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Autore: TheMask    02/09/2012    1 recensioni
Bene, buon salve Efpiani sul fandom del death note!
Questa fan fiction, è collegata a Bakup: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=828114&i=1
Ma anche se non l'avete letta, potete comodamente capire questa.
Si è a tre mesi dalla morte di Mina, una componente di un gruppo di amici formatosi in un orfanotrofio/gabbia-di-matti diretto da un satanicissimo Wammi. Il sudddetto orfanotrofio, è stato fatto chiudere per via di metodi non molto ortodossi usati la dentro sui ragazzi e bambini.
BB decide di tornare nella camera di Mina, sua grande amica, cercando qualcosa come un diario che gli sveli il misterioso passato di essa e trova molto molto di più...
Avverto che lo stile non è come quello di Bakup, ma forse un po' più... sviluppato. Spero ancora che vi piaccia! :D
Estratto:
Mina era morta da tre mesi precisi quel giorno. Il giorno in cui con un grande sforzo, declinando l’invito di L a venire con me, ero uscito di casa con una grande borsa nera sulla spalla, salito in macchina e guidato fino al grande edificio circondato da un prato ormai selvaggio con una grande targa dorata sul cancello: la casa di Wammy.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hei, ciao, qualcuno si ricorda di me? no? si? boh.
Comunque, vi ricordate quella storia un po' brutta e appena un po' incomprensibile che si chiamava Bakup? (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=828114&i=1)
Ecco proprio quella! Questa storia è una specie di continuo. No, mi spiego, non è precisamente un continuo.
Vi ricordate che nell'ultimo capitolo Mina, una cooprotagonista, si ammazzava? Ecco, praticamente questa fan fiction rivela finalmente il suo passato e intanto fa vedere come se la cavano i sopravvissuti. Si insomma che ne so! bah! mah!
...
Non me lo dovete dire che è una cosa stupida, lo so! Però se vi va di leggere vi sarò grata a vita e vi beatificherò di nascosto in caso crediate. In caso contrario vi farò un bel monumento, che ne dite? Bene! Allora perdonate il mio delirio e se avete voglia leggetevi questo inizio! 
NOTABENE: in caso qui capitasse qualcuno che NON HA LETTO LA PRIMA STORIA DELLA SERIE sappia che non è necessario,  a mio parere può capire benissimo la trama comunque! :D
Grazie ancora e buona lettura!
THINKS OF BEYOND BIRTHDAY
Mina era morta da tre mesi precisi quel giorno. Il giorno in cui con un grande sforzo, declinando l’invito di L a venire con me, ero uscito di casa con una grande borsa nera sulla spalla, salito in macchina e guidato fino al grande edificio circondato da un prato ormai selvaggio con una grande targa dorata sul cancello: la casa di Wammy.  Scesi dalla macchina sotto la neve gelida che aveva cominciato a scendere. Si era ai primi di gennaio e il freddo si insinuava come sempre dappertutto, sotto i guanti e le sciarpe, fra i capelli, nella schiena, nelle scarpe. Ciononostante, abbandonai l’asciutto e caldo abitacolo della macchina senza pensarci due volte o forse non l’avrei fatto. Ma non volevo essere vigliacco. Così, mi fermai davanti al cancello sbirciando l’interno mentre estraevo un mazzo di chiavi dalla tasca della giacca a vento e ne collaudavo una nella serratura del lucchetto. Ne provai tre prima di riuscire ad aprirlo. Spinsi, e con un profondo e perforante cigolio, cedette sotto le mie mani. Entrai, lasciando leggere impronte sulla neve fresca e rivelando un prato non curato. Alcuni grossi e tetri alberi si protendevano nel giardino, scheletrici per l’inverno. Non volli pensare che fosse per il luogo nefasto dove avevano messo radici. Avanzai verso l’edificio e vecchi ricordi si fecero vivi senza permesso. Chinai il capo e tenni lo sguardo sui miei piedi, scacciandoli. Finalmente, dopo quella che mi parve un’eternità, arrivai alla porta. Feci un respiro profondo. Esitai. Volevo davvero entrare? Per risentire nella mia mente urla, voci antiche di morti, per ricordare volti ormai mangiati dai vermi o consumati dal mare, per rivedere mura che mi avevano quasi fatto impazzire? Mi spinsi a prendere una chiave a caso e infilarla nella serratura. Ero sfortunato: era quella giusta. La porta si aprì, stavolta senza cigolii troppo evidenti. Salii i due gradini dell’ingresso e li mi fermai. Strinsi gli occhi, ma non potei scacciare le immagini che già si stavano creando, vivide, quasi reali, nelle mie retine influenzate. Mi costrinsi a pensare solo a dove mettere i piedi e feci i primi due passi, verso destra. Trovai le scale in fondo al corridoio e cominciai a salirle, sebbene sospettassi che non avrebbero retto molto più del mio peso a giudicare dai sonori rumori di protesta che emettevano a ogni gradino. Era brutto essere li da solo, ma forse sarebbe stato peggio essere con gli altri. Si, decisamente, era un gran bene che non avessi detto ad altri che L ciò che volevo fare.
Appoggiai una mano al corrimano, ma la ritirai quasi subito, vista la precipitosa caduta che esso fece, come per dispetto, sollevando una nube di polvere qualche gradino più in basso. Sospirai o sbuffai, non lo capii bene neanche io, e continuai a salire fino al sesto piano senza più degnare il corrimano di uno sguardo, trovando molto più interessanti le mie scarpe così risolute, che salivano gradino per gradino ogni rampa di scale. Misi i piedi sul pianerottolo e non potei fare a meno di lanciare un’occhiata in giro. Avanzai, imboccando uno stretto corridoio e mi girai verso la seconda porta a destra. Cautamente, con una paura ingiustificata, poggiai la mano sulla maniglia di falso ottone, molto economica, e aprii lentamente. Camera mia. Feci qualche passo nell’angusta  stanzetta riconoscendo in essa alcuni segni del mio passaggio. Il vetro era crepato per un pugno che Mello vi aveva tirato una volta.
il letto aveva le molle rotte dopo che l’avevo preso a calci e a pugni una volta che mi avevano punito severamente facendomi solo arrabbiare di più. La scrivania era piena di scritte dei miei amici. Non le lessi. La sedia era a terra. Non la sollevai. Non toccai nulla se non un libro che trovai come sapevo, sotto un’asse del pavimento che avevo staccato con pazienza a forza di calci e unghie rotte.
“Ci sono bambini a zig zag” diceva il titolo.
L’unico libro che avevo e non certo legalmente diciamo. Lo misi nella borsa con un sospiro e lanciai ancora un’occhiata alla camera.
Uscii velocemente dalla stanza: non era per quello che ero li. Continuai a percorrere il corridoio. Sapevo bene che dietro ogni porta c’era una vita segnata, una storia da raccontare, ma lo ignorai, arrivando all’ultima porta a sinistra. Con qualcosa di metallico, avrebbe potuto essere uno dei suoi braccialetti pieni di borchie, aveva inciso una profonda ed elegante M su di essa.
Sospirai sentendo una strana sensazione farsi strada sotto la maglietta e la felpa. Sentivo l’aria viziata scendere nei polmoni e ritornare su ancora più avariata e avevo bisogno di una boccata almeno una di aria fresca, pensai. Esco un momento in giardino e torno subito qui, mi dicevo convinto, ma sapevo che se l’avessi fatto non sarei più entrato in quella camera. Appoggiai di nuovo la mano sulla maniglia percependone la freddezza metallica e le zigrinature vaghe. Inspirai. Espirai. Lo feci di nuovo. ricordai il volto di Mina la prima volta che l’avevo visto. Poi subentrò nella mia mente l’immagine dell’ultima.
“Così non va!” borbottai, aprendo con un gesto che voleva essere deciso quella maledetta porta.
La tentazione di chiudere gli occhi e fuggire era tanta ma… mi trattenni e diedi un’occhiata alla stanza.
La finestra era aperta, notai per prima cosa, e l’aria era fresca come fuori. me ne riempii i polmoni con sollievo. Poi vidi le pareti. Già, mi ero scordato come Mina tenesse le pareti. Da ogni angolo spuntavano poster, foto, pagine, scritte, incisioni… qualsiasi cosa. il pavimento addirittura, era completamente inciso, pieno di parole, citazioni…
Il mio piede poggiava sull’inizio di una frase che le avevo sentito dire alcune volte: L’affermazione è la regola della piena libertà.
Camminai verso la scrivania, per controllare ciò che già sapevo esserci: una parte di Romeo e Giulietta, la sua parte preferita:
Ma quale luce apre l’ombra da quel balcone?Ecco l’oriente e Giulietta è il sole… Alzati, dunque, o vivo sole e spegni la luna già fioca, pallida di pensa perché ha invidia di te, tu che la servi! E se ha invidia di te lasciala sola. Il suo manto vestale ha già un colore verde di palude, e nessuna vergine lo porta. Gettalo via!
Oh, è la mia donna, è il mio amore! Ma non lo sa! Parla e non dice parola: il suo occhio parla, e a lui risponderò!
Ma che folle speranza; non è a me che parla.
Due fra le stelle più lucenti, che girano ora in altre zone, pregano i suoi occhi di splendere nelle sfere senza luce, fino al loro ritorno. E se i suoi occhi fossero nel cielo veramente, e le stelle nel suo viso? Lo splendore del suo volto farebbe pallide le stelle, come la luce del giorno, la fiamma d’una torcia! Se poi i suoi occhi fossero nel cielo veramente, quanta luce su nell’aria, tanta che gli uccelli credendo finita la notte, si metterebbero a cantare!

Sorrisi leggendola e ricordando con quanta passione lo faceva lei. Adorava recitare, mettere maschere, mettere allegria sul volto delle persone… non era certo capitata nel posto giusto però.
Sospirai di nuovo, sedendomi dove mesi prima (era passato così poco tempo?) si era seduta lei. mi chinai sulla scrivania e trovai un capello verde che le era appartenuto. Lo presi fra le mani. C’è ancora un po’ di Mina al mondo, mi ritrovai a pensare, mentre alcune lacrime mi scendevano impudentemente sulla faccia. Le asciugai con rabbia e aprì con un gesto deciso il primo cassetto.  Vi trovai alcuni libri che poggiai con gesti cauti sulla scrivania. Presi il primo e con una carezza, tolsi la polvere dalla copertina. Naturalmente era Romeo e Giulietta, c’era da aspettarselo. Lo sfogliai delicatamente, come temendo che potesse andare in pezzi da un momenti all’altro e notai che vi erano parecchie note in matita, frasi sottolineate. Non mi ci soffermai più del necessario però, l’avrei fatto in seguito. Il secondo libro me lo ricordavo bene: me lo aveva prestato più volte e l’avevo sempre letto volentieri: Qualcuno con cui correre era il titolo. Quello non lo sfogliai, passai direttamente al terzo, un libretto sottile: Il gabbiano Jonathan Livingston. In sequenza, trovai e misi da parte sulla scrivania questi libri:
Cime tempestose; Il giro del mondo in 80 giorni; Ventimila leghe sotto i mari; L’inventore dei sogni; La collina dei conigli; Abbaiare stanca; In viaggio con Erodoto; Le commedie di Shakespire; Tre uomini in barca; 1984.
E li finì la sua piccola biblioteca personale. Ricordavo bene il traffico di libri che teneva con tutti gli altri, di nascosto dai sorveglianti. Sembrava proprio che si divertisse a fargliela sotto il naso, infatti prestava sempre tutti i libri (tranne naturalmente quelli di Shakespire per i quali provava uno strano attaccamento.)  Mi assicurai di mettere bene i libri nella borsa,  non volendo rovinarli, e passai al secondo cassetto.
Tentavo di non pensare che tutte quelle cose erano appartenute a lei, che le aveva toccate, lette, usate…
Nel secondo cassetto c’erano una serie di quaderni con una rigida copertina nera. Saranno stati sei. Persi il primo con curiosità. Che fosse ciò che cercavo? Il diario? Lo aprii e subito fu chiaro che non era così. Lessi la prima pagina. Era una storia. Il quaderno era completamente ricoperto dalla fitta scrittura, non un angolino aveva trovato salvezza. Non potevo leggerli subito però, quindi li infilai uno a uno, dopo averli sfogliati per un momento, nella borsa. In fondo al cassetto trovai un mp3 molto vecchio e un bel po’ graffiato con attorcigliate sopra, un paio di cuffie bianche. Presi anche quello.
Aprii l’ultimo cassetto, o almeno tentai visto che era chiuso a chiave. Già. Sbuffai, guardandomi intorno e chiedendomi dove avrebbe potuto nascondere una chiave. Riaprii i due cassetti per vedere se avevano un doppio fondo. Niente. Contrariato, estrassi un coltellino dalla borsa e forzai il cassetto, venendo meno alla promessa che mi ero fatto, cioè di lasciare tutto come l’avessi trovato.
Il cassetto era vuoto, a parte un foglio scritto a mano in bella calligrafia quasi gotica, un sacchettino e un piccolo e spesso quaderno marrone scuro. Presi il foglio per primo e lessi questo:
 
Heilà, brutto scassinatore di cassetti di persone defunte!
Guarda che lo so che hai scassinato il cassetto: la chiave ormai è persa per sempre, perciò non hai scuse!
Comunque: se sei un sorvegliante, va al diavolo e restaci, chiaro? Non voglio che un vecchio mefitico ostricone del Bengala stracotto dal sole dell’Alaska sappia qualcosa di me, perciò come ho appena detto, giù le mani! Brucia il foglio, buttalo nel cesso, non mi interessa (ma stai attento ai canguri mi raccomando!).
Hei, ancora leggi con una faccia interessata? Qualche lacrima? Ah, ma allora tutto si spiega, devi essere un mio amico, e io devo essere morta, non è così? Ebbene avevo ragione! Hahaha! Le mie previsioni di morte prematura non erano mica false vero? Bene! Dunque, suppongo che dovrei mettere per iscritto qui le mie ultime volontà, così non buttate la mia roba va! Che conoscendovi… allora chi sei? Alma? Jen? L? BB?
Va bè, va bè, andiamo avanti che se no qua non finiamo più!
Ecco a chi vanno i miei averi:

§  Il mio basso va a Mello che gli fa sempre il filo per provarlo e al quale non l’ho mai fatto toccare, proprio lui! Non mi ringraziare biondino, te l’aspettavi, lo so! Se me lo righi, all’inferno ti ammazzo, chiaro? Bene!
§  I miei vestiti (ves-ti-ti  non accessori, mi raccomando) vanno tutti a quella punk di Alma, che non si chieda di nuovo dove li ho presi e se lo fa, tirale un ceffone amico. Se sei Alma, in mia memoria, fallo lo stesso.
§  I miei accessori dateli tutti a Jennifer, le starebbero così bene con quella carnagione chiara, lo dice anche lei, ma dice sempre anche che non sa come procurarseli, perciò che li tenga lei.
§  La mia tinta, se non è finita fatene un po’ quel che ve ne pare, non è che me ne freghi molto. Guardate la data di scadenza però!
§  I miei libri vanno tutti a Near.
§  Cos’ho ancora? Beh, ci sono le storie che ho scritto. Quelle che vadano a Alma, lei scrive sempre, saprà cosa farne.
§  A Federica lascio il sesto quaderno nero, dove sono annotate accuratamente tutte le mie imprecazioni.
§  Per L e BB, c’è il diario marrone che tu (oh profanatore di cassettiere tarlate!) hai trovato ora. Decidano loro se farlo leggere anche agli altri, vedranno loro se è il caso. Mah…
§  Per Matt (non non mi sono dimenticata del fumatore di sott’aceti fritti) c’è una cosa che si trova a Londra. Si lo so che è un casino scomodo farsi il viaggio fino a Londra per questo, ma non ho avuto la possibilità di recuperarlo. Dunque, una volta a Londra, Matt deve andare in Princess May rd al numero 13, dove troverà, se ha fortuna, un mio vecchio amico. Se gli dirà che viene da parte mia, magari facendogli vedere una mia foto e simili, il sunnominato lo porterà in una camera. Capirà da solo qual è la cosa che deve prendere. Certo, se vuole prendere altro non è un problema per me. Faccia pure.
E con ciò ho finito il testamento. Dei soldi sinceramente non me ne frega niente, li prenda chi vuole. Tanto con quel riccone di L che probabilmente mantiene tutti non ne si ha certo bisogno. Dateli in beneficienza va! Così fate una buona azione e via! ;)
Bene allora, ti saluto mio caro, chiunque tu sia! Va a te il sacchetto, ok? Fanne ciò che vuoi.
Addio!

 
Mina


Rimasi a fissare il foglio per qualche minuto buono, poi lo rilessi e  solo allora alzai lo sguardo dalla carta e mi permessi di tirare un profondo respiro. Quindi potevo leggere il quaderno marrone? Presumibilmente proprio il… diario? Misi il foglio nella borsa e lo presi fra le mani. Ero tentato di leggerlo subito, ma poi lo misi un momento da parte e presi curiosamente il sacchetto.
tirai i lacci per aprirlo e al suo interno trovai molte liquirizie di quelle che piacevano a lei. e in fondo, scorsi un luccichio. Così, svuotai il sacchettino sulla scrivania, annusando volentieri l’aroma forte che emanava e trovai un anello di quello che sembrava vero oro molto raffinato, con una piccola pietra verde sopra. Lo esaminai da vicino. Da dove l’aveva preso quello? Nessuno che io sapessi, l’aveva mai visto. Ma quante cose potevo dire di sapere di lei, dopotutto? Quasi niente.
rimisi le liquirizie e l’anello dentro il sacchetto e me lo misi in tasca.
dopodiché mi alzai, con ancora un sospiro e andai ad aprire l’armadio, con la borsa sottobraccio. Vi riposi uno a uno tutti i vestiti, un paio di anfibi e le catene, i bracciali e braccialetti, gli orecchini e quant’altro ella avesse (li trovai riposti in uno spazioso cassetto).
Ora che l’armadio era vuoto e la borsa praticamente piena, mi avvicinai un’altra volta alla scrivania e presi il diario in mano, indietreggiando sino al letto. Mi ci lasciai cadere mollemente e il suo odore, rimasto prepotentemente nelle lenzuola e sul cuscino, m’investì in pieno, dolorosamente. Mi rialzai subito, ma misi nella borsa anche il cuscino, per un motivo a me ignoto. Mi guardai intorno (Ridere è il linguaggio dell’anima; A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio;).
Guardai il pavimento (Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi;
Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri;)
Alla fine mi decisi a uscire dalla camera, dopo averle lanciato ancora un ultimo sgaurdo. Mi ritrovai di nuovo nel corridoio, ancora abbagliato da ciò che avevo trovato. Come mai aveva lasciato un testamento?
Decisi di non pensarci subito. Invece mi affrettai a uscire, respirai a fondo la neve e richiusi il cancello a chiave.  Entrai in macchina e feci un altro respiro profondo. Presi il diario fra le mani e aprii alla prima pagina.

Caro diario (se così posso chiamare questa raccolta di fogli a righe che ancora non conosco),
ho intenzione di riempire la tua candida concezione di spazio con lettere nere che nessuno a parte me leggerà forse. Ma se qualcuno sta veramente leggendo queste righe, allora vuol dire che, come mi ero immaginata, sono morta prima dei venticinque anni.


Mi fermai dopo quattro righe, decidendo di leggerlo solo con L. Da solo non me la sentivo. Era così cinica a volte quella ragazza! Anche da morta!
Scossi la testa e accesi il motore, accingendomi a tornare a casa.
  
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