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Autore: Moonage Daydreamer    29/08/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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It's All too much.
 



Legai il nastro verde in un fiocco, poi mi fermai ad ammirare il mio operato.
Il pacco regalo era venuto piuttosto bene e sapevo che Cyn sarebbe stata entusiasta del suo contenuto. Non sapendo che altro regalare alla mia amica per i suoi diciotto anni, avevo optato per le scarpe che aveva lei stessa definito "da fine del mondo": erano nere, con un tacco piuttosto alto ma non esagerato, eleganti e raffinate, molto "alla Marylin Monroe".
Inoltre, avevo allegato anche il quadretto che avevo dipinto sulla tela che lei mi aveva a sua volta regalato.
"Sono in ritardo!" pensai quando vidi l'ora.
Presi il pacco regalo e lo buttai in una delle due borse che avevo preparato, in quella in cui avevo messo alcuni dischi che Cyn mi aveva chiesto di portare.
I suoi genitori erano via per lavoro per qualche giorno e la ragazza aveva ottenuto, in modi sui quali era meglio non indagare, il permesso di fare una festa per il suo compleanno, e mi aveva implorata di fermarmi a dormire da lei quella notte.
Recuperai anche l'altra borsa che avevo preparato e mi precipitai al piano di sotto.
Salutai Elisabeth, James e Frency, poi mi affrettai a raggiungere la casa di Cyn.
- Sono in orario?- chiesi entrando.
- Sei in anticipo, tesoro. - mi rispose lei ridendo.
Mi accompagnò a posare la borsa dentro cui avevo messo, un po' alla rinfusa, quello che mi serviva per passare la notte da lei in camera sua, anche se il programma era di dormire nel letto matrimoniale, poi scendemmo di nuovo in salotto, dove spostammo i divani e i mobili per recuperare dello spazio.
Tirai fuori i dischi e li passai alla mia amica. Cyn diede loro un'occhiata.
- Elvis Presley, Little Richard, Eddie Cochran... Sapevo di potermi affidare a te! -
Appoggiò i dischi sul tavolino su cui era appoggiato il giradischi, poi venne ad abbracciarmi.
- Auguri, Cyn. - le dissi. Sciolsi l'abbraccio, poi andai a rovistare nella borsa alla ricerca del pacco regalo. Lo porsi alla mia amica.
- Devi aprirlo ora. -
- Come mai?- chiese Cyn rigirando il pacco piuttosto grosso fra le mani.
-Tu fidati e aprilo ora. - risposi.
Cyn si sedette sul divano e cominciò ad armeggiare con il fiocco, cercando di slegarlo, ma dopo qualche tentativo a vuoto si stufò. Mi diede il pacco.
- Fai tu, ché a me viene il nervoso in fretta. - disse.
Mi sedetti al suo fianco e sciolsi il fiocco con facilità.
Tolsi il nastro, quindi ripassai il regalo alla mia amica, che lo scartò in fretta.
Avevo appoggiato la tela sopra la scatola, quindi essa fu la prima cosa che vide.
Accarezzò il viso della bambina con la punta delle dita.
- E' bellissimo, Anna. - disse - Ma io  non lo posso accettare. -
La guardai, mortificata dalle sue parole.
- Anna... E' fin troppo ovvio che siete tu e tua madre. - cercò di spiegare la ragazza.
- No, Cyn, ti sbagli. - mi affrettai a smentire la sua affermazione, scossa profondamente da essa. Non ci avevo mai fatto caso, ma ora che Cynthia me lo faceva notare mi accorgevo della somiglianza fra le due figure del dipinto e me e mia mamma.
- L'ho dipinto pensando a te. - aggiunsi - E voglio che lo tenga tu. -
Ancora una volta mi trovavo a dover inventare una menzogna.
Cyn notò il mio turbamento e mi sorrise.
- Sissignora. - disse, mimando un soldato sull'attenti. - Bene, ora passiamo al resto. -
Aprì la scatola contenuta all'interno e rimase a bocca aperta.
Sollevò il paio di scarpe fissandolo meravigliato.
- Ma queste sono le scarpe... - mormorò, persa nella contemplazione.
La sua espressione mi fece scoppiare a ridere.
Cyn mise giù le scarpe e mi gettò le braccia intorno al collo, quindi mi ringraziò almeno un centinaio di volte.
- Visto che hai fatto bene a fidarti di me?- le chiesi - Pretendo che le indossi questa sera! - 
- Ci puoi scommettere, tesoro! - rispose lei.
Andammo a prepararci e fummo pronte in un tempo relativamente breve. Io indossai un abito blu e il foulard di seta, mentre Cyn un abito con il corpetto nero e la gonna bianca insieme alle sue nuove scarpe.

Gli invitati cominciarono ad arrivare nel tardo pomeriggio.
Alla fine, erano poco più di una dozzina; erano tutti studenti d'arte, e a parte qualche amica di Cyn che avevo visto un paio di volte, Stu e Lennon, non conoscevo nessuno.
Nonostante questo, l'atmosfera era rilassata e tranquilla e non mi sentii mai in imbarazzo.
Con in sottofondo il rock and roll, i ragazzi presenti parlavano a gruppetti, fumando sigarette.
Grazie a Stuart, che mi aiutò ad introdurmi in alcune conversazioni, partecipai per quasi tutto il tempo ai discorsi.
In generale, l'argomento principale era l'arte, ma si parlò anche di musica, letteratura, filosofia perfino, anche se non mancarono argomenti più leggeri e battute di spirito.
Gli amici di Cyn e Stu erano davvero simpatici ed era piacevole parlare con loro, tanto che non mi accorsi nemmeno che Stuart si era allontanato dal nostro gruppetto per andare a discutere qualcosa insieme a Lennon.
L'atmosfera si animò un poco in serata, quando si cominciò a ballare sulle canzoni di Chuck Berry.
Io e Cynthia stavamo chiacchierando vicino al giradischi quando Lennon si avvicinò e cominciò a guardargli gli EP che avevo portati.
- Non pensavo che avessi dischi così belli, Cyn. - disse ad un tratto.
- Infatti sono miei, Lennon.- risposi, consapevole del fatto che non avrebbe potuto replicare niente per non contraddirsi da solo.
Infatti, il ragazzo dovette limitarsi a lanciarmi un'occhiata di fuoco. Per sua fortuna, uno dei suoi amici lo chiamò e lui poté defilarsi senza troppe difficoltà.
Lo seguii con lo sguardo e lo fissai anche dopo che ebbe cominciato a parlare con un altro ragazzo.
- Se non sei troppo impegnata a cercare di uccidere John con il tuo sguardo assassino, mi concedi un ballo?- mi chiese sottovoce Stu arrivando alle mie spalle.
- Ma io non stavo cercando di uccidere ... - iniziai, ma il ragazzo mi rivolse un'occhiata scettica che mi fece ammettere le mie intenzioni - Okay, forse solo un po'. Ma senza cattiveria. -
Stu rise e scosse la testa:- Allora, me lo concedi o no, questo ballo?-
Mi morsi un labbro e abbassai lo sguardo.
- Io non ballo. - mormorai.
Sentii gli occhi di Stu su di me, poi il mio amico mi prese la mano e, ignorando le mie proteste,  mi trascinò in mezzo alla stanza, aiutato dallo spintone che Cyn mi diede per invogliarmi a buttarmi nelle danze.
Nonostante le mie scarse abilità, riuscii a non fare una figura terribile e anche a divertirmi.
La canzone finì dopo pochissimo tempo, poiché quando Stu mi aveva trascinata era ormai a metà, e io cercai di dileguarmi senza dare nell'occhio. Stu, però, mi prese di nuovo per il polso, costringendomi a fermarmi.
- Eh no, Anna. Questo non può essere considerato un ballo. - disse lasciando la presa sul mio braccio.
- E cos'è, il riscaldamento?- replicai, facendolo ridacchiare.
- Esattamente. - rispose.
Mi porse di nuovo la mano, guardandomi negli occhi.
Indugiai qualche secondo, poi gli sorrisi e gliela presi.
Cynthia, dal giradischi, doveva aver assistito alla scena come se fosse al cinema, perché ( ma che coincidenza!) la canzone che partì subito dopo era "Love me tender".
Love me tender,
love me sweet ...

Stu appoggiò le mani sui miei fianchi, mentre io posavo le mie sulle sue spalle.
Vidi con la coda dell'occhio che anche Cyn e Lennon si erano uniti alle danze.
Never let me go.
Il ragazzo mi fece avvicinare al suo corpo.
Arrossii violentemente.
You have made my life complete,
and I love you so.

Stu mi guardò negli occhi, ma non riuscii a sostenere a lungo quello sguardo.
Il ragazzo intuì il mio disagio e si scostò un poco.
Alzai immediatamente lo sguardo, scossa dall'eventualità di aver ferito il mio amico di nuovo, ma incontrai il suo sorriso allegro, da cui fui contagiata.
Quando la canzone finì, tuttavia, Stu rimase immobile per qualche attimo; strinse appena più forte i miei fianchi, poi mi lasciò andare.
- Ho bisogno di uscire. Manca l'aria. - dissi. Per fortuna, la scusa reggeva, poiché le finestre erano chiuse e nell'aria alleggiava il fumo di parecchie sigarette.
- Vuoi che ti accompagno? - chiese Stu, ma declinai l'offerta. Mi feci strada sino alla porta che dava sul giardino.
La notte era serena e l'aria fresca di settembre mi diede sollievo.
Alzai gli occhi e guardai le stelle, sospirando.
Ero oltremodo confusa. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a spiegarmi quello che era successo poco prima.                                                                                                                                                          Insomma, Stu era solo un amico... giusto?
- Mi sembra di averla già vista questa scena. - disse Lennon.
Sussultai e mi voltai immediatamente.
Il ragazzo era appoggiato al muro della casa, con le braccia incrociate.
Mi venne in contro lentamente sotto il mio sguardo diffidente.
- Mi piacerebbe che non finisse come l'ultima volta però.- continuò lui.
Cercai di dare una spiegazione logica per giustificare il tono inusuale con il quale mi stava parlando.
- Devi restituirmi il quaderno. - affermai secca.
L'espressione di Lennon tornò alla normalità.
- Non ho alcuna intenzione di farlo. - mi rispose. - Mi sto divertendo troppo. -
- Restituiscimelo, Lennon! - esclamai. - Tu non puoi leggerlo!-
- Come pensi di impedirmelo?- mi sfidò.
Alzai il braccio e feci per colpirlo,  ma all'ultimo mi bloccai. Strinsi il pugno lo portai lungo il fianco.
- Cosa c'è? All'improvviso non hai più il coraggio di colpirmi? - chiese Lennon con disprezzo. - Ti fai degli scrupoli morali? -
- Io sono migliore di te. - sibilai.
- E chi sei tu per dirlo?- replicò il ragazzo. - Puoi davvero ritenerti in grado di andare in giro a dispensare giudizi, o di decretare che una persona è meglio di un'altra, che c'è chi merita di vivere e chi merita di morire? -
- Perché, tu sì?- ribattei.
L'avevo messo alle strette, ma era lontano dall'arrendersi.
- No, non posso. Almeno a livello teorico. Ma fa parte della natura umana dare giudizi.-
- Allora non puoi nemmeno venire a rimproverare me perché lo faccio. - affermai.
- Né tu puoi sorprenderti o incazzarti con me. -
Aggrottai le sopracciglia:- Tutto questo discorso complicato serve a dire che entrambi dovremmo accettare il fatto che l'altro ha dei giudizi su di noi? -
- Qualcosa del genere. - rispose Lennon con un mezzo sorriso.
Poiché sembrava che fossimo in vena di discorsi civili  e, da un certo punto di vista, anche filosofici, provai a fare un altro tentativo di riappropriarmi del Quaderno Nero.
- Se tu mi restituissi il quaderno il mio giudizio su di te potrebbe migliorare sensibilmente. -
Provare non costava niente.
- Bel tentativo, ma no. - rispose Lennon . - La differenza fra me e te è che io me ne frego del tuo giudizio, mentre tu sei ossessionata dal mio.-
La sua affermazione, che esalava superbia ad ogni parola, mi fece perdere le staffe.
- Ti sbagli, Lennon! Non so chi diavolo ti credi di essere, ma fidati: il tuo giudizio è l'ultimo dei miei problemi, ultimamente! -
 - Balle. - affermò Lennon guardandomi negli occhi. - Non ti arrabbieresti così tanto, se davvero non ti importasse di quello che dico. -
Si voltò e ritornò dentro casa, lasciandomi lì due a zero.
Strinsi i pugni e repressi un ringhio, maledicendo il giorno in cui Lennon era entrato nella mia vita.
Respirai profondamente per sbollire la rabbia e tornai alla festa di Cyn, sforzandomi per tutto il tempo di ignorare il ragazzo.
Vidi Stu seduto sul divano e mi avvicinai a lui; non mi fece domande, ma si limitò a sorridermi.
Il mio sguardo si posò su Cyn e Lennon, che chiacchieravano insieme dall'altro lato della stanza.
- A che cosa pensi?- mi chiese sottovoce Stuart.
Sospirai:- Cyn è così innamorata di lui... Ho paura che la farà soffrire. -
- Non ti preoccupare: Cynthia sa quello che vuole dalla sua vita e sa badare a sé stessa. -
Annuii, anche se ero comunque poco convinta.
Quando gli ospiti cominciarono ad andarsene non era tardi, ma ero stravolta e avevo gli occhi che bruciavano.
L'unico che sembrava non volersene mai andare era Lennon, tuttavia il mio cervello era troppo stanco per chiedersene il motivo.
Se non altro, dava una mano a me e a Cynthia a sistemare la stanza e raccogliere piatti e bicchieri.
Andai a mettere a posto i dischi sparpagliati un po' dappertutto sui mobili, ma subito dopo persi la presa su di essi e ne feci cadere la metà.
Imprecando, mi chinai e cominciai a raccoglierli. Cyn si inginocchiò al mio fianco e mi aiutò.
- Anna, sei stanca morta. Va' a dormire. - disse appoggiando i dischi sul tavolino.
- Ma ti ho promesso che ti avrei aiutata.- ribattei.
- Ce la faccio benissimo da sola, stai tranquilla. - mi rispose, poi abbassò la voce. - Ti dispiace dormire nella mia stanza e non in quella dei miei?-
- No, tranquilla. Buonanotte. - risposi, mi alzai e salii al piano superiore.
Mi infilai a fatica nella tuta che mi ero portata dietro, ma mi dimenticai di togliere il foulard, poi mi buttai sul letto.
F
uoco. Il mondo è squassato da scariche elettriche e scosse di terremoto.
Lunghe crepe si aprono nella terra e nell'asfalto.
Corro lungo la banchina del porto. Non so da cosa sto fuggendo, ma sento che devo continuare a scappare.
Davanti a me c'è il mare, calmo e immacolato. Nessuna nave si vede all'orizzonte, ma solamente un sole che non illumina e non scalda.
Grida ed esplosioni.
Alle mie spalle, tutto intorno a me, la città crolla su sé stessa.
Le case si sbriciolano, gli alberi si spezzano e tutto è devastato.
Sangue, sangue ovunque. Scorre sulle strade come un fiume in piena.
Ci affondo sino alle caviglie.
Il sole tramonta, ma le fiamme degli incendi continuano a illuminare la città, proiettando lunghe ombre sinistre sugli edifici crollati.                                                                                                         Continuo a correre.
Forse è il Giorno del Giudizio, e tutti i miei sforzi di fuggire sono vani, ma non posso fermarmi.
Si alza un vento gelido. Scardina le finestre e sradica gli alberi.
Alza schizzi dal fiume di sangue e mi sporca.
Le mie caviglie improvvisamente cedono.
Cado a terra, ferendomi le braccia.
Mi faccio prendere dal panico.
I miei muscoli non rispondono più, sono come congelati, e annego.
Annaspo, ma qualcosa mi tiene la testa nel sangue.
Con un ultimo sforzo riesco ad alzarmi sui gomiti, poi rotolo supina respirando l'aria impregnata di fumo e dall'odore di carne che marcisce.
Sono circondata da cadaveri. Uomini, donne, bambini, animali. Sono tutti morti.
Grido e cerco di rialzarmi, ma le caviglie sono spezzate e i piedi inermi.
Striscio fra i cadaveri: non posso fermarmi.
Le anime di coloro che avevano abitato la città tentano di afferrarmi. Mi toccano, implorano il mio aiuto.
E urlano.
Una barriera di corpi mi blocca il passaggio.
Gemo e mi copro gli occhi.
Non c'è altra via che io possa prendere.
Mi arrampico sul muro di cadaveri,cercando di ignorare i volti cui mi aggrappo.
Arrivo in cima.
Noto la testa di un cane che affiora da altri corpi.
Lo riconosco.
Un liquido giallastro cola dai sui occhi spenti.
Guardo sotto di me e li vedo. Elisabeth, James, Paul, Cynthia, Stuart, John... Sono tutti lì, in quella barricata.
Con orrore, mollo la presa sui cadaveri e cado. Rotolo su un fianco, mentre il muro alle mie spalle prende fuoco.
Il mio grido va ad unirsi a quello che si leva dalla catasta.
Poi lo scorgo. E' proprio davanti ai miei occhi, a meno di due metri da me.
Un quaderno dalla copertina scura. E' aperto e le pagine scritte in una calligrafia confusa che solo io sarei in grado di leggere si girano a una velocità folle.
Da esso fuoriesce il vento gelido, da esso colano le prime gocce che danno vita al fiume di sangue.
Un'altra scossa di terremoto e un'esplosione.
Sotto di me si apre una voragine e ci scivolo dentro, insieme a tutta la città in fiamme.
Mentre cadiamo nel vuoto, la città si rimpicciolisce, prende le dimensioni di un plastico.
La guardo diventare sempre più piccola, finché esplode, scagliando pezzetti appuntiti di plastica e vetro contro di me.
Mi riparo gli occhi, ma i frammenti di Liverpool si conficcano nella mia carne come punte di freccia.
La caduta ha una fine.
Rovino a terra, sbattendo violentemente contro un pavimento freddo.
Probabilmente mi rompo qualche altro osso.
Una piccola lampadina illumina scarsamente il seminterrato spoglio.
Sui muri c'è una scritta rossa, fatta con il sangue:
Tu sei mia.
Grido, imploro aiuto, percuotendo il muro con i pugni, ma non c'è nessuno che possa udirmi.
O che voglia udirmi.
Il seminterrato si riempie di voci, di risate diaboliche, di occhi privi di un volto.
Decine di mani afferrano il mio corpo martoriato.
Strappano i frammenti di plastica e vetro e li gettano sul pavimento.
Stringono il mio corpo con troppa forza. Mi rompono le ossa del braccio sinistro.
Mi sollevano con facilità.
Su tutti gli occhi ne svetta un paio, color del ghiaccio.
I vestiti mi vengono strappati via.
Le lacrime mi impediscono di vedere in modo distinto tutti gli occhi sconosciuti che scrutano il mio corpo, ma percepisco fin troppo chiaramente le mani che mi toccano.                                                           - Lasciatemi andare!- grido, ma un improvviso, lancinante dolore mi toglie il respiro.
Gemo e reclino la testa di lato, chiudendo gli occhi.
Il mio corpo non mi appartiene più e comincia a contorcersi in preda agli spasmi.
Ovunque risuonano schiocchi sinistri e colpi.
Mi stanno torturando, in modi che non saprei nemmeno definire.
Fa male, fa
male!
L'aria è riempita da grida, le mie grida, che nemmeno mi accorgo di lanciare.
All'improvviso sento una risata. Una risata diversa da quelle dell'Uomo dagli occhi di ghiaccio.
La risata di un bambino.
Essa fa scattare qualcosa in me.
Mi ribello, tendo i muscoli e li contraggo; le mani, colte alla sprovvista, mi lasciano andare.
Cado sul pavimento, sbattendo di nuovo con violenza la testa.
Cerco di rialzarmi, ma le mani mi trascinano giù.
Lotto, tirando pugni e calci alla cieca finché sento la presa delle mani allentarsi.
- Cerci di nuovo di scappare, piccola Anna?- dice ridendo la Voce.
- Io non sono tua! - grido con tutto il fiato che ho.
Raggiungo strisciando le scale del seminterrato, trascinandomi dietro il braccio inerte.
Una mano mi afferra le caviglie spezzate, facendomi urlare di dolore. Rovino sulle scale.
E' già successo migliaia di volte.
Sempre la stessa scena, si ripete ossessivamente come un nastro rotto.
Mi arrampico sulla scala e afferro la maniglia.
E' chiusa a chiave, ma devo fare un tentativo.
Colpisco la porta appoggiandovi tutto il mio peso e spingo con le forze che mi rimangono.
Cigolando, la porta si apre nell'oscurità.
Il mio sguardo corre dal buio che ho davanti alle mani e agli occhi che dietro di me stanno aspettando che crolli per annientarmi.
Il cuore batte impazzito nelle mie tempie.
Le mani si fanno sempre più vicine a me e si protendono per afferrarmi.
Mi getto oltre la porta e la richiudo più in fretta che posso.
La porta svanisce e mi ritrovo nel nulla.


Sono rannicchiata per terra, nella totale oscurità.
Ho le mani sul viso e la fronte appoggiata alle ginocchia.
- Anna!- mi chiama allegramente un voce che saprei riconoscere tra mille.
Alzo la testa, ma non riesco a vedere niente.
- Mamma?- chiedo, esitante. La mia voce è quella di una bambina.
- Vieni qui, amore mio. Dammi un bacino. -continuò la voce di mia mamma.
- Mamma, dove sei?- domando, guardandomi attorno.
Mi sento persa: sento la voce di mia mamma così vicina, eppure non so come raggiungerla.
Sono in balia dell'oscurità.
- Anna?- il tono della sua voce è cambiato repentinamente. All'improvviso lei è... terrorizzata. - Anna chiudi gli occhi. -
Spaventata dal suo tono le obbedisco e mi rannicchio di nuovo su me stessa.
- Che cosa succede?- gemo.
- Tieni gli occhi chiusi. - ripete - Andrà tutto bene, amore. -
Una risata maschile squarcia l'aria.
- Qualsiasi cosa dovessi sentire, tieni gli occhi chiusi! -
Comincio a tremare. L'ossessivo ripetersi di quella frase mi terrorizza.
- Vattene!- grida mia madre a qualcuno nell'ombra. - Siamo libere, ora. -
- Libere?! Voi non sarete mai libere! - replica la voce dell'Uomo dagli occhi di ghiaccio.
- Ti stai sbagliando. Non puoi più farci del male! -
La Voce scoppia in una risata sadica.
Mamma grida. Mi tappo le orecchie con le mani, ma le sue urla risuonano chiaramente nella mia testa.
- Hai visto, sciocca?- chiede con malvagità l'Uomo. - Non so a te, ma a me pare che io ti stia facendo male. -
La sua ironia mi fa scoppiare a piangere.
"Fate che smetta di urlare..." penso.
La Voce riesce a sentire i miei pensieri, anche se sono sicura di non aver emesso alcun suono. L'Uomo ride di nuovo.
- Hai sentito, Beatrice? La piccola Anna vorrebbe non udire più le tue grida. Quanto resisterai questa volta?-
- Tu non la toccherai! - dice mamma, ma un urlo ancora più forte dei precedenti esce dalla sua gola.
- E chi me lo impedirà?! Tu non sei mai stata in grado di proteggerla, non è così? -
Sento che qualcuno mi accarezza i capelli e, pur non vedendolo, so per certo che è l'Uomo.
Gemo e cerco di scostarmi, ma lui mi afferra per i capelli e mi costringe a rimanere ferma.
Altre grida.
La Voce ride.
Anche io grido, nella mia mente, talmente forte che sento che le tempie stanno per esplodere.
Una serie di immagini scorre davanti ai miei occhi chiusi, una serie di immagini che conosco fin troppo bene.
"Basta, basta! Per favore!" gemo, senza aprire la bocca.
Le grida di mia mamma cessano di colpo.
- Piccola Anna - mi chiama l'Uomo con voce suadente- per favore, apri gli occhi. -
Scuoto la testa coprendo con le mani il volto inondato dalle lacrime disperate.
- Apri gli occhi. - ripete. Si sta infuriando, lo sento, ma continuo a ignorarlo.
- Apri gli occhi, stupida bambina!- ordina.
Socchiudo le palpebre.
- Brava, piccola, brava. Devi vedere...- dice la Voce. Davanti a me due occhi color del ghiaccio iniettati di sangue, che mi guardano sadicamente.
- Devi vedere tua madre che muore!- grida la Voce prima di scoppiare in una risata sguaiata.
Il mio sguardo si sposta lentamente e vedo ciò che c'è oltre quegli occhi satanici.
Il corpo di mia madre è appeso, i polsi legati da una corda tanto stretta da fermare la circolazione del sangue. Ha la testa reclinata e appoggiata contro un braccio e i capelli le ricadono sul volto, nascondendoglielo parzialmente.
La corda scricchiola appena mentre mia mamma dondola nel buio che ci circonda.
Il suo corpo è nudo e interamente coperto di piccoli e profondi tagli, simili a una ragnatela di sangue che l'avvolga.
Nonostante tutto il sangue che cola copioso lungo tutto il suo corpo, non mi è difficile vedere il pallore della pelle, talmente livida da sembrare morta.
Mamma rialza lentamente la testa, ma quel movimento la fa gemere per il dolore.
- Anna - sussurra, muovendo appena la bocca priva di colore - chiudi...gli occhi... -
I suoi occhi si spalancano sul vuoto, mentre dalle sue labbra esce un fiotto di sangue.
Gemo e non riesco a trattenere un conato di vomito.
Solo in quel momento mi accorgo di essere immersa in una pozza di sangue vermiglio.
Alzo gli occhi.
Il cadavere di mia madre ciondola sopra la mia testa, facendo gocciolare un fiume di sangue.
Il mio corpo è squassato dai tremiti e non riesco a rimanere in equilibrio.
Rovino a terra, fra il sangue.
L'Uomo dagli occhi di ghiaccio ride ancora. - Ora che lei è morta, non c'è nessuno che possa proteggerti, piccola Anna. - dice maligno.
-
Perché hai aperto gli occhi, Anna? - mi chiede una voce femminile, sovrapponendosi a quella dell' Uomo.
- E' il tuo turno, piccola Anna. -
-
Non avresti dovuto disobbedire a tua mamma. Sei stata davvero una bambina cattiva. E lo sai, le bambine cattive devono essere punite. - continua la voce sconosciuta. - Non avresti mai dovuto aprire gli occhi, Anna. Ora sarò costretta a cavarteli.-
- E' ora che tu muoia, piccola Anna!-
Urlo , mentre un dolore atroce mi lacera le membra.
Il mio corpo comincia a spezzarsi, a disfarsi a ridursi in brandelli. Le ossa si sfaldano e bucano la carne fino a che rimango priva di un corpo.
Sgrano gli occhi, in preda al terrore e al dolore, implorando che esso abbia una fine che sembra non giungere mai.


Gridai con tutto il fiato che avevo.
Mi rannicchiai sotto la coperta e strinsi il foulard di mia mamma al petto, come se potesse proteggermi dal male che infestava i miei sogni, ma tremavo tanto che faticavo a tenere le dita strette intorno alla stoffa.
Sentii qualcosa di caldo gocciolarmi sul viso.
Alzai lentamente lo sguardo. Sopra di me dondolava un corpo insanguinato.
Mi portai le mani alla bocca per non urlare. Terrorizzata, mi alzai incespicando e corsi in bagno.
A metà strada le mie caviglie cedettero e caddi a terra. Guardai le mie gambe.
Le ossa delle caviglie sporgevano dalla carne bucata. 
Gemetti e cominciai a strisciare fino a che riuscii a raggiungere il bagno.
Ebbi un altro conato di vomito, poi, tremando, mi appoggiai al lavandino per cercare di mettermi in piedi.
Riuscii a rialzarmi e sfiorai le caviglie.
Il rendermi conto che non c'era alcun osso rotto non fece altro che spingermi a piangere con più disperazione.
Mi guardai allo specchio.
Sgranai gli occhi quando mi accorsi che oltre alle lacrime non c'era niente che bagnasse la mia guancia.
Il mio sguardo indugiò sullo specchio troppo a lungo.
Dietro al mio riflesso comparve un cadavere seviziato e appeso per i polsi, in parte coperto da capelli castani incrostati di sangue.
Gemetti e mi voltai immediatamente, ma non vidi altro che le piastrelle lucide del bagno.
"Non puoi sfuggirmi " disse la voce dell'Uomo. Non riuscii a capire da dove provenisse.
"Non ti libererai mai di me. Sei mia, piccola Anna."
Gridai e cercai di fuggire dal bagno, ma dopo un passo inciampai e caddi sul pavimento. Strisciai e mi rannicchiai contro la parete, piangendo disperata.
Era troppo per me.
Non ce la potevo fare a sopportare tutto quello. Avrebbe finito con il farmi impazzire del tutto, sempre che non l'avesse già fatto.
No, non sarei riuscita ad andare avanti in quel modo.
Mi alzai lentamente, mentre la Voce continuava a darmi il tormento.
Aprii l'armadietto sopra il lavandino e cominciai a frugare finché le mie dita incontrarono un paio di forbicine.
Mi sedetti sotto il lavandino con le forbici in una mano e il foulard di mia mamma nell'altra.
Nessuno avrebbe potuto accusarmi di essermi arresa senza lottare: ci avevo provato in tutti i modi, ma avevo fallito e ora ero stremata.
Strinsi le forbicine nella mano destre e sollevai lentamente il braccio.
Affondai la punta nel polso sinistro.
Lasciai che il metallo squarciasse la carne e che il sangue fuoriuscisse.
Il dolore fu un sollievo: sapevo che era reale, che non era un demone generato dalla mia mente malata.
La voce tacque improvvisamente.
Impugnai le forbici con la sinistra e mi lacerai il polso destro, ma ero ormai troppo debole e il taglio fu molto più superficiale.
Lasciai cadere le forbici di lato e strinsi il foulard al mio petto, rannicchiandomi sul pavimento.
Le lacrime si mischiarono al sangue.
Sarei morta, ma non mi importava più: l'Uomo dagli occhi di ghiaccio se n'era finalmente andato.
Mi ero liberata di lui e nessuno avrebbe più potuto farmi del male, ora.
La vista si sfocava sempre di più. Infine lasciai che gli occhi si chiudessero.
Trassi un ultimo sospiro.                                                                                                                            

"Sbagliato piccola Anna" disse la voce ridendo malignamente. "Sarai mia per sempre."

Avrei voluto gridare.

Sprofondai nel buio.


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* Scappa prima che qualcuno inizi a prenderla a sassate.
A parte gli scherzi, era da qualche tempo che non volevo l'ora di scrivere questo capitolo e credo che ciò spieghi la fretta che ho avuto nei precedenti.
Avevo un'idea in testa che continuava a premere per uscire e dovevo scriverla, non ero più in grado di trattenermi.
Ecco, questa è la storia di questo capitolo, che mi piace in modo particolare ( mi sto accorgendo di avere un lato sadico che non avevo mai creduto di possedere...) e spero che voi possiate apprezzare così come sto facendo io.

 
Peace n Love
.   

P. S (Giuro, giuro che questo è l'ultimo incubo che descrivo!)
                                                                    

  
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