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Autore: Avion946    31/08/2012    0 recensioni
Un ragazzo durante un periodo particolarmente difficile della sua vita, incontra su un isola in capo al mondo un singolare personaggio che lo coinvolge in una grande, drammatica storia di mare del passato.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una storia di mare - Prologo

Una storia di mare

In ricordo del Bounty e di 'tutto' suo equipaggio

Prologo

Isola Pitcairn, 24°.22'.32.20'' S  180°.19'.27.05'' O

Angelo, dal bordo dell'imbarcazione su cui si trovava, osservava distrattamente la costa dell'isola a cui si stavano avvicinando. Era stufo di mare, di quella barca, di tutta la comitiva a bordo e malediceva il momento in cui aveva accettato quel viaggio strampalato. Fin dall'inizio era andato tutto storto.  A cominciare  dalla sua ragazza. Doveva essere un bellissimo viaggio a due, sognato e costruito per tanti mesi, e invece alle isole Fiji, lei lo aveva mollato per un bellimbusto locale, certo molto più attraente ed in gamba di lui, ma certamente non attratto da un rapporto duraturo. Ormai era comunque finita. Una sera, rimasto ormai solo, in un bar dove si era recato per decidere come concludere quella sciagurata vacanza, aveva conosciuto una comitiva di coetanei, che, affittata una goletta, girava per le isole, vivendo un  po' alla giornata, senza una meta precisa e che, vedendolo triste e solo, gli avevano immediatamente proposto di unirsi a loro. Lì per lì la cosa gli era piaciuta. Nel suo giudizio aveva certo pesato il fatto che facevano parte della comitiva anche delle ragazze piuttosto carine e apparentemente molto disponibili.  All'inizio era stato molto divertente. In barca e via, da un'isola all'altra. Si mangiava, si beveva, le ragazze non dicevano mai di no. La mattina, almeno per chi riusciva ad alzarsi, un bagno in mare o si prendeva il sole. Poi un buon pasto, preparato da un abilissimo cuoco di bordo che per fortuna faceva parte della 'dotazione' della barca.  Il pomeriggio si sbarcava per visitare qualcosa, per fare un pò di scontato shopping locale e infine la sera, una cena leggera e subito per locali a ballare, a bere, a sballarsi con della 'roba' del posto che Angelo non aveva voluto vedere neppure da lontano. Con i suoi nuovi amici  riusciva a parlare di poco o nulla. Erano gentili con lui ma nulla di più. Appartenevano a famiglie ricche e seguivano la filosofia del 'giorno per giorno'. L'ultima isola visitata era stata Mangareva dell'arcipelago delle isole Gambier, nella Polinesia francese. Qualcuno, nel gruppo, aveva detto che lì, si trovavano delle favolose perle nere e che bastava tuffarsi in apnea per empirsi le tasche. Giunti sull'isola, la ricerca era iniziata e finita nel giro di mezz'ora e poi tutto era ripreso come al solito. Angelo aveva passato lunghe ore  seduto sul bordo dell'imbarcazione a guardare la vicina isola di Totegegie da dove, con regolare cadenza, partivano gli aerei che collegavano l'arcipelago con Tahiti ed altri posti da cui avrebbe poi potuto tornare a casa. Purtroppo era stato preso anche lui da uno strano torpore, una forma di fatalismo e di apatia che non lo aiutava certo a decidere cosa fare. Per sua fortuna, aveva finito per legare con gli uomini dell'equipaggio, quattro marinai abbastanza giovani, che sapevano il fatto loro e svolgevano i loro compiti con destrezza e discrezione. Pensavano alla cucina, alle pulizie, al governo della nave e più di una volta si erano dovuti recare a terra per recuperare qualcuno del gruppo che aveva veramente esagerato. E proprio da uno di loro aveva saputo che ora si stavano accostando all'isola Pitcairn, una specie di scoglio che avevano raggiunto con 2 giorni di navigazione in mare aperto. Il motivo della visita era che 'non ci andava mai nessuno'. Angelo si era sentito cadere le braccia. Basta, dal prossimo approdo, immediatamente a casa, a riprendere una vita normale, almeno secondo il suo metro di giudizio.  Dettero fondo a circa 300 metri dall'isola perchè essa non aveva un porto vero e proprio ed erano gli stessi isolani che provvedevano, eventualmente, ai vari trasbordi utilizzando tre grosse scialuppe opportunamente attrezzate. Questa, ed altre notizie, gli venivano fornite dall'uomo che svolgeva le mansioni di capitano. Gli disse che l'isola era veramente piccola, 4,7 chilometri quadrati in tutto e, per attraversarla da un punto all'altro, era sufficiente una mezz'ora di cammino. Gli isolani, che in quel periodo erano una sessantina, usavano per spostarsi dei grossi ciclomotori a tre o quattro ruote, chiamati ATV, con i quali percorrevano i 6 chilometri di strade, in quel periodo piuttosto fangose, in quanto nel mese di agosto lì si era in inverno ed infatti, da qualche giorno, la temperatura, specie al mattino, si era fatta piuttosto rigida. Non esisteva praticamente nessuna industria locale a parte una produzione limitata di miele di buona qualità. Non c'erano locali, almeno del tipo preferito dai ragazzi della comitiva, e l'uso dell'alcool era stato consentito solo da pochi anni e solo per i turisti, ma visto che doveva essere importato, il suo prezzo era veramente proibitivo. Angelo pensò che sotto quel punto di vista, a bordo, avevano una piccola fortuna. La notte precedente c'era stata baldoria a bordo ed era finita all'alba. Erano le ore 13.00 circa ma i suoi compagni di viaggio dormivano ancora tutti. Propose al comandante che stava recandosi a terra con un gommone per qualche provvista fresca, di accompagnarlo. L'uomo accettò di buon grado. Durante il tragitto, disse che gli abitanti erano praticamente autosufficienti. Tutti coltivavano o producevano ciò che occorreva e che per lo scambio delle merci ricorrevano più che altro al baratto. Non disdegnavano però anche le sterline o i dollari neozelandesi. Poichè erano quasi tutti seguaci della Chiesa Avventista del Settimo giorno, erano per lo più vegetariani. Facevano un eccezione per il pesce, alimento di primo piano, purchè però avesse le scaglie. Infatti le enormi quantità di eccezionali gamberi che si trovavano attorno all'isola venivano usati esclusivamente  come esche per la pesca. Attraccati ad una specie di porticciolo, il marinaio disse ad Angelo che lui si sarebbe dovuto recare presso una fattoria e lì, contrattare a lungo per tutto ciò che era venuto a cercare. Gli isolani ricevevano di rado visite dagli estranei e quando questo capitava, approfittavano per prolungare al massimo i contatti. Consigliò quindi al ragazzo di recarsi invece presso la vicina città, Adamstown, città per modo di dire, posta a breve distanza in cima alla Difficulty Hill a 120 metri di altitudine. Prima di lasciarlo, gli ricordò che in quella stagione il sole calava verso le 18.30 e che al tramonto lui l'avrebbe atteso all'imbarco. Angelo arrivò alla sua destinazione in circa 15 minuti di passo lento. Forse si era aspettato troppo ma comunque rimase un poco deluso di fronte a quei pochi edifici che contornavano la piazza. C'erano il tribunale, davanti al quale era stata disposta un'antica ancora, certo ricordo di qualche evento passato, così come doveva esserlo anche l'antico cannone di nave che aveva visto lungo la strada, l'ufficio del magistrato, il municipio, il dispensario, la biblioteca e l'ufficio postale. Qui vide, all'esterno, alcune persone che parlavano fra di loro e si avvicinò per chiedere alcune informazioni.  Si era aspettato che gli abitanti fossero chiaramente di razza polinesiana  e quindi rimase sorpreso notando invece che, a parte piccoli segni indicanti  una certa influenza locale, l'aspetto delle persone faceva pensare più che altro a europei. Purtroppo, sentendoli parlare, si rese conto che non capiva quasi nulla delle loro parole. Si individuavano elementi della lingua inglese ma mescolati con una gran quantità di elementi di gergo e questo lo dissuase dal parlare con loro. Lo guardarono con relativa curiosità e poi tornarono subito alle loro ermetiche conversazioni. L'ufficio postale, che di norma era funzionante tre giorni a settimana per circa un'ora al giorno, era fortunatamente aperto. Entrò e si trovò in un ambiente di forma regolare, di circa una quarantina di metri quadri. Su un lato, il banco, con dietro una donna di mezz'età impegnata a scrivere. Un uomo di una trentina d'anni, in jeans e camicia di flanella, stava spolverando delle vetrinette poste alle pareti del locale, Al loro interno erano esposte serie di francobolli, cartoline, modellini in legno di miro, il legno locale, scolpito a mano, raffiguranti più che altro antichi velieri particolarmente accurati. Si vedevano anche cestini intrecciati e piccoli quadri, anch'essi in legno di miro, raffiguranti scene di mare e di pregevole fattura. Insomma ciò che l'isola offriva per i turisti. Angelo pensò per un attimo di inviare una cartolina ai suoi ma si rese conto che non gli andava di far sapere alla sua famiglia che era finito all'opposto capo del mondo e soprattutto non voleva spiegare come e perchè c'era arrivato. Uscì quindi dall'ufficio provando un gran senso di vuoto e una nostalgia quasi lancinante per la sua casa e per le persone che gli volevano bene. Ma che ci faceva lì? Fu in quel momento che notò la chiesa. Una costruzione in legno chiaro, con il tetto spiovente in ardesia verde. Si sentì attratto da quel luogo che sentiva in qualche modo familiare ed entrò attraverso una piccola veranda, L'interno era molto luminoso, grazie anche alle grandi finestre rettangolari bordate in legno bianco. Le plafoniere al soffitto erano in quel momento spente ma questo probabilmente derivava dal fatto che sull'isola la corrente elettrica era erogata per poche ore al giorno e soprattutto la sera. Un lucidissimo pavimento in marmo chiaro e due file ordinate di banchi in legno chiaro di miro. In fondo, al posto dell'altare, una piccola tribuna rialzata di due gradini. Angelo si ricordò che la religione seguita sull'isola era quella della Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Il luogo era sereno e tranquillo e riuscì a trasmettergli una sensazione di calma e protezione. Una mensola su un lato della tribuna, reggeva dei piccoli ceri accesi. Angelo osservò come la fiamma, al di là di ogni credo e religione, rappresentasse sempre per gli uomini un simbolo della sacralità, forse per la sua purezza e incorruttibilità. Il ragazzo si sedette ad un banco delle ultime file e rimase lì, in quel luogo ospitale e discreto a recuperare la sua serenità che poco prima gli era venuta meno in modo così doloroso. Fu una buona cosa, poichè, dopo un tempo difficilmente valutabile, si sentì rinfrancato, consolato, bene insomma. Sapeva cosa voleva e cosa doveva fare ed era determinato. Doveva tornare alla sua vita, quella che faceva per lui. Quella per cui si sentiva tagliato. Ognuno ha la sua natura, bella o brutta, grande o limitata, ma fatto il possibile per migliorare, quello che si è, si è. Ora che aveva fatto pace con sè stesso e con il mondo, si alzò e esplorò con più attenzione l'ambiente che aveva attorno.

  
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