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Autore: Douglas    31/08/2012    1 recensioni
Apro una nuova pagina e rimango venti minuti buoni ad osservare il cursore lampeggiante con aria truce poi mi dico che mi sto impegnando troppo per una sciocchezza che non leggerà nessuno e mi invento qualche stronzata poetica:
Noia, la intitolo prima di passare al testo centrale che farà passare la voglia a quella donna di analizzarmi.
“La noia è una delle più grandi malattie dell'uomo. Si attacca sulle spalle e non si scolla più fino a che non fai qualcosa di folle, insensato ma rigenerante. Scrivere su un blog scemenze che non importano a nessuno non lo è. Nella mia vita non succede niente di interessante:la cosa più eccitante che ho fatto in queste 24 ore è giocare a scacchi con un orologio e perdere inesorabilmente.
Ecco come mi sento Ella, tu che mi chiedi sempre come sto, sono annoiato.
Se qualcuno mi capisce, scriva qualcosa...”
Non lo rileggo nemmeno e pubblico il tutto lasciando che la mia psicologa passi il venerdì sera a riflettere sulle molteplici malattie che affliggono la mia povera mente.
( AU! teen Sherlock and John) - fanfic in tre capitoli
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avviso: ho deciso di cambiare la trama della storia e per questo ho dovuto un ulteriore capitolo che però, vi prometto, sarà l'ultimo sta il fatto che volevo aggiugere altri personaggi come Irene Adler, Moriarty e Moran che la precendente fanfic non prevedeva.... per ulteriore informazioni recensite e fate domande!

 

Patto di ferro e occhi d'acciaio

 

Dopo lo scatto repentino, l'adrenalina che avevo in corpo è ormai esaurita e la gamba torna a infastidirmi tanto da obbligarmi ad appoggiarmi con un braccio ad una di quelle macchinette tipiche dei casinò, con tanto di manovella e schermo su cui far apparire in fila tre limoni, tre ciliege o tre diamanti.

Ho ancora qualche euro nel portafoglio e l'istinto mi sussurra all'orecchio che probabilmente avrei più possibilità di aver un tris di diamanti con quell'aggeggio mangiasoldi che essere preso sul serio da Sherlock Holmes.

Molly è tornata da lui dopo un suo silenzioso richiamo, come un cagnolino fedele a cui vengono concessi solo pochi metri di distanza per allontanarsi.

Lei lo guarda di sottecchi con sguardi carichi di aspettative e dubbi che sembrano chiedersi se lui la stia veramente a sentire e se il suo parere valga davvero qualcosa: si è dimenticata per l'ennesima volta di me ma non gliene faccio una colpa.

-Mike, dove diavolo ti sei cacciato? Ci sono dei clienti qui!- urla una donna dal fondo delle scale e il ragazzo al mio fianco sussulta vistosamente dandosi poi una violenta manata sulla fronte in un modo tale che solo in una sitcom di bassa lega produrrebbe l'effetto desiderato.

-Mi dispiace John, il capo mi sta chiamando. Passa a farmi un saluto quando esci da qui.- esclama lui stringendomi velocemente la mano e scomparendo al di là della porta aperta accompagnato dallo scalpitio frettoloso dei passi pesanti.

Solo in quel momento mi accorgo della scritta dorata che è stata affissa sulla stessa porta che avevo spalancato di colpo qualche attimo prima e che non avevo fatto a tempo a notare: é grossa e piuttosto vistosa ma i caratteri sono sottili ed eleganti e la rendono quasi credibile e professionale, degna di uno studio legale di prim'ordine.

Sherlock Holmes: Consulente investigativo.

Sconcertato mi domando che diavolo sia un consulente investigativo e l'unica risposta plausibile che mi so dare è che sia una sorta di investigatore privato.

-L'investigatore privato lavora solo per i propri clienti, l'investigatore pubblico collabora con la polizia. Io sono la perfetta via di mezzo, l'unico esistente a questo mondo: è logico che tu non ne abbia mai sentito parlare- chiarisce il mio dubbio Sherlock in persona, che sembra quasi ferito nell'orgoglio per quel paragone che ho fatto esclusivamente nella mia testa.

-Tu, come...?- esclamo esterrefatto ma lui sembra non avere voglia di darmi tempo per terminare la domanda e la tronca con un brusco gesto della mano – Stavi guardando insistentemente la targa e, ordinariamente, ogni normodotato che è passato per quella porta mi ha posto questo quesito- spiega lui in fretta e furia, dedicando la sua completa attenzione a quello che sembra una foto di un cadavere con il cranio spaccato su una mattonella.

-Normodotato è un termine gentile per definirmi un idiota?- mi scappa dalle labbra con tono ironico: non sono infastidito ma piuttosto mi sento impressionato da un tale spirito di osservazione.

Lui posa la fotografia e torna ad analizzarmi, aspettandosi forse che me ne stessi zitto e ingoiassi la pillola amara – Sveglio il tuo amico, Molly- esclama lui con un cenno del capo in mia direzione, ma non sono sicuro che sia serio – Non c'è nessun assassino, questo tizio si è ammazzato per sbaglio. Voleva solo spillare qualche soldo all'assicurazione: ha ancora delle vecchie cicatrici sulla tempia, che si è procurato durante le sue tante false cadute- borbotta infine rivolto più a sé, poi estrae il cellulare e manda un massaggio a chissà-chi concentrandosi completamente sulla fotografia lasciata sulla sua “scrivania” ingombra di documenti, fotografie e provette dal contenuto ignoto.

Il ticchettio frenetico delle sue dita mi fa venire un vago senso di ansia: sembra persino che le sue dita stiano facendo uno sforzo immane per andare alla stessa velocità dei suoi pensieri.

-John!- esclama Molly sorpresa, svegliandomi dall'ipnosi in cui sono piombato seguendo l'alternarsi ritmico dei ticchetti delle sue unghie sulla tastiera del cellulare.

Lei mi sta guardando come se fossi appena passato attraverso una delle pareti della sala giochi ed è quasi comico il modo in cui mi nota solo attraverso le parole di lui.

A giudicare dai suoi sguardi sognanti verso la sua bocca serrata in un' espressione rigida sembra pendergli dalle labbra: sia in modo fisico che in modo letterale.

Si allontana di qualche passo da Sherlock, per non farsi sentire e con uno sguardo di scuse mi domanda – l'ho fatto di nuovo, non è vero?- così capisco che le amnesie provocate dall'eccessiva esposizione a Sherlock Holmes non sono una novità per lei.

Sono stato fortunato a non averlo incrociato sull'autobus, altrimenti sarei stato costretto a svegliare Molly dal suo sogno romantico ad ogni fermata.

A dire la verità, ora che lo guardo da vicino, mi ricordo di averlo già incrociato, o meglio, solo intravisto a scuola durante la sua ora di educazione fisica.

Attraverso le finestre del laboratorio di biologia al piano terreno si ha un ampia visuale dell'intero cortile che spesso viene usato per le esercitazioni alle annuali gare di atletica leggera della scuola, a cui tutti gli studenti sono obbligati a partecipare, tutti tranne lui ovviamente.

Se ne stava seduto tutto solo, in compagnia solo di una sigaretta pendente fra le labbra e le cuffie di un lettore mp3 cacciate nelle orecchie, mentre i suoi compagni correvano in tondo fra le macchine del parcheggio passandosi l'un con l'altro un testimone d'acciaio.

Non era stata la sua solitudine ad impressionarmi fino a farmelo ricordare dopo due giorni di distanza quanto un impercettibile ma fluido movimento della mano destra, un armonioso dondolare del polso che sembrava seguire la melodia che gli veniva pompata nelle orecchie.

Sembrava guardare lontano, oltre i suoi compagni o le mura dello stesso istituto, ed ogni tanto interrompeva il movimento per buttare fuori una fievole nuvola di fumo grigiastro che galleggiava in aria fino a dissiparsi completamente nella brezza mattutina.

Avevo seguito quel dondolare ipnotico finché la tanto agognata campanella aveva rotto la fantasiosa melodia che mi ero ricreato nella testa e Sherlock era balzato in piedi diretto nello spogliatoio maschile.

-Non preoccuparti, capitava anche a me con la mia ex- rincuoro Molly mentre le sue guance si tramutano in due peperoni maturi.

-Io e Sherlock non...- balbetta lei ma veniamo interrotti per l'ennesima volta dal genio che, con il naso incollato su quello che mi sembra un dossier ufficiale di New Scotland Yard, con tanto di stemma apparentemente originale, termina il suo messaggio e domanda a Molly qualche spicciolo per ricominciare una nuova partita.

Presa alla sprovvista, lei comincia a frugare freneticamente in una grossa borsa grigia che nemmeno avevo notato.

Quando trova il portamonete in tutto quel caos e lo apre con uno scatto, sbianca completamente, mostrandomi il contenuto che comprende solo qualche centesimo, un biglietto di autobus e uno scontrino.

Sherlock, dall'alto dei suoi un metro e ottanta, ci fissa con la stessa inespressività di una statua di marmo poi si volta sbuffando e torna a scrivere qualcosa al telefono come per farci capire che quelli non erano affari suoi.

L' espressione di Molly, in quel momento, è la stessa del mendicante che alla stazione degli autobus mostra a tutti un cartello di cartone su cui sono scritti in nomi dei tre figli che deve sfamare.

La sua delusione mi fa una gran pena e, posandole una mano sulla spalla, apro il mio portafoglio e le passo silenziosamente i pochi euro rimasti, come ogni tanto mi capita di fare con quel povero diavolo della stazione: non saranno le mie poche monete a fare la differenza ma almeno so di aver fatto tutto il possibile per accontentarla.

-ma...- esclama esterrefatta osservandoli come se fosse il tesoro perduto di Agra però quando mi vede posare l'indice della mano destra sulla bocca e contemporaneamente farle l'occhiolino, la sua delusione si tramuta in gratitudine.

Non mi sono nemmeno accorto del ritorno di Sherlock eppure, tutto ad un tratto, sento il suo sguardo penetrante addosso, che saetta dalle nostre facce fino ai nostri portafogli con fare sospetto.

Ormai che lo scambio è stato fatto, non può capire cosa è successo, giusto?

Serro il mio portafoglio così da fargli distogliere lo sguardo e imploro mentalmente Molly di essere cauta e non inventarsi scuse campate per aria.

-Eccoteli Sherlock...- esclama semplicemente lei porgendogli tutti i miei tre euro ma lui, invece di inserirne uno nella macchina per la prima partita, li scruta attentamente posati sulla mano aperta e, scuotendola, li fa tintinnare l'uno contro l'altro finché non stira le labbra in un sorrisetto consapevole.

I suoi gesti mi ricordano tanto quelli di un chiromante delle fiere di paese che precede le sue predizioni con gesti oscuri e inspiegabili.

Chiude la mano intorno alle monete poi alza lo sguardo verso di me senza smettere di ridere a qualcosa che solo lui trova divertente: poi si mette una mano sulla fronte esibendosi in un perfetto saluto militare – grazie soldato!- urla con tono duro e inflessibile come se fosse veramente davanti a un maggiore, il suo volto serio spaccato soltanto dalle labbra piegate all'insù.

La mia espressione deve essere proprio da perfetto idiota perché riesce persino a tramutare il suo sorriso in una risata appena accennata: lo diverte vedermi completamente schiacciato dalla sua logica.

Mi impongo di rimanere calmo e, tossicchiando a disagio, provo a precisare che quelli non sono i miei soldi ma quelli di una Molly che ha praticamente smesso di respirare da molti secondi e che si limita a scuotere la testa come uno di quei pupazzi lasciati in macchina a ciondolare la testa ad ogni curva.

-Il suo portamonete è vuoto, gliel'ho visto scuotere qualche attimo fa senza produrre alcun rumore eppure ecco che appaiono misteriosamente queste monete.- mi dice mentre con un elegante gesto della mano le fa incastrare fra un dito e l'altro come un illusionista che mostra le monete prima di fare il suo gioco- Deve aver speso tutto per comprarsi l'abbonamento mensile dell'autobus che le è rimasto nel portamonete da questa mattina insieme allo scontrino. Tu ti sei appena trasferito, quindi lo devi aver già comprato qualche giorno fa- spiega infine con tono sicuro.

-Gli hai parlato di me?- domando a Molly ma lui prende di nuovo la parola al suo posto – Non ne ha avuto il tempo. Io l'ho semplicemente dedotto: la tua camminata è ancora un po' rigida e il taglio di capelli corto e piuttosto regolare mi inducono a pensare che hai frequentato un accademia militare. No, non sei mai stato in guerra, non hai i tipici segni d'abbronzatura sui polsi e sul collo. Inoltre ho sentito Mike elogiarti per i tuoi buoni riflessi, frase tipica per uno orgoglioso del proprio passato militare come Stemford che tiene appeso al collo delle dog tags false comprate dal cinese qui all'angolo. Zoppichi ma il tuo dolore è psicosomatico visto che sei entrato con uno scatto degno di un velocista e ora ti appoggi alla macchinetta per reggerti in piedi. Una semplice occhiata al tuo portafoglio poi ha chiarito ogni mio dubbio: la foto di quell'uomo in divisa e il portafoglio stesso piuttosto logoro e rattoppato mi hanno fatto capire che hai perso recentemente qualcuno di caro, tuo padre probabilmente, e che non ancora riesci a disfarti delle sue cose. Hai anche la foto di una ragazza nel portafoglio ma è spiegazzata e seminascosta dalla foto di quella che sembra tua madre, visto che avete la stessa forma di naso e occhi. L'altra foto è troppo maltenuta per essere quella della tua ragazza quindi deve essere tua sorella con cui non sei in buoni rapporti. C'è ancora un frammento di quello che sembra una foto, probabilmente quella della tua ex ragazza che hai staccato dopo la tua rottura. Inoltre, se non erro, nella parte per le banconote, dovrebbe esserci una di quei dépliant che vengono distribuiti in presidenza ad ogni nuovo arrivo su cui é stampata la piantina della scuola, ideale per capire come orientarsi per i primi giorni. Devo proprio continuare? - domanda in tono di scherno alla fine di un lunghissimo discorso pronunciato in meno di due minuti.

La mia vita riassunta in un portafoglio mi fa buttare giù un boccone amaro di saliva e mi fa sentire un emerito stupido per aver cercato di imbrogliarlo.

Forse sono le sue doti da tiratore, ma ha fatto centro: un dieci perfetto degno di un olimpionico.

-Incredibile.. è incredibile, sei un genio! In confronto il tipo di Mentalist è un babbeo!- esclamo meravigliato mentre il suo sorrisetto sarcastico si appiattisce e le sue sopracciglia sembrano quasi toccare qualche riccio ribelle che gli adorna la fronte.

Non è stupore quello che gli si legge sul volto ma gli va molto vicino – Strano - bisbiglia mentre anche la ragazza a suo fianco annuisce approvando le sue parole.

Molly si volta verso di me e mi squadra come se fossi stato io a raccontare la vita di quello che mi sta davanti solo grazie ad un abbonamento del pullman e a qualche foto stropicciata.

Sarei io quello strano?

Perché è normale raccontare la vita di un emerito sconosciuto senza essersi nemmeno presentato.

-C' è ancora una cosa che non sei riuscito a dedurre... il mio nome- dico stando al suo strambo gioco e lui sembra riattivarsi per l'ennesima volta, come se gli avessi appena inserito le pile della schiena o gli avessi tirato una cordicella che gli parte da dietro la schiena – Ovviamente il tuo nome è John, come hanno ripetuto più volte Molly e Stramford, il tuo cognome è lo stesso che tuo padre ha sulla targhetta della foto, Watson. Risultato, il tuo nome è John Watson- replica in modo impertinente come se si fosse appena difeso da un ingiuria.

-Invece tu ti chiami Sherlock Holmes, è questo è tutto fuorché un mistero. Sei sulla bocca di tutti a scuola- gli rivelo cercando di imitare la sua espressione di prima ma ottenendo solo una misera copia.

-E lo sono in bene o in male?- domanda senza staccarmi gli occhi di dosso e continuando a scuotere la mano in cui ci sono le monete in modo ritmato: sembra incuriosito dalla mia reazione perché non lo mando al diavolo ma nemmeno gli sto leccando i piedi.

In realtà mi trattengo dal rilevare tutta la mia ammirazione in un sol colpo come ho fatto prima.

-Lo sei in modo sbagliato- replico provando ad essere imparziale - Credo che tu non abbia molti ammiratori a parte Molly e Gregory- preciso per fargli cambiare discorso ma la sua espressione non cambia.

Sembra intenzionato a capire quale sia la mia opinione su di lui così da catalogarmi definitivamente come alleato o rivale.

-E tu? Stai dalla loro parte?- mi chiede incrociando le braccia: mi sembra quasi a disagio come se fosse la prima volta che non riesce a leggere qualcuno.

-Non sto dalla parte di nessuno. Mi limito solamente a giudicare.- gli dico esaltato dal vantaggio momentaneo che ho su di lui.

-E che impressione ti ho fatto fin ora?- insiste cocciutamente e vorrei quasi mettermi a ridere ma temo una sua eventuale reazione negativa.

Non è poi così pazzo come me lo sono immaginato: è indubbiamente intelligente e intuitivo, ma è anche molto borioso e vanitoso in un modo che non mi infastidisce.

-Sei indubbiamente molto arrogante, ma chi non lo sarebbe con un cervello come il tuo- traduco per evitare di montargli la testa.

Alla parola arrogante, Molly quasi salta sul posto per lo spavento: non mi sono accorto che stesse seguendo il nostro dialogo come farebbe un appassionato di tennis al torneo di Wimbledon.

-Credevo di essere un genio! Meglio del tipo di Mente... menta qualcosa- mi corregge andando a guardare un punto a suo vantaggio.

Sbuffo, maledendo la sua maledetta mania di ritorcere contro le frasi.

-Mentalist- lo aiuto alla fine e lui mi fa uno sguardo come per sbeffeggiare il mio goffo tentativo di cambiare discorso.

Mi arrampico con poca disinvoltura su uno specchio fatto dalla sua pura e inflessibile logica.

Colto alla sprovvista, mi guardo intorno, disperato, in cerca di una risposta pronta e la trovo a pochi metri da noi, nella canna di un fucile a pallini.

-Anche se devo ammettere che sei davvero bravo nelle deduzione, con il tiro al bersaglio sei piuttosto mediocre- provo concentrandomi sui fucili in plastica alle spalle di Sherlock.

La mia mira è sempre stata una delle doti nascosti a cui ho fatto ricorso nei momenti più disperati: per esempio al primo appuntamento con Sarah al lunapark avevo vinto un peluche di un orso per lei e così era scattato il nostro primo bacio oppure era facile sfidare gli altri camerati a freccette per avere una personale rivincita su di loro.

-Mediocre? Ho quasi avuto il punteggio massimo- esclama Sherlock infastidito: sembra una primadonna quando ci si mette d'impegno.

-Quasi.- dico con un tono canzonatorio che sembra non apprezzare molto: -Vuoi farmi capire che tu sapresti fare di meglio?- mi dice imitandomi con una punta di cattiveria in più.

-Sono stato due anni in un accademia militare dove facevamo colazione con pane e pallottole, penso di sapermela cavare egregiamente.- dico con decisione e una punta di strafottenza.

Ok, forse sto esagerando, non è che passassimo le giornate esclusivamente a sparare: studiavamo per molte ore, a dirla tutta, e ci allenavamo con regolarità per mantenere il fisico in perfetta forma, inoltre ci venivano anche concessi momenti di svago che ognuno impegnava come poteva.

Solo il giorno prima di un esame, avevo passato l'intera giornata al poligono, in compagnia del tipico puzzo di zolfo e sudore che impregnava le pareti e il caldo asfissiante di quel luogo con finestre praticamente sempre sprangate.

Alla fine della giornata, ero tornato al dormitorio solo con l'impellente voglia di farmi una doccia fredda e di schiacciare un lungo pisolino.

-Allora dimostramelo- esclama prendendo i due fucili di plastica al di là della tenda rossa -accetta la mia sfida- e me ne porge uno dei due.

Lo guardo negli occhi per qualche secondo cercando di capire che gioco stia giocando ma non ne traggo alcuna conclusione concreta.

Penso solo che mi sono fatto un'idea sbagliata sui suoi occhi: ora che li guardo con attenzione non sono grigi bensì di un azzurro con sfumature quasi bianche, simili a quelle del ghiaccio, e capisco che la forma tagliente del suo sguardo e la sua reputazione mi hanno indotto a pensare che potevano quasi essere fatti d'acciaio.

-Cosa c'è sotto?- mi scappa per l'ennesima volta: è più forte di me, adoro mettermi in discussione con questo tizio – nulla, solo una semplice sfida. Non so se saresti tanto coraggioso da scommetterci sopra, così mi sono limitato a non porre altre condizione- mi dice con il braccio che stringe uno dei fucili ancora testo in mia direzione.

Fremo per l'eccitazione a tal punto che riesco a comandare la mia gamba a piacimento: sto stabilmente in piedi su entrambe le gambe, ritto a tal punto da riuscire a fissarlo negli occhi senza alzare eccessivamente lo sguardo.

Ho capito cosa sta cercando di fare, mi vuole incantare con i suoi sotterfugi e i riferimenti alla mio codardia.

Io fingo di cascarci in pieno perché sono oltremodo incuriosito dalla sua stramba offerta.

- Non ho nulla che ti potrebbe interessare- sintetizzo senza seguire il malefico filo che ha intessuto per farmi cascare nella sua ragnatela, preferisco piombarci all'interno volontariamente di testa – e non credo che neanche tu abbia qualcosa che mi interessi- aggiungo ma il suo sguardo infuocato mi dice che sto sbagliando, su tutta la linea.

Con un gesto elegante, prende dalla tasca dei pantaloni qualcosa che tintinna e me lo lancia fra le mani sicuro della mia presa: è un mazzo di chiavi piuttosto voluminoso tra cui spicca un cartellino con una scritta sbieca ma ordinata.

Baker street, 221.

-Sono le chiavi di questo posto. Me le ha prestate la signora Hudson per questa sera. Hanno un valore simbolico, lei mi ha promesso che mi cederà in affitto l'appartamento al piano superiore appena avrò terminato gli studi. Se vinci tu, lascerò che tu lo prenda in affitto a posto mio ad un prezzo modico visto il rapporto di amicizia che ho con la proprietaria. Se vuoi diventare un dottore, ti farà comodo avere un posto dove dormire praticamente a due soli isolati dall'università.- dice mentre le guardo come se fossero le chiavi della mia libertà.

Non so come faccia questo tizio a sapere in che università andrò tra un anno, sta il fatto che ho sognato così tanto il momento in cui avrei avuto un posto tutto mio dove dormire e studiare in santa pace senza l'ansia di mia madre e le follie di Harry, che ora la sua proposta mi spaventa un poco.

Avevo già deciso da tempo di cercarmi un appartamento per mio conto dopo aver finito il liceo e questa proposta risolverebbe tanti di quei dubbi che per un momento mi lascio prendere dall'euforia e accetto le sue condizioni.

Io, in cambio, decido di offrirgli il mio telefono nuovo che è forse l'unica cosa di valore che possiedo in questo momento: Sherlock lo squadra con aria interessata, come quella di un cane da caccia che osserva la preda che è stata appena fredda dal colpo d'arma da fuoco di un cacciatore.

Non so cosa mi stia prendendo, di solito non sono così avventato da scommettere il regalo di compleanno che mia madre ha faticato così tanto a comprarmi e nemmeno così sciocco da accettare una clausola d'affitto da un emerito sconosciuto, eppure la prospettiva di mettere alla prova le miei abilità mi fanno sentire più vivo che mai.

Adesso chi è il pazzo: Sherlock Holmes che sta per guadagnarsi un cellulare di ultima generazione o John Watson che casca in pieno nell'assurdo piano dell'altro solo per sentirsi sotto pressione?

Stabilite le condizione, entrambi piombiamo in un silenzio rigoroso e, sempre fissandoci negli occhi, ci stringiamo le mani un patto di ferro.

Entrambi superiamo la tenda rossa del poligono poi inforchiamo gli occhialini protettivi e posiamo le nostre offerte mettendole in mostra al nostro rispettivo avversario.

Molly rimane fuori dalla tenda, scrutando entrambi dallo spazio fra la parete e la tenda che è rimasto aperto per far filtrare quel tanto di luce ed aria che serve ad entrambi: non osa nemmeno emettere un fiato e ci guarda con aria atterrita.

Appena inseriamo le due monete nella fessura e schiacciamo il pulsante rosso dell'avvio, il fucile si ricarica di ben venti palline di plastica.

Con la coda nell'occhio vedo Sherlock posizionarsi nella stessa posa statica in cui lo avevo visto per la prima volta, con i gomiti forse un po' più stretti del necessario, così anche io mi metto nella posizione che ho sempre assunto durante le esercitazione all'accademia, meno rigida della sua.

Lo guardo per qualche secondo e mi dico che, per il suo modo di impugnarlo, mi ricorda un violinista di una delle orchestre che vedevo alla televisione la sera di Natale.

-Buona fortuna e che vinca il migliore- gli dico senza nemmeno guardarlo, sono concentrato su come posare esattamente il mento sulla canna – non ne ho bisogno, so già chi vincerà- replica con tono saccente e mi viene quasi naturale inarcare le labbra all'insù e portare gli occhi al cielo.

Immagino me stesso in una dimensione alternativa, schiacciato fra le pareti del Roxy con i corpi esultanti e sudati dei miei coetanei a togliermi il respiro e la musica spacca timpani a farmi compagnia: preferisco di gran lunga questa opzione.
Non capisco come accada, ma il primo colpo parte in contemporanea con quello di Sherlock ed entrambi totalizziamo un dieci perfetto.

Sorrido mentre guardo la sua espressione esaltata sul volto che si trasforma in infastidita dopo un occhiata al mio contatore.

Lui non perde altro tempo e continua per la sua strada con un ritmo che sembra scandire i secondi.

Dieci, dieci, dieci: bastardo, lui sì che ci sa fare!

Mi concentro e focalizzo la mia attenzione sul cuore della malcapitata sagoma: mi immagino che sia Anderson ma forse Sherlock l'ha già preso come bersaglio così mi ritorna alla mente il capo dei bulletti del nostro “fight club”, uno stronzo borioso di prima categoria che mi ha reso la vita praticamente impossibile.

Faccio partire i primi tre colpi l'uno a poca distanza dall'altro che vanno dritti dritti ad incastrarsi nel punto esatto da me prefissato, poi prendo un respiro profondo, e ne collezione altri tre perfetti.

Abbasso per un secondo l'arma, mi stropiccio gli occhi alzando appena gli occhiali in plastica dal naso e osservo la sagoma in tutta la sua interezza: non deve esserci più nessuno lì dentro a parte io e lei.

Anche Sherlock ha rallentato e lo vedo un secondo lanciare un occhiata intensa al mio contatore poi si riposiziona con tutta calma e continua la sua perfetta performance: non sembra intenzionato a sbagliare.

Incoraggiato dalla sua cocciutaggine, torno alla mia posizione iniziale e ne faccio un altro che arriva dritto sulla linea che lo separa dal nove: ho rischiato grosso ma non è stata colpa mia, un rumore improvviso mi ha fatto traballare.

Torno un attimo col pensiero nella sala giochi e mi accorgo solo ora che è il mio cellulare a produrre quel frastuono infernale: sta vibrando già da qualche secondo e il viso di Harry compare sullo schermo bianco.

Un presentimento si impossessa di me e quando appoggio il fucile ad una delle pareti del poligono improvvisato che sostengono la famigerata tenda rossa, sento che dovrò abbandonare questa gara prima del previsto.

Faccio appena a tempo ad accorgermi della sportività con cui Sherlock ha interrotto la sua performance: è in netto vantaggio, per lui sarebbe stato facile approfittare della situazione per dichiararsi vincitore.

-Harry, che c'é?- rispondo scocciato dalla sua interruzione ma quando, per la seconda volta in questa sera, la voce di Greg sostituisce la voce di mia sorella mi viene un colpo al cuore – Lo sapevo che era sua sorella, gli assomiglia parecchio- esclama Greg con voce tremante rivolto a qualcuno al di là dell'apparecchio.

-Greg? che succede?- domando confuso e lui finalmente torna a rivolgermi la parola mentre un brusio fa da sfondo alle sue parole– John! Devi venire subito! E successo qualcosa a tua sorella... è svenuta e non si risveglia e la ragazza che è qui con lei dice di aver visto un tizio mettere qualcosa nel suo drink.- mi spiega cercando di usare le parole adatte alla situazione senza andare nel panico.

Non lo lascio nemmeno terminare la frase e gli chiudo il telefono in faccia.

Non ho tempo di trovare scuse plausibili per il mio ritardo né spiegare dove io sia o forse non ho nemmeno le facoltà mentali per intavolare un discorso sensato.

Come se avessi preso una brutta botta in testa, mi aggiro a tentoni nella sala mentre la mia mente si affolla di orribili immagini di mia sorella su uno dei divanetti della discoteca con un tizio sopra di lei che se ne approfitta.

Mi ci vuole qualche secondo per riuscire a realizzare ciò che mi ha appena chiesto Greg e il fatto che mamma non ne sa nulla e crede che io la stia sorvegliando, fa balzare il mio senso di colpa alle stelle.

É vero, non ci sopportiamo, e quasi non riusciamo a stare nella stessa stanza per più di cinque secondi eppure lei è stata l'unica che mi abbia effettivamente aiutato a superare il lutto di papà: non il nonno, non la mamma e nemmeno la psicologa.

Solo Harry con la sua semplice silenziosa permanenza al mio fianco in qualsiasi ora del giorno e della notte: mi ricordo ancora bene il materasso del suo letto singolo posato per terra di fianco al mio e i suoi occhi grandi puntati su di me.

Non era uscita per ben due settimane e non aveva più risposto alle chiamate insistenti della ragazza che frequentava nella vecchia città.

-Che succede?- mi domanda Sherlock tenendomi per un gomito in uno strano e goffo tentativo di sorreggermi – Mia sorella è stata drogata da qualcuno e io non ero li a spaccargli la faccia - ammetto rivolto più a me stesso.

Però posso rimediare!” penso ripromettendomi di trovare questo qualcuno e fargli passare la peggior notte della sua vita.

-Lasciamelo solo per un secondo- esclamo acchiappando velocemente il mio telefono- Voglio solo vedere qual'è la strada più corta da seguire per arrivare al Roxy, poi sarà tuo- mormoro concentrandomi sulla schermata che mi proietta in faccia la sua luce metallica.

Arrivo velocemente al programma di navigazione satellitare e , tentando di imprimere nella mia mente il percorso per arrivare alla discoteca, ripeto sottovoce le svolte e le vie che devo percorre. Alla fine credo di aver perlomeno capito come procedere, così glielo ficco praticamente in mano.

Lo guardo solo un secondo con fare autoritario, cercando di dare una certa serietà alla voce che sembra essersi presa una vacanza – accompagna a casa Molly, per favore!- aggiungo alla fine pentito.

Infondo mi sta per fare un favore che non è costretto a rispettare: qualcosa però mi dice che non è tanto stronzo da lasciare una ragazza da sola in piena notte.

Non ascolto la sua risposta e piombo giù dalle scale e poi oltre alla porta di entrata del ristorante senza nemmeno degnare di uno sguardo il povero Mike.

Fuori l'aria è ancora umida: si appiccica insistentemente ai vestiti e li penetrata fino a raggiungere la pelle e le ossa avvolgendole in un manto opprimente.

Mi fiondo direttamente nel vicolo buio in cui avevo visto passare Greg e gli altri, ripassando mentalmente il percorso che ho visto sul telefono e rendendomi conto che non ricordo il pezzo finale: Dovrei girare a sinistra o a destra? Forse dovrei andare dritto...

Scuoto la testa, imponendomi di limitarmi a staccare la suola delle scarpe dall'asfalto bagnato con maggior velocità.

Il buio mi inghiotte come farebbe una belva famelica e il respiro affannoso sbatte contro le pareti dei due palazzi producendo un eco terrificante.
Non vedo niente al di là del mio naso a parte la fioca via d'uscita alla fine del vicolo che mi ricorda un po' la luce che vede un morto prima di andarsene nell'aldilà: la mia mente è davvero troppo suggestionabile in questo momento.

Schizzi improvvisi di acqua gelida mi bagnano il fondo di jeans mentre le scarpe di tela che indosso si comportano praticamente come due spugne assorbendo tutta l'acqua delle pozzanghere.

Il cielo, in alto, promette ancora un gran bell'acquazzone con i suoi nuvoloni gonfi che si aggirano sulle mia testa ma non ho tempo di pensare al meteo: correre, rimanere in piedi e trovare la strada giusta sono diventate le mie uniche preoccupazioni.

Arrivo alla fine del vicolo e la luce dei lampioni mi accoglie come una mamma amorevole dopo un lungo viaggio insieme al rumore della vita che scorre veloce nella capitale.

Un rombo più fastidioso degli altri sembra quasi zittire lo scalpitare dei motori delle altre macchine ma non mi preoccupa poi più di tanto finché la Vespa verde militare che lo produce mi plana quasi sulle scarpe fermandosi a qualche metro di distanza, direttamente sul marciapiede, incurante della gente che gli parlotta intorno.

Sono talmente nervoso che ho una gran voglia di spaccare la testa contro il marciapiede al guidatore e così mi avvicino con fare a mio parere minaccioso.

Lui si gira proprio verso di me e, incurante della mia furia, si leva il casco rivelando una famigliare cascata di ricci ebano e un paio di occhi taglienti azzurri non grigi.

-Vuoi un passaggio?- mi domanda con un sorriso arrogante dipinto sul volto affilato mentre lo stupore si impossessa di me – e Molly?- domando confuso.

-La accompagna a casa Mike, a piedi ovviamente visto che si offerto di prestarmi la sua moto- esclama lanciandomi il casco con fare eloquente – non abbiamo tempo per altre domande- e mi fa segno di sbrigarmi a salire in sella.

Non mi faccio pregare forse intimorito dalle intimidazioni di qualcuno di chiamare un carabiniere per farci la multa e salto dietro di lui, allacciando il casco sotto il mento e stringendo appena i fianchi ossuti con le mani.

Lui, intanto, smanetta con le marce per qualche minuto con fare troppo indeciso.

-Sicuro di saperla guidare?- mi scappa dopo che mi ero mentalmente ripromesso di seguire il suo consiglio e di pensare concretamente a come arrivare in fretta al Roxy – No, però tu hai bisogno di me per trovare la scorciatoia giusta quindi sta zitto!- mi dice girandosi verso di me con il casco già in testa.

La sua espressione rabbiosa al di là del vetro scuro del casco mi fa desistere dal porgergli altre domande così rimango zitto aspettando che lui capisca come metterla in moto.

Qualcosa mi fa pensare che Mike gli abbia fatto giusto un corso accelerato prima di farlo partire e comincio a pregare che all'ospedale non finisca nessuno dei due fratelli Watson per quella notte.

-Fatto! Vedi, non ho un quoziente intellettivo di 145 per nulla!- esclama soddisfatto mentre la moto lancia un verso molto simile a quello di un orso colpito da un anestetico.

Per quello e per la sua vanità, una risata sorge spontanea dalle mie labbra che scioglie per qualche secondo la maschera da duro che si è voluto costruire -e questo è ancora tuo, per ora. Io voglio vincerlo lealmente- borbotta poi restituendomi il telefonino che gli avevo lasciato.

Un forte senso di gratitudine mi pervade da capo a piedi: davvero niente male questo Sherlock Holmes!

Non faccio a tempo a ringraziarlo che lui parte con un accelerata degna di Stoner: il sellino vibra pericolosamente sotto i nostri sederi e le macchine cominciano a sfrecciarci in parte come macchie multiformi strombazzanti.

Mando una preghiera ad ogni santo del Paradiso che conosco quando Sherlock fa una curva pericolosa a sinistra e passa un semaforo rosso senza fermarsi, mentre gli autisti ci ingiuriano in così tante lingue e modi diversi che alla fine non ne capisco nemmeno uno di insulto.

-Coglioni!- urla una donnina al volante di una BMW gigantesca smentendo il mio pensiero di prima e il suo elegante segno della mano ci fa scoppiare entrambi in una risata contagiosa.

L'adrenalina mi frizza nelle vene come se fosse Coca cola e per qualche attimo scordo ciò a cui sto andando in contro: una terribile e mortificante realtà.

Dopo un'altra curva da brivido, alzo lo sguardo oltre la spalla di Sherlock e mi accorgo che stiamo rallentando: la musica assordante che fuoriesce dal locale ci segnala che siamo arrivati a destinazione.

C'è tanta gente davanti al locale che si attorciglia attorno a qualcosa invece di fare la fila per entrare e questo mi fa smontare dalla Vespa in non meno di cinque secondi.

Persino uno degli enormi buttafuori è accorso ad assistere allo “spettacolo”, pregando i presenti di fare aria alla figura seduta a terra.

Io e Sherlock spintoniamo un po' di gente per arrivare fino al centro: sono tutti ragazze e ragazzi nella nostra età e qualcuno anche più grande che si interessano in modo insano a Harry spargendo velenosi commenti sulle sue conosciute abitudini.
Superata l'ultima fila di curiosi, riesco finalmente a vederla.

Non sembra nemmeno lei: è seduta a terra con i capelli che le coprono completamente i volto e la testa che ciondola prima da una parte poi dall'altra.

-John, sei qui!- esclama Greg spuntando dalla folla con tanto di Anderson al seguito, entrambi scrutano un attimo Sherlock senza fare domande – abbiamo appena chiamato l'ambulanza, arriverà a minuti- mi riferisce prima di guidarmi verso mia sorella, sorretta da quella che deve essere la sua fantomatica nuova fiamma.

Il viso completamente rigato di lacrime e gli occhi rossi mi fanno venire una gran voglia di rincuorarla ma sento che se lo faccio avrei bisogno anche io di una spalla su cui piangere, così mi limito ad sorriderle incoraggiante.

-Harry? Harry? Mi senti?- dico appena inginocchio al suo fianco e, prendendole in viso fra le mani, la guardo dritta dritta negli occhi smarriti e vacui che sembrano volersi chiudere da un momento all'altro – Chi sei? Dove sono?- biascica prima trattenere a stento un conato di vomito.

Nausea, momentanea amnesia, respiro affannoso e sonnolenza: tutti effetti collaterali di una droga, ma quale delle tante? Come posso rimediare a tutto questo?

-sembra drink spiking – mormora Sherlock al mio fianco mentre guarda Harry come fosse uno dei suoi cadaveri – cosa?- gli chiedo confuso mentre lui le da un lieve schiaffo per tenerla sveglia.

Lui mi ignora apertamente voltandosi in direzione della ragazza di mia sorella.

-Raccontami cosa hai visto- intima alla ragazza.
Lei è ancora intontita dall'accaduto ma non esita ad eseguire il suo ordine, anche tra un singhiozzo e l'altro – Avevamo litigato. Mi aveva chiesto di starle lontana per questa sera mentre lei usciva con una sua compagna di classe che, come vedete, si è volatilizzata- spiega ingelosita.

-Fatti non sentimenti!- la rimprovera lui ostile e Greg lo scuote per una spalla come per esortarlo ad avere un minimo di tatto nei suoi confronti.

-Freak, smettila di giocare al detective, questa ragazza sta male!- esclama una velenosa Sally sbucata anche lei dalla folla di ragazzi che si sta creando intorno a noi mentre il buttafuori ne allontana un' altra orda.

Frammenti di discorsi arrivano alle mie orecchie e nessuno sembra a favore di Holmes: il soprannome Strambo passa di bocca in bocca a velocità sonica.

-Sta zitta e lascialo fare!- sbotto infastidito da tutto quell'astio verso l'unica persona che si sta rendendo utile in quella situazione.

Forse per rispetto, nessuno ha il coraggio di ribattere contro il fratello della ragazza svenuta.

-Così le ho tenute d'occhio tutta sera. Mi sono accorta, quasi per caso, del tizio che le pedinava: ero un tizio moro, ben piazzato ma non ricordo altro perché l'ho visto aggirarsi attorno ad Harry solo per due o tre minuti e poi è sparito nella folla. Solo una cosa non mi è sfuggita, la pastiglia che ha fatto cadere nel suo cocktail mentre ballava. Ero dall'altra parte della sala, c'era tutta quella gente... io, io non ho fatto a tempo ad avvisarla... se solo fossi riuscito a fermarla!- ed uno scoppio rabbioso di lacrime le irriga le gote porpora mentre con le dita si strattona convulsamente i capelli.

-Ci hai provato, sei stata coraggiosa- la rincuora Sofia, la ragazza di Lestrade, appoggiando una mano sulla testa ricciuta della ragazza, lei la guarda un attimo smarrita.

Non sorride e tremando mostra a tutti un oggetto che fino a quel momento ha stretto al petto: un bicchierino da cocktail con l'incisione Roxy sul vetro fine.

-Sono riuscito a prenderlo prima che il barista lo portasse via, volevo portarlo all'ospedale per fare capire ai dottori cosa ha ingerito Harriet poi l'ho rincorsa fuori e l'ho trovata in questo stato- spiega mostrandolo a Sherlock come se fosse un tesoro prezioso.

Gli occhi di Sherlock sembrano scintillare come il vetro del bicchiere alla luce dell'insegna rossa lampeggiante e le sue mani afferrano il bicchiere con ingordigia.

Scruta attentamente il vetro, portandolo sopra la testa, in direzione della luce del lampione più vicina poi, dalla tasca dei pantaloni, tira fuori una piccola lente con cui esamina il fondo del bicchiere.

C'è ancora un po' di bevanda, residuo della bevuta di Harriet, e così prima la annusa portandosi il bordo al naso e infine, intingendo un dito nella sostanza, la assaggia.

-Invisibile e inodore. Lievissimo retrogusto di sale...- borbotta squadrandolo con circostanza e, quando una delle sue illuminazione sembra arrivare, non compare nessun sorrisetto.

Si limita a fissarmi in silenzio e, senza che lui dica altro, capisco che deve esserci sotto qualcosa di grosso che mi può mandare su tutte le furie.

Innervosito, tiro il suo bavero della giacca verso di me torcendoglielo un po' per farlo confessare – cosa diavolo c'è in quel bicchiere? So che tu lo sai- gli ringhio addosso mentre lui non muove le labbra nemmeno di un centimetro.

-gamma-idrossibutirato o ketamina, il principio è il medesimo- sputa fuori con tono distaccato e freddo, il suo modo di rivelarmi la sostanza con paroloni grossi mi manda in panico più totale – Sherlock, non indorarmi la pillola, per favore- lo imploro alla fine.

-Ghb o Ryphnol- mi rivela quasi tombale e ora capisco perché non volesse farmi capire quale fosse il contenuto dei quel maledetto bicchiere.

Droga dello stupro: mia sorella doveva essere stata la prescelta del maniaco visto la sua maledetta voglia di tracannarsi drink e di lasciarli incustoditi sui tavoli.

Quale momento più propizio per drogarla se non mentre ballava con tutta quella gente che spintona intorno?

Dopo il suo fallimento, quel mostro poteva ancora essere dentro al Roxy a drogare altre sorelle di qualche altro imbecille fratello minore.

Doveva assolutamente trovarlo e fargliela pagare: per tutti loro ma sopratutto per Harriet.

Il rumore assordante e la luce violenta della sirena dell'ambulanza mi colgono totalmente impreparato così decido di prendere in disparte sia Greg che la ragazza di Harry e li scongiuro di salirci sopra al posto mio, promettendo di arrivare in ospedale il prima possibile.

Entrambi mi guardano come se avessi insultato le rispettive mamme ma mi lasciano andare: credo che sospettino cosa io intenda fare ma Clara, questo il nome della ragazza di mia sorella, è quasi animata dal mio stesso desiderio di vendetta quindi mi lascia fare.

Mentre lei sale sull'ambulanza insieme a Sally, Greg mi mette le mani sulle spalle bloccando la mia fuga e bisbiglia:- so che sei arrabbiato, ma non fare delle cazzate di cui potresti pentirti- e, detto questo, seguì Anderson nel retro dell'ambulanza.

Non lascio nemmeno che il frastuono dell'ambulanza si espanda nell'aria londinese e comincio a correre intorno al locale in cerca di un' entrata di servizio, non ho né tempo né voglia di fare la fila per entrare.

Mi lascio alle spalle anche Sherlock: lo faccio perché capisca che non è obbligato a seguirmi in questa folle avventura e che, se deve prendere una decisione, deve farlo in più totale autonomia.

Il mio istinto mi suggerisce, però, che me lo ritroverò presto fra i piedi.

  
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