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Autore: bothofus    03/09/2012    0 recensioni
è come se stessi urlando, e nessuno ti sente. Ti vergogni quasi, del fatto che qualcuno possa essere talmente importante che senza di lui ti senti inutile. Nessuno capirà mai quanto ferisce, ti senti senza speranza, come se niente può salvarti. E quando finisce, ed è andato, tu desideri quasi di riavere tutte quelle sensazioni brutte indietro, così che tu possa avere anche le belle.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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love  -Abigail

 Mi girai solo una volta a guardare quel ragazzo che continuava a fissare me e il proprietario del locare, e mi resi conto di quanto era bello e affascinante.
 Nonostante il buio, riuscivo a notare i capelli color rame e l'altezza notevole, che mi faceva sentire piccola piccola al confronto. 
 «Il mio nome è James, comunque.» Il proprietario interruppe i miei pensieri sul ragazzo e mi diede una lista degli orari che avrei dovuto fare e guardai attentamente quel foglio; il mercoledì, il giovedì e il venerdì avrei dovuto lavorare fino alle tre di notte, gli altri giorni solo fino alle due.
Non ero ancora sicura di quel lavoro e, a giudicare dal locale, non era esattamente il tipo di posto che frequentavo con gli amici o, specialmente, con i parenti.
 Mi immaginavo già l'espressione di mia madre, che osservava il locale in modo ripugnante e che si sentiva profondamente delusa da me e dalle mie decisioni. 
Da piccola, quando avevo sedici anni, avevo lavorato nella profumeria di mia zia e neanche in quell'occasione mia madre era contenta o soddisfatta di me, figuriamoci in un locale del genere.
 Ma non mi importava, anzi avrei fatto di tutto pur di non andare in quella scuola di perfettini e perfettine. La mia vita sarebbe stata diversa rispetto a quella dei miei cugini e cugine, o di mia sorella. Avrei rotto un'usanza tramandata da generazioni in generazioni, e ne ero più che fiera.
Il proprietario, James, era ancora davanti a me ad aspettare qualcosa, forse una risposta.
Presi un lungo respiro e pronunciai la frase che avrebbe cambiato la mia vita.
«Va bene, voglio lavorare qua!» dissi convinta, e con un mega sorriso stampato sulla faccia.
«No, questo l'ho capito. Voglio sapere solo come ti chiami.» mi rispose James, quasi scocciato.
«Oh, mi chiamo Abigail… Abigail Anderson.»
«Fantastico Anderson, allora inizi domani alle 14.00. Non fare tardi.» mi puntò un dito contro e se ne andò, con aria stanca e pigra.
«Fantastico…» dissi a bassa voce.
 Scavalcai il bancone del bar e andai nel bagno privato del pub, in cui avevo lasciato la giacca e la borsa.
 Presi in mano il cellulare e digitai il numero di mia sorella.
«Pronto?»
 «Hey Lizzie, sono Abigail. Ho una notizia grandiosa!»
 « Ma che cos'è tutto questo fracasso? Dove sei?»
 « Sono in quel pub di cui ti parlavo prima a casa. Ho trovato lavoro qua! ». 
 Speravo che mia sorella fosse felice per me, contenta. E invece la sua risposta fu un semplice e misero «Oh…».
 «Tutto qua? Sai dire solo questo?» dissi arrabbiata.
 «Insomma, si sono felice. Ma quel locale non è esattamente uno dei migliori. Lo sai, che la zia ha bisogno di aiuto nel negozio. Potresti andare la, come quando avevi sedici anni.»
«Appunto, avevo sedici anni. Ora ne ho ventuno».
«E allora vieni al College con me.»
 Sentivo sotto le urla di mia madre e mi incazzai ancora di più con mia sorella per aver dato retta alla mamma.
«Sai che c'è, Elizabeth? Vaffanculo!»
 Riattaccai e buttai con violenza il cellulare in borsa, che si aprì e si ruppe.
 «Grandioso… ci mancava solo il cellulare rotto.» sbuffai.
 Alzai lo sguardo dalla borsa e mi misi ad osservare il mio riflesso nello specchio.
 Avevo due grandi occhiaie sotto gli occhi e tutti i capelli arruffati. 
 'Fregatene Abigail, fregatene della tua famiglia e di tua sorella. Non farti condizionare dal loro pensiero. Vivi la tua vita!', pensai e uscì dal bagno.
 Erano le quattro del pomeriggio, ma il locale era comunque affollato di gente che beveva e si picchiava.
 Strattonai varia gente per uscire e sentivo le mani della persone su di me, sentivo l'odoro di sudore in mezzo a tutta quella folla.
 «Hey, bella biondina…» un ragazzo non troppo alto, moro e con una mascella squadrata, mi presi per i fianchi e mi avvicinò a lui.
 «Lasciami… ora!» lo allontanai più volte da me, ma in torno a lui c'erano altri cinque ragazzi che gli reggevano il gioco e mi avvicinavano a loro come se fossi una bambola.
 «Vogliamo solo divertirci…. non ti faremo del male». Avevano dei sorrisini maliziosi, la mani sudate e avevano tutti voglia di una cosa sola. Cercavo di strattonarli via da me e il respiro mi si fece più affannato quando capì che la situazione peggiorava sempre di più.
 Lo sguardo mi ricadde su un ragazzo che aveva una aria familiare, un ragazzo che avevo già notato qualche minuto prima.
Era quello che avevo visto al bancone e che mi aveva ipnotizzata per il suo fascino.
 Continuai a fissarlo con il fiato pesante e lui mi tese la mano in mezzo a tutti quei ragazzi.
 Non esitai ad afferrare la sua mano e a stringerla. Lui mi spinse via dagli altri con una tale forza e io riuscì finalmente a raggiungere la porta per uscire.
 Quando vidi finalmente la luce del sole, presi un bel respiro forte e mi appoggiai al muro. «»

Alex

Restai qualche secondo interdetto: perché l'avevo fatto? Chi era quella ragazzina e perché l'avevo tirata fuori dal locale? Quelli che la stavano scocciando erano amici miei e sicuramente mi avrebbero ucciso visto che gli avevo tolto dalle mani una preda facile. Non che lei fosse una ragazza facile, tutt'altro, sembrava molto timida, gentile, avevo ascoltato mentre parlava con James e sembrava davvero felice di aver ottenuto il lavoro, anche se non riuscivo proprio a capirne il motivo, visto che questo posto faceva davvero schifo. Ma almeno mi aveva portato lei.
«Tutto bene?» le chiesi quasi senza pensarci.
«Come, scusa?», sembrava alquanto sorpresa della mia domanda, io stesso lo ero. Da quando andavo in giro a salvare ragazzine e a chiedere come stavano? Da mai. Eppure adesso lo stavo facendo e non riuscivo a pentirmene.
«Come stai» ripeto, «voglio sapere come stai, chiaro adesso?».
«Chiarissimo, non c'è bisogno di fare sarcasmo», rimase in silenzio per un po', forse offesa dal mio tono ironico, poi disse: «e comunque.. grazie per avermi tirato fuori da quella calca, non respiravo quasi più.. ma chi erano quei coglioni?».
Risi, «Quei coglioni, come li chiami tu, sono i miei amici. Anzi, amici di amici».
«Oh..» si fece tutta rossa, capendo la sua figuraccia. «non.. non lo sapevo, scusa!».
«Tranquilla.. hai ragione, sono dei coglioni, lo dico anche io».
Finalmente un leggero sorriso apparì su quelle labbra rosa chiaro, «Si.. un po', comunque io sono Abigail, piacere» allungò la mano verso di me e dopo un mio leggero tentennamento anche io sollevai la mia per stringergliela.
«Alex Moore».
«Abigail..».
«Anderson, lo so, ti ho.. sentita mentre parlavi con il proprietario, James».
«In altre parole, hai origliato la conversazione».
«Non era proprio origliare...»
«Ah, si?», incrociò le braccia al petto con un espressione divertita, «E cosa stavi facendo?, sentiamo».
«Stavo... prendendo da bere, cosa che alla fine non ho fatto perché ti ho dovuto salvare» le dico, con aria di superiorità, cosa che mi esce molto facile.
«Nessuno ti ha chiesto di farlo, però» mi fa' notare lei, ma si vede che non è seria, continua a sorridere, un sorrisetto furbetto davvero adorabile. No, aspetta, da quando io penso che qualcosa o anche qualcuno sia adorabile? Quella parola non dovrebbe neanche esistere nel mio vocabolario, e invece mi ritrovo ad associarla a quel sorriso, al suo sorriso. Mi viene così naturale da farmi quasi paura.
«Be', mi sembravi in difficoltà».
«E lo ero...».
«Coglioni, eh?».
«Molto. Odio quando.. odio essere afferrata in quel modo, come se fossi un oggetto. Non lo sono. Io.. io non sto agli ordini di nessuno, non più». Avrei voluto approfondire l'argomento, chiederle cosa si nascondesse dietro quel “non più”, ma avevo paura di sembrare insistente o inopportuno. Infondo non la conoscevo, eppure morivo dalla voglia di chiederglielo. Ma mi bastò il modo deciso in cui lo disse per farmi capire che era qualcosa che avrei capito solo più avanti, se mai ci sarebbe mai stato un “più avanti”.
«Fai bene, stare agli ordini di qualcuno fa' davvero schifo» concordo.
«Be', grazie ancora per avermi dato una mano a liberarmi dai tuoi amici..».
«Amici di amici» puntualizzo, facendola ridere.
«Giusto..», muove l'indice come a indicare la mia ragione, «ora è meglio se rientro, devo prendere la mia roba, comincio domani..».
«Lavorerai qui?».
«Eccome. Mi ha dato il posto».
«Congratulazioni».
«Grazie..», sorride timida mentre le tengo aperta la porta del locale mentre lei entra e per la prima volta in vita mia non lo faccio solo per guardare il culo di una ragazza – anche se, ammettiamolo, ho fatto anche quello – ma perché mi andava di fare un gesto gentile, perché questa ragazza tira fuori il lato più adorabile che c'è in me, quel lato che non sapevo neanche ti conoscere, o anche solo di avere.
«Puoi, ehm, puoi accompagnarmi fino ai bagni del personale, devo prendere ancora alcune cose... e ho paura che mi scoccino di nuovo» mi chiede, con un sorriso speranzoso.
Le appoggio una mano sulla schiena e la spingo gentilmente in avanti, «Ti faccio strada, vieni con me», quando passiamo davanti ai miei amici Josh mi guarda come se fossi impazzito, mentre l'altro mi urla dietro «guarda che hai sbagliato, la mano va' sul culo, amico!», facendo scoppiare a ridere anche tutti gli altri. Solo Josh non ride e continua a osservarci anche mentre le apro la porta del bagno del personale, dove raccoglie la sua nuova divisa e prende confidenza con il suo nuovo armadietto, si scrive la combinazione su un foglietto che poi infila nella tasca dei jeans.
«Forse.. è meglio che torni dagli amici dei tuoi amici, adesso...».
«Tu..».
«Io inizio domani. Tu vieni qui spesso?».
Da adesso fino a per sempre, pensai. «Qualche volta..».
«Be', io lavoro qui quindi.. magari ci si vede, grazie ancora per oggi..» mi saluta con un cenno della mano e tenendo bene stretta la sua borsetta si immerge di nuovo fra la folla fino alla porta d'uscita.
Saluta James e poi si volta un'ultima volta, incrociando il mio sguardo, che non l'ha lasciata neanche per un secondo.
Stavolta sono io salutarla sollevando la mano come.. be', come un coglione.

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Questa storia è stata scritta in colloborazione tra Mils pättinson.
  
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