – si giustificò.
Marcò ci rifletté un attimo – Forse i cammelli o i dromedari sarebbero meglio –.
Kioto scosse il capo – Sono più veloci i cavalli, nonostante necessitino molta acqua –.
- E dove vorresti comprare i cavalli? – le chiese Daniel. Kioto sorrise. – Forse non avete notato il negozio all’inizio della via: dentro si potevano vedere dei cavalli –.
 Kira aggrottò la fronte: effettivamente non aveva notato nessun negozio del genere.
Edoardo si intromise. – Allora è deciso, compreremo tre cavalli, non credo di potercene permettere sei –.
Daniel annuì. – Forza, capo, guidaci – fece, rivolto a Kioto.
Scesero fino alla piazza e svoltarono a destra. Sul lato destro della strada, effettivamente, trovarono un negozio di cavalli. Scesero una decina di scale di roccia e Kira avvertì un calo della temperatura.
Le scale erano illuminate da cinque candele per lato, che proiettavano una luce tremolante sul muro di fronte. Alla fine della lunga scale si apriva il negozio vero e proprio.
Varcarono una porta di legno e si soffermarono sulla soglia per un secondo, guardandosi intorno. Il locale odorava di paglia e mangime per cavalli.
Era molto ampio. A destra e a sinistra si aprivano sei box per lato, mentre in fondo c’era un doccia per i cavalli. Appeso al soffitto, un candelabro dondolava pericolosamente sopra le loro teste, scosso da una leggera brezza che entrava da una porta sul lato opposto della stanza.
Alla fine del locale a sinistra trovarono una piccola stanza. Dentro, seduto comodamente su una sedia imbottita a fumare un lunga pipa, incontrano il proprietario.
Era un uomo vecchio, sulla sessantina. Aveva il volto solcato da molte rughe e le mani tozze. Si passava una mano sui lunghi capelli bianchi e il volto abbronzato rispecchiava la calma che regnava in lui. Appena li vide, l’uomo si alzò e lasciò la pipa.
Kioto gli strinse la mano. Il vecchio sorrise e chiese loro, con un sorriso tirato cosa volessero. Kioto gli chiese di vedere i cavalli.
Lui annuì e si sfregò le mani sulla camicia di stoffa sudicia. Li riportò nello stanzone e passeggiò davanti ai box. Indicò uno a uno i cavalli, borbottandone il nome. Si fermò davanti a un cavallo grigio e lo fece uscire dal box.
– Questo – lo presentò – è Centauro, un bel giovanotto instancabile –. Diede una pacca al cavallo e lo legò a un palo vicino al box. – Credo che per voi possa andare bene, insieme a – attraversò la stanza e indicò altri due cavalli; – Ghetto e Tor -. I due cavalli, entrambi bianchi, nitrirono e alzarono il collo.
Il vecchio li portò fuori dal box e cedette le briglie e Kioto.
Lei prese anche il primo cavallo e cedette una redine a Daniel e una a Arl.
- I gruppi sono: io e Marcò, Daniel e Edoardo e Arl e Kira. Naturalmente – precisò – dobbiamo rimanere uniti, seguiremo la Via Principale, che dovrebbe condurci fino ad Angelo senza ulteriori problemi, anche se saremo costretti a fare un’altra sosta, prima di arrivare -.
Kira si avvicinò al cavallo affidato ad Arl e gli batte una mano sulla pancia. Il cavallo bianco si voltò e nitrì. Lei sorrise.
Kioto si affrettò a pagare il negoziante e uscirono dalla porta sul retro.
Si ritrovarono in uno spiazzo rettangolare polveroso, con molte rocce che ne delimitavano i bordi. Davanti a loro si allungava un viottolo di pietra marrone chiaro. Non si vedevano alberi ma le mura della città si allungavano a destra e sinistra.
Si udiva, in parte attutito dalle mura, il suono della città: voci sommesse, urla di mendicanti e suoni di zoccoli. Dietro di loro, il commerciante chiuse le porte della stalla.
Si ritrovarono soli sulla strada e un venticello sollevò, silenzioso, la sabbia.
Kira si schiarì la gola e attese che qualcuno rompesse il silenzio.
Fu Kioto la prima a riprendersi. – Ok, vediamo di muoverci -.
Come se la voce di Kioto li avesse svegliati, tutti iniziarono a prepararsi, montando velocemente sui cavalli.
Arl si issò sullo stallone e tese una mano a Kira, per aiutarla. Lei si aiutò con la mano dell’amico e si sedette dietro di lui.
Dietro di loro, Daniel faceva fatica a trovare lo spazio necessario a sedersi, dato che la maggior parte della sella era occupata da Edoardo. Davanti a loro, invece, Marcò e Kioto erano pronti a partire e osservavano divertiti Daniel che sbuffava e incoraggiava l’amico a farsi più avanti.
Ci vollero buoni dieci minuti prima che il gruppo potesse partire.
Intanto, il vento era calato e il sole si era alzato nel cielo: dovevano essere le dieci.
Finalmente si misero in marcia, proteggendosi gli occhi dal sole con le mani. Partirono al galoppo e gli zoccoli dei cavalli sbattevano rumorosamente sul terreno sassoso, alzando nuvolette di sabbia al loro passaggio.
Ben presto le possenti mura di Dendeo si persero all’orizzonte, diventando solo una minuscola linea che si stagliava nel panorama piatto del deserto.
Il gruppo svoltò a sinistra in un incrocio e iniziò la cavalcata per Angelo.
Kira poggiò la testa alla schiena di Arl, davanti a lei e osservò il paesaggio correre di fianco a lei: i sassi brillavano al sole e le dune li osservavano passare, immobili, torreggiando su di loro.
Il sole batteva forte ma Kira no sentì lo stesso calore opprimente provato il giorno prima.
Galoppavano da circa due ore, quando Kira si alzò sulla sella. Fu costretta a stropicciarsi gli occhi più volte, per assicurarsi di vedere bene.
Eppure, davanti a lei, si estendevano davvero delle dune giganti. Ricordò dei maghi ribelli, degli incantesimi, eppure l’idea che quelle dune giganti esistessero davvero le era sempre sembrata troppo impossibile per essere vera. E, invece, eccole li: dune giganti che si susseguivano un dietro l’altra, costruendo quella singolare catena montuosa.
Le giunse una voce. – Non ci credi finché non le vedi, vero? -.
Arl osservava con gli occhi sgranati le immense montagne. Si girò un attimo verso di lei e le sorrise, facendole l’occhiolino. Kira gli rimandò il sorriso. Notò che, dietro di lei, anche Daniel ed Edoardo osservavano le dune e capì che, per quante volte si potevano vedere, quelle mostruosità erano sempre uno spettacolo affascinante.
I cavalli continuarono indifferenti il galoppo e le superarono in qualche minuto, anche se, volgendo dietro lo sguardo, Kira riuscì a intravederle, sfocate, alle loro spalle. Il viaggio continuò senza che ci fossero ennesimi cambiamenti nel panorama uniforme. Ovunque si volgesse lo sguardo si vedevano pietre e sabbia e l’unico suono presente era lo scalpitio dei cavalli.
Quando il sole raggiunse le tre del pomeriggio, Kioto concesse alla squadra una breve pausa per mangiare e controllare la strada: avevano percorso circa metà della via, ma non potevano mantenere quel ritmo sfiancante. Si sarebbero dovuti fermare, come immaginato, una notte, prima di poter raggiungere Angelo.
Dopo aver fatto queste ultime constatazioni e aver buttato giù un quantitativo minimo di carne secca, ripresero la marcia.
Non spinsero i cavalli al galoppo, ma mantennero, per una buona ora, un trotto leggero, per poi continuare al galoppo, quando la notte cominciò a calare verso le sei.
I cavalli nitrirono, disapprovando la scelta dei padroni, ma cavalcarono bene, fino alle sette e mezzo di sera, quando Kioto guidò il gruppo fuori dalla Via, per nascondersi in uno spiazzo fra le rocce.
La notte portò con se il freddo e l’umidità, per non parlare di un buon quantitativo di insetti. Fu difficile accendere un piccolo fuocherello per riscaldarsi e solo i pesanti mantelli e le casacce di pelle impedirono alla combriccola di congelare.
Non parlarono alla luce del fuoco: tutti si limitavano a mangiare e ad avvicinare le mani al fuoco.
Ritardarono il più possibile il momento di montare le tende, ma alle nove di sera si alzarono contemporaneamente, ed eressero le instabili strutture. A Kira ci volle poco più di mezz’ora per montare, con l’aiuto di Arl, la piccola tenda e, non appena fu pronta, si infilò dentro, seguita dall’amico.
Avevano stabilito dei turni di guardia di due alla volta, poiché Kioto riteneva il deserto un posto poco sicuro per colpa dei briganti, e il loro era il secondo.
Si stesero entrambi, sfiniti dopo la cavalcata e si coprirono con le pesanti coperte procurate da Kioto. Non appena si fu poggiata alla sabbia morbida, Kira si addormentò, senza curarsi di Arl, steso alla sua destra, che si sforzava di non toccarla e si contorceva nella sua metà della tenda. Un’ora e mezza dopo, David ed Edoardo entrarono nella tenda per il cambio e trovarono Arl seduto con la testa tra le gambe a ronfare e Kira stesa in orizzontale che occupava l’intera tenda. Ridacchiando, svegliarono i due e li fecero uscire.
Kira sbuffò e uscì velocemente dalla tenda, seguito da Arl che le camminava dietro insonnolito.
Si sedettero insieme sulle pietre vicino al fuoco e si strinsero nei mantelli per combattere il freddo penetrante.
Kira appoggiò la testa alla spalla di Arl, ma lui gliela alzò gentilmente.
– Devi rimanere sveglia –, le sussurrò – altrimenti finisce che dormo anche io -.
Kira sbadigliò, ma annuì, passandosi una mano sulla faccia. Arl si strinse ancora di più nel mantello e si schiarì la voce.
 – Allora -. Cercò di intavolare una conversazione e gli venne al volo un argomento. - Io ti ho parlato della mia famiglia -. Vide che Kira si irrigidiva ma fece finta di non vedere: era fin troppo curioso. – E la tua? -.
Kira si sistemò meglio sulle pietre e osservò il fuoco. – All’Organizzazione mi proibiscono di parlarne, ansi, direi che a nessuno importa granché della storia degli altri, quindi perché parlarne? -.
Arl si voltò verso di lei.
Kira non distolse lo sguardo dal fuoco – La mia storia… non la ricordo bene e non è tragica quanto la tua, e credo che anche il dolore sia minore -.
Arl la interruppe. – Tutte le storie sono tragiche e dolorose, chiedi a chiunque e il dolore per la perdita della famiglia sarà sempre lo stesso -.
Lei scosse il capo, – No, nel mio caso credo che non ci sia stato tanto dolore quanto rabbia -.
Kira si accorse che la sua voce si stava alzando di tono e si affrettò ad abbassarlo. Poi riprese a voce più bassa. – Ricordo che vivevo in una piccola casetta, povera, semplice. Non ricordo il viso dei miei genitori, né ricordo il mestiere che facevano. L’unica immagine che ho dei miei genitori è l’addio che mi diedero. Ricordo che mio padre entrò in casa senza scomparsi e mia madre rimase fuori e non tentò di convincere l’uomo che mi doveva portare via. O, almeno, quelli dell’Organizzazione mi hanno detto così, ma i ricordi che ho sono questi e sono inconfutabili: i miei non cercarono di aiutarmi -.
Arl, che era rimasti zitto senza interrompere l’amica la osservò da sotto gli occhi.
- Non devi fidarti di quelli dell’Organizzazione – la ammonì.
Kira sorrise, triste – Se non mi fido di loro, Arl, che certezze ho sul mio passato? –.
Arl non tentò di contestare quella frase. – Kira, nessun genitore, per quanto ci provi, può odiare il proprio figlio: i genitori sono programmati per amare i loro figli -.
Kira alzò lo sguardo e cercò conforto negli occhi scuri di lui. – Il mio passato è l’unica cosa su cui ho dubbi, ma se i miei genitori mi amavano dovevano tentare di tenermi con loro: dovevano sapere che non avrei mai potuto desiderare di lasciare la mia casa, per quanto potevamo essere poveri. Nessuno può desiderare una vita come la nostra, Arl. Noi cresciamo senza una madre che ci ami e nei casi peggiori siamo costretti a passere l’adolescenza soli nelle nostri stanze. Non abbiamo un padre che ci incoraggi e che ci stringa tra le braccia o che lavori con noi la terra. Noi viviamo tra estranei e siamo costretti ad eseguire missioni suicida per contrastare un governo contro cui non abbiamo nulla. Arl, è molto meglio la povertà della vita a cui ci hanno costretti -.
Arl la osservò, metà tra lo stupito e l’ammirato. Nessuno gli aveva mai messo sul tavolo gli svantaggi che comportava vivere nell’Organizzazione e Kira lo aveva fatto con incredibile durezza.
Lei si rese conto che aveva appena parlato male dell’Organizzazione, luogo in cui aveva passato gli ultimi lunghi tre anni. Abbassò lo sguardo, portandolo di nuovo sul foco, ma Arl rimase ad osservarla.
- Non fraintendermi – gli disse lei. – Io apprezzo ciò che ha fatto l’Organizzazione per me: mi hanno offerto un luogo dove stare e… -. Cercò altri punti positivi, ma non ne trovò.
Al suo fianco, Arl scosse il capo – Tu odi l’Organizzazione -, le sussurrò con tanta intensità che Kira alzò lo sguardo. Lui era serio e la osservava ancora. – Tu odi l’Organizzazione e anche io e anche Kioto e Daniel e Marcò e Axel e chiunque ne faccia parte -.
Kira lo guardava, stregata dal sussurro che era la sua voce. Arl continuò, imperterrito, avvicinando il suo viso a quello di lei – L’Organizzazione si basa su un misto di paura e infatuazione: chi ci entra non ha possibilità di uscirci e nessuno può decidere consapevolmente di entrarci. Inoltre i capi impongono un controllo totale, in modo da sapere esattamente cosa fanno tutti i membri dell’Organizzazione.
- Chi fa parte dell’Organizzazione sa di non avere altra scelta se non quella di restarci, perché fuori niente e nessuno li aspetta. Tutti, allora, ci mettiamo i paraocchi e continuiamo a credere che siamo noi a scegliere di restare nelle stanza fredde e vuote che occupiamo, che siamo noi a decidere di partire per quelle missioni impossibili che ci danno. La verità è che tutti i membri dell’ Organizzazione sono dipendenti dai Capi. Da molto tempo, ormai abbiamo perso la libertà di scelta -.
Arl si fermò a riprendere fiato e attese una risposta di Kira.
Lei, però, si limitò ad osservarlo. Lo aveva ascoltato con attenzione, vedendo come i suoi occhi si erano accesi, parlando, come se qualcuno avesse acceso un piccolo faro luminoso nei suoi occhi scuri.
Aveva visto come il sole illuminava la sua fronte corrugata e provò il forte desiderio di toccarlo, come per accertarsi che fosse veramente li. Respinse quel desiderio e tentò di parlare.
- Mi stai dicendo che noi non possiamo scegliere cosa fare? -.
Lui annuì. Kira si portò inavvertitamente una mano all’orecchio dal quale le penzolava il congegno verde. Pensò allora alla voce suadente che sentiva così raramente e che le dava ordini precisi.
Chi parlava sapeva che nessuno avrebbe mai osato disubbidire agli ordini dati. Chi parlava era certo che sarebbe stato ascoltato.
Arl aveva portato lo sguardo al fuoco e aveva ancora il respiro accelerato, dopo essersi improvvisamente infiammato per quella conversazione. Kira si massaggiò il mento. – Bé – disse lei – così si che mi hai schiarito le idee -.
Arl sorrise – Lo so che spesso parlo senza pensare, ma ciò riflettuto bene, su questo argomento, e mi sembra che in molti condividano le mie idee -.
- Bé, non mi sorprende: parli così bene che credo riusciresti a convincere il papa a rendersi ateo –
- Oh, questo paragone mi è nuovo –
- Però è azzeccato – precisò lei. Poi tornò seria, attraversata da una folgorazione – Perché non lasciamo l’Organizzazione? -.
Lui aggrottò la fronte – Come dici? –
            - Si – gli sussurrò lei – io e te, stasera, andiamo via, prendiamo il cavallo e andiamo a Dendeo, ci chiudiamo li un giorno o due e poi andiamo a Sentra o Astro, non so -. In quel momento, illuminata fiocamente dalla luce del fuoco, le sembrava un piano infallibile.
Arl la guardò un attimo, prima di scoppiare a ridere. Si portò una mano alla bocca, per non fare tanto rumore. – Ma sei pazza? – le chiese, una volta calmato. Kira si imbronciò – Perché? Che problema c’è? -.
Arl la osservò, chiaramente divertito – E tu credi davvero che l’Organizzazione ci lascerebbe andare, così su due piedi? Ci darebbero la caccia per giorni. Sta pur certa che ci troverebbero entro scarsi due giorni e ci ucciderebbero senza fare troppi complimenti: in molti hanno provato la fuga, ma nessuno è riuscito a sopravvivere più di cinque giorni -.
Kira rabbrividì – Tu… sei mai stato mandato a uccidere chi tradisce l’Organizzazione? -.
- Si – le rispose lui, con aria colpevole, - una volta sola, fortunatamente. Successe tre anni fa. Il ragazzo fuggito aveva venti anni, io ero più giovane di lui ma collaboravo con un pezzo grosso dell’Organizzazione. Mi spedirono in missione per poter valutare il mio lavoro sul campo. In seguito a quella missione mi spostarono all’unità Uno, dato che trovarono le mie doti molto utili all’Organizzazione. Comunque, ti dicevo che partì con quest’uomo che doveva avere minimo trent’anni. Incuteva terrore solo guardarlo. Non nego che era molto intelligente e scaltro, ma era difficile collaborare con lui.
- Arrivammo fino alla capitale e scoprimmo dalle guardie che era effettivamente arrivato un ragazzo, qualche giorno prima. Il mio compagno, ricordo, sorrise compiaciuto, prima di uccidere la guardia e il suo compagno.
- Passammo veloci le porte della città e dopo appena due giorni, trovammo il ragazzo: si era barricato in una piccola casa nel quartiere due della città. Appena ci vide arrivare, sguainò la spada e si chiuse in casa, come se sperasse che quella minuscola porta di legno potesse fare molto, per impedirci di entrare. Il mio compagno sfondò la porta e i mobili accatastati dietro con un’unica, possente botta.
- Il ragazzo, dentro cacciò un urlo di puro terrore, ma non lasciò la spada, tremante tra le sue mani. Notai subito le occhiaie nere sotto gli occhi e la magrezza esagerata che presentava. Probabilmente non dormiva o usciva di casa da quando era fuggito, quattro giorni prima. Fu a uno spettacolo pietoso vederlo tentare di competere con il mio compagno che ridendo e urlando, lo disarmò in appena dieci minuti o giù di li. Il ragazzo si inginocchiò ai suoi piedi e lo implorò di lasciarlo vivere.
- Il mio compagno,per tutta risposta, gli aveva sputato in faccia. Io tentai di fermarlo, ma lui mi sbatté malamente a terra e, prima che io potessi anche solo rialzarmi, mozzò la testa di netto al ragazzo -.
Kira, completamente assorta dalla sua storia, si portò una mano alla bocca e osservò il volto di Arl, in cerca di una reazione dell’amico, ma lui rimase impassibile a osservare il fuoco scoppiettare. Ci aggiunse un pezzo di legno, prima di alzare lo sguardo e sorridere. – Fu abbastanza orribile, ma ci sono passato oltre -. Lei scosse il capo. – Io mi sono sempre sentita malissimo, dopo aver compiuto un omicidio, non credo che sarei mai riuscita a superare la morte di un ragazzo che avrei potuto conoscere -.
- Esattamente quello che ho pensato -, disse lui – ho pensato come mi sarei sentito se avessi conosciuto quel giovane e mi sono sorpreso a sentirmi triste, colpevole e incredibilmente arrabbiato con il mio sanguinario compagno, che si puliva tranquillamente la spada sporca di sangue -.
- Sapevi come si chiamava il ragazzo che avete catturato? -.
- Settecentoventitre. Il suo numero era questo, ma tra gli amici lo chiamavano Igor -.
Kira non sapeva cosa dire: non si era mai trovata a dover uccidere una persona che poteva avere qualche legame con lei. Arl, però, non sembrava minimamente dispiaciuto. La cosa la infastidì.
 – Come fai – gli chiese, con un sussurrò arrabbiato, - a non scomporti parlando di un omicidio compiuto su un innocente? -
- Secondo te non mi dispiaccio a parlarne - controbatté lui, sulla difensiva – solo che ho dovuto imparare a superare i sensi di colpa, per poter guadagnarmi un nome e una fame nell’Organizzazione: non è colpa mia se non c’è molto posto per i sentimenti nella mia vita -.
            Kira colse la nota di rabbia presente nella voce di Arl e capì che, per quanto cercasse di non farlo trasparire, quella morte lo aveva temprato enormemente, molto più di tutte le altre morti.
            Gli si avvicinò e annuì. – Hai ragione, scusami se mi sono lasciata prendere la mano -. Lui annuì e si strinse la coperta al collo, mentre un brivido di freddo lo scuoteva. – Credo che sia ora del cambio -, annunciò – sveglio Kioto, tu entra nella tenda -. Detto questo si alzò, scosse la coperta, dalla quale cadde una considerevole dose di sabbia e andò verso l’ultima tenda a sinistra.
            Kira si alzò a sua volta e andò alla loro tenda.
            Si era appena sistemata, quando Arl la raggiunse. Si stese a braccia spalancate nella tenda, con la pancia insù. Si lasciò sfuggire un sospiro, prima di chiudere gli occhi.
            Lei, sorrise e lo coprì con la coperta. – Grazie - sussurrò lui.
– Figurati - gli rispose Kira, ancora sorridente, - buona notte, Arl -.
            - Buona notte, Kira -.
            Lei si stese nella metà rimasta, chiuse gli occhi e cadde in un sonno agitato, dove si alternavano immagini confuse di ragazzi tremanti e di uomini inespressivi che le voltavano le spalle, mentre lei piangeva, sola in uno spiazzo erboso.

  
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