Alcune
cose accadono così in fretta che non si ha il tempo per
realizzarle.
Il
giorno prima passeggiavo per New York, nello splendore dei miei
diciannove anni. Avevo appena varcato la soglia della vera vita,
quella libera, senza vincoli, e credevo che il destino mi avrebbe
riservato gioia, serenità, e tanto divertimento.
Il
giorno dopo, tutto era finito.
Distrutto.
E
con distrutto
non alludo a
una qualche metafora, ma proprio alla cancellazione di un'intera
città.
I
palazzi crollarono, vennero mangiati dalla coltre di polvere. E
di New York non rimase che una distesa deserta, sopraffatta, ancora
sbigottita.
Nel
cielo, un enorme varco che dava su un'altra faccia dell'universo.
Era
da lì che erano usciti. Non
sapevamo come si chiamasse la loro razza.. Li chiamavamo
semplicemente loro.
Erano
mostri.
Non
per il loro aspetto, la loro corazza durissima o la loro lingua
gutturale.
No,
erano mostri per il modo in cui gestirono la città che
avevano
conquistato. Semplicemente scelsero di uccidere tutti.
Lasciarono
in vita solo una piccola parte della popolazione, quella più
giovane
e utilizzabile. Tutti gli altri ce li strapparono via, e noi non li
vedemmo mai più.
Io
ovviamente fui tra quelli che scelsero di tenere.
Praticavano
una sorta di magia, a noi assurda e sconosciuta ma che imparai subito
ad accettare, troppo presa da problemi per me più gravi.
Tramite
essa, isolarono il territorio dove prima sorgeva New York.
Nessun
esercito poteva più venire a salvarci, e nessun gruppo di
eroi
poteva – dopo essersi leccato le ferite – tornare
per
annientarli.
Eravamo
soli, in mano loro.
Lì
costruirono una sorta di base scavata nella terra – come
fecero,
non lo so – e lì ci fecero entrare e ci tennero in
stato di
schiavitù.
Quando
ci ripenso e mi rendo conto che tutto ciò può
essere descritto con
la semplice frase “invasione aliena”.. be', mi
viene da ridere!
Chi non pensa a un qualcosa di buffo e stereotipato, con quella
frase?
Ma
in quello che ho visto io non c'è stato niente di
divertente, né
tanto meno di stereotipato.
Ho
visto la stessa disperazione, la stessa disillusione, la stessa
cancellazione di ogni traccia di umanità su volti
così diversi.. Ho
visto la morte, e ho visto fin dove può arrivare la
meschinità.
Ma
ho anche visto altro. Qualcosa di inaspettato.
Mi
chiamo Leah Grimaldi, e questa è la mia storia.
Inizia
proprio qui, con me schiava per conto loro.
Qui, in quel periodo in cui si stavano riassestando, assieme ai loro
grossi.. animali, si possono chiamare così? .. in quel
periodo in
cui si stavano organizzando in attesa di far crollare la barriera che
loro stessi avevano eretto e partire alla conquista del nostro
pianeta.
Io
avevo la morte nel cuore, e la mia unica, piccola consolazione era
che i miei parenti abitavano fuori New York. Ma non stavo bene,
affatto.
Tuttavia,
a differenza di molti, per qualche strano caso io riuscii a
conservare da qualche parte, nel mio cuore, la mia dignità
umana. Un
seme di speranza, coraggio, e bontà.
Fu
proprio questo a salvare me, lui,
e tutti quanti.
Ma
adesso ve ne parlo.