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Autore: Blu Notte    02/09/2012    1 recensioni
Immaginiamo che Loki abbia vinto la prima battaglia, e che sia riuscito a impadronirsi di New York. Immaginiamo che lui e i Chitauri abbiano reso schiava la popolazione di un'intera città.
Leah è una prigioniera, come tutti gli altri. Costretta ad assistere ogni giorno a uno scenario di disperazione e di morte.
Ma qualcosa cambierà, grazie a lei. Il destino della Terra non è ancora stato scritto, così come il destino di qualcun altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ok, eccomi qui con il primo effettivo capitolo di questa storia :)  Questo capitolo è in gran parte descrittivo, per farvi conoscere la protagonista e la vita che sta facendo. Diciamo che la parte "importante" incomincia alla fine del capitolo.. Be', vi auguro buona lettura e spero che vi piaccia!   Silvia

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                               Fra le zanne della terra


Era già qualche mese che ero lì dentro, e ancora avevo difficoltà a sopportare quell'afa.
Di notte, poi, l'aria diventava irrespirabile.
Mi rigirai inquieta su quei pochi stracci che eravamo riusciti ad accumulare, incapace di chiudere occhio, e per poco non finii addosso a Lily.
Lei, girata dall'altra parte, non se ne accorse.
Mi misi supina, cercando di calmarmi e di respirare regolarmente.
Il fatto era che l'ambiente era troppo piccolo per tutti quei corpi, e io ne sentivo la pressione.
Nel mio gruppo c'erano sei persone. Io, Lily, Robin, Madison, Josh e Alex. Con gli ultimi tre specialmente la convivenza era particolarmente difficile, perché di fatto erano impazziti.
Con Lily e Robin invece mi trovavo bene.
Sei persone che dormivano in sette metri quadri.
Quella poteva essere considerata la nostra stanza, anche se non avevamo propriamente una stanza. Di giorno dovevamo lavorare, e non tornavamo lì se non la sera per dormire.
Sentii una fitta al cuore.
A proposito, chissà quante ore mancavano all'alba! Come avrei fatto a resistere lì dentro?
La notte era sempre così. O mi addormentavo subito, sfinita, oppure continuavo a rigirarmi senza trovare pace. Sudavo, mi sentivo schiacciare..
E quando la notte non avevo dormito, durante il giorno era terribile. I lavori mi stancavano di più, ero disattenta e spesso così stanca da rischiare di svenire.
Ma se ce la avevo fatta fino a quel momento, potevo farcela ancora.
Guardai in alto, in direzione del soffitto di roccia, ma non vidi niente. L'oscurità era molto densa.
Chiusi gli occhi, e provai a ricordarmi il vento.
Funzionò. Mi calmai un poco, mentre sentivo nelle orecchie quel soffio piacevole, quella carezza che attorcigliava i capelli..
Non sapevo quanto loro avessero scavato a fondo per costruire quella sorta di base, e non lo volevo sapere, altrimenti il senso di schiacciamento sarebbe aumentato.
Ma bastava chiudere gli occhi, e lasciare correre la mente a ciò che avevo conosciuto prima, per ritrovare un po' di serenità. Di solito pensavo al vento, o ai colori del tramonto, o alla luna.
Piano piano mi calmai, smisi di rigirarmi.
Mi misi comoda su un fianco e provai a lasciarmi avvolgere dall'oscurità, ad abbandonarmi ad essa. Mi dissi che non c'era nulla da temere, mi dissi di dormire tranquilla, sognando il sole.
Così, poco alla volta, riuscii a convincermi.


Probabilmente sognai veramente il sole. Uno di quei sogni immateriali, impalpabili.. Più una sorta di immagine del subconscio, che un vero e proprio sogno.
In ogni caso si disgregò subito, non appena udii il tonfo e mi svegliai di soprassalto.
La luce fioca mi disorientò.
Era il massimo di luce che si poteva sperare, là sotto. Erano i raggi del sole che riuscivano a sgusciare fino a lì.
Riuscì però a confondermi per un attimo, perché mi ero abituata alla tenebra della notte.
Sentii da qualche parte l'immagine del sogno sparire. Lasciare solamente una sensazione..
-Forza! In piedi!- Sbraitò una voce.
Mi irrigidii. Non mi piaceva quella voce da vecchia megera.
Mi alzai subito in piedi, perché detestavo stare inerme di fronte a lei. Osservai con riluttanza la donna che era entrata sbattendo la porta, e che ci guardava con sprezzo.
Aveva una quarantina d'anni, tozza, dai brutti capelli grassi e disordinati.
Odiavo lei più di quanto odiassi loro.
Non sapevamo quale fosse il suo nome, voleva farsi chiamare solo Capo.
Ecco.. Capo. Questo soprannome riflette bene la sua personalità. È da lei che ho imparato quanto anche degli umani possano fare.. schifo.
Il principio era quello dei kapo ebrei. Loro non comunicavano direttamente con noi, anche perché non sapevano la nostra lingua. I loro ordini venivano trasmessi attraverso questi capi, che ogni gruppo aveva.
In realtà, loro non li trattavano meglio di quanto trattassero noi.. Ma si sa: ci sono persone che in qualche modo devono dimostrare la propria superiorità. Anche se dovessero strisciare a terra come vermi, anche se dovessero tradire la propria razza.. loro hanno bisogno di ottenere un qualche privilegio.
-Stavate ancora dormendo, eh?- Ghignò. -Ma è ora di mettersi al lavoro, piccoli bastardi.-
Tendeva sempre a rimarcare il fatto che lei fosse più grande d'età.
Strinsi gli occhi involontariamente.
Si, eh? Arriverà il giorno – pensai – che pagherà per tutto quello che sta facendo!
-Seguitemi.- Ordinò la megera. -Oggi vi dovrete spaccare la schiena di lavoro. È il turno di questo gruppo di pulire i
loro alloggi.-
Poi si voltò e iniziammo a seguirla.
Lily mi lanciò uno sguardo spaventato. Già, lei era molto delicata, e tendeva a stancarsi subito.
Cercai di risponderle con uno sguardo determinato.. ma sapevo che ci aspettava una giornata dura.
Sarebbe stato difficile, e molto umiliante.
Attraversammo quella base, che loro avevano costruito.
Era come una grotta, né più né meno. Solo un po' più asciutta.
I corridoi erano lunghi, stretti, e di pietra. Pietra tagliente, compreso il pavimento.
Visto che da tempo non avevamo più delle scarpe, ma solo stracci avvolti ai piedi, sul palmo mi si aprivano spesso lunghi e profondi tagli. Ma stavo iniziando ad essere impermeabile a queste cose.
Le salite erano imprevedibili e faticose, così come le ripide discese.
La luce era poca, e l'aria ancora meno.
Il luogo era immenso.
Percorrevamo più di un chilometro prima di giungere al luogo dove loro avevano gli alloggi. Si aprivano sui muri tramite buchi piccoli e rotondi.
L'interno era sferico, a loro piaceva così.
In quegli alloggi non c'era assolutamente nulla. Né brande, né oggetti..
Dormivano sulla nuda pietra, la loro corazza glielo permetteva.
Ovviamente, quando arrivavamo noi, loro non c'erano già più. Erano già usciti per controllare la situazione all'esterno, per vedere se c'era qualcosa di nuovo.
Come li invidiavo..
Comunque, durante la loro assenza, cinque gruppi ogni giorno pulivano i loro alloggi. Era difficile perché erano tanti, e perché la loro razza espelleva le sostanze di rifiuto dell'organismo attraverso la pelle.
Dopo un'intera notte, quindi, quegli ambienti erano logori.
Noi dovevamo, come diceva Robin, “inginocchiarci a terra e scorticarci le mani per pulire la loro merda”.
Non era l'odore il problema, e nemmeno lo schifo – che, dopo un po', imparavi a controllare – il problema era il dolore. Dopo nemmeno un'ora la schiena iniziava a dolere.
Le braccia ardevano come due tizzoni, e le mani erano così irritate da essere rosse.
Ma non potevamo fermarci, perché il Capo ci sorvegliava attentamente.
Con un sospiro silenzioso, accettai di farlo anche quel giorno.
Come sempre ci diede due secchielli – con l'avvertimento di non sprecare acqua, che era importantissima – e delle spugne ruvide.
Ci inginocchiammo sulla pietra sporca e iniziammo a raschiare meccanicamente.
Io cercavo sempre di non concentrarmi sul mio corpo, altrimenti il dolore veniva accentuato, ma di lasciare correre la mente dove voleva.
A volte però mi capitava, come quella volta, mentre sfregavo forte per pulire l'ambiente.. mi capitava di pensare a una cosa.
.. Se solo avessi potuto dare un nome, a quella tortura! Un volto, a chi ce la infliggeva!
Gli Ebrei avevano Hitler. Perché io non potevo avere un volto da maledire, da odiare?
Mi fermai un attimo per prendere un po' di fiato, e lanciai uno sguardo a Lily. Aveva già il fiatone.
A malincuore, abbassai lo sguardo e ripresi il lavoro.
Non si sapeva niente. Non si sapeva cosa volessero questi alieni, non si sapeva perché avessero attaccato il nostro pianeta, perché avessero distrutto la nostra città.
Cosa volevano?
Cosa cercavano?
.. E chi li comandava?
Sussurravano con reverenza la parola Ikreed. Con un po' di tempo avevo capito che nella loro lingua significava “re”.
Ma non sapevo chi fosse, questo individuo! Non si era mai visto.
Probabilmente era rimasto sul loro pianeta.. Non era venuto ad attaccare la nostra bella Terra.
Un altro nome che sussurravano, anche se con meno reverenza, era quello dell'Illusore.
Già, Illusore.
Da quanto avevo capito, lui era qui sulla Terra, ed era lui a guidarli. Non sapevo perché il loro Ikreed glielo permettesse, però di queste informazioni ero certa.
L'Illusore! Più volte avevo tentato di maledire lui.
Ma non aveva un volto, non aveva una voce.. Come facevo a odiarlo con tutta la mia forza, se era così immateriale?


Ci spostavamo di alloggio, e ricominciavamo a pulire.
Nuovo alloggio, altro dolore.
Smisi di contarne il numero, non aveva senso e mi faceva solo sentire peggio. Vedevo che Lily e gli altri erano ormai stremati, e mi facevano una gran pena.
Gli unici che mantenevamo un certo ritmo eravamo io e Robin.
-Coraggio.- Ci canzonò a un certo punto la megera. -Siete già stanchi? Non sarete un po' troppo debolucci per essere schiavi?-
Non potei fare a meno di alzare la testa per guardarla con odio, ma mi irrigidii. Alle sue spalle vidi una cosa molto strana..
La megera rimase perplessa a osservare la mia espressione, poi si voltò seguendo il mio sguardo e lo vide a sua volta.
Uno di loro. Lì, fuori dall'alloggio, mentre pulivamo.
Era simile a un mollusco di forma umana, avvolto nella sua corazza..
Sentii Lily rabbrividire.
La megera trasalì, e prese affannosamente a parlare nella loro lingua. A emettere i suoni gutturali e rauchi che le avevano insegnato, ma che erano solo una parodia dei loro.
Probabilmente gli stava chiedendo quale fosse il problema.
Lui le rispose subito, freddo, e lei annuì freneticamente per mostrare di avere capito.
Poi si voltò verso di noi.
-Serve un volontario che prepari cibo per l'Illusore.- Dichiarò.
Silenzio di tomba.
-Che cosa?- Domandò Robin.
-Quello che ho detto. Forza, non abbiamo tempo da..-
-L'Illusore?- Scattai io. -Il loro capo? È qui in questa base?-
-Che domande, ragazzina! È sempre qui.-
-Ma non si è mai fatto vedere!- Ribattei. -Se ne è sempre stato rintanato.-
-Piano con le parole.- Mi ammonì con rabbia. -Vuoi andare tu, Leah? Magari servirai tu stessa da pasto.-
-No..- Sussurrò Lily.
Io mi voltai spaesata verso i miei compagni.
Robin e Lily mi guardavano, preoccupati. Josh e Alex invece avevano abbassato il capo.. Preferivano continuare a patire le pene dell'inferno piuttosto che trovarsi faccia a faccia con quel mostro; lo capivo.
Mi stupii però vedendo che Madison non guardava per terra come loro, ma mi fissava intensamente, a occhi sgranati.
Vi scorsi un lampo inconsueto, una supplica.

Vai tu”. Diceva.
Sospirai per farmi coraggio. Poi mi alzai in piedi e guardai la megera.
Da in piedi, la superavo in altezza. -Va bene.- Dissi, cercando di apparire convinta. -Vado io.-
La megera mi osservò con occhi scuri. Era evidente che non se lo aspettava.
Poi mi indicò con il capo l'alieno, e io mi avvicinai a lui.
Intanto, iniziai a ripetermi una cantilena in testa.
Non pensare, non pensare. Non pensare, Leah, non pensare.
L'alieno si voltò, e prese a camminare nel corridoio di roccia.
Io capii che dovevo seguirlo.
Uscii faticosamente dall'alloggio – con tutti gli arti che dolevano – e seguii i suoi passi.
Da dietro, sembrava una rozza scultura di pietra che camminava.
Non pensare, Leah. Seguilo e basta, non pensare.
Procedemmo a lungo, e ad un certo punto capii che stavamo oltrepassando i luoghi che conoscevo.
Avevo imparato ad orientarmi lì sotto, ed ero sicura che là non avevo mai messo piede.
Non conoscevo quegli alloggi. Quelle salite sempre più faticose mi erano sconosciute.. E la luce! Si faceva sempre più intensa.
Così intensa da riuscire a proiettare la mia ombra sul muro di roccia.
Stavamo salendo.
Ad un certo punto le entrate circolari degli alloggi sparirono, e lasciarono posto a umanissime porte di legno.
L'ambiente si faceva più ampio, più agevole..
Il terreno si appianò, le salite terminarono. La pietra era liscia, i muri perfettamente verticali, e c'era un'aria diversa.
Sì, più respirabile, meno densa.
Tuttavia, dopo tanto tempo rintanata là sotto, mi provocò una sensazione sgradevole. Un senso di nudità.
La luce, l'ambiente più largo.. Ero allo scoperto.
Non pensare, Leah. Calmati, non pensare.
Ad un tratto, l'alieno si arrestò.
Ebbi i riflessi abbastanza pronti da fermarmi prima di sbattergli addosso, e rimediai prontamente alla vicinanza arretrando di due passi.
L'alieno si voltò verso di me, mi guardò atono.
Poi mi indicò la porta di legno vicino a noi.
Guardai prima lui, poi la porta.
Titubante, mi avvicinai ad essa. La aprii e osservai il piccolo ambiente all'interno.
Rimasi un po' perplessa.
Una cucina umana. Con tanto di fornelli, credenza, dispensa..
Ogni cosa che doveva essere attaccata a una presa elettrica, lo era. Non sapevo come avevano fatto a portare l'elettricità fin là giù, ma evidentemente c'erano riusciti.
C'era un rozzo bancone, un piccolo frigorifero, una grande brocca con acqua.
Non capivo.
Sapevo cosa mangiavano loro. Erano una sorta di bacche, per noi assolutamente velenose. Il loro organismo però sopportava solo quelle, così come i panda possono mangiare solo foglie di bambù.
Cosa significava, quello?
Mi voltai verso l'alieno.
-Devo.. devo cucinare qualcosa di nostro?-
Mi ricordai solo dopo aver parlato che non sapevano la nostra lingua.
Ammutolii.
L'alieno non disse niente, ma mi fece cenno di entrare.
Obbedii, e sentii che chiudeva la porta alle mie spalle.
Un tlack, e rimasi sola lì dentro.
Per qualche istante stetti perfettamente immobile, al centro della piccola stanza. Il mio cervello ronzava senza dire niente in particolare..
Poi si rimise in moto.
Bene!
Considerando le mie scarse doti culinarie, probabilmente l'Illusore avrebbe davvero scelto di mangiare me, anziché quello che gli avrei preparato.
Quindi già che c'ero avrei anche potuto cercare di avvelenarlo. Avrei messo un po' di veleno nel piatto, e un po' lo avrei bevuto io, così, per sicurezza, nel caso avesse deciso di mangiarmi.
Ma dubitavo che ci fosse del veleno lì dentro.
Mi avvicinai alla dispensa e la aprii con un gesto arrabbiato.
Pasta, riso, carne, sugo, pane.. E nella credenza pentole, padelle, strani piatti ampi e di quello che sembrava oro. Strane coppe tronfie, simili a quelle che usavano i re nel Medioevo.
Dovevo davvero preparare del cibo umano?
Chi era l'Illusore? Era di un'altra razza?
Rabbrividii. Cosa avrei dovuto aspettarmi?
Non pensare, Leah.


  
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