Serie TV > The Mentalist
Segui la storia  |       
Autore: csgiovanna    27/08/2012    2 recensioni
Jane, Lisbon ed il team dovranno indagare su un inquietante omicidio avvenuto all'interno della Coffin Academy, un istituto che pratica una ambigua e singolare terapia anti-suicidio. Chi ha ucciso Samantha Greenwood, avvocato di grido di Sacramento? Perché Jane si comporta in maniera più strana del solito? Cosa sta nascondendo a Lisbon e alla squadra? FF ambientata durante la 4/a stagione, dopo l'episodio 4x22 e prima dell'episodio Red Rover, Red Rover (4x23)
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Siamo arrivati ormai al quinto, e penultimo (probabilmente), capitolo di questa FF. Ringrazio quanto hanno recensito finora!! Siete stati tutti molto, molto carini con me. Siamo quasi arrivati all'epilogo della nostra storia e qualche pillolina Jisbon (senza esagerare cmq) non può mancare, altrimenti che FF sarebbe??? 

 




Patrick si muoveva nel piccolo ufficio curiosando qua e là con aria indifferente: le poche fotografie presenti sulla scrivania, le stampe appese alle pareti e le riviste appoggiate sul tavolino di vetro non erano, però, particolarmente interessanti. La porta si aprì e Richard Sullivan apparve sulla soglia. Lo fissò un attimo studiandolo, quindi sorrise.

«Cosa posso fare per lei Mr Gordon?»

«Sono venuto a proporle un accordo. - rispose Jane - Come le accennavo al telefono, Samantha mi ha parlato molto di lei, dell’accademia e … di sua moglie, naturalmente.»

Lui ebbe un leggero tremito alla palpebra sinistra.

«Me la immaginavo più vecchio.»

«Lei si riferisce a mio padre Greg. Io sono Jeff. Samantha non le ha mai parlato di me?» il consulente sorrise e gli strinse la mano.

«Si spieghi meglio Jeff – disse scandendo bene le ultime lettere - Al telefono mi ha chiesto di vederci da soli ed eccoci qui. Ma ho poco tempo da dedicarle.»

«Voglio entrare nell’affare… - disse ampliando il sorriso - voglio la parte di Samantha più il 10%.»

L'uomo fissò il biondo con un sorriso falsamente cordiale.

«Vede signor Gordon, come ben saprà non è esattamente il momento migliore per parlare di affari... - fece una pausa studiando il volto del consulente - Tra un paio di settimane, quando la situazione sarà più tranquilla potremo riparlarne.»

«Davvero? Ora che non avete più l'appoggio della MOD Gang e Samantha è morta come credete di farcela? - replicò Jane - Un paio di settimane sono troppe per le vostre finanze. Io ho i contatti giusti e clienti disposti a spendere per un bel po' di soldi per divertirsi.»

Sullivan corrugò la fronte e squadrò il consulente da capo a piedi.

«E poi sono sicuro che troverà le giuste motivazioni.» Jane estrasse dalla tasca l'agenda di Samantha e iniziò a giocherellarci. Sullivan contrasse la mascella nervoso.

I due si fissarono in silenzio, l'uomo, infine, abbassò lo sguardo.

«Vede signor Sullivan, Samantha era una donna intelligente e, sorpattutto, previdente. - Patrick fece una pausa teatrale - Chissà cosa potrebbe succedere se questa agenda finisse nelle mani sbagliate.»

«Perfetto Mr Gordon. - sussurrò l'altro con voce incrinata – l’appuntamento è per domani alle sei. La quinta cassa lungo la prima fila è sua. Immagino sappia già come funziona.»

«Certo. E’ un piacere fare affari con lei.» Jane gli fece un cenno con la testa ed uscì.

Sullivan lo guardò allontanarsi, quindi sospirò.

 


 

Dopo essere rientrato al CBI senza passare per il bullpen, Jane si era disteso sul suo letto di fortuna nell’attico. La ventina di messaggi minatori che Lisbon gli aveva lasciato in segreteria gli aveva fatto capire che Doyle e Smith non erano stati molto sportivi e non tirava una buona aria per lui in ufficio. Sapeva di doverle delle spiegazioni, ma non aveva la forza di affrontarla ora. Così, aveva aspettato fino a quando l'aveva vista salire in macchina e allontanarsi dal CBI, e si era, finalmente, rifugiato nella sua soffitta nel tentativo di riposare. Si era tolto la giacca e l’aveva appoggiata alla sedia difronte alla vetrata, quindi aveva preso un paio di antidolorifici. Si sentiva uno straccio, oltre al braccio e alle costole ora anche la testa gli pulsava: probabilmente aveva la febbre oppure era l’effetto dei medicinali. Sentiva la testa leggera, come fosse un po’ brillo.

L'attico era silenzioso e buio, rischiarato soltanto dalla luci esterne. Jane ad occhi chiusi cercò di rilassarsi e abbandonarsi ad un breve sonno. Da anni non dormiva più di qualche ora, ma si augurava che i medicinali potessero aiutarlo e evitare anche solo per un po' i terribili incubi che lo perseguitavano notte dopo notte. Sentì la porta aprirsi, cercò di rimanere immobile sapendo già che Teresa era tornata appositamente per parlargli. Forse se avesse finto di dormire se ne sarebbe andata.

«Lo so che non stai dormendo.» disse seccata.

Lui non si mosse.

«Jane… dobbiamo parlare.»

Non vedendo nessuna reazione da parte del biondo, Lisbon sbuffò e si avvicinò al letto con fare minaccioso.

«Dannazione Jane, una rissa in un bar con dei colleghi?!?»

Lui sospirò e aprì gli occhi.

«Io lo definirei più un vivace scambio di opinioni.»

«Oh davvero? Cosa diavolo hai nella testa?» sbottò senza riuscire a trattenere la rabbia.

«Non riuscivamo a trovare un punto d’incontro.»

«Gesù Jane, Smith è in ospedale!» urlò esasperata.

«E io che avrei giurato di averle prese.» ridacchiò lui con voce strascicata.

«Sei ubriaco?» chiese guardandolo sconvolta.

Lui non rispose troppo occupato a tentare di trattenere le risate. Teresa lo fissò perplessa studiandolo in silenzio, nella penombra della soffitta, nonostante la scarsa illuminazione, si accorse che era molto pallido, sudato, gli occhi lucidi ed il respiro rapido e superficiale. Improvvisamente ebbe un’epifania e tutti i tasselli tornarono al loro posto: il comportamento insolito, il ritardo, il pallore e gli strani malori. Si avvicinò al letto con cautela, lui la fissò senza dire nulla, si sedette sul bordo del letto e gli mise una mano sulla fronte. Scottava. Lui rabbrividì, ma non si mosse.

«Non è un buon segno. – disse semplicemente, con un tono di voce più morbido – Da quanto stai così? Come ti senti?»

«Starò benone.» si limitò a rispondere, abbassando lo sguardo imbarazzato per il gesto di grande intimità. Lei tolse la mano dalla fronte. Era preoccupata per lui, per il guaio in cui si era cacciato, per il caso, per tutto.

«Sei un asino.»

Patrick sorrise, gli occhi brillavano nel buio.

«Vuoi darmi il colpo di grazia, Teresa?»

Lui gemette nel tentativo di sollevarsi, lei lo bloccò con delicatezza, quindi si alzò continuando a fissarlo preoccupata. Non era certa di cosa gli fosse successo durante quella rissa, ma di sicuro non stava bene. Si morse il labbro inferiore, sospirò, quindi distolse lo sguardo. Jane non le avrebbe detto nulla ora.

«Ok Jane. – sussurrò – Ne parliamo domani, ma dovrai essere completamente onesto con me. Ora prova a dormire, ne hai davvero bisogno.»

Jane annuì tornando a distendersi sul suo giaciglio, Teresa si girò e si diresse verso l'ingresso dell'attico.

«Uhm.. com’è andato con il tuo sospetto?» chiese Patrick prima che lei uscisse.

«Aveva un alibi… e tu?»

Lui sorrise, Lisbon stava cominciando a conoscerlo troppo bene. Era estremamente orgoglioso di lei, e forse anche un po’ intimorito.

«암캐 (amkae)*.» rispose in coreano.

Lei corrugò la fronte e lo fissò. Lui sorrideva con gli occhi chiusi.

«Cosa significa?» chiese quasi ridendo.

«Oh, non lo vorresti sapere – le disse ridacchiando - Sai, quando ci si fa fare un tatuaggio bisogna fare molta attenzione. Potresti ritrovarti tatuato un “Amo Jane” in coreano senza accorgertene.» borbottò sbadigliando.

Lei si lasciò sfuggire una risatina, quindi scosse la testa.

«Non potrebbe mai accadere. Buonanotte Jane.»

«Io mi farei tatuare “Sweet Reese”. – sussurrò – Domani avrai il tuo colpevole Lisbon.»

Teresa sorrise e chiuse la porta della soffitta dietro di lei.

 


 

Lisbon entrò al Mercy General Hospital di Sacramento con piglio deciso ed individuò piuttosto facilmente la stanza che stava cercando. Si fermò davanti alla porta e prese un profondo respiro, quindi indossò il suo sorriso migliore.

L’uomo all’interno, disteso sul letto, alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo e rimase a fissarla a bocca aperta.

«Cazzo… Teresa Lisbon in persona – imprecò con un sorrisetto ironico – Quale onore.»

Lei sentì il sorriso vacillare momentaneamente, rimase sulla porta esitante. L’uomo piegò il giornale con cura, quindi scosse la testa ridacchiando tra sé.

«Posso?»

«Certo, sei sempre la benvenuta.»

I due si studiarono un attimo in silenzio. L’uomo sulla cinquantina con capelli brizzolati portati rasati ed una barbetta di due giorni, la stava squadrando.

«Come ti senti?»

«Mah. Ci vuole altro per mettermi K.O.»

Teresa annuì e gli sorrise. Stava cercando le parole giuste per iniziare il suo discorso, ma ora che si trovava davanti a Smith si sentiva a disagio.

«Lasciami indovinare: sei qui per Jane, eh?»

«Voglio capire cos’è successo – ammise fissandolo dritto negli occhi - Jane può essere un vero idiota a volte, ma questo… davvero non è da lui…» s’interruppe.

«Il tuo consulente non ti ha raccontato nulla.» la fissò con un sorrisetto divertito.

«Ci ha pensato Doyle.»

«Oh, Doyle – sbottò con tono di disprezzo –Non c’è niente di peggio di un coglione che crede di essere furbo.»

Teresa lo fissò perplessa, la storia forse era più complicata di quanto potesse sembrare ad un primo sguardo.

«Stammi a sentire Teresa – le disse con un tono di voce accondiscendente – Jane non mi è mai piaciuto e non credo mi piacerà mai. Dovrebbe stare rinchiuso da qualche parte lontano dal CBI. E’ pericoloso per sé stesso e per chi lavora con lui. – la fissò dritto negli occhi per accertarsi che il concetto le arrivasse forte e chiaro – Ma Doyle se l’è proprio meritata.»

«Lui sostiene che Jane lo ha aggredito.»

Smith rise di gusto. Teresa lo gelò con uno sguardo e l’uomo cercò di trattenersi.

«Divertente, davvero. Credimi Jane con le parole ci sa fare, ma quando c’è da menar le mani…- fece schioccare le nocche – credo abbia colpito Doyle per pura fortuna! Comunque è davvero un buon incassatore.»

Teresa distolse lo sguardo e fissò la punta delle scarpe. Jane doveva essersela vista brutta. Quell’idiota era stato colpito e fingeva di stare bene. Ma perché?

«E che mi dici della bottigliata in testa?»

«Oh è stato Doyle – ringhiò – Stavo cercando di separarlo da Jane e lui ha colpito la mia testa. Diamine, che idiota.»

«Oh.»

Smith sorrise e la fissò con uno sguardo malizioso.

«E’ davvero un uomo fortunato quel bastardo.»

Lisbon lo fissò seria, era irritata del suo tono e dal suo modo di fare.

«Davvero Smith, vorresti trovarti al posto di Jane? – esclamò trattenendo a stento la rabbia - Con una moglie e una figlia uccisi da Red John?»

L’agente distolse lo sguardo e si fece serio.

«No. Cazzo, no. Mi riferivo al fatto che nonostante tutto può contare su un partner come te. Disposto a salvargli il culo in ogni occasione. E’ davvero così speciale?»

Teresa avrebbe voluto rispondere come al solito “chiude i casi”, ma sapeva che questa scusa non poteva più essere utilizzata perché anche lei non ci credeva più oramai. Si limitò a fissare Smith in silenzio. L’uomo annuì.

«Grazie per il tuo tempo Smith. Abbi cura di te.» fece per uscire.

«Teresa. Non vuoi sapere perché è iniziata la discussione con Doyle?» chiese lui prima che uscisse.

La donna corrugò la fronte e si fermò.

 

 


 


Jane era in piedi al centro della piccola sala della Coffin Academy con in mano la sua lettera d’addio scritta di suo pugno qualche minuto prima. Si guardò intorno, oltre a lui, che in quel momento interpretava Jeff Gordon, c’erano un gruppetto di manager stressati, tre impiegati di banca ed un paio di casalinghe frustrate sulla cinquantina. Alle sue spalle poteva vedere Sullivan, sua moglie nell’abito tradizionale coreano e Christine. Le due donne parlottavano tra loro a bassa voce. Sembravano tese, notò Jane.

Dopo aver assistito alla proiezione di un filmato che doveva creare la giusta emozione e predisposizione d’animo, gli avevano fatto indossare una tunica chiara che lo faceva sembrare quasi uno Jedi e tutt’intorno erano state accese delle candele che illuminavano piacevolmente la stanza.

Patrick si schiarì la gola e iniziò a leggere con voce morbida. Van Pelt, Rigsby e Lisbon lo stavano ascoltando all’interno del furgone parcheggiato poco distante, mentre Cho si era intrufolato di nascosto nell’edificio pronto ad intervenire in caso di bisogno.

«Jane, scrivo queste righe per spiegarti il perché del mio gesto.»

Lisbon sbuffò e scosse la testa guardando Van Pelt seduta accanto a lei.

«Solo un egocentrico come lui poteva scrivere una lettera d’addio a sé stesso!» commentò.

La rossa ridacchiò in risposta, mentre Rigsby continuò imperterrito a sgranocchiare delle patatine.

«So che ti deluderò per l’ennesima volta. – riprese il consulente – Ma sono stanco di mentire ed indossare ogni giorno questa maschera di falsa felicità. Sappiamo entrambi che la verità è diversa. Mentire è l’unica cosa che so fare, così per anni ho mentito a te e anche a me stesso… Continuare a vivere così, quando tutto quello che conta è perduto è diventato impossibile. Spero capirai il mio gesto e riuscirai a perdonarmi. Almeno tu, visto che io, finora, non ci sono riuscito. Mi mancherai. Tuo Jeff.»

Lisbon sentì un nodo in gola. Anche se era un falso scritto ad arte da Jane per rendere credibile la sua copertura, tremò internamente e sentì una stretta allo stomaco. Sembrava quasi che, nascosto tra le righe, ci fosse un messaggio per lei. Aveva provato la stessa sensazione al funerale di Tom Maier quando Jane stava leggendo la lettera d'addio che lui stesso aveva scritto per nascondere l’omicidio di Panzer da parte di Red John. Allora aveva colto, dietro le parole che prima la vedova e poi lo stesso Jane avevano recitato, un’ombra dell’animo del consulente che, aveva immaginato allora, si rivolgeva a sua moglie e, forse, anche un po’ a lei.

La cerimonia proseguì con la lettura delle altre lettere. Jane studiò la scena con un sorriso appena accennato sulle labbra e senza mai perdere di vista la donna coreana e suo marito. Ben presto tutti i presenti vennero invitati a raggiungere la propria cassa. Il consulente si avvicinò alla quinta bara, come concordato con Sullivan, e guardò all’interno. Non c’era null’altro aldilà di un sottile materassino in gomma, rivestito di cotone chiaro.

Hea Woo Chung invitò tutti ad accomodarsi all’interno della propria cassa. Jane esitò, le costole gli facevano male e la spalla aveva ricominciato a pulsare. Strinse i denti e si sedette all’interno, quindi si distese e rimase in attesa. Sentì il rumore dei chiodi inseriti nelle altre bare e, dopo qualche minuto, vide il giovane e sorridente volto di Christine sovrastarlo. Lei prese il coperchio e lo richiuse sopra di lui.

«Che i giochi abbiano inizio.» sussurrò ai tre colleghi in ascolto.

Disteso nella cassa Jane iniziò ad esplorare con la mano destra il materasso sotto di lui, ben presto si rese conto che da quel lato non c’era nulla di anomalo. Sospirò, naturalmente era il suo giorno fortunato. Iniziò a muovere la mano sinistra lungo il bordo del materasso e, poco dopo, individuò un piccolo sacchettino in plastica: lo sfilò da sotto il materasso e lo mise in tasca. Un gemito gli sfuggì mentre spostava la mano indolenzita.

«Tutto bene?» chiese Teresa allarmata.

«Bingo.» rispose sottovoce.

Una decina di minuti più tardi Christine tolse i chiodi e Jane riemerse dalla cassa. Sbadigliò leggermente assonnato e si alzò con cautela. La giovane lo fissò incuriosita.

«Tutto bene Mr Gordon?» chiese aiutandolo ad uscire.

«Perfettamente.» le rispose con un largo sorriso.

Lei lo ricambiò. Lui la osservò allontanarsi verso il palco e scambiarsi uno sguardo con Hea Woo Chung. Di Sullivan non c'era traccia, doveva essere uscito dalla stanza quand'era entrato nella cassa, notò Jane. Il consulente seguì gli altri partecipanti che si stavano lentamente spostando verso il centro della piccola sala. Sentì lo sguardo delle due donne su di lui a cui rispose con uno dei suoi affascinanti sorrisi.

Dopo un paio d’ore di ascolto Teresa, Grace e Wayne erano ormai annoiati e rassegnati a non poter ancora intervenire per chiudere il caso. All’ennesimo sbadiglio, Lisbon cominciò a dubitare dell’efficacia del piano di Jane. O l’infallibile consulente si era sbagliato, e sarebbe stata la prima volta, oppure il killer era molto furbo. Non aveva ancora provato ad ucciderlo e, pensò la bruna, probabilmente nemmeno l’avrebbe fatto. Il che la riportava alla domanda precedente, Jane poteva essersi sbagliato? Viste le condizioni in cui si trovata sarebbe stato plausibile.

Patrick dal canto suo, dopo aver ascoltato il discorso conclusivo di Hea Woo Chung e aver festeggiato con un piccolo rinfresco, stava aspettando di potersi allontanare per verificare il contenuto della busta. Finalmente la cerimonia sembrava definitivamente conclusa, alcuni dei partecipanti stavano salutando decisi ad andarsene.

Il biondo ne approfittò per allontanarsi, uscì da una delle porte laterali ed andò a rintanarsi in una delle salette adiacenti. Cho l’aspettava all’interno di quello che sembrava essere un piccolo sgabuzzino. Jane lo salutò con un cenno ed estrasse la busta dalla tasca e l’aprì.

«Uhm.»

«Volete condividere?» chiese Teresa sbuffando.

«Diverse dose di cocaina e – disse Cho studiando le pillole arancioni che aveva in mano – credo siano dell'ecstasy o qualcosa di molto simile.»

Il consulente sentì dei passi, prese dalle mani dell’asiatico la busta e se l’infilò in tasca, uscendo rapidamente dallo stanzino. Quasi si scontrò con Christine.

«Ehm… cercavo il bagno.» si giustificò lui con un sorriso.

«E’ da questa parte, l’accompagno. - rispose la donna. Si avvicinò alla porta e la chiuse a chiave.

«Abbiamo avuto delle sgradite sorprese ultimamente, è meglio essere prudenti.» spiegò riponendo la chiave in tasca e facendogli strada lungo il corridoio - Allora come si sente Mr Gordon? Le è piaciuta questa esperienza? Per qualcuno è addirittura illuminante.» disse guardandolo di traverso.

«Sono in estasi.» rispose lui giocando con le parole.

Lisbon dall’altra parte roteò gli occhi, mentre Grace sorrise.

La donna si fermò, si spostò di lato ed indicò il bagno. Jane la ringraziò con un cenno ed aprì la porta. Non fece nemmeno in tempo a fare un passo che venne spinto violentemente all’interno. Il consulente perse l’equilibrio e cadde di peso sul pavimento, Christine gli fu subito sopra e lo sbloccò con un ginocchio. Jane lanciò un grido di dolore. La donna si chinò su di lui con aria minacciosa.

«Non fiatare o sei morto» lo minacciò con un coltello.

Jane gemette in risposta. Sentiva delle fitte tremende al petto, il fiato gli mancava e una miriade di puntini bianchi iniziavano ad offuscargli la vista. Lui annuì gemendo.

Lisbon resasi subito conto di quello che stava accadendo scattò in piedi e cominciò ad abbaiare ordini a Risgby e Van Pelt e via radio a Cho che era ancora bloccato nello sgabuzzino. I tre si precipitarono immediatamente fuori dal furgone con le armi in pugno. Teresa sentiva il cuore batterle forte nel petto. Cho iniziò a colpire la porta a spallate, quindi sverrò un calcio e la sfondò.

La porta del bagno si aprì e Hea Woo Chung entrò, fissandolo con un sorriso gelido. Christine si alzò e Patrick trasse un profondo respiro. Si girò sul fianco destro e tossì un paio di volte.

«Allora Jeff, hai ancora voglia di fare affari con noi?»

«Siete state voi a uccidere Samantha…» disse il biondo in un sussurro.

«La sua arroganza l’ha uccisa. Ha sempre pensato di essere più intelligente di chiunque altro.» commentò Christine gelida.

«Avete scoperto che la droga che producevate si trasformava in veleno letale se unita al resorcinolo quando è morto lo spacciatore, non è così?»

La bionda corrugò la fronte, poi guardò la donna coreana che, però, non batté ciglio.

«Chi sei? - domandò Hea Woo Chung chinandosi verso Jane con uno sguardo tagliente – Di certo non ti chiami Jeff Gordon. Sei un poliziotto, vero?»

Christine iniziò a frugargli le tasche, ma non trovò la cimice che Jane aveva furbamente fatto scivolare all’interno della busta della droga, poco prima di uscire dallo stanzino. Lo afferrò per il bavero, minacciandolo con il coltello.

«Chi diavolo sei? Chi altro lo sa?» urlò perdendo il controllo e schiaffeggiandolo.

La donna coreana l’afferrò per una spalla fermandola. Patrick si arrotolò su sé stesso dolorante. La busta con la droga si aprì e la cimice rotolò sul pavimento. La giovane donna la prese e trasalì.

«Siamo fottute!»

«No. Non abbiamo detto nulla. Dobbiamo andarcene.» disse Hea senza emozione distruggendo la cimice con il piede. Quindi si spostò verso Jane e lo bloccò al pavimento con un ginocchio. Fece un cenno all’altra donna per ordinarle, senza parlare, di far fuori il consulente.

«Niente di personale biondo.- gli disse la giovane estraendo dalla tasca posteriore un astuccio con una siringa – non preoccuparti non ci vorrà molto.»

Jane tentò di ribellarsi alla presa della donna, ma era debole e non riusciva a muoversi. Cominciò a chiedere aiuto, ma le parole uscivano a stento. Christine si stava avvicinando al collo del consulente per iniettargli il veleno, quando la porta si aprì e Cho entrò arma in pugno. Sparò e colpì di striscio alla spalla la bionda facendola cadere su un fianco. Subito dopo entrarono Van Pelt, Rigsby e Lisbon. Hea Woo Chung si alzò lentamente con le mani in alto. Toccò a Rigsby ammanettarla e portarla via, mentre Kimball e Grace si occuparono di arrestare Christine.

Teresa si chinò a soccorrere Jane, che era immobile sul pavimento.

«Jane.» lo chiamò preoccupata.

Lui non si mosse, allarmata si abbassò verso di lui e gli toccò prima il collo per sentirne le pulsazioni, quindi cominciò a scuoterlo delicatamente, per capire se era privo di sensi e se era ferito in qualche modo.

«Potrei denunciarti per molestie, lo sai?» sussurrò con un lieve sorriso sulle labbra.

Lisbon roteò gli occhi, ma non disse nulla, felice che fosse cosciente. Patrick si lasciò aiutare da Teresa a sedersi. Il biondo si appoggiò su di lei per ricomporsi e prendere fiato: aveva il respiro affannoso e il viso sudato. Teresa lo fissò incerta.

«Come ti senti? Andiamo in ospedale»

«No… Non è necessario…Sto bene. Il divano del CBI e una tazza di tè saranno sufficienti.»




*versione volgare ed animale di "prostituta" in coreano

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Mentalist / Vai alla pagina dell'autore: csgiovanna