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Autore: suxsaku    17/03/2007    2 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Mi rendo conto che l’attesa questa volta è stata molto lunga, e probabilmente snervante, e avete tutte le ragioni ad esserne arrabbiati. Mi scuso con voi, tuttavia sappiate che non questo ritardo non è stato causato da mia scarso impegno o simili, ma da vari fattori esterni, scolastici prima di tutto. Spero che mi scusiate, e che questo inconveniente non mi procuri il linciaggio (anche perché sono già in parecchi a volermi lapidare, vittime dell’astinenza da capitoli).

Ho passato indenne  il pericolo pagella, per cui potete smettere di preoccuparvi. Come? Si avvicina il pagellino di metà pentamestre? Preoccupatevi pure di nuovo.

P.S. Se, nonostante tutto, vorrete lasciarmene, i commenti sono sempre bene accetti. Grazie a tutti coloro che hanno recensito il dodicesimo capitolo, il mio preferito tra quelli scritti fino ad ora, a pari merito con il secondo. Vale il solito disordo: segnalatemi passi, scene o battute che vi sono piaciuti particolarmente.

 

 

 

 

                   Capitolo 13: Dove porta il cammino

 

 

< Mettiti comoda. >

< Devo preoccuparmi? >

< Per quale motivo? >

< Questa cortesia da parte tua è sospetta. O, per lo meno, inconsueta. >

< Vero. Infatti non sono parole mie, ma di qualche istruito signore che ha stilato le norme della buone educazione, le quali prevedono condizioni ottimali in caso di lunghe chiacchierate. >

< Lunga chiacchierata? Tu? Sogno o son desta? >

< Preferirei finirla con i sogni ingannatori. >

< Ed io lo bramo più di te, anche se vorrei che mi spiegassi che cosa, esattamente, mi è successo negli ultimi giorni. >

< Era appunto questo che volevo fare, prima che qualcuno esprimesse, come al solito, i suoi pensieri a sproposito. >

< Perdonate la scortesia di questa donna dalla lingua indisciplinata, e, se lo volete, date soddisfazione ai dubbi che la costringono a continue rimuginazioni. >

< Allora glielo ripeto, madamigella: si metta comoda. Messer Wantz tiene udienza. >

 

 

Ex opibus summis opis egens, magistre, tuae,

quid petam praesidi aut exequar, quove nunc

ausilio exili aut fugae freta sim?

 

 

< Dunque, ricapitolando…  L’Oscuro ha preso dai suoi ricordi quella parte di se stesso e l’ha trasferita nella realtà, anche se non sappiamo perché ha scelto questo soluzione e non ha semplicemente fatto ricorso ad uno dei servitori classici. Quindi essa è stata spedita nella mia mente e, nelle sembianze del giovane dagli occhi rossi, che poi altri non era che l’Oscuro da giovane, ha cominciato un lento lavoro di logoramento delle mie facoltà intellettive in modo da diminuire la mia capacità di giudizio, alterando inoltre la percezione degli avvenimenti e dei discorsi altrui. In special modo, si professava mio alleato e mi ha messo in guardia da te al fine di insidiare tra noi il tarlo del sospetto, di modo che la diffidenza ci dividesse irrimediabilmente. Ora, è chiaro che voleva dividerci per interrompere il processo di completamento della profezia; rimane l’incognita del perché volesse a tutti i costi conquistare la mia fiducia. Non solo: tu pensi che fosse nei suoi piani, una volta preso totalmente il controllo di me, portarmi dal suo creatore. Come spiegare allora tutto questo interesse? Presumibilmente per ricattarti, ma non val la spesa pensarci troppo, dato che non lo sapremo mai. A meno che non torni lui a raccontarcelo, il che non è propriamente auspicabile. D’accordo, fin qui è tutto chiaro. >

< Posso farti una domanda? > chiese Wantz, palesemente annoiato.

< Naturalmente. > acconsentì Jillian.

< Perché devi sempre ripetere tutto quello che dico io con parole tue? > disse, sfoderando a sorpresa un tono di voce non indispettito ma avvilito.

< Uhm… Deformazione caratteriale? > ipotizzò. < E non credere che abbia finito i quesiti. >

< No, so di non essere così fortunato. > sospirò, passandosi una mano negli spettinatissimi capelli neri.

Jillian posò le mani sul tavolo e cercò di incrociare lo sguardo del ragazzo, seduto di fronte a lei. Dopo la dipartita del “ricordo”, erano tornati in camera, eludendo la curiosità dei proprietari della locanda, e il ragazzo aveva inaspettatamente, di sua spontanea volontà, iniziato a darle delle spiegazioni sui misteriosi tormenti di cui era stata vittima.

< Innanzitutto vorrei sapere come hai fatto a capire che mi stava succedendo qualcosa di… anomalo. >

< Perché ti comportavi come una squilibrata. > rispose con semplicità.

Jillian si offese. < Insomma, ammetto di aver avuto atteggiamenti poco coerenti, a volte fin incomprensibili, però di qui a dire che ero impazzita… >

< Lo saresti diventata. > disse Wantz. < Ti pare normale avere una presenza esterna nel cervello che modella i tuoi pensieri, ragionamenti e azioni secondo il suo capriccio? >

< A ben pensarci, > rifletté lei < presumo che la perdita della ragione avrebbe potuto agevolarlo. >

< Oltre a ciò… > riprese il ragazzo < E’ stato merito dei tuoi occhi. >

< Come? > domandò, pensando di aver capito male, riuscendo finalmente ad acchiappare lo sguardo dell’altro.

< Il tuo sguardo era smorto; mancava quel luccichio di furbizia, quella venatura di ostinata risolutezza che rende le tue occhiate inconfondibili. >

La ragazza lo guardò stupita. < Hai davvero notato una cosa del genere? > Wantz annuì. < Però… Ho sempre l’impressione che tu mi dia scarsa considerazione, in qualsiasi frangente o situazione ci si trovi, e invece sei addirittura in grado di capire se sono preda di allucinazioni solo dallo sguardo. >

< Non è poi così straordinario. Ci vuole… occhio. >

Jillian soffocò una risatina, notando con piacere quanto il ragazzo si sforzasse di essere cordiale e di compagnia. < Ancora una volta, non posso far altro che ringraziarti per avermi strappato al pericolo. >

Lui scosse la testa. < Me ne resi conto subito, ma non potevo fare nulla: eri tu a dovertene liberare. Devi essere fiera di te stessa perché sei riuscita a vincere le tue illusioni da sola. >

< Anche questo è vero. > assentì Jillian. < Forse immagini che cosa ho patito, ma provarlo di persona è diverso. Sento ancora su di me l’angoscia che provavo nel sapere che c’era qualcosa di strano in me; ma non poter capire di cosa si trattava e non sapere come liberarsene era... Angosciante. >

Wantz annuì. < Una tecnica classica è mostrare l’oggetto dei nostri più grandi desideri e fare false promesse in merito ad esso. >

Jillian si portò le mani al petto, stringendosele al corpo, il capo chino. < Può un’illusione… essere così dolorosa? >

Lui la guardò con serietà. < Qualsiasi cosa tu abbia visto, e qualsiasi cosa ti abbia detto, per quanto forti fossero, sono state cancellate dalla tua forza di volontà. Non pensare solo al fatto che ti sei lasciata tentare: tieni conto che hai rifiuto le menzogne in nome della realtà a cui sei così legata. >

La ragazza gli rivolse uno sguardo carico di riconoscenza. < Lo avrò anche rifiutato da sola, ma le tue spinte dall’esterno sono state fondamentali. Grazie. >

Wantz accennò a togliersi un cappello immaginario. < Lieto di averla servita. >

 

 

“Me lo hanno detto in molti: i miei occhi sono come un libro aperto. Vi si può leggere con facilità ciò a cui penso. Ma nei tuoi… Ogni tanto scorgo una scintilla, un guizzo rapido che sfugge subito, e non ho ancora compreso cosa sia. Riuscirò mai a leggere dentro di te come tu hai fatto con me?”

 

 

Dalla somma potenza in cui mi trovo, privo del tuo appoggio, maestro,

quale difesa potrei chiedere o cercare? O su quale

aiuto potrei ora contare per sfuggire all’esilio e alla fuga?

 

 

“Me lo permetterai mai?”

 

 

< E’ stato davvero subdolo da parte sua usare i desideri come arma.> disse Jillian con trasporto.

< Dipende dalla qualità della vita; per alcuni è preferibile morire che passare il resto della vita tormentati dal rimorso. >

Jillian rimase stupida dal modo brusco in cui il ragazzo aveva stroncato quella che a lei era sembrata una profonda e veritiera riflessione sulla natura umana. < Lo pensi davvero? Non so quale esperienza passata ti spinga a dire una cosa così estrema, ma tu preferiresti davvero… >

< Quello che penso non conta. La morale di tutta questa spiacevole esperienza è la seguente. > Trasse un profondo respiro che somigliava molto ad un sospiro. < Un sogno, per se stesso, non è che un’ombra. >

Come dire che lei era riuscita a scacciare le sue tenebre con successo. Bene, felicitazioni per il completamento della missione, Jillian: gioisci, e non far caso alle ombre che ti sembra di veder aleggiare chiaramente attorno alla sagoma del tuo sfuggente compagno. A ognuno i suoi deliri fallaci, no?

< Non farò quello che pensi. Non ti dirò che non devi affliggerti per le tue limitazioni, che devi essere fiero di tutto quello che fai per questo mondo devastato, che non hai nulla da rimproverarti… >

< A me sembra che tu lo stia facendo. > fece notare Wantz.

< … o sciocchezze simili, > continuò imperterrita < dato che so che le prenderesti come tali. >

< E cosa farai, allora? >

< Nulla. Perché so anche che ciò che fai è semplicemente fantastico e tu, consapevole o no di ciò, continuerai a farlo. > dichiarò, protendendosi verso di lui e sorridendo canzonatoria.

< Ah, che atroce verità… Meno male che ci sei tu a sollevare la mia autostima. Grazie. > A dispetto del tono ironico della frase, quel “grazie” finale le parve sincero, e decise di accettarlo come tale.

< Nonostante l’apparenza seriosa, penso che passeresti volentieri tutta la serata a compiacerti dei miei elogi. Anche se, in verità, preferirei tempestarti con le altre domande che mi affollano la mente piuttosto che incrementare la tua valutazione personale. >

Wantz si afflosciò sospirando sino ad appoggiare il mento sul tavolo. < Non sei ancora sazia di chiacchiere? >

< E tu non sfami mai la tua voglia di silenzio? > gli chiese, sorridendo affabile.

< Ora meno che mai. > disse mestamente.

< In effetti, entrambi portiamo queste nostre inclinazioni all’esasperazione, ma forse, proprio per questo, riusciremo ad equilibrarci a vicenda. >

Il ragazzo parlò con la stessa considerazione che si potrebbe dare ad una rapa parlante. < Più verosimilmente, finiremo con l’autodistruggerci. > sentenziò.

La ladruncola si alzò, il sorriso incrollabile e incomprensibile sulle labbra, offrendo al mago una sensazione di serena superiorità.

< Dove vai? > le chiese, con finto interesse, sollevando a fatica il capo.

< A contrattare con la cuoca per la cena. Questa sera voglio regalarti della carne, come mio speciale ringraziamento. >

< Molto gentile da parte tua… Se non fosse che poi devo pagare io. >

< E’ il pensiero che conta, no? > ridacchiò Jillian, ottenendo in risposta dei borbottii soffocati che suonavano molto come “dannata ruffiana”.

La ragazza aprì la porta, ma indugiò sull’uscio. Si voltò verso il compagno di viaggio            

< Wantz, tieni presente una cosa. > Fece una pausa, o forse esitò; impossibile dirlo con certezza. < Alla fine, io ho scelto te. >

Detto questo uscì, abbandonando il mago alla sua confusione mentale; questi lasciò crollare la testa sul tavolo, fronte e naso premuti contro il legno.

< … Ho come l’impressione di essermi fregato da solo. > mugugnò mestamente.

 

 

***

 

 

< Odio tutta questa umidità. > ringhiò.

< Lo so; me lo avrai detto come minimo un centinaio di volte. > 

< E altre cento lo sentirai, dato che non spero più da tempo in una dimora migliore. > disse risentito il ragazzo dai folti e ricci capelli neri. 

L’altro sorrise. < Mio caro Urien, abbiamo cose più impellenti a cui pensare. Inoltre non credo che avresti il coraggio di andare a lamentarti con il nostro sovrano della sua dubbia capacità di giudizio in materia di castelli. >

Urien si voltò verso il suo compare: presumibilmente avevano all’incirca la stessa età (non lo sapeva con certezza perché non glielo aveva mai chiesto), ma Caradoc era decisamente più maturo, serio e assennato di lui. Del resto, i loro caratteri erano diametralmente opposti: collerico e impulsivo l’uno, pacato e misurato l’altro. E quel suo incrollabile sorriso sereno, quasi sonnolento… All’inizio non riusciva a capire se fosse mezzo deficiente o se lo stesse prendendo in giro, avendo scambiato la sua tranquillità interiore per un sentimento di indiscussa superiorità, ma col tempo comprese che era l’espressione abituale di Caradoc; così come lui, invece, aveva il vizio di digrignare i denti.

< Ho ancora abbastanza senno da evitare spontaneamente una simile follia. Già non so come fare a dirgli che tutto questo tempo passato a lavorarsi quel folle di Alec è stato completamente inutile, e che il frammento è caduto in mano di… > non terminò la frase, scosso da tremiti di rabbia.

< Respira profondo, Urien; respira profondo. > consigliò il biondo tranquillamente, sfoggiando l’esperienza accumulata in mesi di sfuriate del ragazzo.

< Ogni volta… Ogni volta quell’insulso mago… > farfugliò, i riccioli cascanti sulla fronte, la bava alla bocca per la rabbia.

Caradoc gli batté una mano sulla spalla. < Calma, amico mio, calma. Questo non faciliterà il perdono del Sommo. >

Il ragazzo passò dalla rabbia all’abbattimento con velocità sorprendente. < Non ci riesco. Non posso dirgli che ho di nuovo sbagliato e che non ho saputo soddisfare le sue richieste. >

< Vuoi che glielo dica io? >

Urien tentennò un attimo, ma poi scosse la testa risolutamente. < Devo dirglielo io. >

< Sono certo che apprezzerà il tuo senso del dovere. >

< Sempre la stessa storia. Cosa vuoi che se ne faccia dell’impegno? Quel che conta sono i risultati. Non riesco mai a… Mi stupisco che non mi abbia ancora eliminato. >

Caradoc aprì la bocca per dirgli qualcosa di confortante, ma si bloccò vedendosi comparire innanzi dal nulla un uomo avvolto in un pesante mantello nero. Il nuovo arrivato aveva capelli neri tagliati corti, modellati sapientemente intorno al capo e un cipiglio fiero. I suoi occhi erano vacui e inespressivi, come il resto del viso; la completa assenza di rughe sul volto era una diretta conseguenza della sua avversione all’espressività eccessiva, o per l’espressività facciale in sé. Rivolse un breve cenno del capo a Caradoc, ignorando completamente il suo rabbioso compagno.

< Bentrovato, Lot. > salutò cortese il biondo. < Rientri da una missione? >

Da qualche parte nel castello, uno gocciolio d’acqua continuava imperterrito il suo scandito percorso, incurante dell’incontro delle tre figure vestite di nero.

L’uomo chiamato Lot assentì  , volgendo appena gli occhi per scrutare l’umido corridoio in cui si trovavano.

< Dov’è? > chiese in tono di voce così assurdamente piatto da sembrare finto.

< Nella sala del trono. Ha detto che non vuole essere disturbato. > spiegò Caradoc.

< Sono di passaggio, perciò mi riceverà. > disse Lot, dirigendosi verso la fine del corridoio, ove svettava un’alta porta di massiccio e ammuffito legno.

< Beh, se ti riesce di parlargli, > gli urlò dietro Urien < digli che quel pazzo visionario è sistemato. Peccato non sia lo stesso per il frammento. >

Lot si voltò verso di lui. < Avete fallito? > chiese, con voce strascicata come i suoi lenti e cadenzati passi. La notizia sembrava interessarlo parecchio, cosa che non sfuggì a Caradoc: curioso vedere Lot occuparsi degli affari altrui, preso com’era abitualmente dalle sue astratte meditazioni su argomenti ignoti.

< Ti proibisco di commentare. E’ stata di nuovo colpa del maledetto maghetto. > abbaiò, memore di tutte le volte che era stato battuto sul tempo da quell’impiccione.

Il moro rispose senza battere ciglio. < Non potrei mai privarti della gioia di dare tu stesso questa notizia. > disse, aprendo la pesante porta.

Urien digrignò i denti, fissandolo con astio. < Non accatto ironia da te. >

< E io ordini da te. Riferisciglielo da solo, cane codardo. > disse, scivolando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.

Tra i due, rimasti soli, calò un prevedibile silenzio, rotto solo dell’incessante gocciolio d’acqua.

< Non avevi detto che volevi informarlo tu? > chiese candidamente Caradoc.

< Speravo che evitassi di farmelo notare. > soffiò, guardandolo storto.

< Perdonami, ma devi ammettere che è stata un’ingenuità chiederlo a Lot. >

Urien sputò per terra, incollerito, per trattenersi dall’artigliare il ligneo uscio. < Quante arie si da, il bastardo. Facile vantarsi quando i lavori sporchi li fanno gli altri; anch’io sarei efficiente nell’occuparmi dei fattacci mei. >

< Evitiamo le beghe, Urien. > lo ammonì il biondo. < Non ci ricaviamo niente nell’assecondare gli umori di Lot. Pensiamo ad occuparci del prossimo incarico. >

< E vediamo di non sbagliare, ‘sta volta. > puntualizzò, nervoso all’idea di dover comunicare quell’insuccesso all’Oscuro. < Ma prima, giusto per sapere, vediamo dove sta il caro impiccione. >

Caradoc scosse amareggiato la testa. < Così alimenti solo le insinuazioni di Lot riguardo la tua fissazione per quel ragazzo. >

< E sia! > sbraitò < Dica pure ciò che vuole, che la mia ossessione è terrore o che sono allucinato da lui. In verità neppure io so cosa mi spinge a cercarlo, ma sai cosa ti dico? Non ha importanza. Mi libererò di questa mania uccidendolo. >

< Non prima che il padrone abbia finito con lui. > specificò Caradoc.

Urien sghignazzò. < Certo, certo… > Umettò di saliva il pollice destro e tracciò un cerchio sulla parete, sussurrando a denti stretti < Monstra mihi curiosum magum. >

La pietra all’interno del cerchio si liquefece, lasciando il posto ad un’immagine del tutto estranea allo scenario tetro del castello: un paesaggio campestre, alberi le cui fronde erano ormai tendenti al giallo; cielo limpido e sereno; al centro della scena vi era una strada sterrata, e due ragazzi la stavano percorrendo, tirandosi dietro un cavallo restio a camminare.

< Si sono rimessi in marcia. > constatò Caradoc, sbirciando oltre la spalla di Urien.

< Già. > annuì questi, storcendo la bocca in un sorriso maligno < Il lento ed inevitabile cammino verso la morte. >

Il gocciolio continuava imperterrito, disinteressato di chi fossero quei tre individui vestiti completamente di nero. Non era sua competenza. Perché preoccuparsi di qualcosa che non ci tocca personalmente? Erano essi flagellatori del genere umano, estirpatori di anime, maestri della tortura e della sofferenza? La cosa non lo riguardava.

Erano i servi per eccellenza dell’Oscuro, i suoi fedeli generali e spietati esecutori, comandanti supremi delle schiere maledette?

Erano essi Lot di Lothian, Urien Rheged e Caradoc, la Triade della Dannazione? Non era un suo problema. Che se ne preoccupassero coloro che avevano un’anima dannabile.

 

 

***

 

 

Lot avanzò sicuro nella penombra, evitando gli ostacoli andando a memoria; non che ci fosse poi molto da schivare. La sala, per quanto immensa, era praticamente vuota. Al fondo vi erano un seggio sopraelevato e davanti ad esso un massiccio tavolo, ma nient’altro. Del resto, bastava l’oscurità a riempire l’ambiente.

Scavalcò una botola nel pavimento e si fermò di fronte a quel trono spoglio nella sua semplicità e freddo nella sua essenzialità. L’Oscuro, figura incappucciata, indistinguibile nelle spesse tenebre, era lì in piedi e gli dava le spalle. Lot si schiarì la voce per palesare la sua presenza. Simile ad una macchia nera animata, rispose con un cenno della mano, invitandolo al silenzio.

< Sta tornando. > spiegò.

Lot attese in silenzio. Alla sua sinistra le tenebre vennero squarciate da un fiotto d’aria argentata che attraversò una finestra e guizzò velocemente nella sala, andando a fermarsi innanzi all’Oscuro. La massa informe d’aria si condensò e prese la forma di un ragazzo dai capelli neri e ricci; piegò il capo, inginocchiandosi dinnanzi all’incappucciato. Questi gli posò una mano scheletrica sulla spalla (e qui Lot distolse prudentemente lo sguardo), sibilando qualche parola incomprensibile. Il ragazzo tornò allo stato gassoso, risucchiato dal braccio dell’uomo, che riprese dentro di sé con un brivido di piacere quella parte di se stesso.

< Un esperimento condotto con successo. > disse, scendendo dal rialzo e avvicinandosi al suo sottoposto.

< Non vorrei irritarvi, perché riconosco la prodigiosità di questo vostra ultima fatica , ma vi faccio notare che ha fallito. >

< Anche Urien fallisce spesso, con una frequenza notevole, direi, ma non mi risulta di averlo eliminato per questo. Anche se devo ammettere che forse Urien è un esperimento di minor valore. > ragionò. < Tuttavia, pensi che mi perderei in fatiche inutili? Ogni nostra azione ha una motivazione, mio caro Lot. >

Lot preferì evitare di chiedersi quale fosse l’utilità della riesumazione di quella parte dell’anima del suo signore.

< Permettete una domanda? >

< Ti ascolto. >

< Per quale ragione lasciate che siano quei due ad occuparsi del mago? Non fraintendetemi: non contesto le vostre disposizioni, ma… >

< Ma vorresti sapere il perché di esse. Questo sfocerebbe però in cose che non ti competono. Non costringermi a punirti per la tua acutezza, Lot: servirti di questi trucchetti non sazierà la tua brama di conoscenza. >

< Vi prego di scusarmi. > sussurrò, piegando il capo.

< Non addossarti la colpa della natura umana stessa; cerca piuttosto di occuparti di ciò che ti viene richiesto. >

< Sì, mio signore. >

L’uomo incappucciato rise sommessamente. < Ah, povera creatura, in conflitto tra la volontà di obbedire e il desiderio di sapere perché il tuo signore, invece di eliminare un ragazzino impudente, gli concede non solo di vivere, ma anche di interferire nei suoi piani. Domanda legittima. >

Lot si mantenne impassibile, nascondendo il suo disappunto per quella imperdonabile mancanza di cautela.

< ”Sembra quasi che non voglia veramente ucciderlo”. I tuoi occhi mi dicono questo. >

Il ragazzo abbassò istintivamente lo sguardo, rendendosi subito conto con fastidio di aver così confermato la tesi dell’Oscuro.

< Non rammaricarti: gli occhi sono specchio dell’anima e per questo possono tradirci, ma non è bello, non è bello, dico, avere un’anima da tradire? >

< Mio signore, > esordì Lot, desideroso di evitare quell’argomento < vi comunico che l’operazione si sta svolgendo secondo i vostri piani. >

< Me ne compiaccio, mio buon Lot; ma su, dimmi: perché sprecare tempo a riferirmi una cosa del genere e non farlo ad operazione conclusa. > Si avvicinò al ragazzo, che a quest’ultima frase si era irrigidito, e gli sibilò nell’orecchio. < Posso capire che ti interessi, ma ti prego di lasciar perdere quel ragazzo, o di rientrare almeno entro i limiti che sai ti sono consentiti. Non costringermi ad usare altri metodi, oltre la preghiera. >

< Come desiderate. > acconsentì Lot, preparandosi a ripartire.

< E non ti crucciare: sei convinto di aver subito una sconfitta, ma anche io non ne sono uscito illeso. > Sotto il cappuccio, l’oscuro rise. < Ora sei certo che il ragazzo mi interessa. Sei dunque sicuro di uscire da questa sede sconfitto? >

Lot pronunciò una formula, gli occhi chiusi, la mente affollata di domande senza risposta e ipotesi non verificabili. La voce dell’incappucciato gli arrivò distorta ma perfettamente udibile.

< Gli umani hanno fede in un dio e lo venerano senza porsi tanti quesiti: perché non provi a fare lo stesso? >

Mentre svaniva, Lot concesse al mago un pensiero accorato: povero giovane a cui forze superiori avevano designato il peggiore degli antagonisti.

 

                       

***

 

 

Wantz contrasse le spalle, colto da un brivido freddo, uno di quei segnali divinatori così rari ma così azzeccati che è impossibile ignorare. Nonostante la sua scarsa esperienza da indovino, capì immediatamente che quello era un chiaro avviso di futuri pericoli. Belli grossi, per di più.

Aspettò che il fremito si estinguesse, fermo in mezzo alla polverosa strada.

< Ti dispiace? > gli chiese una voce femmine < E’ già abbastanza dura costringere questo cavallo a camminare, se ti blocchi anche tu non arriveremo mai a destinazione. >

Il ragazzo aprì gli occhi e lanciò un’occhiata truce a Jillian, che stava intrattenendo un’infruttuosa opera di persuasione sul cavallo, dato che questi non ne voleva proprio saperne di muoversi.

Si avvicinò e appoggiò la sua fronte a quella dell’animale: lo fissò negli occhi e abbozzò un sorriso stiracchiato. Rimase così un po’, sotto lo sguardo allibito della ragazzo, infine si allontanò, riprendendo la marcia, seguito finalmente dal cavallo.

< Signore onnipotente. > esclamò ammirata Jillian, affiancando il mago < Si vede che sei legato a questo cavallo e sai come trattarlo. >

< La mente degli animali è più semplice di quella degli esseri umani. > rispose.

< Più semplice non significa necessariamente più facile da comprendere. > obbiettò.

< No, è più semplice da manipolare. >

< Non dirmelo: dopo tutto quel discorso su “quanto è brutto entrare nel cervello altrui”… >

Il ragazzo non rispose, ostentando un’indifferenza poco convincente.

< Ti dispiace se continuo a pensare che sei solo molto in sintonia con Nagesh? Sai, mi fa sentire meno presa in giro e mi da una sensazione di sicurezza. > chiese lei.

Wantz scosse la testa. < Non hai imparato proprio nulla, eh? Se vuoi continuare a vivere di illusioni, fa’ pure. >

< Niente discorsi filosofici, ti prego. Altrimenti finisce di nuovo male. >

Il ragazzo fece una smorfia. < Finisce male sì, ma non per te. >

Jillian rise. < Sei ancora arrabbiato per la faccenda della carne? >

< Diciamo che non pensavo che l’avresti fatto sul serio. > grufolò il ragazzo.

< Sono sicura che ti ha fatto piacere mangiare del vitello; chissà quanto tempo era che non addentavi un bel pezzo di carne, facendo finalmente un pasto degno di questo nome. >

< Ammettiamo anche che mi abbia fatto piacere questo tuo regalo a MIE spese come ringraziamento da parte tua, > disse il ragazzo, decisamente contrariato < perché ti sei fata anche tu un regalo a MIE spese, senza avere neppure la scusa del ringraziamento? >

La ragazza non poté fare a meno di ridere; educatamente, certo, ma senza nascondere il suo divertimento.

< Non sarei così allegro. > la ammonì < Ho speso un sacco di soldi imprevisti. >

< D’accordo, allora studierò un modo per farti riguadagnare ciò che hai speso. >

< Perso. > corresse Wantz.

Nel vano tentativo di ignorare Jillian che sproloquiava su come racimolare soldi trasformandolo in una specie di fenomeno da baraccone, Wantz si concentrò sul suo presentimento, cercando di afferrare a cosa si riferisse, ma non riusciva a capire. Sperava che non fosse nulla a che vedere con la loro meta. Tuttavia, aveva l’orrenda sensazione che avesse che fare con essa, e quindi anche col suo passato. E dal suo passato non poteva arrivare nulla, se non delle seccature.

Sarebbe arrivato a destinazione? O forse il suo cammino, tracciato precedentemente da altri, lo avrebbe indirizzato altrove? Qualunque cosa ci fosse nel suo futuro, volente o nolente, non poteva far altro che seguire il suo cammino: dove esso lo stesse portando, lo avrebbe visto strada facendo.

 

 

 

 

 

  
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