Every piece of your heart
Guardai
l’orologio per la quindicesima volta in soli sette minuti, ma le lancette sul
quadrante mi parvero nella stessa ed identica condizione di poco prima. I
secondi scorrevano lenti, quasi interminabili, per non parlare poi dei minuti
che mi parevano lunghi almeno quanto secoli, se non millenni.
Inevitabilmente
sbuffai, incrociando le braccia al petto e tamburellando a ritmo costante il
piede sulle mattonelle del lungo, lunghissimo, infinito corridoio che precedeva
la sala. Sì, odiavo l’attesa ed odiavo il fatto che non ci sarebbe stato alcun
premio di consolazione al termine di quel supplizio.
La fila
continuava a procedere davvero troppo lentamente per i miei gusti e le urla sempre
più acute ed eccitate delle migliaia di ragazzine cominciavano a darmi sui
nervi.
Era dalle
otto di quella mattina che me ne stavo in piedi, cercando di entrare in quella
stramaledettissima sala per far autografare quello stramaledettissimo cd da
quegli stramaledettissimi mocciosetti, che, tra l’altro, erano arrivati appena
due ore fa, alle undici, con ben tre quarti d’ora di ritardo sulla scaletta del
programma di quella giornata.
I classici ragazzini viziati, mi
ritrovai a pensare facendo un piccolo passo in avanti, alla conquista di appena
altri venti centimetri.
Iniziai a
dubitare davvero delle mie capacità di resistenza, ero sicura che da un momento
all’altro avrei mandato tutto all’aria e me ne sarei tornata a casa. Mi
maledissi ancora per quella malsana idea che la settimana prima mi era balenata
per la testa in un momento di pura pazzia generato da una miriade di sensi di
colpa che mi stritolavano il cuore e la testa, riducendo il cervello in
brandelli, cosicché non potessi pensare razionalmente. Sì, quella non era
affatto stata una scelta razionale.
Perché mi trovavo nel posto sbagliato nel
momento sbagliato?
Ritornai
frettolosamente con la mente al lunedì della settimana precedente, come per
volermi ricordare del motivo che mi spingeva a rimanere ancora lì, irritata e
spazientita come non mai, ma con i piedi ben saldi sul pavimento.
“Come cazzo hai potuto farmi una cosa del
genere?”, aveva urlato la mia migliore amica con il tono di voce più alto di
almeno un’ottava rispetto al suo solito.
Non che me ne intendessi di musica, sia
chiaro, ma davvero per poco non ci era mancato che il suo vicino di casa non
accorresse da noi per vedere cosa fosse successo di tanto grave.
“Tutto bene ragazze?”, aveva chiesto sua
mamma dal piano di sotto.
Io, Ludovica e Rossella eravamo in camera di
quest’ultima, chiuse dentro a discutere ormai da oltre mezz’ora.
“Si, mamma. Tranquilla!”, aveva borbottato
Ross all’indirizzo della madre, che probabilmente si era fermata alla prima
rampa di scale, ormai abituata ai nostri toni di voce particolarmente alti.
Rossella tornò con lo sguardo su di me e per
un attimo ne ebbi davvero paura, sembrava davvero volesse uccidermi.
“Andiamo Rosy, alla fine non l’ha mica fatto
di proposito!”, cercò di tranquillizzarla Ludo che se ne stava docilmente
seduta sul tappeto ai piedi della lettiera.
Rossella si fece più vicina a me che ero
seduta sul suo letto a gambe incrociate, puntandomi l’indice contro.
“Tu!”, sibilò a denti stretti con gli occhi
serrati in due piccole fessure.
“Io.”, replicai quasi in tono ironico, non riuscendo
in alcun modo a prendere seriamente quell’assurda situazione.
“Lo sai vero che era il mio regalo di
compleanno quello che hai buttato nella spazzatura?”, mi chiese in tono
retorico, conoscendo ormai sin troppo bene la risposta.
Sospirai ed abbassai il capo, colpevole.
Sì, il giorno prima i genitori le avevano
regalato tre biglietti per uno stupidissimo concerto di una stupidissima band
che tanto adorava. Logicamente lei aveva pensato anche a Ludovica, perché discreta
fan, e me, più che altro per tenerle compagnia.
Quando poi erano venute a casa mia per
vedere un film, Ross aveva avuto la pessima idea di portare i biglietti appena
ricevuti con sé ed io, convinta che si trattasse di carta straccia inserita tra
le mille riviste che avevamo da poco finito di leggere, li avevo buttati nel
cestino.
Bel casino, no?
“Te l’ho detto un milione di volte che mi
dispiace!”, provai ancora a dirle, nel tentativo di giustificarmi.
“E poi comunque festeggeremo i tuoi diciotto
anni! Cosa te ne fai di un concerto quando possiamo andare a divertirci in
discoteca?”, proposi, accompagnando le parole con il migliore dei miei sorrisi.
Lei mi fissò come se fossi una specie unica
sulla terra, uno di quegli strani animali che tengono rinchiusi in gabbia per
studiare perché di simili non ce ne sono, e per un istante pensai che forse lei
non era poi del tutto d’accordo con me.
“Non era un concerto qualsiasi! Era IL
concerto! L’ultimo del tour, l’unica tappa in Italia!”, aveva sbraitato
enfatizzando sul primo articolo determinativo.
“E va bene.”, mi arresi. “Ne comprerò altri
a spese mie.”, dichiarai scrollando le spalle.
Ludo si lasciò andare ad una leggera risata,
ma io non ne compresi il motivo, non da subito perlomeno.
Il viso di Rossella si fece ancora più rosso
e furioso, per quanto ovviamente fosse possibile. Sembrava che da un momento
all’altro sarebbe scoppiata, o che avrebbe cacciato il fumo dalle orecchie un
po’ come le vecchie locomotive a vapore, provocando quel fastidioso e
assordante rumore.
Mi ritrassi leggermente.
“Ti pare che non ci abbia provato? Mi hai
preso per una stupida?”, mi accusò piegandosi con la schiena per portarsi a
qualche spanna dal mio viso.
“Secondo te cosa ho fatto fino ad un’ora
fa?”, ringhiò.
Lei era ancora in piedi, con le mani sui
fianchi e un’espressione palesemente adirata sul volto.
“Sono finiti, geniaccio della lampada!”,
annunciò poi con un sorrisetto forzato e piuttosto incazzato.
Non sapevo cosa altro dire o poter fare.
“Forse te lo devo dire in inglese? Sold
out!”, aveva ripreso lei con tono sarcastico.
“Dai Ross, ora basta! Che ne poteva sapere
lei?”, cercò di difendermi Ludovica, spostandosi accanto a me sul letto.
“Ma se non parlavo di altro da mesi!”,
replicò lei, sbuffando.
Sì, lei e il suo maledettissimo concerto,
ecco perché non me n’ero ancora andata.
Ero riuscita
ad infilarmi nella fila grazie all’amica di mia cugina quella mattina dei primi
di dicembre, ovviamente Rossella non ne sapeva assolutamente nulla.
Le avevo
comprato un cd, identico a quello che già aveva. Non avevo potuto prendere il
suo perché sicuramente se ne sarebbe accorta dieci secondi dopo la sparizione e
avrebbe finito per minacciare mezza casa, per poi prendersela con me ed il mio
mancato interesse per quel gruppo che, a quanto sembrava, pareva essere la
causa di tutti i problemi.
Mi ero svegliata
di buon ora quel giorno e avevo deciso che avrei fatto di tutto per far
autografare la copertina dagli autori, con tanto di dedica personalizzata, per
poi regalarlo alla mia amica.
Almeno
questo glielo dovevo.
I sensi di
colpa mi stavano divorando.
Avanzai
ancora lungo la fila, ormai doveva mancare davvero poco. Intravedevo già una
serie continua di flash che ad intermittenza illuminavano ancora di più la sala
che ormai si apriva davanti ai miei occhi.
Non era
particolarmente grande, anzi, ma nonostante ciò più della metà era lasciata
libera.
Tutte le
ragazze, infatti, erano accalcate sul fondo, dove dedussi si dovessero trovare
questi benedetti ragazzi. Per quel che ne sapevo, dovevano essere seduti dietro
un lungo tavolo a mettere la loro firma un po’ ovunque.
Mi lasciai
andare ad un altro sospiro e finalmente entrai.
La ragazza
rossa dietro di me si fece scappare un urlo di gioia mista ad eccitazione. La
squadrai torva, prima di tornare a guardare davanti a me, facendo altri lenti
passi.
Era quella la reazione che avrei dovuto
avere anche io?
Pensai che
probabilmente se anche Ludovica e Rossella fossero state con me, di certo non
sarebbero state da meno, soprattutto l’ultima. Così, pensai bene di non badare
ai commenti sempre più elettrizzati delle ragazze che mi circondavano e alle
voci stridule che si levarono non appena raggiungemmo l’agognato tavolo. Alcune
invocavano dei nomi, giungendo le mani quasi come se stessero pregando, altre
erano in preda al panico, paralizzate alla vista di quelli che dovevano essere
i loro idoli. Poi, le più audaci, si lasciavano andare a commenti e sguardi
maliziosi nel vano tentativo di ottenere qualcosa in più di una semplice firma,
ed in fine c’erano quelle che urlavano e basta, senza motivo, senza smettere.
Scossi la
testa, come rassegnata.
“Hi!”, mi
salutò un ragazzo biondo che più o meno aveva potuto avere la mia stessa età.
Riconobbi
subito il suo viso, associandolo ad uno dei cinque ragazzi dei poster che Rossella
teneva sulla parete accanto al letto in camera sua.
“Hi.”,
ricambiai il saluto con poca enfasi.
Lui mi fece
un sorriso, ma quella volta non mi impegnai neppure a sembrare educata o
contenta, quindi passai subito alla mia richiesta.
Gli porsi il
cd che tenevo in mano, sperando che capisse un minimo di italiano, perché a me
di parlare inglese non andava proprio.
Al primo
tentativo lui corrucciò la fronte, nella chiara espressione di chi non avesse
capito una sola lettera delle mie parole.
Sbuffai e
cercando di rimanere calma gli chiesi in un perfetto inglese di autografare
quel fottutissimo cd e di fare una dedica ad una tizia di nome Rossella. Gli
feci anche lo spelling, per essere sicura che, tonto come mi era sembrato, non
sbagliasse a scrivere il nome della mia amica.
Il ragazzo
mi accontentò, così passai a quello successivo.
Questa volta
non ci provai neppure a parlare italiano, convinta che in inglese avrei
sicuramente fatto prima.
Mi sorrise
anche questo ed io ricambiai.
Aveva dei
lineamenti dolci e degli occhi marroni, i capelli castani, ma non mi soffermai
ad analizzarlo con più attenzione.
“Sure!”,
acconsentì poi, una volta che gli ebbi chiesto di scrivere nome e cognome su
quel pezzo di carta che tanto stavo odiando in quel momento.
Fui
costretta ad attendere qualche secondo prima di poter passare al terzo, colpa
della ragazzina davanti a me che si era bloccata a contemplare il tipo che le
stava seduto di fronte.
“Ciao!”, mi
disse questo in uno stentato italiano, fissandomi con quegli occhi azzurri.
Lo guardai
corrugando la fronte e lui parve non capire le mia reazione.
Che si aspettava qualche urletto eccitato?
Dedussi,
dunque, che almeno un po’ della mia lingua la capisse.
“Puoi
autografare questa copertina e scrivere qualcosa tipo a Rossella?”, gli chiesi mimando le virgolette sulle ultime due
parole.
Questa volta
fu lui a corrugare la fronte, facendomi capire che, in realtà, lui l’italiano
lo capiva ben poco.
Mi sorrise,
come per scusarsi del fatto che non avesse compreso un’acca.
Bene, ci mancava pure il coglione di turno!
“Testone che
non sei altro! Ti ha chiesto di autografare il suo cd! Dai, sbrigati ad
accontentare questa bella ragazza!”, aveva tradotto il suo amico lì accanto
sporgendosi nella nostra direzione.
Voltai il
mio sguardo stizzito verso di lui e solo allora mi accorsi di quelle profonde
pozze verdi tanto chiare da ricordarmi vagamente il colore dell’oceano in una
di quella cartoline di posti tropicali.
Aveva i
capelli scuri, quasi neri, che gli cadevano in ricci scombinati sulla fronte.
La sua pelle era chiara e le sue labbra rosse erano piegate in un sorriso tanto
invadente quanto presuntuoso ed arrogante. Sulle guance si scavarono due
piccole fossette.
“Capisco
l’inglese, quindi evita certi tipi di commenti e firma anche tu quella cazzo di
copertina.”, gli intimai con gli occhi ridotte a due fessure.
Lui, se
possibile, sorrise ancora di più e quel suo sorriso mi rese ancora più nervosa
di quanto già non lo fossi.
Il tipo
dagli occhi blu annuì all’amico e fece come gli aveva detto, poi mi sorrise e
passai al riccio.
Mi squadrò
per un millesimo di secondo, mentre si passava veloce la lingua sulle labbra
per inumidirle, poi mi sorrise.
“Come hai
detto che ti chiami?”, mi chiese quello in un perfetto italiano, ammiccando in
mia direzione.
Ma era pazzo o cosa?
“Non l’ho
detto, a dir il vero. Scrivi che è per Rossella e basta.”, ordinai per
liquidarlo il prima possibile.
Lui abbassò
lo sguardo sulla copertina, per poter fare ciò che gli avevo detto, ma non
smise di parlare.
“La scusa
dell’amica è piuttosto vecchia, non credi?”, replicò alzando lo sguardo
sull’ultima parola, avendo appena finito di scrivere.
I nostri
sguardi si incrociarono, ma fu soltanto un attimo, prima che io li feci roteare
spazientita.
“Non ti ho
detto che Rossella è una mia amica, ti ho detto solo di scrivere quel nome.”,
gli feci notare con aria saccente.
Lui rimase
spiazzato per neppure un decimo di secondo, tanto che mi trovai a pensare che
si era trattato soltanto di una mia impressione, poi accentuò ancora il suo
sorriso, alzando l’angolo sinistro della bocca.
Ma sorrideva sempre?
“Forza,
dovete scorrere!”, ordinò poi il tipo con giacca e cravatta che controllava il
regolare svolgimento dell’attività.
Non me lo
feci ripetere due volte e passai all’ultimo componete del gruppo, ma a lui prestai
ancora meno attenzione che agli altri, troppo presa com’ero dal fatto che di lì
a pochi istanti sarei uscita finalmente fuori.
Firmò anche
lui, così guardai la copertina soddisfatta.
Vicino alla
testa di ognuno di quei tipi c’era un nome, che dedussi fosse quello delle
rispettive facce. Due mandavano un bacio a Rossella, un altro un abbraccio, poi
c’era una strana parola che decifrai come carota, pur non afferrandone il
senso, ed una dedica che sembrava essere uscita da un bacio perugina: “Che la
tua vita sia dolce come una torta!”, diceva.
Sgranai gli
occhi, poi presi un lungo respiro liberatorio.
Non seppi
neanche io il perché, ma prima di uscire definitivamente dalla sala mi voltai
per guardare un ultima volta in direzione di quel tavolo e per uno strano
motivo i miei occhi si incrociarono per un’altra frazione di secondo con quelle
pozze verdi.
Poi, come
scossa, mi voltai di scatto e con passo veloce oltrepassai la porta che dava
sul vialetto, pronta a tornare soddisfatta a casa.
Angolo Autrice
Allora, chiarisco un paio di punti che credo necessitino speigazioni.
Per prima cosa devo dire che io non sono una Directioner, non nel vero senso della parola almeno,
anche se questi ragazzi mi paicciono veramente tanto, sia come cantanti che come personaggi!!!
In realtà ho da poco scoperto questo gruppo ed ovviamente, credo che in molte potranno capirmi, mi sono follemnete innamorata di Hazza!*-*
Insomma, tutto questo per dire che se ci sono eventuali errori riguardo alle descrizioni o ai gusti di Louis, Naill, Zayn, Liam o Harry... chiedo venia, insomma!xD
Altra cosa imoportante: non uccidetemi, vi prego!! Davvero, io non penso mica quello che scrivo!
Il primo capitolo è poittosto lunghetto, ma mi serviva per presentare bene la situazione.
Dunque, lei odia i One Direction, ma il destino ha in serbo per questa ragazza davvero tante, troppe, sorprese!
Spero che alemno questa prima parte vi sembri interessante... a voi la parola!!!
Se avete consigli o altro, fatevi avanti perchè, ripeto, non so tutto a riguardo!
I titoli dei vari capitoli, come vedrete, sono presi dai testi delle canzoni dei One Direction,
ovviamente si tratta dei pezzi cantati dal caro Harry!;)
Ultima cosa, ovviamente so che non sono stati in concerto a Roma, ma mi serviva da presupposto per farli incontrare!xD
Mi pare di aver detto tutto, anche perché ho scritto un angolo autrice spropositatamente lungo!
Al prossimo capitolo!:*
Astrea_