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Autore: Medea00    31/08/2012    17 recensioni
Tratto dal cap. 5:
“Voi avete bisogno di protezione, e io della vostra spada. Mi donerete i vostri servigi e mi accompagnerete durante il mio compito.”
Blaine fissò Kurt per lungo tempo, come indeciso.
“Che compito?” Chiese, e lo sguardo serio dipinto sul volto del ragazzo fece sparire ogni minima traccia di dubbio.
“Devo cercare una persona.”
Non disse chi; non disse come, o per quale motivo. Semplicemente, sperava che capisse. Dopo quanto avevano passato, potevano vantarsi della loro fiducia?
“Va bene.”
Quasi non riuscì a credere alle sue orecchie.
“Davvero?”
“Sì. Mi fido di voi.”
“Perchè?”
“Perchè in voi ho visto più bene di quanto ce ne sia mai stato nel mio lord.”
“...Da dove provenite, Blaine?”
Ma lui non rispose.
Klaine. Medieval AU. Interazione con molti personaggi di Glee. Scritta per puro divertimento. I personaggi non mi appartengono.
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 2






Il paese di Lantarster era esattamente come se lo era immaginato: in rovina, e pieno di macerie.
Non c’era nemmeno l’ombra di felicità in quel posto, e quello non faceva altro che rendere le cose ancora più difficili; aveva sperato di non dover incappare in quel luogo desolato, ma il bisogno di rifornimenti e riposo avevano preso il sopravvento. Non era una cosa che aveva calcolato, ma guardando la mano di Blaine Anderson sfiorare docilmente la sua, per poi indicargli un bancone del mercato poco distante da loro, pensò che, in fondo, quella piccola deviazione non era stata poi così male.
“Le migliori mele del regno - dichiarò Blaine, afferrandone una e dandole un morso con un gesto convinto – Non ne fanno di più buone, te lo assicuro.”
Convinto dalle sue parole concitate, ne addentò una, assaporandone lentamente il sapore, e alla fine scosse la testa con fare orgoglioso.
“Ad Athelas sì.”
Fu in quel momento che si bloccò di colpo, smettendo perfino di masticare. Ma Blaine non si accorse di niente, anzi, si limitò ad una scrollata di spalle e poi lo condusse verso qualche altro bancone.
“Athelas è la capitale del nostro regno, non può nemmeno essere presa in considerazione.”
Oh, allora era così che veniva vista. Una città eccezionale, superiore, forse, superba?  Ma Blaine, dopo un attimo di riflessione, aggiunse e concluse: “Forse è l’unica cosa buona rimasta, qui.”
Non riuscì ad impedire che un sorriso radioso riempisse il suo viso perfettamente celato.
“Allora?”
Adesso Blaine stava guardando nella sua direzione, con un’espressione gentile, ma anche incuriosita.
“Cosa ti porta in questo paese?”
Trasalì. Passarono diversi secondi prima che lo sconosciuto desse una risposta, con un sussurro di voce.
“Io devo…sto cercando una persona.”
“E l’hai trovata?” Nel frattempo, Blaine cercava di captare un’altra volta gli occhi di quell’estraneo o, quanto meno, qualche fattezza del volto; ciò che aveva visto qualche manciata di minuti prima era stato incredibile, ma non abbastanza. Inoltre, non era mai un segno positivo indossare delle palandrane così mascheranti, tuttavia lui non riusciva a preoccuparsene: si sentiva seriamente interessato a quel ragazzo, per quanto misterioso fosse. Come ad accertare ancora di più l’aura di segretezza intorno a sé, quest’ultimo non diede una risposta certa nemmeno a quella domanda, si limitò a scrollare la testa, mordendosi a malapena il labbro inferiore.
Forse aveva capito perché, sotto sotto, si sentisse così legato a quello straniero: era turbato, lo si vedeva da lontano. In più era solo, e giovane: a giudicare dalla voce e dalla statura, non poteva avere più di vent’anni; che cosa l’aveva spinto ad incamminarsi fino a lì? Chi era questa persona che voleva trovare, con così tanta premura e preoccupazione?
Non gli piaceva vedere quel sorriso trasformarsi velocemente in una smorfia. Non gli piaceva quel silenzio che in quel momento era regnato sui due, rendendo tutto più tetro, e anche più difficile da sostenere.
“Coraggio - sussurrò allora, tentando di sfoggiare un sorriso rincuorante - sono certo che troverai questa persona.”
Non poteva sapere quanto quella frase fosse importante per il suo interlocutore, così come quest’ultimo non si era reso conto di quanto avesse bisogno di sentire quelle parole; in effetti, non riuscì a capirlo nemmeno quando, attraverso un flebile sorriso, il suo viso era arrossito un poco e il suo animo si era fatto incredibilmente più leggero.
 

Non era mai stato al mercato; c’erano tante cose che non aveva fatto, e soltanto adesso cominciava a rimpiangerne qualcuna. Ma, soprattutto, non aveva mai potuto godere di una compagnia così piacevole come quella di Blaine. Non passava nemmeno qualche minuto che lui facesse una nuova domanda. Eppure, ciò non sembrava disturbare il viandante, che in risposta si stringeva nelle spalle mormorando sempre qualcosa con tono gentile.
“Da dove vieni?” Domandò Blaine, facendo oscillare le braccia avanti e indietro, con fare spensierato e adorabile.
“Da…lontano. E’ un posto che non conosci di sicuro.”
“Mettimi alla prova. Nemmeno io sono originario di qui.”
Alzò il viso verso di lui, cercando di captare meglio quegli occhi ambrati, così particolari, non aveva mai visto niente del genere: “E da dove vieni, allora?”
Con un piccolo sorriso, sussurrò: “Da Sud.”
“Da Sud?”
Adesso comprendeva anche il perché di quella carnagione leggermente olivastra, assieme a quei tratti così singolari.
“Sì –seguitò lui, assumendo un tono di circostanza- Ci sei mai stato?”
Avrebbe voluto rispondergli di sì. Avrebbe voluto terminare quella farsa e dire le cose come stavano; tuttavia, per l’ennesima volta, si ritrovò a dire: “Non ne ho mai avuto l’occasione.”
A Blaine non sembrò strano, quindi non indugiò.
 

Conversarono per tutto il tempo; Blaine si stava rivelando davvero un ragazzo incantevole, con il suo tono sempre cordiale, le sue parole semplici, quei complimenti sinceri che lo facevano avvampare ogni volta sempre di più. E più volte, nell’arco di quella giornata, si erano sorpresi a pensare le medesime cose su alcuni argomenti, o a scoppiare a ridere per altri più futili; avevano come la netta sensazione che si conoscessero già da prima, perché tutta quella sintonia non era affatto comune, né, tantomeno, il modo con cui l’uno rispondeva ai gesti dell’altro, quasi meccanicamente. Forse, riflettè il ragazzo incappucciato, guardando di sottecchi il suo accompagnatore, non era nemmeno sicuro avere un rapporto simile con uno sconosciuto; ma quello sconosciuto gli aveva salvato la vita.
E si sorprese ad emettere un lungo sospiro, mentre osservava da qualche passo lontano le spalle toniche di Blaine. Come aveva fatto a finire in quello stato, in così poco tempo?
Vattene, diceva a se stesso una voce piccola, ma tenace; vattene da qui, immediatamente. Ma qualcosa – le sue gambe, il suo corpo intero o, magari, qualcosa di più misterioso – prontamente glielo impedivano.
E fu quando si ritrovò ad ammirare per l’ennesima volta quel sorriso raggiante che benedì quel cappuccio che non faceva trapelare alcun sentimento, e quel mantello talmente largo da risultare un camuffamento perfetto.
Poi, all’improvviso, gli sorse un dubbio terrificante.
Si fermò di colpo in mezzo alla folla, le labbra serrate, i pugni tesi e la voce divenuta improvvisamente gelida.
Blaine, dal canto suo, si fermò di rimando, lanciando un’occhiata perplessa. Perché quell’irrigidimento? E perché, tutto ad un tratto, sembrava che avesse assunto un atteggiamento diffidente?
La domanda arrivò rapida, come se fosse stata sputata via dalla bocca.
“Vuoi-vuoi farmi delle avance, non è vero?”
Il fatto che avesse usato un tono di voce rauco rese il tutto ancora più gelido; lo vide strabuzzare gli occhi, diventando ancora più confuso; l’atteggiamento fermo dell’altra figura gli impediva ogni sorta di risata. Doveva immaginarselo. Perché mai un ragazzo qualsiasi si sarebbe comportato in quel modo, se non per un secondo fine? Stupido. Che grande stupido. Allora era proprio vero, era troppo ingenuo per quel mondo.
Ma poi, contro ogni sua aspettativa, il volto di Blaine si distese e rilassò ancora di più.
“Oh, no! Non mi permetterei mai.”
Notando l’assenza di qualsiasi commento, si avvicinò, e con un bisbiglio impercettibile a chiunque altro si apprestò a chiarificare: “Voglio soltanto aiutarti a fare un po’ di rifornimento prima di indicare la strada più sicura per partire. Non ho mai avuto intenzione di-o meglio, non che ci sia niente di male, è solo che io non mi permetterei mai…anche se io in realtà potrei, voglio dire... però non, ecco...”
“Va bene”, si apprestò a dire l’altro ragazzo, balbettando appena, ma visibilmente entusiasta, “Voglio dire, ho capito. Chiedo scusa per... per le insinuazioni.”
Fecero per affiancarsi di nuovo e riprendere il cammino, quando un sussurro catturò completamente l’attenzione di Blaine: “...Anche io, comunque, sono... sono della tua stessa opinione, diciamo.”
Blaine si bloccò nel bel mezzo del discorso, incapace di proseguire: in quel modo un po’ titubante e imbarazzato, aveva spiegato tutto. Era come lui. Erano terribilmente simili, anche sotto quell’aspetto. E lui, dentro di sé, avrebbe dovuto essere quantomeno felice, perché adesso si sentiva un po’ più compreso e sì, anche fortunato.
Ma la parte razionale di sé continuava a fargli notare quanto tutto ciò rendesse le cose ancora più difficili.
 

Non era possibile che esistesse, sulla faccia della terra, un ragazzo con la sua stessa passione per la musica; non riusciva a crederci. Eppure era lì, di fronte a lui, e stava parlando di una melodia che aveva imparato da poco come se si trattasse di un gioiello prezioso. Desiderò immediatamente esternare la sua voce e fonderla insieme alla sua; desiderò cantare, assieme a quel ragazzo che sembrava essere esattamente tutto ciò che non aveva mai sperato di trovare.
E pensare che, fino a qualche ora prima, non avrebbe mai creduto di riuscire ad incontrare qualcuno come Blaine.
“Va tutto bene?”
Rendendosi conto di essersi immerso –per l’ennesima volta- nei suoi pensieri, alzò di scatto la testa e, inaspettatamente, sfoggiò un sorriso talmente radioso che Blaine fu quasi certo di essere appena stato abbagliato, con solo quel piccolo gesto.
“Sì. Va più che bene, in realtà. Grazie, Blaine.”
“Figurati, non c’è problema. Si tratta solo di un po’ di spesa e una bella chiacchierata.”
“No, voglio dire…grazie, per prima. Per, per tutto.”
Non sapeva nemmeno perché lo stava ringraziando; ma sentì il bisogno di farlo e Blaine, semplicemente, si fece un po’ più vicino, pose una mano sulla sua spalla, e gli rivolse di nuovo quello sguardo che avrebbe fatto sciogliere un ammasso di neve.
“Grazie a te.”
 

Ogni tanto capitava qualche mendicante per strada, che fosse una zingara, un poveraccio, o un infortunato. Blaine, tutte le volte, si chinava e regalava loro delle monete d’oro, con immensa sorpresa di tutti i presenti, e anche del suo accompagnatore. Quelle monete non potevano essere sue. Presentavano il marchio della casata De Gaulle, e di certo non era cosa che si poteva permettere un cittadino.
Ma, allora, dove le aveva prese?
Chi era veramente quel ragazzo, talmente bello e affascinante? Ma non si trattava solo di quello, non era solo un fatto esteriore: era nato una sorta di legame trai due, così intenso e forte in così poco tempo e senza nemmeno volerlo davvero. Qualcosa di invisibile agli occhi, eppure, loro riuscivano a sentirlo lì, all’altezza dei loro cuori. Lo sapevano, eppure, non avevano il coraggio di dirlo a voce alta, perché sarebbe sembrato da stupidi, e forse era solo una cosa di uno di loro, e non sapevano se l’altro pensasse le stesse cose. E lui non riusciva a capire: c’era qualcosa che non tornava, in lui? Come diavolo era possibile che in così poco tempo si era preso così tante libertà con Blaine, con un estraneo? Non si conoscevano affatto. E avevano entrambi delle domande importanti da fare.

Domande che, destino volle, ottenessero tutte risposta in un breve, intenso, fatale attimo.

“Anderson! Le guardie!”
Blaine si voltò appena in tempo per scorgere gli indici puntati di Sam e Puck, orientati verso la direzione opposta. Erano appena arrivati, lo si poteva capire dalla stanchezza che pervadeva le loro gesta, ma, purtroppo, si erano portati con loro anche un gruppo di guardie del marchese.
La gente intorno a loro aveva già cominciato a disseminarsi non appena aveva visto il marchio presente sulle loro cotte; lui, in risposta, si voltò di scatto e fece per spingere via il ragazzo accanto a lui: “Presto, vattene via!”
“No! -Sentenziò, con tono fermo, deciso - Cosa vogliono da te? Perché non puoi fermarli con le parole?”
Il giovane Anderson esitò un momento, fissando intensamente quelle morbide labbra rosee che in quel momento gli erano parse tanto dolci ed innocenti.
“Le parole non possono più salvare questa terra, ormai.”
Si fece più avanti, dandogli le spalle, ed afferrando un’altra volta il suo singolare fioretto.
“Noi pensiamo a questi qui, tu pensa all’energumeno laggiù!” Avevano urlato Puck e Sam, lanciandosi verso un gruppo di soldati pronti all’attacco.
Lui mormorò, un poco seccato: “Certo, lasciatemi sempre il più facile”, giusto in tempo per vedere le reali dimensioni del suo nemico.
Era enorme.
“V-va bene…” deglutì, più volte, perché si era ritrovato improvvisamente senz’aria e con la gola molto, molto secca. Gli vennero in mente le frasi del ragazzo, e sì, ci provò, giusto per prendere un po’ di tempo, giusto per provare, giusto per, insomma.
“…Che ne dici di risolverla con le parole?”
A quanto pare le sue parole avevano il sapore di una mazza di ferro pesante quaranta chili.
Non seppe nemmeno lui come aveva fatto a schivare il colpo, fatto sta che quel carretto che prima teneva le mele da lui tanto amate era ridotto ad un ammasso di legni, travi e purè di frutta disseminati a terra; e quel purè assomigliava vagamente all’immagine che aveva di se stesso, se quel coso si fosse infranto contro le sue ossa. Velocemente, si lanciò verso le rocce con una capriola, schivando un altro colpo e provocando l’ira sempre più brutale di quel terrificante colosso.
“Smettila di scappare come una gazzella!” Gli aveva gracchiato, furibondo, ma ovviamente non fu minimamente preso in considerazione: Blaine stava continuando a prendere tempo tra un salto e l’altro, cercando con lo sguardo i suoi colleghi e quel ragazzo che aveva salvato qualche ora prima; Non riuscì a crederci, ma aveva perso di vista tutti quanti. Lui e il suo stramaledetto senso dell’orientamento. Ma perchè era così impedito?
Un altro fendente per poco non gli tranciò via la carne, portando con sé, però, numerosi lembi della sua casacca. Stava per partire al contrattacco, non sapendo nemmeno bene come, quando un gruppo di mani lo afferrarono per le spalle e lo spintonarono violentemente a terra.
Sangue. L’odore delle mele, del mercato, della campagna e di tutto ciò che gli piaceva fu pervaso completamente da un intenso aroma amaro.
Si rese conto soltanto un secondo dopo di avere il labbro spaccato, così come un sopracciglio tagliato, e il fianco esremamente dolorante. Si rese anche conto dell’ombra imponente della mazza puntata contro la sua schiena, decisa a colpire.
 
Ci sono dei momenti in cui la mente dell’uomo riepiloga cose che non ammetterebbe mai, se fosse lucida.
E Blaine fissava il vuoto davanti a sé, sentendo le braccia premute contro di lui e il peso del metallo arrivare.
Allora, era già finita lì, la sua storia? Con un semplice colpo netto? Sarebbe morto senza nemmeno aver realizzato il suo sogno, senza… senza nemmeno aver avuto l’onore di innamorarsi di una persona?
 
Fu un attimo.
In mezzo a quell’eco di voci, di urla e di sangue, in mezzo a tutto quel trambusto, udì di nuovo quella voce, quel suono, dolce, forte. Si elevò sopra tutte le altre creando una sorta di protezione.
Era la seconda volta che provava quella sensazione: come se, in un modo incredibilmente soddisfacente e completo, si sentisse bene.
“Basta!”
Il ragazzo misterioso era di fronte a lui, le braccia spalancate, le labbra serrate in una smorfia; incredibilmente, il tono con cui aveva detto quella parola fu così autoritario da immobilizzare perfino le guardie; era strano, era come se fosse una voce abituata al comando, come se sapesse esattamente quali corde premere e quali parole usare per raggiungere il suo intento.
“Adesso smettetela, immediatamente!”
Ci fu un secondo di pausa. Dopodiché, una delle guardie, quello che teneva Blaine a terra, osò dire: “E tu chi diavolo sei, per dirci quello che possiamo, o non possiamo fare!?”
Un’altra lunga pausa. E poi il cappuccio si abbassò, inesorabile, quanto la sentenza del destino che si avvicina.
“Sono Kurt Elizabeth Hummel Hudson, principe di Athelas.”
Blaine si permise di ascoltare di nuovo quella voce: era così bella, così, perfetta. Ma, improvvisamente, fu anche molto distanteda lui. Non riuscì a sentire altro, pronunciato da quello che si era rivelato essere un bellissimo, incantevole, dolce e splendido ragazzo.
Un principe.
Guardò un’ultima volta i suoi occhi cerulei, intensi, per un secondo vacillanti non appena incontrarono i suoi; e poi, contro ogni sua volontà, il sangue e la stanchezza presero il sopravvento, e lui perse i sensi accasciandosi a terra.






***

Angolo di Fra

Probabilmente vi sembrerà strano che ci sia tutto questo feeling in una giornata. Ma dopotutto, nel telefilm Kurt si è innamorato di Blaine a prima vista, no?
Volevo approfittare per ringraziare Ilarina che mi ha fatto il logo di questa storia, che è a dir poco bellissimo - ogni volta che aggiorno mi incanto dieci minuti a fissarlo - e tutte quelle splendide persone che mi hanno commentata, seguita o addirittura aggiunta alle preferite. E' bello avervi "a bordo" ancora una volta, in un'altra storia che, spero, vi piacerà quanto le precedenti :)
Un bacione e a Venerdì prossimo!

Fra
   
 
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