Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: HamletRedDiablo    27/08/2012    6 recensioni
La loro strana amicizia cominciò molti anni prima, tra le bancarelle di Natale.
Continuò anni dopo, tra i banchi delle università. E non fu più solo amicizia.
"Non aveva mai capito una cosa del suo stravagante amico. Disegnava spesso, ma non trasferiva mai su tela la realtà che aveva davanti agli occhi. Tratteggiava solo soggetti che esistevano nella sua fantasia.
Come se il mondo umano lo spaventasse."
[Dedicata alla sister]
[GerIta]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Photobucket"

Ritratto

 

 

Per un attimo, Feliciano si spense.

Il sorriso rimase inciso sul volto, gli occhi inebetiti lievemente socchiusi. Ma la luce che li animava si affievolì: barcollò e svanì, come una candela colpita da un improvviso alito di vento.

Rimase a fissarlo per qualche istante, sorridente e svuotato. Ludwig lo trovò vagamente inquietante: sembrava che il suo amico fosse stato mummificato nella cera, con quell’espressione artificiosa.

Il tedesco non aveva intenzione di affrontare un discorso così personale in mezzo alla calca della laguna, per cui aveva preferito chiamare Feliciano a casa sua; l’amico non aveva protestato, anzi, aveva accettato festante come un cucciolo. Probabilmente non aveva intuito il vero motivo dell’invito dell’altro: l’atmosfera era cambiata di colpo, da solare a glaciale, non appena la domanda era esplosa nel salotto.

Non pensava che per l’italiano sarebbe stato uno shock così grande sentirsi interrogare sulla propria famiglia. Le sue riserve su quell’argomento erano lampanti, ma non tanto da far presagire un atteggiamento del genere: Feliciano si era paralizzato in una sorpresa asfittica, incapace di muoversi o parlare.

«Se non vuoi rispondere…» cercò di arginare Ludwig, ma l’amico scosse il capo, riscuotendosi finalmente dalla sua immobilità.

Il tedesco attese con pazienza che l’altro pescasse dai recessi della sua anima la forza necessaria per rispondere.

Aveva pensato tutta la notte a come porre la domanda nel modo più gentile possibile; aveva scartato i fronzoli fasulli, le gentilezze ingannevoli e le premure leziose: non rientravano nel suo carattere, e non le avrebbe ammesse nemmeno in una situazione di emergenza. Così aveva optato per una domanda schietta; almeno non sarebbe stato accusato di ipocrisia.

Perché non parli mai dei tuoi genitori?

La tracolla venne aperta dalle mani irrequiete di Feliciano, che estrasse il blocco per appunti e se lo strinse al petto; aveva bisogno di un appoggio per addentrarsi nella selva di quella risposta.

«Hai una famiglia stupenda, sai?» cominciò l’italiano. Quello che gli curvò le labbra fu l’ombra del suo solito sorriso, smorzato e sfiancato nonostante i tentativi del ragazzo.

Le sopracciglia dorate di Ludwig si sollevarono, soppesando le parole dell’amico e mettendole a confronto con gli episodi che aveva ricordato il giorno prima. Non avrebbe definito “splendidi” i giorni in cui Gilbert era stato trattato come un malato ed esiliato con infamia.

«Normale» minimizzò, stringendosi nelle possenti spalle.

Le dita di Feliciano si serrarono sul blocco, piegandone gli angoli; il ragazzo appoggiò il naso sulla spirale che teneva insieme i fogli da disegno, aspirando il profumo della carta. Ne fu rinfrancato a sufficienza per continuare:

«È una famiglia unita.»

Di nuovo, Ludwig non si espresse con toni troppo entusiasti. Certo, la sua famiglia era stata molto compatta nel puntare il dito contro il cugino… ma non era quello il tipo di concordia cui si riferiva Feliciano.

«Nonno Roma mi vuole bene» l’italiano si dondolò sul divano, tamburellando le dita sul dorso del blocco. «Ma il papà e la mamma…»

Le iridi castane si adombrarono tanto da sembrare color piombo; il petto del giovane si gonfiò di un sospiro ebbro di lacrime, che venne ingoiato anziché esalato; le labbra si mossero incerte, come se avessero dimenticato la loro lingua madre. La malinconia del ragazzo scavalcò le barriere del tedesco e gli infisse una spina di compassione dritta nel cuore. Ludwig non trattenne la propria mano, e lasciò che atterrasse sulla testa dell’amico, battendo alcune pacche cameratesche.

La carezza rassicurò incredibilmente l’italiano, ravvivando la fiammella del suo buonumore, sebbene fievolmente.

Passò ancora qualche istante prima che la bocca impaurita di Feliciano riuscisse ad articolare:

«Papà è morto quando io ero troppo piccolo. Solo Lovino si ricorda qualcosa di lui» il suo corpo ebbe bisogno di un altro profondo respiro per esalare: «La mamma… non era adatta ad allevarci.»

Gli occhi del tedesco attesero indulgenti che l’amico riuscisse a parlare di nuovo:

«Siamo stati allevati dalla famiglia di Antonio.»

Ludwig odiò profondamente il cugino per la prima volta nella sua vita: per colpa delle sua metafore bislacche, in un frangente drammatico come quello gli era venuto in mente un ciuffo di panna rosa semovente.

«Lavora allo stesso ristorante di tuo fratello, giusto?» s’informò il tedesco.

«Come fai a saperlo?» confermò Feliciano.

«Anche mio cugino lavora lì» rispose breve l’altro.

L’italiano ridacchiò per quella strana coincidenza, e si rannuvolò poco dopo alla domanda dell’amico:

«Come mai tua madre non fu reputata idonea?»

Feliciano si aggrappò ancora di più al blocco, accartocciandolo anche al centro.

«Mia madre…» passò la lingua sulle labbra secche, e terminò in un unico fiato: «Cercò di strangolare mio fratello.»

Il suo cuore si ingolfò: Ludwig lo sentì arrancare, tossire ed accasciarsi nel suo petto. Perfino la sua voce e il suo sguardo, di solito inossidabili, barcollarono nel muoversi su quel terreno dissestato: non aveva nemmeno ipotizzato una spiegazione del genere, e ora si trovava completamente disarmato di fronte al mostro di quella rivelazione.

«Cercò…»

«Nonno Roma aveva capito da tempo che la mamma non era adatta a crescerci: non aveva superato la morte di papà» ricapitolò precipitoso Feliciano. «Aveva avviato delle pratiche per affidarci alla famiglia di Antonio. Li conosce da una vita, e si fida ciecamente di loro. Non potendo muoversi da Roma, era la scelta migliore» graffiò il dorso cartonato del blocco, nervoso. «La mamma capì che stavano per portarci via e…» Feliciano morse le labbra nell’agonia di una risata senza gioia. «Era depressa da tempo. Non era molto stabile.»

Le scuse per aver posto delle domande così indelicate, il dispiacere per il suo passato, chiedere perdono per l’indelicata curiosità, compiangere i giorni tragici dell’amico: tutte quelle urgenze si accatastarono spasmodicamente dentro di lui, occludendogli la gola.

Feliciano utilizzò quel silenzio per aprire il blocco con uno scatto e sfogliare veloce gli schizzi che aveva disegnato: paesaggi, personaggi fantastici e nature morte sfrecciarono veloci, come i fotogrammi del vecchio cinematografo.

Le parole zampillarono sulle sue labbra senza che Feliciano se ne accorgesse, come l’acqua che sgorga da un recipiente di vetro spezzato.

«Per questo dipingo sempre cose che non esistono. L’immaginazione è stata gentile con me, non mi ha mai fatto del male.»

La fronte pallida del tedesco si aggrottò.

«Ma a me hai fatto il ritratto» ricordò.

«Perché tu sei l’unica cosa buona di questo mondo.»

Il cinguettio innocente dell’italiano lo pizzicò allo sterno, insidiandogli un granello di calore nel petto.

Ora era a conoscenza dei segreti dell’amico, quindi la curiosità non era più la giustificazione corretta al suo interessamento per Feliciano. Ma c’era sempre la possibilità che fosse la compassione ad accendergli il cuore.

Osservò meglio l’amico, che ancora lo fissava con un sorriso sincero, sebbene spossato dalle confessioni precedenti.

Anche il cugino aveva attraversato dei momenti difficili, e anche per lui aveva provato empatia. Ma la partecipazione per Gilbert non gli aveva stuzzicato le guance con l’imbarazzo, non lo aveva fatto sentire a disagio come se improvvisamente ogni parola potesse essere foriera di strani sottintesi.

Feliciano interpretò male il suo riserbo, scambiandolo per mancanza di fiducia nelle sue parole.

«Io ti voglio bene, Ludwig» reiterò.

Il tedesco si ritrovò le braccia dell’italiano allacciate al collo senza nemmeno sentirlo arrivare, preso com’era nel ruminare su quanto fosse stato sbagliato costringere Feliciano a rivivere le memorie sulla sua famiglia distrutta e su quanto fosse doppiamente sbagliato perdersi in considerazioni sui propri sentimenti anziché tranquillizzare l’amico.

Le mani del tedesco calarono a coprire la schiena dell’amico solo dopo alcuni istanti di immobilità indecisa.

«Mi dispiace di essere stato indiscreto» pronunciò, quasi marziale per via dell’imbarazzo.

Feliciano gli sfregò il viso alla base del collo come un gattino.

«Va bene così. Te ne avrei parlato comunque, un giorno.»

E mentre il divano ospitava i due amici abbracciati, il gradino di fronte al portone dell’appartamento offriva asilo ad un giapponese, troppo discreto per irrompere in casa e troncare l’intimità dei due ragazzi.

 

***

 

Era passato qualche giorno dalla confessione di Feliciano, e la sua visita a casa di Ludwig era diventata il pettegolezzo preferito dal personale di uno specifico ristorante.

«Secondo me sarebbero una bella coppia.»

«Non devono essere una coppia!»

«Non dovresti essere così attaccato a tuo fratello.»

«È ancora troppo piccolo per certe cose!»

Gilbert roteò gli occhi ramati con teatrale esasperazione e bloccò Antonio strattonandolo per il grembiule.

«Puoi spiegargli che, secondo la legge italiana, Feliciano è adulto e padrone delle sue scelte?» sbuffò. «E che esistono delle buone cliniche per curare il brother-complex troppo sviluppato?»

«Non trattarmi come un malato!» s’inviperì Lovino.

«Non sei malato» patteggiò Antonio, avvicinandosi al fidanzato. «Ma è vero che ormai Feliciano è abbastanza grande da…»

«Stai zitto» sibilò il ragazzo, fulminandolo con gli occhi.

Gilbert non si lasciò sfuggire l’occasione di molestare il collega più giovane. Era davvero felice che Antonio avesse scelto proprio lui come partner: la vita era diventata più briosa da quando c’era Lovino da infastidire.

«Non puoi opporti al corso naturale delle cose» sermoneggiò, con un ghigno sardonico. «Io avevo un anno in meno quando…»

«Non mi interessa!» strepitò l’altro, sbracciandosi come un mozzo che fa i segnali con le bandiere in alto mare. «Fidati, non mi interessa! Sono affari tuoi, e tuoi devono rimanere!»

«… quando ho conosciuto Matthew» concluse Gilbert con un soffio malizioso. «Cosa avevi pensato?»

«Il peggio, conoscendo la tua mente perversa» lo stroncò il giovane, stizzito.

L’altro non replicò allo sbottare di Lovino. Non aveva senso esaurire tutto il divertimento in una sola mano: avrebbe aspettato un po’ di tempo, poi lo avrebbe pugnalato a tradimento con quell’argomento durante la serata per il gusto di vederlo trasalire.

Guardò fuori dalla finestra, e trovò lo spunto per la sua prossima frecciatina.

Pioveva.

E la pioggia era universalmente riconosciuta come creatrice di situazioni equivoche.

 

***

 

Erano fuggiti da piazza San Marco appena avevano avvistato la prima nuvola.

I previdenti veneziani avevano cominciato a montare le passerelle di legno: ben presto l’acqua sarebbe arrivata alle ginocchia, e quelle lingue lignee erano la loro unica possibilità di attraversare la piazza. In quella stagione, un’ora era più che sufficiente perché la pioggia allagasse ogni vicolo.

Avevano scelto una pessima giornata per visitare San Marco, e lo capirono quando il cielo si aprì sulle loro teste: non corsero abbastanza in fretta da evitare il primo scroscio, e trovarono riparo sotto un pergolato macilento solo dopo essere stati inzuppati dalla tempesta molesta.

Il cellulare di Feliciano squillò, e l’sms del servizio maree lo avvisò che per quel giorno era prevista una pericolosa acqua alta. Il medesimo messaggio fece vibrare anche il telefono di Ludwig. Quel servizio era veramente tempestivo: riusciva ad avvisarli sempre quando erano troppo lontani da casa per cambiare piani o quando erano abbastanza bagnati da poter riempire un catino.

«Avrei dovuto guardare meglio le previsioni del tempo» si rammaricò spigliato Feliciano, estraendo un oggetto cilindrico nero dalla tracolla.

Ludwig lo osservò perplesso, e l’italiano lo srotolò perché anche l’amico potesse capire di cosa si trattasse.

«Sacchi per la spazzatura?» domandò incerto il tedesco.

«In questa stagione, è meglio essere previdenti. Gli stivali sono troppo ingombranti da portare» spiegò tranquillo Feliciano. Procedette a mostrare all’altro come creare un paio di anfibi con poche semplici mosse: spiegò il sacco nero, vi infilò il piede e lo fermò poco sotto il ginocchio con lo spago incorporato.

Piuttosto perplesso sull’effettiva efficacia di quel metodo, anche il tedesco indossò quegli stivali improvvisati. La plastica scura si gonfiò e arricciò in strani modi, dando l’impressione che gli fossero state impiantate due zampe di mammut dal pelo corvino.

«È l’unico modo per tenere i piedi asciutti» si giustificò Feliciano, tentando di rincuorare l’amico.

Ludwig preferì non fargli notare quanto quel rimedio fosse umiliante ed inutile: le loro scarpe erano diventate una piccola pozzanghera, arrivando ad infradiciare il calzino e a congelare la pelle sottostante. D’altronde, non vi era più un solo centimetro del loro corpo asciutto: le nuvole si erano preoccupate di setacciarli ovunque, dai capelli alle caviglie, senza trascurare nemmeno una singola piega.

Ludwig cercò di strizzare la felpa color militare e di scrollare un po’ d’acqua dai capelli fradici. Feliciano, al contrario, sembrava perfettamente a suo agio con la frangia grondante e i vestiti ridotti ad un ammasso di grinze annacquate.

«Dovresti asciugarti un po’» lo consigliò severo il tedesco.

«Mi bagnerò di nuovo non appena usciremo da qui» fece notare con un sorriso svampito l’italiano.

Le palpebre batterono sugli occhi azzurri, in parte per lo stupore e in parte per scacciare alcune gocce d’acqua.

«Vuoi avventurarti di nuovo in quel diluvio?»

«Possiamo metterci un sacco in testa per ripararci dalla pioggia» decise l’altro.

Ludwig vide le testate dei giornali scorrergli davanti agli occhi come in un incubo: “la laguna partorisce strani esseri di plastica nera”; “avvistati due grossi lombrichi umanoidi: alieni o visione?”.

«Aspettiamo che si calmi un po’» sospirò, esasperato.

Feliciano si strinse beato nelle spalle, accettando senza proteste la proposta dell’amico.

«Ora dovresti scrollarti quella pioggia di dosso» gli rese noto il tedesco.

L’italiano fissò i propri abiti come se li vedesse per la prima volta, e cominciò a strizzarli con la malagrazia di un bambino; Ludwig fu costretto ad aiutarlo quando il ragazzo cominciò ad avvitarsi su se stesso per spremere la maglietta sulla schiena.

Feliciano sistemò con cura la tracolla, in modo che rimanesse incastrata tra la sua gamba e il muro, ben riparata dalla bufera: non avrebbe permesso che i suoi schizzi si bagnassero come lui.

L’italiano stese le mani davanti a sé, i pollici e gli indici tesi a “L” a formare una cornice attorno al volto del tedesco.

«Devo farti un altro ritratto, con i capelli in questo modo» decise Feliciano.

Ludwig passò indeciso una mano nella chioma zuppa: la pioggia aveva distrutto la sua solita pettinatura con i capelli tirati all’indietro, arruffandogli sulla fronte la lunga frangia.

«Avevi detto che preferivi disegnare cose inesistenti…»

«Ma tu sei l’eccezione» sorrise l’altro.

Feliciano non aveva più toccato l’argomento della sua famiglia dal giorno in cui l’aveva sviscerato: da allora aveva cercato di distanziarsene il più possibile, e Ludwig non aveva fatto ulteriori pressioni per forzarlo a parlarne di nuovo.

L’italiano aveva dipinto solo scenari immaginari da quando la realtà si era rivelata troppo dura per lui; Ludwig era stato l’unica breccia nel suo mondo di fantasia. Era presuntuoso sperare di poter diventare la fenditura anche nel suo animo congelato nel passato?

Gli occhi castani di Feliciano si posarono sul tedesco, confusi ma non infastiditi, quando le mani più forzute del compagno si appoggiarono sullo stipite di pietra dietro di lui, bloccandogli la testa tra gli avambracci nerboruti.

Ludwig sentì l’amico chiamare il suo nome con fare interrogativo, e quella domanda sembrò stendersi nella sua mente come colla, infangandogli i pensieri. Troppi giorni di riflessioni ansiose avevano sfiancato le sue meningi: ormai era stanco di pensare. E quando l’italiano aveva ribadito che lui era l’unica cosa che amava al mondo, non gli era più parso così blasfemo avvicinarsi in quel modo.

La pioggia scrosciava rumorosa nel mondo al di fuori di quella nicchia scavata nei mattoni, e le nuvole si scontravano ruggendo; solo in quel riparo occasionale era calato un improvviso silenzio.

Era stato Ludwig ad avvicinarsi, ma fu Feliciano ad annullare la distanza tra loro: una miriade di emozioni gli fecero scintillare le iridi e tremare le labbra prima di solleticare le piante dei piedi per farle alzare e raggiungere così l’altezza dell’amico.

Nonostante gli sforzi dell’italiano, il tedesco dovette chinarsi per unire le labbra alle sue.

Un primo bacio del genere non rientrava nelle fantasie di nessun essere umano: fradici, in mezzo alla tempesta e con dei sacchi della spazzatura arpionati alle gambe.

Feliciano sentì la nuca poggiarsi al muro, le mani aggrapparsi alla maglia inzuppata dell’amico, la bocca muoversi assieme a quella del tedesco; il braccio di Ludwig gli avvolse la schiena, riscaldandogli la pelle infreddolita, la mano libera del compagno fissa sul muro a pochi centimetri dalla sua testa.

Per un attimo si chiese se fossero quelle le cose contro le quali Lovino lo aveva messo in guardia. Il pensiero lo sfiorò solo un secondo: era impossibile che il fratello volesse privarlo di quell’esperienza.

Nessuno dei due udì il rombo del temporale mentre si stringevano nel bacio; il mondo sembrò perdere consistenza al di fuori di quella cornice di mattoni.

 

 

 

Potrà sembrarvi strano, ma davvero a Venezia chi non ha gli stivali gira con i sacchi della spazzatura legati sotto il ginocchio xD Pur di non bagnarsi i piedi, questo ed altro XD

Well, con questo si conclude la parte “introduttiva”; dal prossimo capitolo inizierà il cuore della fanfic, incentrato per lo più sull’omofobia.

Come sempre, grazie per essere arrivati a leggere anche le postille<3<3<3<3

A presto!

Red

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: HamletRedDiablo