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Autore: Callie_Stephanides    01/09/2012    7 recensioni
Quando si incontrano per la prima volta, in occasione della finale della Coppa del Mondo di Quidditch, Draco Malfoy e Hermione Granger devono ancora compiere quindici anni.
E' un rapido sguardo, il loro; la curiosità di un momento.
Qualche settimana più tardi, tuttavia, quando l'unico figlio di Lucius Malfoy arriva a Hogwarts con la legazione di Durmstrang per il Torneo Tremaghi, il Destino stringe il nodo di cui saranno gli estremi.
Puoi innamorarti della ragazza che ha rubato il cuore dello Czar di Durmstrang?
Se è tanto forte da sciogliere la prigione di ghiaccio in cui ti sei nascosto, forse sì.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Sirius Black, Viktor Krum | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'Dum spiro, spero'
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Eichenau, 17.05.1995

Cara Margaretha,
so che dei tuoi süßen Zwillinge non sono io quello da cui ti aspetti nuove, ma meriti da Kaspar parole che non siano pergamena e che, soprattutto, non siano filtrate da testimoni.
Si dice che i gemelli abbiano un solo cuore, perché l’unità è un’istruzione cellulare che la pelle non può dividere. Lo fa la vita, però, mia Margaretha, ed è una ferita che non si rimargina.
Nell’ultima missiva non ti ho confessato quanto gravi fossero le condizioni di mio fratello, perché forse ero il primo a non volerlo ammettere: le parole hanno un’ineluttabilità che spaventa. Ora che il peggio è passato, tuttavia, posso tornare all’onestà che ha sempre nutrito l’affetto di noi tre.
Non ho dimenticato nessuno dei nostri giorni d’oro, Margaretha, anche se la mia Schmetterling ha scelto la tristezza di Kaspar.
Mio fratello ha attraversato da solo un inferno lungo secoli, perché la guerra è una bolla in cui ogni giorno dura mille anni e non c’è pensiero felice che salvi. Ha conosciuto un gruppo di Babbani coraggiosi e disperati. Si è fatto infettare dalle ragioni di un sangue che non è il suo, ed è stato anche così che ha perduto il proprio.
L’hanno colpito alla schiena, come osano solo i vigliacchi. I cecchini lo guardavano dall’alto, occhi come insetti in tubi di metallo. Non avrei mai smesso di cercarlo, eppure, come l’ho trovato, avrei preferito conservare il dubbio.
Tu che ci conosci da sempre, Margaretha, che hai diviso i nostri giochi, le nostre passioni, la nostra crudeltà illusa, sai che non siamo fragili, né indifesi, né mai spaventati. Ora posso dirti che no, non ci conosci, né potevamo noi, perché davanti allo specchio di un male senza rimedio abbiamo piegato il capo.
Io l’ho fatto e ho pianto.
Non ricordavo il sapore delle lacrime e l’amarezza di un lago salato mi ha invaso.
Inginocchiato accanto a mio fratello, respiravo sangue e polvere. Il mio cuore ha smesso di battere, Margaretha.
L’ho accompagnato in ospedale, inebetito dal rimorso e dall’incredulità. Mi ha salvato l’identità che abbiamo diviso dal nostro primo giorno e che ha spogliato d’ogni significato la parola ‘solitudine’.
La mano di Kaspar, nella mia, era fredda quasi fosse marmo. La disperazione era ruggine e il colpevole silenzio dei testimoni muti.
A salvarlo è stato un Babbano di nemmeno trent’anni. C’era solo lui, con la sua faccia smorta e lo sguardo febbrile di chi non ha rinunciato alla partita.
“Voglio un dottore vero,” ho gridato. Il colonnello O’Donnell non ha fatto in tempo a chiudermi la bocca, né ho registrato quanto offensive fossero le mie parole – e stupide, perché no?
Il ragazzo si è guardato intorno e mi ha costretto a fare altrettanto. Era un carnaio.
“Ci sono solo io. Comunque tuo fratello dovrebbe mettersi in fila persino per crepare. Oggi lo faranno in parecchi.”
Ho aperto gli occhi e le orecchie. C’erano urla tanto forti da assordarti. C’era un esercito di morti a circondarmi, e come potevo accettare che Kaspar entrasse a farne parte?
“Non ti preoccupare: io non voglio che accada,” ha detto. E poi ha affrontato il mio sguardo a testa alta: lui, un Babbano che ignorava tutto di me, di noi, del nostro sangue potente.
“Nessuno dovrebbe mai specchiarsi nella faccia di un morto.”
Ancora una volta mi sono sciolto in lacrime come un bambino, gonfio di un’irrimediabile vergogna: vergogna per quel pianto, sì, ma anche per Kaspar e per quello che avrei potuto leggere nei suoi occhi, se solo li avesse riaperti.
Quando è arrivato nostro padre, ho capito che si sentiva come me – perduto, come me.
Ho capito quanto ci amava, senza averlo mai detto.
Mi ha mostrato un fascio di lettere, e c’era un Kaspar che non conoscevo, là dentro.
C’è il Kaspar che ha scelto un sangue non suo.
Te le affido, Margaretha, perché tu possa decidere.
I Von Kessel sono pronti a scioglierti da ogni vincolo, se riterrai, com’è giusto, che una Himmler abbia diritto a un cuore intero e non a una vita spezzata.
Non appena Kaspar è stato in condizione di viaggiare, ci siamo trasferiti nei pressi di München, nella tenuta che il nonno donò a nostra madre. Vorrei dirti che il clima mite gli giova, ma nessuna delle ferite davvero mortali è visibile, né mio padre potrebbe curarlo.
Non parliamo molto, noi due, né l’abbiamo davvero mai fatto. Una volta non ne sentivamo il bisogno: ora non c’è niente da dire.
“Mi dispiace,” ha sospirato l’altra sera, mentre lo accompagnavo in una delle sue brevi passeggiate.
“Per cosa?”
“Per nostro fratello,” ha aggiunto. “Per tutto quello che non gli abbiamo insegnato.”
Non sapevo cosa dire, perché inseguiva un pensiero che mi era estraneo.
“L’abbiamo lasciato solo, come se fosse colpa sua. Ma nessuno si salva da solo. Ora lo so.”
Nostro padre ha deciso di partire alla volta della Scozia: Florian è a Hogwarts, ora, ma è tempo che torni a casa.
Forse non è troppo tardi per ricominciare, Margaretha.
Forse la guerra è finita.

È appena cominciata, invece, ma Klaus l’ignora, come non può invece il più giovane dei Von Kessel, immobile davanti al confine tra il passato e il futuro; un’amicizia che vale forse una vita intera e il disperato bisogno di un giorno ancora.
È stato Draco a cercarlo, questa volta, ma Florian ha temuto che fosse piuttosto il suo fantasma: un Draco tanto pallido da essere quasi trasparente, e spaventato, sì, al punto da dimenticare il sangue che porta e l’orgoglio di una razza rapace.
“L’ha ammazzato,” ha bisbigliato al suo orecchio, là, nella biblioteca che culla le sue ultime ore.

Ha visto la Sanguesporco con Krum e poi sola. Ha inghiottito il desiderio di parlarle e chiederle scusa: non era lei che odiava, ma la speranza dei suoi occhi. Poi ha rinunciato: Hermione Granger non ha bisogno del rimorso di un Von Kessel. Non gli serberebbe comunque rancore.

“Chi?”
Draco si è guardato intorno come una preda braccata. Il leopardo ha fiutato l’odore salso della paura e il ruggito di un cuore al galoppo.
“Ho capito.”
Si è alzato e ha recuperato la pergamena su cui, con grafia minuta ed elegante, ha firmato la propria condanna a morte: un falso veleno per Silente. Un valido pretesto per Crouch.
Nessuno si accorge di loro, perché Hogwarts freme alla vigilia dell’ultima prova. Nessuno, tuttavia, ha chiaro quanto Florian Von Kessel il significato di quell’aggettivo. Ultima.

Sarò Rubedo senza fenice. Sarò cenere.

Costeggiano la Foresta Proibita, ombre meste confuse agli studenti che vedranno un’altra estate.

Noi, chissà? Chissà se ci arriveremo?

Draco si tormenta il pollice. L’unghia, rosa a sangue, tradisce un’imperfezione singolare per le mani di un lord.
“Cos’è successo?”
“Te l’ho detto: l’ha ucciso.”
“Non capisco.”
“Il padre.”
Legge le sue labbra, perché la voce è un soffiato troppo debole per sopravvivere al pianto.
“Sapeva di essere stato scoperto e allora…”
Florian vorrebbe dirgli che non può decifrare l’irrazionalità del suo balbettio, che è difficile espugnare un terrore senza coordinate, ma forse non è importante che lo sappia. Non è quello che vuole Draco, almeno, piegato in terra a vomitare bile e lacrime.
“Non voglio, non voglio!” singhiozza. E Florian, all’improvviso, comprende perché sono sempre stati così lontani e così vicini, loro due; perché abbia scelto per fratello una creatura umorale e fragile e tanto debole da tirarti sempre a fondo.

Perché tu hai il coraggio che mi manca: il coraggio che non possiede chi vive asciutto, come me. E sei un biancospino: pungi e fai male, ma a quel fiore si perdona tutto.

“Non sei costretto a obbedire,” sussurra. “Se non lo vorrai, nessuno morirà.”

Draco fissa la terra, non i suoi occhi. Meglio così: la pozione che gli ha dato Piton ha perduto da tempo il suo potere.

***

Mocciosus consuma la rena battuta del rifugio con lente falcate circolari. La data si avvicina. Il naso di Buch Bello tartufa guai – e i guai non hanno di sicuro un buon odore.
Il gattino di Piton è in caccia, ma punta il topo sbagliato: quello è suo, né può lasciarglielo.
Lo deve a James.
Lo deve a Lily.
Lo deve a un ragazzo chiamato Sirius Black, nei giorni in cui ancora non aveva cuore di cane.
“Non può funzionare…”
“Cosa?”
“So quello che provi.”
Un’occhiata sarcastica. Una crepa visibile in una maschera di rigida imperturbabilità.
“Temi per quel ragazzo, come penso al mio.”
Piton schiude le labbra, ma non gli concede la soddisfazione di una replica.
“Scopriamo le carte, vuoi?”
È un sospiro sconfitto, il suo, eppure carico di un disperato sollievo.
“Siamo diventati vecchi. Ci siamo fatti la guerra e poi? E poi siamo qui, tutti e due, stracci pieni di rimpianti.”
“Io non…”
“Tu non puoi mentirmi. Dopo James, ero il tuo miglior nemico o sbaglio?”
Severus distoglie lo sguardo. Bello non è mai stato, ma invecchiare gli ha conferito una gravità che gli si addice. Faccia lunga da monaco, sì, ma non senza una sua dolente dignità.
“Abbiamo buttato via una vita e sappiamo cosa significa. Adesso potremmo salvare qualcuno che ha fatto i nostri stessi errori. Ed è giusto.”
Piton solleva lo sguardo. Sirius gli offre la mano.
“La guerra è finita, Severus. La nostra, almeno. E non ci sono né vinti, né vincitori.”
“Questo è presto per dirlo,” mormora l’altro, e rifiuta la stretta.
Forse ha ragione lui. Forse è troppo presto.
Forse, tuttavia, bisogna rubare al tempo, prima che sia lui a spogliare te.

***

Lübeck, 20.05.1995

Sarò breve, Klaus, perché conosco il peso delle parole e conosco voi due. Conosco, soprattutto, il mio cuore.
La guerra non è finita, lo sappiamo entrambi, ma io non ho paura. Sono al vostro fianco, Klaus, come lo sono stata sempre – e no, non perché la fenice degli Himmler ben si accompagna al Thestral dei Von Kessel.
Sebbene non abbia mai avuto alcuna attitudine al ricamo, cucirò quella ferita.
La ferita di Kaspar e la tua.
Te lo prometto, Klaus.
Vi amo,
Margaretha

   
 
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