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Autore: formerly_known_as_A    27/08/2012    4 recensioni
Islanda ha pensato che un viaggio lontano dal se stesso fisico potesse fargli soltanto del bene. A volte succede. A volte gli sembra che l’isola sia troppo piccola, troppo vuota, persa com’è in mezzo al mare. A volte ha bisogno di allontanarsene per rendersi conto di quanto sia bella.
E non c’è nessun avvenimento che gridi ‘vattene’ come una separazione.

{Personaggi: Islanda, Olanda, Danimarca}
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danimarca, Islanda, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La zona in cui lo sta portando non lo rassicura neppure un po', neppure con il sole che splende ed il cielo azzurro sopra le loro teste. Non importa che non abbia assolutamente fatto accenno a dove sono diretti, se ne sta rendendo conto perfettamente.

Giusto dietro il Dam, ecco che cominciano a delinearsi palazzi tradizionali, dall'architettura tipica, come casette di marzapane altissime, allungate verso l'alto -non osa neppure immaginare quanto possano essere ripide le scale, all'interno!- e vetrine.

Cerca di protestare, ma non gli viene in mente nulla di convincente. Quella è una parte della città che ha imparato ad amare in quei pochi giorni trascorsi lì? Deve far finta di nulla, mostrarsi entusiasta come per ogni altra cosa?

Sono in pieno quartiere rosso e l'islandese è a disagio. Un disagio che si traduce presto nel non riuscire a guardare attraverso quei vetri trasparenti, non imbarazzato, soltanto amareggiato da quell'esposizione. Merce. Come se si trattasse di macellerie una dietro l'altra, gli mette addosso un senso di tristezza che non sa come spiegare alla sua guida, non senza passare per pudico.

La prostituzione, in Islanda, è vietata. Non ci sono strip-club, neppure. Personalmente non è attratto da quelle cose, anche se conosce il sesso e lo considera ciò che di più normale possa esistere. Ma... La prostituzione è tutt'altra cosa.

"Jan." la voce gli esce autoritaria, alza la testa, finalmente, ruotando il polso che l'olandese gli sta tenendo per guidarlo e riuscendo ad afferrargli la mano. "Non sono qui per questo, portami via."

Ancora una voce decisa, nonostante il disagio, quella sensazione opprimente...

"Questa è Amsterdam. Dipinti, fiori, canali, prostitute... il Quartiere Rosso fa parte della città, come tutti gli altri. A dire il vero fa già parte di altri quartieri, quindi non c'è nessuna ragione per saltare la visita." risponde Jan, come se si aspettasse quella protesta, come se si fosse già preparato.

Questa è Amsterdam. Può non volerci pensare? Può voler ignorare quell'aspetto che non gli piace, passando il pomeriggio a camminare lungo un canale o andare a mangiare qualcosa di tipico?

Serra la mandibola, lasciando andare la mano dell'olandese ed incrociando le braccia al petto.

"Non mi interessa. Non sono qui per questo. Non andrò a prostitute, non mi farò d'erba fino a star male. Non sono quel tipo di persona, non posso accettarlo." resta fermo nella propria posizione, contento di essere così deciso da, forse, farlo vacillare.

Ma non è così. A Jan non sembra importare. Perché sbuffa e posa lo sguardo su una vetrina, con uno sguardo semplicemente stizzito, come se non ci fosse nessuno, dentro.

"Avanti, è come andare a Parigi e non passare mezza giornata a Disneyland! E poi, non avevo nessuna intenzione di portarti a donne, sei abbastanza adulto per trovartene una! Volevo portarti al museo del sesso. Molti turisti vanno semplicemente lì, senza per forza passare da loro..." ribatte Olanda, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma non lo è. Non per l'islandese, che cerca ancora di capacitarsi di come possa essere freddo, quando invece, anche conoscendolo da così poco, quell'uomo dai capelli impossibili gli ha sempre trasmesso uno strano calore, come l'affetto di una persona conosciuta da tempo.

La mattinata era cominciata bene, almeno. Timidamente l'aveva salutato avvicinandosi a lui più del consentito, azzardandosi a tenergli la mano quando aveva cominciato a piovere e si erano rifugiati in un caffè tipico a bere qualcosa di caldo.

Bruine Café. Luoghi in cui bere una birra o qualcosa di caldo per togliersi il gelo della pioggia dalle ossa, rumorosi, pieni di discorsi iniziati e lasciati in sospeso, di lunghi racconti.

Si è ripromesso di tornare in uno di quei luoghi, si è ripromesso di tornare ad Amsterdam, semplicemente, perché sta bene, lì, perché ci sono così tante cose, ancora, sulla guida, cose che Jan forse non ritiene necessarie, cose poco importanti, da non fare se si resta soltanto una settimana.

È l'ennesima cosa che non ha avuto il tempo di gustare, non più di tanto, non come avrebbe voluto. Perché avrebbe trascorso l'intera giornata ad ascoltare l'olandese che descriveva i primi posti come quello, parlandogli di navi cariche di spezie e pirati.

Una cosa che vuole fare, che ha segnato in una lista mentale, un motivo per tornare.

Andare in bicicletta, prendere un battello e farsi trasportare da qualche parte, leggere in uno dei parchi, vedere un vero mulino a vento... tutte cose che vuole fare davvero, tornare ed avere sempre una scusa, qualcosa da raccontare ritrovando l'olandese.

Eirik ha l'impressione che quella semplice cotta -se così si può definire, lo trova leggermente infantile, per un uomo della sua età- per Jan sia già incontrollabile. Non gli importa. Non gli importa se sta diventando importante, ai propri occhi, incontrare quel verde e vederlo allegro, entusiasta nel mostrargli nuovi luoghi, di raccontare altro. Non gli importa davvero, perché è rilassato, perché si sente bene, dopo mesi trascorsi a soffrire in silenzio per qualcosa che non esiste più, che forse non è mai esistito, che è morto da tempo.

Per questo fa improvvisamente male, sapere che l'olandese insisterà, continuerà con il suo programma anche se quel luogo gli mette i brividi, anche se non vuole andare, Eirik, né continuare a vedere intorno a sé così tante persone a cui non importa.

Per questo è furioso, perché si sente stupido ad aver creduto così tanto in qualcosa, senza tener conto delle parti in ombra.

"Davvero paragoneresti questo posto a Disneyland?" chiede, già sconfitto, domandandosi che diavolo dovrà raccontare a Danimarca, la sera. Ah, sicuramente non importerà neppure a lui, è una cosa normale, come andare a visitare un'attrazione turistica qualsiasi.

"Bé, non è altrettanto divertente, ma fa parte di me."

Le parole dell'olandese hanno un effetto bizzarro in lui. Non sono dette a caso, perché, alzando la testa, quello che vede nei suoi occhi non gli piace affatto. L'accusa non è neppure tanto velata, è proprio lì, nelle parole e nello sguardo.

Una parte di lui. Se non l'accetta, allora quello che sta nascendo -lo sentono entrambi, almeno? oppure è un modo soltanto per convincerlo a seguirlo?- non ha nessun senso.

Infuriato, cammina senza una parola, seguendolo. Spera sia soddisfatto. Poteva essere una buona giornata e quell'idiota... quello...

Per la prima volta in tanto tempo si sente di nuovo come se ci fosse un masso sopra al suo petto.


Il museo è su tre piani ed è esattamente come se lo immaginava. Immagini falliche ovunque, immagini pornografiche, macchine bizzarre che sembrano più strumenti di tortura che altro, tutto ciò che dovrebbe stuzzicare l'immaginazione di un uomo, ma che lo lascia perplesso, perché è infuriato, ben deciso ad uscire da quel posto con un'espressione talmente disgustata da fargli pentire persino di aver pensato di aprirlo, quel genere di museo.

Non lo tiene più per mano, non lo guarda neppure, nonostante l'olandese cerchi di spiegare che, ecco, ad esempio, quello è il modello in cera del bigliettaio di un teatro erotico. Non gli importa. Donne con le gambe aperte, nubi di turisti pronti a farsi foto mentre sono dominati da una statua, legati a chissà quale struttura. Non riesce a smettere di sfregare i denti tra loro, furioso.

Che gli dia del frigido, anche, non gli interessa.

Si siede su uno dei funghetti di una stanza completamente dipinta nello stile che si userebbe per un asilo. Disneyland. Gli torna in mente quel posto che ha citato, ma questo è completamente privo di senso, sessualizzato, il piccolo televisore che trasmette porno. Resta a guardare le immagini, sperando che il mal di testa causato da quel continuo digrignare passi, ma sa che è una causa persa.

Sospira e si tiene la testa tra le mani, scompigliandosi i capelli e tornando a guardare il televisore.

L'olandese gli si siede accanto. Lo riconosce senza guardare, riconosce i pantaloni che ha fissato per quasi tutta la visita, gli occhi bassi nel suo ostinarsi a non guardare quasi nulla, riconosce la mano che ha stretto al mattino, sentendosi bene, una sensazione che sembra persa.

"Non ti piace, eh? Possiamo uscire, se vuoi."

Non riesce a crederci, pensando sia una specie di scherzo o una prova. Se ora si mettesse a saltellare, sicuramente l'altro finirebbe per dirgli che hanno ancora dieci piani da fare, pieni di ogni oggetto che rappresenti un pene esistente al mondo.

"Figurati, sei tu la guida." ribatte, aspro, guardandosi le mani e chiedendosi se possa dargli degli schiaffoni belli forti, all'infinito.

Sciaf-sciaf-sciaf.

Almeno per dieci minuti, se non all'infinito. Teme che alla lunga potrebbe avere male alle mani.


La luce è andata via, il cielo invernale già scuro, ma appena usciti da quel luogo sono subito investiti da una luce rossa, proveniente da ogni angolo della strada. Le insegne accecano l'islandese, peggiorando il suo mal di testa e malumore.

È in quel momento non proprio propizio che Olanda allunga le dita per sfiorargli una mano. In un altro momento avrebbe accettato di buon grado quel gesto di pace, ma non riesce a fermarsi quando la mano, la propria, si allontana di scatto, come se l'uomo scottasse.

Non si rende subito conto di averlo ferito. Jan cammina e lui lo segue, ancora una volta fisso sulle sue gambe. Sembra aver fretta ed Islanda capisce di nuovo, dopo poco, dove stiano andando.

L'albergo.

È il penultimo giorno che trascorre ad Amsterdam ed è arrabbiato, deluso, non capisce cosa non vada nel proprio accompagnatore. Andava tutto bene, si stavano avvicinando ed eccoli lì, neppure capaci di guardarsi in faccia.

Eirik è spaventato. Ha paura che l'olandese si volti e gli rinfacci ogni singolo giorno, ogni singolo minuto, che gli dica che sta facendo orari strani al lavoro, che gli sta dedicando il proprio tempo e che, nonostante quello, Eirik sia comunque una compagnia terribile, qualcuno che non si desidera veder tornare con una scusa qualsiasi.

Si ferma, le luci tornate chiare e normali, il respiro affannato perché stavano praticamente correndo e Jan si allontana sempre di più. Abbassa la testa per non vederlo, portandosi le braccia intorno al corpo, come se all'improvviso avesse freddo.

Perché? Andava tutto bene, tutto era così dannatamente perfetto che non è riuscito a darsi un limite, a dirsi che, no, non avrebbe provato un tale sconvolgimento per quell'olandese così bizzarro, sì, in alcuni aspetti della personalità, eppure così in sintonia, così...

“Jan!”

L'olandese si blocca, la voce dell'altro che ha fatto girare le teste di parecchi passanti, forse non per il volume, forse solo per il tono. È abbastanza da ridargli la forza di raggiungerlo in fretta, rendendosi conto soltanto dopo del gesto, ma non avendo tempo per vergognarsene.

“Jan.” ripete, improvvisamente insicuro mentre allunga una mano verso di lui e gli afferra la camicia, nella schiena, troppo spaventato da quello che potrebbe dire o fare per guardarlo in faccia, terrorizzato dall'idea di vedere nei suoi occhi disprezzo o, peggio, delusione.

“Tu non sei questo.” sussurra, abbassando la testa per posare la fronte sulle mani, un pretesto, solo un pretesto, per sentire ancora quel profumo di fiori e tabacco. Se fosse l'ultima volta in cui gli è permesso essere tanto vicino, allora vuole conservare un ricordo, almeno uno, per quanto fuggevole possa essere.

“Fa parte di me e ti disgusta.”

Sei diretto, terribilmente diretto...

Senza giri di parole, quella verità pronunciata senza edulcorarla in alcun modo lo ferisce a propria volta. Solo allora capisce. Capisce che ha voluto mostrargli questo all'ultimo, anche se ne ha parlato molte volte, perché, ogni volta, Islanda ha espresso ribrezzo verso quell'aspetto.

È crudele per entrambi. Crudele averlo trascinato fino a quel punto, fino al suo aggrapparsi come se temesse di vederlo scomparire in una nuvola di fumo; crudele è Eirik, perché quella verità non può smentirla in nessun modo.

È nella natura dell'olandese mostrarsi per quello che è senza pensare, come è istintivo per l'islandese nascondersi, avere paura di qualsiasi sentimento le persone intorno a lui possano lanciargli contro.

“Tu non...” perde le parole, perché ripetere la stessa frase finirebbe per ferire di nuovo entrambi.

Jan non è quello. Non è solo fumo. Non è solo quel commercio.

Ma quei due aspetti fanno parte di lui, sfaccettature del suo essere, accanto alla bellezza di tutto il resto. Quell'odio violento verso di esse è un odio verso di lui, qualcosa che non esisterebbe, se fossero semplicemente umani, ma Eirik sembra esserselo dimenticato per qualche giorno, questo.

Non può mettere da parte quell'aspetto, non sarebbe sincero.

Lascia la sua camicia, a fatica, facendo un passo indietro, abbassando la testa ancora una volta.

“Buonanotte, Jan.” riesce a dire, prima di fuggire verso l'albergo, di corsa, senza voltarsi indietro.


Si dice che è semplicemente folle stare così male dopo così poco tempo trascorso insieme.

Eppure, per la prima volta da quando è in quella città, Eirik si scopre incapace di addormentarsi, la testa affollata di se e ma, ipotesi che sembrano volerlo prendere in giro, come le ombre grigie ed inafferrabili che si inseguono sul soffitto.

Fumo.

Era solo fumo.

   
 
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