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Autore: crimsontriforce    13/03/2007    4 recensioni
C'è chi non vuole capire e chi, forse, ha paura di spiegarsi. Legault, Heath, una missione di rifornimento e un terzo incomodo grosso e con le ali.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Unfulfilled Heart

"Penso che la gravità della situazione vi sia chiara", disse lo stratega srotolando sul tavolo una mappa disegnata col carbone, "e ora voglio che mi stiate a sentire, tutti. Domani all’alba Lord Eliwood, Lord Hector, Lady Lyndis ed io andremo in esplorazione verso il castello di Bern. Sarà vostro compito non farvi notare dal nemico, disperdetevi nella boscaglia fino al nostro ritorno. Ma, nonostante ogni nostra precauzione, uno scontro potrebbe avvenire."

"Ho mandato Florina in ricognizione così da poter contare su una mappa, per quanto approssimativa. Vi sia sempre presente che la priorità va alla sicurezza dei civili, non importa che qui siamo nel cuore del territorio di Bern, gli errori della casa reale non devono ricadere sui suoi sudditi. Sono stato chiaro? Nella fattispecie, c’è un villaggio oltre questa catena montuosa e non voglio che ci siano vittime – Kent, Sain, alle prime luci dell’alba sellate i cavalli e correte ad avvertirli di chiudere i cancelli."

"I cavalli sono già sellati, Sert, signore. Possiamo partire anche subito."

"Ciò vi fa onore, ma per la segretezza del nostro accampamento è meglio che ci muoviamo tutti insieme. Partirete domattina. Ripensandoci, Canas, Erk, andate con loro. I paesani possono ignorare la nostra presenza, ma tutte le viverne di Bern saranno state allertate dagli ultimi scontri, e non voglio correre rischi."

"Con il suo permesso, mi trovo costretto ad obiettare. Vieppiù con le armate di Bern all’erta, è prioritario che noi maghi restiamo a difendere l’accampamento e –"

"Obiezione sensata ma respinta, Canas. Lucius resterà all’accampamento, e in caso di necessità Priscilla è ormai in grado di utilizzare i tomi più elementari. È chiaro?"

"Mi rimetto al suo giudizio."

"Me ne compiaccio. Dunque, Oswin, Lucius, Priscilla, Florina, armi pronte e fate centro su Merlinus. Priscilla, presti particolare attenzione… Lady Priscilla? Mi sta ascoltando?"

"Sì, sì signore. Centro su Merlinus."

"Sa che è suo compito occuparsi dei feriti. Non ci sarà bisogno di ripeterlo, ma la situazione ci sta innervosendo tutti e non voglio errori. Se qualcuno dei nostri si avvicina, gli corra incontro e si assicuri che stia bene. Florina, nel caso, scortala.

"Lord… Raven?", chiesero Lucius e Priscilla quasi all’unisono.

"Raven è più che in grado di difendersi da solo, signori. In caso contrario tornerà alla tenda evitando gli scontri, come tutti. Raven, Guy, tenete i monti a nord alla vostra destra e cercate il gruppo di Lord Eliwood. Spero che non avremo bisogno di supporto, ma…"

"Lo consideri già fatto."

"Non dubitavo. Vi ricordo che io non sarò qui domani, e il successo dell’intera strategia dipende da voi. Siate attenti, siate flessibili, non prendete rischi inutili. Siamo arrivati insieme troppo lontano per fermarci ora. Ci sono domande?"

Nessuno sembrava avere da ridire, e dopo averli ben squadrati in viso Sert li congedò. "Bene, potete andare. Siete liberi fino a domattina… ho fiducia in voi. Heath, tu resta."

Heath si guardò intorno perplesso mentre i suoi compagni d’armi uscivano dalla tenda, in piccoli gruppi, discutendo dei rispettivi ruoli nell’incombente battaglia. Si sentiva offeso e tagliato fuori.

"Signore, non penserà che io… non… insomma, ho prestato giuramento a Lord Eliwood quando mi sono unito a questo gruppo. Non infangherò il mio onore, non c’è bisogno di questo!", sbottò.

"Calma, soldato, calma, hai frainteso le mie parole. Posso solo immaginare quanto sia difficile per te andare in guerra contro dei tuoi compatrioti, ma non è di questo che voglio parlare. Siediti."

"Di… cosa, allora? Spero di non aver mancato in nulla ai miei doveri."

"Tutt’altro. Ma fra i tuoi doveri ora rientra anche il non far uscire da qui le informazioni che ti confiderò."

"Ha la mia parola…"

"Siamo senz’armi, Heath, me lo ha comunicato Merlinus ieri. Ho lasciato andare gli altri perché non volevo che incidesse sul morale, ma non reggeremo fino alla fine di questa battaglia. Florina pensa di aver individuato un armaiolo, ma è lontano, qui, oltre le montagne… ho un assoluto bisogno delle ali di Hyperion e, non potendo chiedere direttamente a lui, mi rivolgo a te", concluse Sert con un sorriso.

Heath ricambiò, illuminandosi in volto. "Io e Hyperion siamo pronti a partire in questo istante! E torneremo con abbastanza armi per tener testa a un drago, signore!"

"Partirai domattina, insieme con gli altri. Ma non sarai l’unico. Legault si è offerto volontario per questa missione non appena ha saputo del problema – non voglio sapere come l’abbia saputo, ma è la persona più adatta per il compito e tanto mi basta. Lo scorterai fin lì, prenderete le armi e tornerete indietro. Evitate gli scontri se potete, priorità ai rifornimenti. Ci sono domande?"

"L-legault, signore?" D’istinto, Heath raddrizzò la schiena e incrociò le braccia.

"Legault, sì. Questo ti crea dei problemi?"

Sì!, avrebbe voluto rispondere, Parecchi. Non era ancora riuscito a capire se avesse veramente scherzato, durante la loro ultima conversazione, o… o se fosse veramente innamorato di lui. "No, suppongo di no. Ma non potrebbe mandare Florina al posto mio?"

"Florina, dici? Florina è un’ottima combattente, ma come saprai non posso affiancarla a un uomo, la sua fobia potrebbe risultare fatale a entrambi in battaglia." Sert congiunse le mani sotto il mento e osservò il suo interlocutore. "Ripeto, Heath, ti crea dei problemi?"

Sì, che di quell’uomo lì ho una fobia anch’io… "No. Partiremo domattina e torneremo con le armi. È una promessa." Non poteva lasciare che dei timori intralciassero la missione, era in debito con quella gente e si sarebbe fatto valere.

"Bene. Puoi andare."

Quella notte Heath dormì poco e male. Male come tutti, in ansia per l’indomani, poco perché, nonostante continuasse a ripetersi di non pensarci, l’idea di Legault come compagno di missione non gli piaceva. Non solo restava l’incognita di quell’altro giorno, ma i suoi atteggiamenti, i modi di fare gli risultavano irritanti, doppi, senza onore. La loro storia era più simile di quanto volesse ammettere, ma la cosa non serviva a rivalutarlo ai suoi occhi. Forse lo innervosiva ulteriormente. Lui era stato deluso – più che deluso, tradito da Bern, e aveva rischiato la vita per andarsene e seguire una via più giusta. Ma si può venir delusi da una banda di ladri? Che principi morali possono venire infranti? Si fosse redento, almeno, ma no. E poi il modo di combattere, così cauto, sempre pronto a nascondersi dietro ai soldati più esperti. Come lui. Che era riuscito negli ultimi tempi ad evitarlo con un certo successo, salvo poi trovarsi incastrato a quel modo, sorte infame. Per evitarla avrebbe potuto confidare a Sert tutto quello che aveva appena detto a sé stesso? Denigrare i compagni d’arme non è comportamento da cavaliere. Ma riferire di un’attrazione... sempre che fosse esistente… non ricambiata poteva forse definirsi denigrare? No, si contraddisse, ma non c’è faccenda più privata. Ugualmente non appropriato per un cavaliere.

Si stava così tormentando da più di un’ora, e i pensieri sembravano non finire. Di cosa avrebbe parlato il giorno dopo? Un silenzio imbarazzato? Se invece fosse stata un’elaborata presa in giro, sapendo che il suo codice personale non gli avrebbe permesso di prenderla alla leggera? Esasperato, finì per rivestirsi, prendere un secchio, uno strofinaccio e dedicarsi a una meticolosa pulizia notturna delle ali di Hyperion, l’unico nell’accampamento che sembrasse veramente capirlo.

Si addormentò con lo straccio ancora in mano, abbracciato al collo della viverna.

"Buona giornata, mio prode cavaliere, e fortuna in battaglia", lo salutò vezzoso Legault mezz’ora prima dell’alba, mentre stava regolando i finimenti.

"A te", rispose secco, e si mostrò estremamente attento e concentrato per una serie di gesti che, dopo anni di pratica, avrebbe potuto compiere ad occhi chiusi.

"Facciamoci valere", gli sorrise il ladro, e andò a sedersi con pigra grazia in un angolo, in attesa che lui finisse. Non sembrava avere intenzione di dire altro. Forse ho rimuginato troppo, pensò Heath mentre stringeva il sottopancia, e andrà tutto per il meglio. Forse.

Diede una carezza al muso squamoso di Hyperion, che rispose con un basso ruggito riconoscente. Guarda che sono io a dover ringraziare te, non il contrario – almeno saremo in tre. Sospirò e si avvicinò al punto dove Legault era seduto e tracciava complessi ghirigori sulla polvere, e nonostante lo sguardo del ladro fosse fisso a terra Heath avrebbe potuto giurare che l’avesse sempre seguito con la coda dell’occhio. "Vedi là in fondo?", iniziò. "Ci sono un grosso guanto di cuoio e della carne fresca, mettiti il guanto e prendi un pezzo di carne, e vieni qui."

"E dimmi, cosa dovremmo fare noi con un trancio di carne sanguinolenta?", rispose Legault dopo una breve pausa, inarcando un sopracciglio.

"Tu prendila e seguimi. Hyperion non è un cavallo, non accetta di portare chiunque. Devi chiederglielo per favore, e del cibo è un buon modo per farlo. O preferisci dargli un braccio?"

"Ricevuto, o feroce domatore di viverne…", disse, mentre indossava il guanto con un’espressione testardamente corrucciata. "Ma in battaglia non – come spiegarmi… certo puoi tu, suo padrone, ordinargli di accettare qualcuno?"
"Certo potrei."
"Quindi?"

"Ma non ne ho nessuna intenzione."

"Capisco."

Legault tenne la carne sul palmo aperto della mano e si avvicinò a Hyperion frontalmente, senza fare movimenti affrettati che potessero innervosirlo. Quando furono a due metri di distanza lo guardò negli occhi, curioso ma diffidente, e la viverna in risposta fece schioccare le mascelle e inarcò il collo, ringhiando.

"È inutile, non gli piaci…", commentò Heath in tono casuale e non dispiaciuto, "vedi almeno di non farti mordere ora che sei lì, sta’ fermo e non guardare altrove o la prenderà come un’ammissione di sconfitta. Ora procedi lentamente e offrigli la carne, e soprattutto non abbassare lo sguardo."

"Tsk… pregiudizi, sono circondato da ignobili e calunniosi pregiudizi. Su, parla, cos’ho che non va?"

"O è una questione di odore, e non ci si può fare nulla, o sei stato troppo sprezzante. Te l’ho detto, non è un cavallo… ti percepisce come un rivale."

"Oh, questo è sorprendente. Dunque questa bestia è più intelligente di quanto pensassi."

"Come?"

"Ne parliamo dopo. Ora, fammi uscire di qui vivo e integro."

"Smettila! Stai fermo, dannazione, è un ordine!"

"Non dirmi. Comandi tu, ora?"

"Sì."

"E per quale motivo, di grazia?"

"Due motivi molto validi:", ringhiò Heath in risposta, "io ho le redini, io ho le staffe. Io gli chiedo una virata in velocità, tu cadi."

"Valida argomentazione, sono esterrefatto. Non da ultimo da sì tanta compassione, certo segno di un animo nobile…", declamò Legault con sussiego, sottolineando le parole con ampi gesti del braccio che andarono sfortunatamente persi al suo interlocutore, dato che questi – secondo una sua soggettiva interpretazione dei fatti – insisteva nel voltargli le spalle.

"Risparmiati… io non sono così, Legault". Heath abbassò la testa rassegnato, sbuffò e scandì bene le parole. "Tu mi fai essere così. Prova a lasciar stare le mie riserve, là dietro, e sarei molto meno nervoso. Per esempio."

"Non riesco a sentirti! C’è troppo vento, parla più forte!"

"E smetti di prendermi in giro! Basta! Non è divertente!"

"…No, no, suppongo che non lo sia", rispose Legault a voce improvvisamente bassa, appena udibile sotto il battito ritmico delle ali di Hyperion. "Ma non posso smettere, sto cercando qualcosa."

"E lo cerchi sul mio giavellotto?"

"Anche, sì."

"Pensi di trovarlo in fretta?"

"Se… se me lo dici così… sì, l’ho appena trovato."

"Cosa mai…?", chiese Heath girandosi. Legault stava passando il giavellotto da una mano all’altra con un complicato gioco di dita e sembrava molto preso da quell’infantile dimostrazione di abilità, non meno di quanto fosse stato lui stesso, un’ora prima, nel finire di sellare la sua viverna. Non si considerava un gran giudice dell’animo umano, ma vedeva senza dubbio che il ladro era turbato, difficilmente riconducibile al suo caratteristico distacco. "Cosa…?"

"Nel deserto – io ero serio, Heath. Mortalmente serio. A una persona onesta… da una che sta cercando di diventarlo."

"Così si trattava di questo."

"E di cos’altro mai?"

Heath non rispose. Prese le redini in un mano e con l’altra si coprì gli occhi, lieto che l’altro non potesse vederlo: in fondo, molto in fondo, non voleva ferirlo. Ma, anche ammesso che questa volta avesse detto il vero, e ne era abbastanza convinto – o era un attore così abile, capace non solo di mantenere la solita impenetrabile maschera, ma di cambiarle a piacimento? E a che fine inscenare una tale burla? – quanto poteva valere il "vero" di un ladro, di un Black Fang?

Da qualunque parte lo guardasse, Legault era e restava un pensiero scomodo.

Avrebbe preferito poter far finta che non esistesse, eliminarlo dal suo orizzonte mentale, ma la situazione semplicemente non lo concedeva. Dunque, riprese, che valore assegnare a "vero"? Quale ad "amore"? L’aveva visto con i suoi occhi dedicare un certo tipo di attenzioni a Lady Isadora, perché pensare che quanto appena confessatogli fosse frutto di un sentimento più serio? Quell’uomo era capace di sentimenti seri, per Santa Elimine e le Leggende tutte? Sembrava prendere tutto come un gioco, uno scherzo, o una sfida. E Heath non ambiva a venir considerato un premio.

"Se almeno qualche avversario ci degnasse di un’apparizione", lo interruppe Legault. Apparentemente già tornato in sé, giudicò Heath dalla dose massiccia di sottintesi condensata in così misere parole, e, al solito, non riuscì a cavarne un capo né una coda. Optò per un’interpretazione diretta, e che poi si spiegasse lui. "Che razza di malsano desiderio è questo?"

"Chissà, forse bramo solo un qualche modo per tenermi impegnato, data la triste fine toccata al mio… precedente tentativo di conversazione."

"La fortuna ti arride, allora", mormorò Heath aggrottando la fronte, "non poteva andarti meglio."

"Oh, delizioso! Lo devo interpretare come una seconda possibilità?"

"E quando sarebbe stata la prima…? No, che ci stavano aspettando, di pattuglia davanti all’armaiolo… siamo stati prevedibili. Tre maghi e, se gli occhi non mi ingannano, adepti delle tre scuole elementali…"

"Maghi… lì… sembra proprio che ci abbiano ritorto contro la nostra stessa strategia. Ben fatto, Sert, davvero magistrale…"

"Non importa! Se colpiamo per primi non noteremo la differenza. Io punto sullo sciamano… si va, preparati a saltare!", gridò Heath abbandonandosi all’ebbrezza del volo.

Parte di lui si odiò per questo, ma il cavaliere si sentì finalmente e improvvisamente libero, come se stesse respirando per quella volta da quella mattina, fuori da una cappa soffocante. Conosceva la battaglia, era lineare, libera, onorevole, sapeva di combattere per una giusta causa e in questo era felice. Con un brivido fece roteare la lancia, prestando marginale attenzione a non colpire dietro di sé, e spinse Hyperion, una cosa sola col suo corpo e la sua mente, a prendere quota prima di volare in picchiata sull’ignaro avversario.

Si concesse un raro sorriso aperto nel sentire il vento carezzargli il viso, e non distinse da esso una mano leggera che gli scompigliava i capelli, trattenendone una piccola ciocca verde, e poi scendeva con lentezza malinconica sull’armatura, fermandosi lieve all’altezza del cuore.

Si fermò per un istante per permettere a Legault di scendere con un salto e con una manovra azzardata si portò alle spalle dello sciamano, pronto a colpire, lancia e zanne un tutt’uno attento e teso. Caricò, ferendo gravemente il nemico, ma non riuscì ad impedirgli di completare il suo incantesimo.

Si sentì circondato dal buio, stretto da un freddo mortale, indifeso e inadeguato. L’oscurità colava sotto il metallo, sotto le vesti, fino a diventare parte di lui. Gli sciamani erano abituati a questo tipo di comunione, ma per chiunque altro poteva essere mortale – cercò di concentrarsi, ma invano si appoggiò alla forza del suo destriero o alla luce e al vento che lo circondavano nella realtà, il buio era più forte. Sentì in bocca il sapore del sangue, strinse i pugni nella rabbia di non essere riuscito ad evitare il colpo e si preparò al contrattacco, la mano sudata stretta sul ferro dell’arma. Con una volontà inflessibile al pari della sua lancia, si alzò nuovamente e ricadde in una picchiata elegante e micidiale come la precedente.

Continuò così il suo duello, schivata, contrattacco, affondo, senza prestare attenzione a quello che avveniva ai margini del suo campo visivo, ma qualcosa sembrava fuori posto… approfittò di un momento di raccoglimento in quota per controllare la situazione dall’alto, e quello che vide gli fece gelare il sangue: un mago era morto, ma in quell’esatto momento Legault stava rovinando al suolo, disarmato, colpito di striscio da un’esplosione di fuoco. Dopo l’iniziale smarrimento Heath si concentrò e si abbatté sul suo nemico con un affondo mortale. Disimpegnatosi, con pochi possenti battiti d’ala fu al fianco del ladro, lo prese a forza in sella e, lancia in resta, si gettò sul saggio, che atterrito dall’apparizione di una viverna assetata di sangue non riuscì ad opporre resistenza.

Nella piccola valle sembrava tornata la quiete. Come di consueto, Heath si passò una mano nervosa fra i capelli mentre controllava lo stato di armatura, armi, finimenti e cavalcatura, mai peccare di troppa sicurezza, il nemico poteva essere ovunque. Riesaminando con la memoria l’ultimo scontro, però, qualcosa lo colpì, un dettaglio che era passato in secondo piano rispetto al più urgente salvataggio. Possibile che…?

Si voltò verso Legault che, in silenzio, stava curando le sue bruciature con un sorriso sornione stampato in viso. "Tu…"

Il ladro ricambiò lo sguardo, pieno di gratitudine per il tempestivo salvataggio. Vacillò un attimo, colto alla sprovvista di fronte a quell’ampia dimostrazione di innocenza, ma non poteva essere altrimenti: "Tu… tu – incosciente! Tu… hai fatto apposta…", balbettò, livido di rabbia, mentre iniziava a rallentare in vista dell’atterraggio – la missione restava più importante di qualunque sfuriata i suoi nervi tesi gli stessero suggerendo, e togliersi la tentazione di buttarlo di sotto si stava facendo ugualmente prioritaria.

"Fatto apposta… cosa, di preciso?" Non un tremito, non un cambiamento nella voce. Eppure…

"Farti colpire." Heath dovette trattenersi dall’urlare.

"Perché mai avrei dovuto, mio valoroso capitano? È stato un banale, sciagurato errore. Non sono addestrato all’arte della guerra, a un semplice ladro si potrebbe perdonar ben altro."

"Perché? Non lo so perché, dannazione! Non conosco gli uomini e non so neanche se annoverarti fra loro o fra le schiere di spiriti maligni! Ma conosco il campo di battaglia e conosco i combattenti e, per Elimine, quella era una finta!"
"Suvvia, Heath… che timori…"

"Non ho timori se non quelli per le tue bugie! Hai detto questa mattina che in virtù di un novello sentimento staresti provando a seguire la via della rettitudine… bene, dimostramelo! Guardami e rispondi, neghi di aver scelto di subire quel colpo?"

"Io… oh, crudel desiderio del mio cuore! Mi vuoi morto, e grazie alle mie stesse parole. Non posso sottrarmi. Sì, lo ammetto, per mia volontà ho rinfoderato la lama..."

"Ma… perché?", chiese Heath esterrefatto.

"Suppongo tu non possa capire."

"Tu prova a spiegarmelo", ribatté, saltando infine a terra e invitandolo a fare altrettanto. "E non voglio pensare che anche il tuo buon impegno verso questa missione fosse fasullo… ma ti sei offerto prima di me, quindi credo in questo di poterti dare fiducia."

"Fasullo?", ripeté Legault, e sembrò che una barriera fosse caduta: quella parola suonava come una ferita, una dolorosa, umanissima ferita, non un trastullo sofisticato. Affrettò il passo e si fermò di fronte a Heath, bloccandogli la strada.

"Fasullo? Fasullo?? Ti vien facile riempirti la bocca con questa parola, ma cosa ne sai, cosa ne sai in realtà? È pochezza o crudeltà che ti fa pronunciare queste parole?"

"Io non so nulla, Legault. E non lo so perché sei una mescolanza di menzogne e artifici, e distinguere il vero in mezzo a quelle richiede ben altre conoscenze che le mie. So che hai messo in pericolo la tua vita e la mia per un motivo frivolo. Raccontami tu il resto."

"Non ho messo in pericolo proprio nulla, ho fatto conto sulla tua abilità e ho contato bene."

"Sia anche, ma cos’avevi per la testa?"

Legault tacque, guardandosi interessato i piedi.

"Siamo arrivati fin qui, parla!"

"Te, avevo. Continui a non capirlo, vero?" Eccolo, di nuovo quel cambiamento. Ancora, quella poteva essere la verità, o qualcosa che le somigliasse molto. "Speravo che questa missione andasse molto diversamente. L’avevo voluta così fortemente. Speravo che fosse stata solo la sorpresa a farti fuggire quel giorno. Speravo tante cose ed è andato tutto al contrario. Cos’altro dovevo fare? Lasciami almeno uno, un singolo momento d’illusione in salvo fra le braccia del mio bel cavaliere, come la più felice fra le principesse… lascia stare, lascia stare. Oggi non è mai successo, va bene? Torniamo indietro vivi e ognuno andrà per la sua strada, non ha senso tentare oltre. Non ha senso."

Fu il turno di Heath di guardare a terra in silenzio.

"Ma almeno vedi di fare qualcosa per quella tua benedetta ingenuità, o la gente sarà anche troppo tentata di approfittarne!", disse Legault entrando nel negozio, "’Offerto prima’? Via, via, Fiora non ha abbastanza esperienza per un’uscita del genere, chiaramente serviva un paio d’ali e rimanevate tu e Florina, inserisci me nel calcolo come secondo uomo e non è troppo difficile indovinare le decisioni di messer Sert… Sembrava una così buona idea. Sembrava."

Heath restava muto, cercando di sbrogliare un imprevisto nodo in gola. Maledisse sé e la sua inesperienza, si sentiva un verme e non sapeva cosa farci. Legault si era appena umiliato di fronte a lui, ma non era certo quello che voleva, anzi il contrario, che fosse uno scherzo, aveva già abbastanza problemi e non voleva causarne ad altri, no, neanche a lui, ma non aveva parole di conforto da rivolgergli…

Fortuna volle che perdesse presto ogni interesse verso il prato come vacuo oggetto d’osservazione, rivolgendosi invece alle nuvole che si rincorrevano veloci sopra le montagne. Si fece schermo con la mano per vedere meglio nella luce intensa del mattino, rabbrividì e cercò conferma in Hyperion, che sbatteva inquieto le ali.

Corse nel negozio, dove Legault stava firmando la consegna delle armi eccedenti la loro limitata capacità di carico e finendo di pagare l’intera spedizione, contrattando fino all’ultima moneta. Heath afferrò al volo due lance e un giavellotto dal mucchio e con l’altra mano prese il ladro per il braccio e lo spinse malamente fuori dall’edificio, facendolo arrancare dietro di sé mentre correva a perdifiato verso Hyperion.

Buttò in fretta le armi sulla sella e d’istinto sarebbe stato tentato di fare lo stesso con Legault, se questi non avesse avuto la prontezza di spirito di salire con le sue forze e di non contraddirlo finchè non si fossero librati in volo.

"Si può sapere cosa ti è preso? Ti sei scordato del perché siamo venuti fin qui?", chiese allora.

"Non le vedi?", rispose Heath, pallido e teso come la corda di un arco, indicando il nord. "Viverne… sei… no, otto! Otto cavalieri del Black Fang! Siamo perduti…"

"Fuggiamo dunque! Sert sarebbe il primo ad ordinarcelo, è inutile fare gli eroi!"

"Non - non ne abbiamo il tempo, dannazione! Ci sono addosso! Legault, aggrappati come puoi, non sarà un volo tranquillo…"

"Stai scherzando, vero? Fammi scendere, ti appesantisco solo! Con me in sella non hai speranze…"

"Cosa…?"

"L’hai detto tu prima, Heath – tu hai le redini, tu hai le staffe. Io sono un peso che t’intralcerebbe ogni manovra. Fammi scendere."

"Non dirlo. Voglio essere franco: non ti capisco, non approvo i tuoi modi di fare, mi scuso per come te l’ho detto prima ma è la verità. Ma in quest’esercito siamo compagni, e non lascerò che tu venga ucciso. Sul mio onore, questo giuro.", si affrettò a rispondere in una sorta di goffa solennità.

"Ed è proprio quello che ammiro di te, schietto, onorevole cocciuto… per te, sì, vale combattere", ammise scuotendo la testa, con un sorriso amaro a testimoniare la follia che stava vivendo in quei giorni. Si appoggiò alla schiena dell’amato, più leggero di un alito di vento, e riprese a parlare. "Fammi scendere o mi butto di sotto, e il tuo giuramento sarà infranto in ogni caso. Non puoi perdere altro tempo!"

Heath stava sostituendo la sua lancia con una più consunta ma appropriata [picca], ma si fermò frastornato a metà del gesto. Cos’era quella sensazione di colpa che si agitava sul fondo dello stomaco? Fallimento? Certo, stavano andando a morire… ma c’era qualcosa d’altro? Forse che quella scelta lui poteva non solo capirla, poteva perfino… apprezzarla?

Fuori dal mondo dei suoi inutili, inopportuni pensieri, Heath si stava tormentando il labbro, incapace di accettare il sacrificio di un soldato che avrebbe dovuto proteggere. E di un… valoroso? Non ho termini. Non voglio averli. Basta così.

"Ti… lascerò nei boschi sotto di noi. Non uscire da lì, non esporti al pericolo", disse infine, "e non ti vedranno."

"Lontano è ancora il giorno in cui una scatola di metallo su una lucertola lunga tre metri potrà fare a me, una Zanna del Black Fang, la predica sul come nascondermi… me la caverò, Heath, non ti preoccupare", rispose forzando il sorriso che gli era abituale, "Ma è stato gentile da parte tua. Davvero. E ora fammi scendere."

In seguito, Heath ricordò ben poco di quella battaglia. La fatica, sì, il dolore, l’ardore della lotta, un turbinio di ferro e ali e sangue. Il grido di Hyperion colpito alla spalla, nonostante il codice dei cavalieri di Bern lo vietasse, la rabbia crescente e il senso d’impotenza, perché le forze non lo sostenevano più. Come in sogno si chiese perché non lo attaccassero tutti insieme, lasciandogli invece spazio di manovrare e difendersi, e quando anche gli parve di vedere frecce e dardi magici saettare in direzione del nemico lo trattò alla stregua di una visione, il desiderio infantile di un guerriero morente.

Eppure finì.

Il cielo era libero e terso, e lui era vivo.

Ringraziò i Santi e scese a terra su gambe malferme. Qualche metro più in là, due figure erano chine su qualcosa, e dai colori che vestivano non sembravano Black Fang. Si avvicinò.

"M-marchesa Wrigley! Conte Reglais!", esclamò quando riuscì a distinguerli. Aveva aiutato lui stesso il Conte, giorni prima, in quella disgraziata missione a Nabata, ma nona avrebbe neanche osato sperare che il favoleggiato Generale Mago d’Etruria si unisse alla loro causa. E la Marchesa, beh, era più bella di tutti i canti in suo onore. Tentò di inchinarsi, finendo malamente carponi.

"Così sei tu il valoroso che ha combattuto nei cieli", gli si rivolse sorridente Lord Pent porgendogli la mano e aiutandolo a rialzarsi. "Non inchinarti, saremmo noi a dovere rispetto a te, piuttosto."

"N-no, non… vi ringrazio… ma il merito va alla mia viverna, senza di lui sarei una minaccia ben risibile."

"Non solo suo", li interruppe Lady Louise, il bel viso oscurato da preoccupazione. "Senza il coraggio di questo giovane, neanche l’Eroe Roland in persona avrebbe potuto reggere un attacco del genere. A lui dobbiamo essere grati."

Giovane…?

Legault era disteso a terra, ferito gravemente al fianco e al braccio. Un lembo strappato dal mantello di Louise tentava, a mo’ di fasciatura, di arrestare la perdita di sangue, ma non bastava, e il viso del ladro era contratto dal dolore. Non sembrava nemmeno essere cosciente di quel che gli accadeva intorno.

"Cosa...?!", gridò Heath, lasciandosi cadere al fianco del compagno. "Legault, rispondi! Cosa è successo? Rispondi!!"

"Ha attirato su di sé l’attenzione dei cavalieri, permettendoti di attaccarli secondo il tuo ritmo. Sperava di riuscire ad evitare i loro attacchi dove a te sarebbe stato impossibile, immagino, ma erano troppi… mi dispiace", spiegò Pent incrociando le braccia al petto e abbassando lo sguardo. "Mi dispiace… ho qui con me solo i miei tomi magici, e cedemmo le pozioni lenitive alla Marchesa Caelin questa mattina, non pensando di venir ingaggiati seriamente in duello. Sono… desolato."

"Legault, rispondimi…" Heath si sentì morire. Non poteva andarsene proprio ora che… ora che? Ora che aveva dimostrato di essere un essere umano decente…

"Rispondimi", ripeté, sollevandogli piano la testa, "devi vivere!"

Legault aprì gli occhi e sembrò lottare per mettere a fuoco il suo volto. Tentò di accarezzargli il braccio, ma le forze non gli bastarono. "Ripetimelo…"

"Devi vivere, o Sert avrà la mia testa su un piatto d’argento! Perché l’hai fatto, sciocco?"

"Ah… credevo… Per te.", bisbigliò, "Non potevo permettere che tu… morissi."

Due lacrime rigarono il volto di Heath.

"Penso che sia il momento indicato per prendere congedo, Pent, caro", disse Louise.

"Sì, ne convengo. Coraggioso cavaliere, pur con cuore pesante non possiamo fare nulla per te e il tuo compagno, e ci dirigeremo ora al vostro accampamento, seguendo le indicazioni forniteci dal Marchese Pherae. Ritengo che possa essere consigliabile portare in volo il ferito da una guaritrice abile, la vostra trovatrice dai capelli rossi, se ben ricordo… ti, vi auguro una sorte propizia, e se il fato ci arride ci ritroveremo tutti questa sera attorno a un tavolo a brindare all’impresa di oggi. Ti saluto…"

"No… no! Fermo!", lo pregò Heath ancora inginocchiato, prostrandosi. "Non sopravviverà ad un volo… né per molto altro tempo, anche se vegliassi qui su di lui… vi prego, restate!"

"Che differenza faremmo?"

"Se… se io… l’emporio, certo!", esclamò, e tentò con tutte le forze di rialzarsi, incurante delle sue stesse numerose ferite. Era in debito di vita, non poteva gettare così la spugna. Come seguendo un muto richiamo, o forse solo preoccupato per le sorti del suo compagno umano, Hyperion ruggì e si avvicinò fino a sostenerlo col muso. "L’emporio, certo, l’emporio, quello vicino all’armeria, sapete? Lì certo avranno pozioni… ma c’è bisogno che qualcuno vegli su di lui… e se poi malauguratamente non ne avessero, e non avessero altro da offrirmi che una verga magica, io non potrei usarla. La prego Lord Pent, la prego, lei è il mago più potente che Elibe abbia mai visto… Ho finito i soldi concessimi da Lord Eliwood, ma venderò qualcosa, la mia vecchia lancia, l’armatura, in qualche modo ce la farò, ve lo prometto!"

"Sei forte e onesto, cavaliere", lo interruppe Louise avvicinandosi, "lascia che siano questi i tuoi pregi e che siano le lingue d’altri a intingersi di zucchero, a te non serve. Accetta questo in segno di apprezzamento, caro, e acquista tutte le cure di cui avrete bisogno – entrambi. Noi ti aspetteremo qui, hai la mia parola." Nel dire questo si sfilò dal dito un anello su cui era incastonata una gemma bianca di incalcolabile valore, e gliela porse.

Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. "Legault… io… ti devo delle scuse", confessò infine.

Stavano finendo di caricare le armi sulla sella di Hyperion, entrambi rimessi in piedi alla meglio da un tempestivo incantesimo di cura di Lord Pent. La coppia di nobili si era poi accomiatata per recarsi all’accampamento, come previsto, e ora stavano infine portando a termine la missione.

"Scuse?", chiese Legault inarcando un sopracciglio e cercando di guardarlo da oltre la groppa della viverna, "Che scuse?"

"Non ho mai capito nulla."

"Mi permetto di dubitarne."

"Di te, intendo."

"Oh."

"Sali, io qui ho finito di assicurarle. Continueremo a parlare in volo. Prima, però, dimmi di nuovo una cosa… tu non hai mai combattuto così, non ti sei mai esposto. Perché ora?"

"Heh… non stavo delirando, prima. Ti ho già risposto. Di solito non ha senso che io mi esponga, perché dovrei? Non è il mio ruolo in battaglia. Morirei, e sarebbe stupido, poiché offro i miei servigi a Lord Eliwood in altri modi."

"Matthew non sembra pensarla così. Combatte onorevolmente."
"Quel ragazzo ha un desiderio di morte, non puoi prenderlo come esempio. Non…? Pensavi fosse codardia la mia? Per questo ti ho sorpreso?"

"In verità, sì."

"Ricordati che non tutti solcano i cieli protetti da armature scintillanti, ciò che è eroismo per uno può essere incoscienza per l’altro… non confondere l’onore con la pazzia, ti prego. E ora vuoi montare anche tu o hai intenzione di far notte?"

Così Heath compì l’atto di coraggio più grande di quella lunga giornata: ammise di aver sbagliato. Gli parlò con candore di tutto quello che l’aveva infastidito in quei giorni, e dei suoi ideali e di quello che di quelle cose dicono a Bern, di cosa significhi montare una viverna e del legame profondo che nasce fra questa e il suo cavaliere, cosa dà e cosa toglie nella vita; Legault da par suo proseguì nella strada dell’onestà, senza maschere e senza difese, coprendosi solo di quell’amarezza verso l’esistenza tutta che lo accompagnava fin dalla nascita. Parlò del Black Fang e della guida di Reed, e di quanto gli fosse costato vederlo cambiare. Parlò di fiducia tradita e amori caduti, e si soffermò con passione sul brivido che aveva provato quando per la prima volta aveva visto la sagoma verde di Hyperion saettare in cielo, prima avvisaglia di un sentimento pericoloso che l’avrebbe portato a folli gesti degni del più folle dei folli.

L’uno capì che c’è più di un modo per dire la stessa cosa, l’altro che questo semplice insegnamento non è diffuso, come credeva, fra tutte le genti di buon ingegno.

"Se accetti queste mie scuse", concluse calmo Heath, "giuro che mai più tenterò di evitarti, anzi avrò gradita la tua compagnia… altro non posso offrire."

"E altro non chiedo, per il momento almeno, ed è più di quello cui ambivo", avrebbe voluto rispondergli Legault, ma fu interrotto da un ruggito, lontano ma incredibilmente possente.

"Umbriel…?", mormorò il cavaliere a mezza voce, improvvisamente perso in altri ricordi.

"Chi?"

"Umbriel! Questa è la sua voce, non c’è dubbio! Non la confonderei per nulla al mondo! Vaida… Capitano, sei ancora viva…"

C’era un tono nuovo in quelle poche parole che non andò perso alle orecchie attente del suo interlocutore. Un tono che mancava nel loro discorso precedente, pur ricco di comprensione e di ritrovata stima. Chiunque fosse questa Vaida, la sorte le arrideva come a nessun altro al mondo…

Non dissero altro fino alla fine del viaggio, ognuno immerso nei suoi pensieri.

Quando giunsero alla tenda il sole si stava già ritirando oltre i picchi più alti di Bern. Hyperion atterrò con grazia, e fu tempo di scendere.

"Ti ringrazio", articolò a fatica Legault, e si sentì patetico, dopo aver pensato a quelle parole per tutto il viaggio, "e accetto le scuse. Ma tu appartieni all’aria, suppongo, e io… io finirei per trascinarti al suolo. Vola alto… sii felice."

Fece per smontare di sella, ma con un movimento svelto si aggrappò invece all’armatura di Heath e, poggiando un piede sull’ala sinistra, riuscì a portarsi di fronte a lui. Prima che questi avesse il tempo di reagire si avvicinò e gli rubò un bacio veloce e cauto, e saltò a terra.

Heath non riuscì a reagire che qualche secondo più tardi, portandosi sorpreso una mano sulle labbra. Lo vide allontanarsi chino, sconfitto, e d’impulso sarebbe corso a consolarlo. Ma non riuscì a distinguere se fosse il cuore o l’onore a suggerirglielo, e si impose di non muoversi finchè non l’avesse capito.

   
 
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