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Autore: SweetLady98    27/08/2012    1 recensioni
E se il destino di Rose fosse stato diverso?
 
 
Ha finalmente avuto la vita che sognava... Ma, ripensandoci, è davvero quella che sognava?
Quando il sogno diventa la realtà può assomigliare a un incubo....
 
Riuscirà Rose, affiancata da 3 strani tipi, un’amica e il Capitano Jack Harkness, a tornare alla realtà dal Dottore o rimarrà per sempre intrappolata nel suo sogno?
 
- Dottore? -
- Si? -
- Quando la smetterai di chiedere se nell’hamburger ti possono mettere anche il tonno? -
- Quando le mie converse saranno divorate da un Pwccm, mia cara Rose -
(Dedicata a KillerQueen86)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Jack Harkness, Rose Tyler
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 CAPITOLO:        A KIND OF MAGIC
                                                         Una specie di magia
 
Questo è il primo ma non ultimo capitolo fatto dal punto di vista di Rose. Mi riusciva più facile in 1 persona. Ci vediamo sotto!
 
( Rose )
 
Una luce accecante mi colpì così forte che mi accecò. Poi mi sentii scaraventata lontana, in aria, e aspettavo il momento in cui avrei sbattuto contro qualcosa.
Provai a urlare, ma non mi sentivo.
Ad un certo punto, sentii la presa di Eilidh allentarsi e, disperatamente, cercai di rafforzarla, ma invano, perché persi la sua mano.
Sembrava che migliaia di mani mi premessero sul corpo, cercassero di soffocarmi: mi dibattevo ma loro continuavano.
Fino a che non toccai qualcosa di duro e liscio sotto i gomiti.
Aspettai un po’ ad aprire gli occhi, perché la testa mi girava come una trottola. E quando li aprii, era buio, tutto completamente buio.
<< Rose? >> una voce spaventata mi chiamò da un punto imprecisato di quel buio, ma era più o meno vicino.
<< Eilidh? Stai bene? Ci sono gli altri? >>  tastai il pavimento ( era un pavimento ) ma non toccai nulla. Mi alzai in piedi, feci un passo e sentii un grido.
<< Ahia! La mia mano!! >>
Alzai subito il piede. Avevo beccato proprio Eilidh.
<< Ellie >> sussurrai << Lo so che sei qui vicino, se allunghi il braccio dovresti trovare la mia gamba >>
<< Sono stesa per terra >> si lamentò lei, e avvertii una mano stringersi intorno alla mia caviglia << Ehi! Sento qualcosa di duro! Sei tu? >>
<< Eilidh? Rose? >> la voce di Eldegor rimbombò nella stanza.
<< Siamo qui >> era la cosa più stupida che potessi dire in quel momento, ma fu la prima che mi venne in mente << Voi state bene? >>
<< Si >> rispose la voce di Siemma << Non c’è qualcosa per fare luce? Rischiamo di andare uno addosso all’altro >>
Bè, se stavamo attenti, no, perché sentivo l’aliena più lontana di Eilidh, che era proprio sotto di me.
<< Aspettate un attimo che prendo il cacciavite sonico >>
Ci fu silenzio. Frugai in tutte e due le tasche alla ricerca del cacciavite, ma non lo trovavo. Impossibile, l’avevo con me pochi minuti prima!
<< Non lo trovo >> sussurrai, disperata. Senza il mio strumento mi sentivo più persa di quanto non mi sentissi già.
<< Non è possibile, cerca meglio >>
<< Ellie, le tasche sono due, e ti dico che non c’è! >> le dissi arrabbiata. La mia amica grugnì. Poi toccai qualcosa di duro e liscio << Oh! Ho il cellulare! >> che sollievo. L’unica cosa che poteva far luce in quel momento era lo schermo di un cellulare.
<< Per fortuna >> sentii borbottare Ellie sotto di me.
Spinsi un tasto e ci fu la luce.
Trovai la mia amica stesa sotto di me, con la mano ancora attaccata alla mia caviglia.
La aiutai ad alzarsi, e guardammo i nostri amici.
<< O…Mio… Dio >>  riuscii solo a dire.
 
<< Cosa c’è? >> chiese preoccupata Siemma. Poi si mise una mano sulla bocca quando il suo sguardo cadde su suo fratello Gess. Gli indicò con mano tremante la sua testa.
Lui d’istinto si mise una mano su con un’espressione inorridita.
I tre alieni avevano i capelli…
<< Cosa sono? Cosa sono? >> cominciò a balbettare Eldegor, accarezzandosi i suoi capelli corvini, i più neri e lucenti che avessi mai visto. Gess li aveva brizzolati, mentre Siemma castani ramati.
<< Sono quelli che abbiamo noi terrestri, capelli >> mi avvicinai a loro, perplessa. Notai che i loro occhi si erano ingranditi e diventati di un colore normale ( tutti marroni cioccolato). Sembravano umani…
<< Impossibile… >>
Certo che era impossibile. Era come se quella stanza buia li avesse trasformati in umani. Ma perché? L’unica cosa che avevano uguale erano le loro tute. Anch’io avevo lo stesso vestito blu ed Eilidh il suo nero e bianco.
Siemma cominciò a passare le mani nei suoi capelli liscissimi, meravigliata ma con un sorriso che si allargò sul suo volto.
<< Sono bellissimi… >> poi aggrottò la fronte << Ma perché? E dove siamo? >>
Io ed Eilidh distogliemmo a fatica lo sguardo dalla capigliatura degli alieni e ci guardammo attorno.
Era una grande stanza completamente vuota. C’era una  porta… Ma non traspariva luce.
<< Non ne ho idea. Che sia la stanza in cui volevamo entrare? >> dissi confusa. Si, ma questo non giustificava la trasformazione dei nostri amici.
<< Credo di sì. Ora quindi riusciamo da quella porta. Non c’è nulla qui >> Eldegor si diresse, ma fu fermato dalla voce di Gess.
<< Qualcuno ha visto il mio rilevatore di energia? >> cominciò a girare per la stanza.
<< No… Ehi, Rose, guarda, c’è uno specchietto laggiù >> Eilidh lo raccolse e me lo portò.
Da dove era spuntato uno specchio? Lo rigirai tra le mani, senza trovare però cose strane. Un semplice specchietto.
<< Andiamo? >> ci richiamò Eldegor, con la mano sulla maniglia. Si vedeva che voleva tornare in fretta al ballo, dato che non avevamo trovato nulla.
Ora che avevo la luce cercai bene nelle tasche il cacciavite. Ma avevo solo… un rossetto! Non avevo rossetti nel cappotto. Mai avuti.
Ripresi Eilidh per mano senza dire niente e aprimmo la porta. Mi aspettavo di risentire quella sgradevole sensazione di stritolamento di prima, ma nulla.
Ci trovammo davanti a un’altra stanza, più grande della precedente. Sembrava fossimo capitati in una casa, perché di fronte a noi, dopo qualche metro, c’era la porta d’uscita. La luce filtrava dai sottili spazi tra il muro e la porta.
E voleva dire che c’era qualcosa là dietro. Qualcosa di luminoso.
Senza pensarci neanche un momento e seguita dai miei amici, la aprii. E quando vidi quello che c’era, mi saltò il cuore in gola.
 
Cosa? Londra?
 
 
Io ero nata a Londra, e lì avevo vissuto la mia vita fino a che non conobbi il Dottore.  Lì avevo i miei parenti, la mia casa, i miei amici. Non sarei voluta vivere in una città che non fosse Londra.
Magica Londra.
Quindi come potevo sbagliarmi? Eravamo a Piccadilly Circus.
Vedevo chiarissimo il cartello del metrò in lontananza. E il Criterion Theatre.
Le persone passavano tutte indaffarate senza fare caso a noi, per fortuna. Uscimmo tutti dalla “casa” e quando ci chiudemmo la porta alle spalle, ci girammo, e non c’era più.
 
Come facevamo ad essere a Londra se qualche minuto prima eravamo su Limnos 4? Se era un viaggio nel tempo e nello spazio, era strano, perché non avevamo scelto la meta, quindi sarebbe dovuta essere casuale. Perché la Terra, e perché proprio la mia città?
 
<< Dove siamo? >> Siemma si guardò curiosa attorno, osservando le macchine sfrecciare vicine a noi senza però fare nessun rumore.
<< E’ Londra, sulla Terra… Non capisco proprio come siamo potuti arrivare qui >> per la prima volta non mi sentii a casa come al solito, quando tornavo nella città per salutare mia madre.
<< Ehi, la porta è scomparsa >> sentii dire a Gess, che toccava il muro bianco, dove prima c’era la porta.
<< Bene, e ora come torniamo indietro? >> Eldegor si guardò spaventato intorno. Chissà come era diverso tutto dal loro pianeta. << Perché io voglio tornare indietro! >>
Siemma cercò di calmarlo, posandogli una mano sulla spalla.
<< Non ti preoccupare, ricomparirà… >>
Io avevo un forte dubbio che non sarebbe ricomparsa. Non ora, almeno. Ma comunque prima volevo dare un’occhiata in giro. Se eravamo arrivati saremmo potuti anche tornare indietro.
<< Sulla Terra, che bello! >> Eilidh era l’unica felice e contenta. Era il suo sogno….
<< Ora state calmi, non ci succederà nulla di male >> sorrisi ai miei amici per tranquillizzarli, anche se, in verità, la più preoccupata ero io. << Ora chiediamo informazioni e vedremo >>
Camminammo per un po’, alla ricerca di qualcuno a cui poter chiedere, ma tutti andavano così di fretta…
Oh, eccolo, quello che faceva per me! C’era un uomo seduto a gambe accavallate ad aspettare un pullman, stava leggendo un giornale in tutta tranquillità.
Certo, sarebbe stato più facile comprare un giornale, ma non avevo uno straccio di penny con me. Figurarsi gli altri. O Ellie, che mi avrebbe chiesto “cosa sono i penny?” , e se erano cose da mangiare. Attravesammo la strada velocemente e ci avvicinammo a lui.
<< Salve >> sfoderai il sorriso più affabile che sapessi fare << Mi sa dire che giorno è? Sono in vacanza e non tengo più molto conto dei giorni >> feci con aria quasi annoiata. Scusa poco convincente, ma non importava.
L’uomo distolse gli occhi dal giornale e mi guardò come se fossi pazza.
<< 15 giugno, no? >>
Oh, bene. Il 15 giugno era il giorno in cui partii con il Dottore. Ora importava l’anno! E come chiederlo senza sembrare ancora più matta?
<< E l’anno? 2012, vero? >>
<< Certo cara, quale se no? >> socchiuse gli occhi, come per inquadrarmi.
<< Grazie! >> sussurrai, lasciandolo al suo giornale, stupito e tornai dai miei amici.
<< Ragazzi, questa è la mia epoca. Niente futuro, niente passato. Abbiamo fatto un viaggio nello spazio >>
L’idea che quella stanza su Limnos fosse una specie di Tardis mi sfiorò la mente per la prima volta, ma non la ritenevo possibile.
<< Come può essere successo? Non abbiamo settato le coordinate. >> Gess aveva ragione, come sempre.
<< Appunto >> mi strofinai la fronte, come alla ricerca di qualche idea grandiosa << E non capisco come possiamo esser capitati proprio a Londra, con tutto l’universo a disposizione >>
<< Sembra quasi quasi che la scelta non sia stata casuale. Che qualcuno sapesse di te e ti abbia mandata nella tua città >> disse Eldegor intento a guardarsi nello specchietto che avevamo trovato nella stanza buia. Ancora non credeva di avere quei fili morbidi attaccati alla testa! << E poi, vogliamo parlare della nostra trasformazione in umani? >> Continuò quasi disgustato.
<< E della trasformazione degli strumenti >> avevo capito, finalmente. Il mio cacciavite sonico era diventato quel famoso rossetto che avevo trovato nella tasca! E l’ Identificatore di Jack era il cellulare << Di solito, nei viaggi nel tempo e/o nello spazio le cose non vengono tramutate. A quanto vedo, le uniche cose che sono rimaste uguali sono i nostri abiti >>
Siemma si toccò sovrappensiero la sua tuta verde militare.
<< Che facciamo? Il Dottore non ti ha insegnato qualche trucchetto? >> Eilidh mi guardò speranzosa.
Risi amara << Non ci servono trucchetti. >>
<< Cosa farebbe lui in questa situazione? >>
<< Bella domanda, Ellie. Si farebbe venire in mente qualcosa di geniale. Ma la mia testa ha ben poco di geniale >> le risposi alzando le spalle. << Se avessimo il cacciavite sarebbe tutto più facile…>>
<< Ma non l’abbiamo e dobbiamo trovare un altro modo. E magari in fretta, si sta facendo buio >> Siemma osservò il cielo, che infatti si stava scurendo. Mica potevamo dormire sulle panchine come i barboni!
Ma se era il 2012… Anche se un po’ strano…
<< Ho un’idea! >> Eilidh risollevò la testa, con sguardo attento << Andiamo a casa mia, da mia madre. Almeno per oggi, poi troveremo la soluzione.>>
Gess mi sorrise, mettendo in mostra i suoi perfetti denti bianchi.
<< Chi ha detto che la tua mente ha poco di geniale? >>
<< Si, ma come spiegherai la nostra presenza? >> mi chiese Eldegor. Io alzai le spalle, quella era la mia ultima preoccupazione.
<< Siete degli amici venuti da lontano. Mia madre non si stupirà così tanto, tenendo in considerazione le mie amicizie molto… ehm… fuori dal comune >>
Eilidh rise, prendendomi a braccetto.
<< Andiamo, allora >>
 
Ci incamminammo verso *Powell Estate e dopo una mezz’ora arrivammo. Almeno,vedere mia madre mi avrebbe tranquillizzata.
<< Che carino! Tu abiti qui? >> Eldegor e Gess trotterellavano accanto a me, mentre Siemma rimaneva a volte indietro a osservare le case intono.
<< Si, venite che saliamo >> il portone era come sempre aperto, anche se c’era un cartellino che diceva espressamente di chiuderlo. Salimmo le scale e arrivammo alla porta di casa.
La prima cosa che mi stupii era che non c’era il cognome accanto al campanello, noi l’avevamo sempre avuto.
Suonai.
<< Si? Desiderate? >> ci aprì una signora sui 60 anni con dei bigodini tra i capelli biondi ( ovviamente tinti ). Sentii Eilidh trattenere una risatina.
Ma… dov’era mia madre? La casa era quella, anche se non i mobili e la loro disposizione, vedevo quel piccolo difetto sul muro che c’era sempre stato.
Mi accorsi che avevo la bocca semi aperta e la chiusi immediatamente.
<< Cerco i Tyler. Jackie Tyler. Non abita qui? >>
Lei scosse la testa, poi rise. La guardai di traverso, e lei smise subito.
<< No, niente, scusami… Non sei di qui, vero?>>
<< Sono americana >> fu la prima cosa che mi venne in mente e assunsi immediatamente l’accento americano un po’ strascicato, che avevo imparato da jack. Avevo detto che lui parlava un inglese perfetto, ma quando si lasciava andare  l’accento veniva naturale.
<< Oh, ecco perché! Tutti sanno dove abita il polito inglese più famoso >>
Il politico inglese più famoso? Ma di chi stava parlando? Di mia madre sicuramente no.
Forse stava confondendo il cognome con qualche altro.
Il politico inglese più famoso? Ma di chi stava parlando? Di mia madre certamente no.
Di sicuro stava confondendo il cognome con qualche altro.
<< Come, scusi? >>
<< Non li conosci? >> sgranò gli occhi << Pete Tyler e la sua famiglia >>
Qui non quadrava qualcosa. Anzi, molto.
Mio padre era morto in un incidente d’auto quando ero una bambina. Allora…Non era la mia realtà. Quella era casa mia, non di quella signora, e mio padre sarebbe dovuto essere morto.
<< Sono un’amica di Rose Tyler, la sua penfriend. Mi ha invitato da lei ma credo di aver scritto male l’indirizzo >>
Non sapevo di essere così brava a recitare. Anche Ellie sembrò sorpresa dalla mia trovata brillante.
<< Logan Place n°1. E’ una delle ville più belle, all’inizio della strada, una traversa di West Cromwell Road, a Kensington. Non puoi sbagliarti >>
Kensington. Ci sarebbe voluto un sacco per arrivarci.. Almeno un’ora e mezza, o più. Londra non era Cardiff. E io lo sapevo bene!
<< Grazie >> abbassai la testa, vergognandomi di quello che stavo per dire << Noi abbiamo solo dollari… Dovremmo prendere un pullman… Lo so che siamo estranei, ma non potrebbe darci qualche sterlina? Prometto che poi le restituiremo tutto >>
Speravo che la signora non mi scambiasse con una povera che elemosinava. O che mi sbattesse la porta in faccia.
Ma sembrai convincente.
<< Oh, cara… Non ce n’è bisogno! >> sembrava quasi commossa << Mio figlio vi può portare con la macchina fin lì! Tom! >> chiamò.
<< Non vorrei disturb… >>
<< Figurati! >> la donna mi sorrise, e arrivò alla porta un uomo robusto con l’aria un po’ assonnata. Ci guardò incuriosito. << Questa ragazza e i suoi amici sono appena arrivati dall’ America e non sanno come arrivare a Kensington…>> prima che la madre potesse finire, lui sorrise.
<< Non c’è problema, vi accompagno io >> sparì un attimo e poi ricomparve con le chiavi.
<< Grazie, non so davvero come ricambiare.. Siete troppo gentili >> dissi senza dimenticare di calcare sull’accento americano.
<< Niente! Poi dicono che noi londinesi siamo sempre freddi e scostanti coi turisti. Venite >> uscimmo dal portone e aprì la porta di un furgoncino bianco. Ci fece entrare e in poco arrivammo davanti a quella mitica villa di Logan Place.
<< Grazie! Ci ha salvato la vita! >> sorrisi a Tom, che fece un gesto con la mano, come per dire “di nulla”.
<< Per così poco! E’ stato un piacere…? >> mi tese la mano, e mi accorsi che io sapevo il suo nome ma lui non il mio. La strinsi, e dissi il primo nome che mi venne in mente: << Samantha >>
<< Allora buonasera Samantha, anche ai tuoi amici >>.
Scendemmo dal furgoncino e aspettammo che lui mettesse in moto e girasse l’angolo per poi citofonare.
<< Ciao mamma, sono Rose, ci fai entrare? >> fu un sollievo non sforzarmi più con l’americano.
Sentii la porta sbloccarsi ed entrammo. Rimasi a bocca aperta.
C’era un bellissimo giardino all’inglese, perfettamente curato, degli alberi verdissimi dalle foglie grandi che facevano ombra su una fontana in marmo bianco dove scorreva incessantemente l’acqua. Ecco perché quel rumore.
E la casa… La casa era ancora più bella. Era alta due piani color mattone, la più bella che avessi mai visto. Anche i miei amici ne rimasero incantati.
<< Rose? Ma come ti sei vestita? >> la voce di mia madre mi scosse ed attraversammo il vialetto che portava all’entrata di casa. Mi guardò stupita.
Oh, dimenticavo di avere ancora il vestito da sera blu…
<< Ehm >> non sapevo proprio che dire.
<< Ma è bellissimo! >> Jackie si avvicinò a me e toccò il tessuto << E poi, il colore è magnifico. >>
<< Blu Tardis, non lo riconosci? >>
<< Blu che? Dove l’hai preso? >> come, blu che? Sapeva benissimo cos’era il Tardis, anzi, ero stupita che non l’avesse riconosciuto al primo colpo.
<< Ce l’avevo da tempo >> poi passai alle cose più importanti << Mamma, perché sei qui? Mi hanno detto che abitiamo in questa villa. Ti sei trasferita senza dirmi nulla? >>
<< Oh, sei arrivata, Rose? >>
Una voce inconfondibile che non sentivo da anni, si avvicinò al mio orecchie. Ebbi un brivido freddo lungo la schiena.
Mio padre.
Osservai le sue mani grandi che tante volte avevano tenuto le mie, il suo sorriso e i suoi occhi chiari che avevo ereditato. Lo abbracciai stretto senza pensarci un secondo, inspirando il suo profumo inebriante di cannella, sempre lo stesso. Dovetti fare uno sforzo per non piangere, o sarebbe parso strano.
Lui tossicchiò imbarazzato.
<< Come mai così contenta di vedermi, tesoro? >>
Alzai le spalle. Mica potevo dirgli “ Perché forse sono 14 anni che non ti vedo dato che dovresti essere morto?”
<< Non so…così >> mi allontanai di un passo da lui, e presentai i miei amici << Loro sono Gess, Eldegor, Siemma ed Eilidh >> che era ancora attaccata al mio braccio << Sono vecchie amicizie, venuti da lontano, possono restare qui con me? >>
Mia madre sorrise.
<< Certo, aggiungo i posti a tavola! Pete, hai chiamato Julie e Mary? >>
<< Mary chi? >> mi intromisi. E ora questa Mary da dove spuntava? Non conoscevo nessuno con quel nome.
<< Come “Mary chi?”. Tua sorella! >> fece mio padre con un sorriso sghembo.
Mia sorella? Ma io di sorella ne avevo solo una, Julie. Julie aveva 4 anni più grande di me e si era sposata qualche anno fa… Avevo sentito molto la sua mancanza, avrei preferito fosse rimasta ancora un po’ con me.
“ Ti affido mamma, Rose: falle sempre compagnia e rendila fiera di te” mi aveva detto Julie quando se ne andò. Non le dissi mai che non avevo fattò né compagnia né avevo resa fiera di me mia madre, anzi, tutto il contrario. L’avevo lasciata sola. In quel momento mi sentii stranamente molto in colpa.
E fui contentissima di vedere mia sorella. Lei attraversò a grandi passi il giardino, e alzò una mano in segno di saluto.
Non mi sarebbe dovuta saltare al collo? Non ci vedevamo da tantissimo tempo e da bambine eravamo state molto unite, migliori amiche.
Poi mi accorsi che era seguita da una ragazza in jeans, con dei corti capelli castani. Mary? Sembrava avere sui 15-16 anni. Oh, avevo sempre desiderato una sorella minore!
<< Ciao, Julie! Da quanto tempo! >> la abbracciai e lei mi guardò meravigliata.
<< Ma se ci siamo viste ieri? >> Julie rise, pensava stessi scherzando << E voi chi siete? >>
I miei amici si presentarono.
<< Ehi, Mary. Tutto bene? >>
Mary mi scrutò con i suoi grandi occhi nocciola. << Si, tutto bene >> c’era qualcosa di familiare in lei.
<< Sei venuta da sola, Julie? E tuo marito? >>
Julie scoppiò a ridere, quella sua risata cristallina che adoravo << Marito? Oggi sei in vena di scherzi! Io non mi sposerò mai, sorellina! >>
<< Se è per questo neppure io >> sussurrai, ma mi feci sentire lo stesso.
Allora era il passato: mia sorella non si era ancora sposata. Ma non poteva essere passato, perché era il 15 giugno 2012.
Che confusione…
<< Parla quella che si deve sposare tra poco più di una settimana! >> Mary mi diede una pacca simpatica sulla spalla.
Cosa??
Eilidh mi guardò con tant’occhi. Dovevo parlarle al più presto, qui la situazione mi stava sfuggendo di mano.
Sentimmo il suono del citofono. Oh, si, stavamo aspettando sicuramente qualcuno, la tavola imbandita sul patio era troppo piccola per sole 9 persone.
Ero proprio curiosa di chi…
<< Vai tu, Rose, tanto è lui! >> Mi urlò mia madre da dentro casa ( che poi avrei dovuto esplorare da cima a fondo ).
Lui? Lui chi? Forse un collega di papà… Un amico di Julie, magari. Non mi capacitavo mai di quanti amici avesse quella ragazza.
Corsi alla porta, e quando mi trovai davanti l’ultima persona che avrei mai immaginato di vedere lì, il cuore smise per un attimo di battere…
 








* Powell Estate: da Piccadilly Circus , centro di Londra, e Peckham, periferia( dove c’è appunto la casa di Rose ) ci vuole molto più di una mezz’ora. Ma per far quadrare tutto ho dovuto accorciare le distanze.
 
 
Saluti a tutti!
Scrivere questo capitolo è stato un po’ faticoso, era difficile descrivere la confusione e la perplessità  di Rose e ancora ora ( questa è la 3 volta che lo riscrivo ), non ne sono pienamente soddisfatta…
 
Ma vabbè! Comunque spero vi piaccia e me lo facciate sapere con un commento, ho sempre paura che ogni nuovo capitolo che metto sia una schifezza!
 
Julie è la sorella di Rose, nella serie TV non esiste, lei è figlia unica. Ma mi è servita..
Mary è la sorella minore… Ogni personaggio da ora è importante fate attenzione a cosa pensa di ognuno la nostra Rose.
Capirete il perché della loro esistenza… Prima o poi.
 
Sarei contenta se immaginaste chi Rose trova alla porta e me lo facciate sapere… Chissà se indovinate!
 Baci baci,
la vostra SweetLady98!!
 
  
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