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Autore: avalon9    19/03/2007    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao

Ciao!

 

Tecnicamente, questo non è un vero e proprio aggiornamento: piuttosto, una correzione. Mi sono infatti accorta di aver saltato un capitolo, esattamente questo, il 37, per cui lo inserisco. Spero si capisca e la cosa non crei troppa confusione. Quindi, i NUOVI capitoli sono il 37”DUELLO” e il 39 “VERITA’”.

 

Fatemi sapere cosa ne pensate e se si capisce, in questo capitolo, cosa è accaduto (o no) ad Alessandra.

 

Buona lettura

 

 

 

 

CAPITOLO 37

DUELLO

 

 

Grida.

Ordini secchi portati dall’aria, scanditi con voce forte e chiara. Passi cadenzati e ritmici. Passi di uomini che si muovono con ordine e disciplina. Imprecazioni. Urla. rimproveri. Cigolii e tonfi secchi. Inquietanti. Rimbombano nell’animo, rimbalzano nei polmoni. Ti soffocano. Ti intontiscono.

 

Koga continuava a scrutare fra la marea nera delle tende nemiche. Continuava a cercare. Ormai, erano parecchi giorni che quell’assedio era iniziato: attacchi a ogni ora del giorno; sortite; scontri all’arma bianca; tentativi di superare il fuoco di sbarramento che impediva di uscire anche solo di un passo dal castello. Le derrate alimentari iniziavano a scarseggiare. Nelle dispense del palazzo erano stati stipati i rifornimenti per permettere alla corte ce solitamente soggiornava al castello di trascorrere l’inverno senza problemi, ma mai nessuno si sarebbe aspettato un assedio vero e proprio. Era una tattica cui loro demoni ricorrevano molto di rado. Invece, Morigawa l’aveva preferita allo scontro in campo aperto, dove probabilmente sapeva di essere inferiore.

 

Koga si appoggiò stancamente al parapetto del camminatoio di ronda. Poco distante da lui, alcuni soldati chiacchieravano fra loro sottovoce, gettando di tanto in tanto occhiate preoccupate verso l’accampamento nemico. Ormai, mancava poco. Si iniziava già a vedere un certo movimento fra le tende e fra poco una linea scura e compatta si sarebbe delineata davanti ai loro occhi. Un fronte formato di yari splendenti nella luce del sole, e dietro di loro demoni arcieri. Poi, il contingente munito di…Come le aveva chiamate Alessandra?...Armi da fuoco. Erano estremamente pericolose. Molti di loro erano già caduti sotto quei proiettili e, se anche non morivano subito, si spegnevano fra atroci sofferenze.

 

Eppure, in quel momento, il Principe degli Yoro aveva la mente presa da tutt’altri pensieri. Non stava dedicando la sua attenzione all’attività nemica. Stava cercando una persona. Quella con cui si era scontrato due giorni prima. Uno dei Principi avversari.

 

“Ti preoccupa la battaglia, ragazzo?”

 

Kumamoto lo aveva raggiunto sul ballatoio. Era incredibile quanto quel ragazzo gli ricordasse Hidoshi. Ogni volta, doveva fare uno sforzo su se stesso per non chiamarlo con quel nome. Lo aveva visto dalla piazza d’armi e lo aveva raggiunto. Era da quando era sceso in campo direttamente l’ultima volta che era sempre più cupo e pensieroso. E questo non era certo un bene: la lucidità, in momenti come quello, era essenziale. Per se stessi e per gli uomini che ti sono affidati. Quel giorno, inoltre, sarebbe stato Koga a dover guidare il primo squadrone, in caso di attacco. E lo scontro ci sarebbe stato, inevitabile, di lì a poche ore. E quel ragazzo non sembrava pronto a sostenerlo.

 

“Non dire sciocchezze! Quelli, io li uccido tutti in un attimo, li…”

 

Koga inciampò nelle sue stesse parole. Aveva voluto mostrarsi risoluto,ma anche se in apparenza il volto giovane era fiero e calmo, gli occhi tradivano un’inquietudine profonda. Sconcertante nello sguardo di un demone.

 

“Sai, anche tuo padre prima di uno scontro era sempre agitato come te. Ti assicuro che non  ne avrebbe avuto motivo, eppure…Era capace di tirar giù dal letto me e Inutaisho anche cinque ore prima, anche se ci fossimo appena sdraiati, con la scusa che preparare uno squadrone non è cosa di cinque minuti. E se ancora avanzava tempo, non perdeva occasione per battersi con chi fosse disposto a sfidarlo. Era il suo modo di scaricare la tensione”

 

Koga sorrise. Gli piaceva quando il vecchio generale gli raccontava qualche aneddoto della giovinezza di suo padre. Gli piaceva che gli narrasse del suo carattere, della sua figura, del rapporto che c’era stato fra loro.

 

Incrociò le mani dietro la testa e si stiracchiò la schiena, per poi rivolgere un sorriso contratto al demone. “Non penso che resterei illeso se adesso andassi a svegliare Sesshomaru”.

 

Kumamoto ridacchiò a sua volta. L’immagine del Principe che rotola fuori dal suo futon, buttatovi da Koga solo per allenarsi e distrarsi gli metteva addosso allegria. Sapeva bene che Sesshomaru non gli avrebbe di certo perdonato la libertà e la confidenza prese, tuttavia non era un’idea da scartare a priori. Anche se, per quel giorno, era davvero meglio lasciar perdere. Il Principe aveva già un impegno tutt’altro che allegro e leggere. Un duello resta sempre un duello. Per di più, avrebbe dovuto affrontarlo in quelle condizioni.

 

“Già…Anch’io credo che non la prenderebbe molto bene. Soprattutto, dopo quello che è successo stanotte ad Alessandra”

 

Koga aveva riportato lo sguardo verso l’accampamento nemico. Aveva sentito dei rumori. E per un attimo gli era sembrato di vedere quel ragazzo aggirarsi al limitare delle tende. Non poteva essere lui. Non poteva!

 

Kumamoto si accorse dello sguardo dell’Ookami; gli passò una mano sulla spalla e fissò anche lui le linee nemiche. Forse, se non lo avesse guardato in faccia gli avrebbe detto le motivazioni della sua agitazione. Perché davvero non poteva essere solo l’imminenza di uno scontro a preoccuparlo a quel modo.

 

“Cosa c’è che non va?”

 

Koga sospirò. Dirglielo? Confidarsi con lui? Non aveva prove. Era solo una sensazione. Solo un presentimento che gli aveva attraversato l’anima quando aveva incrociato la spada con quell’youkai. Capelli neri lunghi, occhi azzurri. E quell’odore…quell’odore familiare, anche se distorto…

 

Aprì la bocca, ma la richiuse subito. Si sentiva la gola secca e faticava ad articolare anche un semplice suono. E se si sbagliasse? Se fosse ala sua mente a volerlo illudere, a volergli giocare un brutto scherzo? Probabile. Possibile, anzi. Forse stava solo cercando una forma di espiazione. Ma, in caso contrario, se si suoi sospetti si fossero rivelati veri, come era potuto succedere? Come?! E lui, poi, cosa avrebbe fatto?

 

Si sentì chiamare dai soldati, dal cortile. Doveva prepararsi. Ormai, mancava poco, e prima di chiudersi nella corazza avrebbe voluto salutare Ayame e avere notizie di Alessandra. Sesshomaru non si era ancora visto, quella mattina, benché l’alba fosse ormai trascorsa da un pezzo. Nessuno aveva provato ad andarlo a cercare nei suoi appartamenti, soprattutto visto quando successo durante la notte, e a chi domandava del Principe, lui e Kumamoto rispondevano che si stava allenando per il duello. Falso. Falso. Koga aveva incrociato Inuyasha in corridoio non molto tempo prima e non aveva nessun allenamento col fratello. Ma meglio una bugia che sospetti e calunnie. Non in un momento come quello.

Meglio tacere, e lasciare che fossero solo loro a sapere la verità. O forse, a immaginarla. Anche perché neanche qualcuno fra loro aveva ancora voluto formulare razionalmente un pensiero a quel proposito. In quella notte non ce n’era stato il tempo. Koga increspò le labbra in un sorriso ironico. Non si sarebbe mai aspettato, un giorno, di ritrovarsi a coprire il Principe dei demoni. Sempre che effettivamente le cose stessero come lui pensava.

 

Salutò Kumamoto e discese. Non gli avrebbe detto nulla, ancora. Prima, doveva accertarsi di una cosa. E se si fosse rivelata vera, allora avrebbe informato anche gli altri. Voleva una prova certa, la sicurezza ineluttabile. Mentre raggiungeva Ayame sulla porta del palazzo, pregò di incrociare di incrociare di nuovo la spada con quel ragazzo, quel giorno.

 

 

*****

 

 

Sesshomaru sentì voci lontane riecheggiare nell’aria. Il palazzo si stava svegliando, e si apprestava ad una nuova giornata di sangue e scontri. Era così da giorni ormai. Non si sarebbe mai aspettato di subire un assedio. Aveva sempre pensato di risolvere la questione in campo aperto, con l’esercito schierato e pronto all’attacco. Quella situazione lo sfibrava, invece. Perché coinvolgeva nel pericolo anche chi rimaneva a palazzo.

 

L’idea di perdere non gli attraversava mai la mente, tuttavia non poteva impedirsi di considerare il tempo che ci sarebbe voluto a vincere. Lui avrebbe resistito, i suoi demoni avrebbero resistito, ma i ningen? Loro no. Loro avevano bisogno di mangiare. E le scorte si stavano esaurendo. Aveva dato ordine di razionare tutto, ma ormai era tardi. L’inverno presto sarebbe finito e allora i suoi avversari avrebbero potuto procurarsi il sostentamento anche semplicemente con poche ore di caccia. Lui, invece, avrebbe visto i suoi subordinati indebolirsi lentamente, ma inesorabilmente. Allora, sarebbe stata la disfatta.

 

Non poteva permetterlo. Doveva vincere. Avrebbe vinto. Prima che tutto degenerasse. Prima che la fame e la debolezza minassero le sue truppe. Bastavano le voci e i sospetti a minare la sicurezza del palazzo; non occorreva che ci si mettessero anche i ragionamenti irrazionali degli affamati. In quel caso, sarebbe stato il tracollo. E già quel giorno avrebbe dovuto combattere per ristabilire la sua autorità. Un duello, da cui non era certo di uscire illeso. Avrebbe ucciso chi gli aveva recato offesa, quello era certo, ma forse neanche lui si sarebbe rialzato.

 

Si erano offerti di sostituirlo: koga e Kumamoto. Ma lui era stato irremovibile. Poche ore prima ne avevano discusso fino a sfibrarsi. Inutilmente. Il Principe era cocciuto e non si sarebbe mai sottratto allo scontro. Era la sua autorità ad esser stata messa in discussione, erano stati i suoi ordini a non esser stati eseguiti. Era stata la sua anima ad esser ferita. E anche se il suo avversario aveva fatto apposta a invocare il diritto al duello, confidando sul fatto che l’inuyoukai fosse cieco e quindi più vulnerabile, Sesshomaru era ben intenzionato a fargliela pagare. Non si scavalca impunemente la sua autorità. Non si ferisce chi lui vuole proteggere.

 

<<…Avrei dovuto proteggerti…>>

 

Un mugolio accanto a sé lo riportò alla realtà. Alessandra si mosse nel sonno, al suo fianco, il respiro regolare e tranquillo. Kagome le aveva dato delle erbe,perché si calmasse e riposasse un po’. Quando l’avevano portata nelle stanze del Principe era in un totale stato si shock. E poi, la botta in testa che aveva ricevuto era stata molto forte. Meglio farla dormire. Doveva recuperare le forze.

 

Sesshomaru si girò su un fianco. Avrebbe tanto voluto vederla. Avrebbe voluto poter rincorrere le sfumature di luce sul suo volto, perdersi nei riflessi di rame dei suoi capelli. Era bello quando il sole li illuminava. Strappava loro sfumature d’oro fulvo che le irradiavano il viso. Avrebbe voluto vederla sorridere. Certo, era in grado di percepire ogni espressione della ragazza, ma non era la stessa cosa. Non era come gustarsi le sue labbra piegate a scoprire i denti, contratte a fingere la rabbia; storte per stizza; arricciate dal disappunto.

 

Sollevò la mano e le sfiorò il volto. Sentì la pelle della ragazza rabbrividire leggermente a quel contatto. Di riflesso. Già…la sua mano sinistra era ancora fredda. Meno che all’inizio, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo perché assumesse il normale calore corporeo.

 

La sollevò davanti al viso, aprendola e chiudendola. La sentiva appena. Un formicolio leggero che gli prendeva tutto il braccio sinistro. L’unica sensazione che gli desse la certezza di riavere l’arto. Un braccio di argilla che lentamente stava diventando di carne e sangue. Stava diventando il suo braccio. In sostituzione di quello perduto.

 

Si passò la mano sugli occhi. Purtroppo, il Sensei non aveva potuto trovare un rimedio alla cecità. Era riuscito solo a restituirgli l’arto amputato. Cancellando il segno di un odio atavico fra lui e suo fratello. Sesshomaru, in quel momento, si chiese se fosse stato solo cancellato un segno, o se piuttosto era il suo odio verso il fratellastro ad essere mutato. In fondo, non aveva più cercato scuse per cacciarlo e il saperlo a palazzo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, gli dava una sensazione strana. Simile al piacere, alla sicurezza. Scacciò quel pensiero e si riconcentrò su chi gli aveva restituito il braccio.

 

Il Sensei…Si era materializzato nella piazza d’armi una sera, all’improvviso, appena prima del tramonto suscitando grande sgomento e costernazione nei soldati di guardia. Lei stesso era accorso, quando gli era stata data la notizia che un intruso era penetrato nel castello e che chiedeva di incontrarlo.

 

Era stato Kumamoto a riconoscerlo, nonostante il tempo trascorso. Il Sensei. Il maestro del vecchio generale. Del padre di Koga. Di suo padre. L’youkai ne aveva sentito parlare, ma non lo aveva mai incontrato di persona. Non lo aveva mai neanche fatto cercare. Però, fin dal primo istante, ne aveva percepito l’immensa potenza, nonostante l’aspetto macilento e vecchio, quasi provato, era dignitoso e da lui emanava uno youki impressionante. Impossibile da eludere del tutto.

 

Si era detto pronto ad aiutarlo. Si era messo a completa disposizione del Principe. Per riparare ad un errore, aveva detto. Non aveva intenzione di obbedirgli come un soldatino, ma era pronto ad aiutarlo in tutto quello che avrebbe potuto. A modo suo, naturalmente. Sesshomaru non tollerava, in genere, chi gli parlava a quel modo, con strafottenza e superiorità, ma aveva ignorato il tono autoritario dell’youkai per rispetto al fatto che fosse stato maestro di suo padre. E che comunque era una persona degna di rispetto, come lui ne riconosceva poche.

 

Non aveva sbagliato ad accoglierlo e ad accettare il suo aiuto. Il Sensei aveva fornito informazioni preziose. Tuttavia, aveva taciuto particolari altrettanto importanti, pur conoscendo le risposte alle domande che gli venivano fatte. Va bene aiutare, ma se davvero quella sarebbe stata la sua ultima lezione, data ai figli dei suoi allievi, allora il Maestro intendeva condurre il gioco come suo solito. Troppo facile offrir loro la soluzione su un piatto d’argento. Avrebbero dovuto cercarla. Con il suo aiuto, ma anche con la loro testa.

 

Però, aveva comunque voluto fare qualcosa di concreto per dimostrare la sua presa di posizione. Aveva deciso di rendere il braccio al figlio di Inutaisho. All’inizio, il Sensei era rimasto molto sorpreso del fatto che il Principe, benché assomigliasse in aspetto in modo impressionante al padre, avesse un carattere che era quasi all’opposto. Certo, caratteristiche comuni restavano, come la testardaggine e l’orgoglio contro cui aveva dovuto lottare anche con Inutaisho, ma non molto di più. Sesshomaru sfoggiava un carattere freddo e solitario, scontroso e distaccato che sembrava essergli stato inculcato ad arte. E non certamente dal padre. Era stato plagiato, creato quasi dovesse essere non un Principe, ma uno strumento di potere, il mezzo per mantenere salda la dinastia degli inuyoukai.

 

Lo aveva osservato a lungo, mentre preparava l’argilla che gli serviva per ricreare il braccio. Sarebbe stato doloroso riallacciare i nervi all’argilla e rinfondere vita a quell’involucro freddo. Per molto tempo, probabilmente il bel demone non lo avrebbe nemmeno avvertito; solo sensazioni distorte. E poi, sarebbe stato freddo. Per muoverlo, avrebbe potuto muoverlo, ma all’inizio con molta difficoltà.

 

Aveva chiesto che Kumamoto lo assistesse, ma il Principe aveva rifiutato anche quella presenza. Se davvero c’era la possibilità che sentisse dolore, non avrebbe mai permesso ad altri di vederlo contorcersi negli spasimi. Accettava il Sensei per rispetto, ma non concepiva di mettere in dubbio la sua capacità di resistere al dolore. Non avrebbe mai permesso che dei subordinati, come li aveva chiamati per darsi un contegno, lo vedessero in quelle condizioni. Soprattutto, non avrebbe mai voluto che fosse Alessandra a doverlo vedere. Per questo aveva ordinato che nessuno entrasse nella stanza. Qualunque cosa fosse successa.

 

Kumamoto e Koga erano stati gli unici cui era stato permesso di sostare nel corridoio, col preciso compito di impedire l’accesso a chiunque. Tuttavia, i due youkai non avevano avuto la forza di cacciare nessuno di quanti si erano presentati. Soprattutto, l’anziano generale aveva mentalmente maledetto mille volte Sesshomaru per il maledetto orgoglio che aveva ereditato dal padre. Non voleva mostrarsi debole, diceva. Forse, senza neanche rendersi conto, che il suo comportamento non faceva altro che ferire chi gli era affezionato. E che lui si ostinava a non vedere e a ignorare.

 

In quel corridoio buio, dove l’unica fonte di luce era la fiammella tremolante di una lucerna, le ombre avevano scolpito in modo inquietante i volti dei presenti: Inuyasha, Kagome, Ayame, Homoe, Koga, Jacken. Ma fu un volto in particolare ad attirare l’attenzione del generale: quello di Alessandra. Pallida, gli occhi blu privi di luce. si vedeva che cercava di dominarsi, di non mostrare quanto gli pesasse il fatto che il demone non l’aveva voluta accanto a sé. Anche se come archiatra la scusa ci sarebbe stata. E benché la ragazza sapesse che il Principe aveva preso quella decisione soprattutto per proteggerla, lei non riusciva a ignorare il fatto che comunque, anche fra quelle persone che ormai conosceva e la conoscevano, fra la stima reciproca, dovesse fingere i suoi sentimenti. Nasconderli. Ignorarli.

 

Alessandra aveva sentito il cuore contrarsi, avvolto dall’angoscia, quando, dopo minuti interminabili di silenzi e ringhi soffocati, un urlo roco e gutturale aveva riempito ogni anfratto del corridoio. Si era portata le mani alle orecchie, come se il non sentire le avrebbe permesso di non provare nulla. Inutile. La sua mente aveva catturato quel suono e glielo restituiva ampliato da mille echi prive di origine. La faceva impazzire.

 

Si era confusa nell’oscurità del corridoio, scivolando a terra e implorando che nessuno notasse il suo gesto, le lacrime che le tremavano negli occhi. Aveva tuffato le mani nei capelli e stretto forte la testa, raggomitolandosi su se stessa. A proteggersi. A illudersi che lui le era accanto, che l’avrebbe abbracciata per rassicurarla, come quando un incubo, di notte, la svegliava, ansante. Allora, il demone la faceva sdraiare sul suo petto e l’abbracciava con una dolcezza rassicurante.

 

Aveva voluto illudersi che fosse tutto un sogno, che l’youkai era accanto a lei, e non oltre quella porta, a soffrire. A urlare.

 

Alessandra non aveva visto, avvolta dall’ondata delle sue emozioni, la costernazione che si era dipinta sul volto degli astanti per quel grido. Il Principe…quella era la voce del Principe. Era stato Sesshomaru a gridare, come nessuno di loro lo aveva mai sentito fare. Neanche quando gli aveva tagliato il braccio, Inuyasha ricordava che il fratello si fosse abbandonato a una così forte manifestazione di dolore. Eppure, in quel momento aveva gridato. E la cosa che più aveva impietrito l’hanyou era l’idea che probabilmente Sesshomaru aveva comunque represso anche quell’urlo. Che fosse stato solo la punta del dolore realmente provato.

 

Alla fine, il Sensei, spossato, era uscito dalla stanza, pulendosi le mani rosse in uno straccio. Nessuno aveva osato chiedere se quel colore fosse dovuto alla creta o al sangue del demone. L’importante era che il Principe stesse bene.

 

In seguito, il Sensei non aveva fatto molto. Si era limitato a risiedere a palazzo, presenziando ai consigli di guerra e puntualizzando a volte dei particolari o facendo valere la sua esperienza; perlopiù, comunque, si limitava a osservare il lento fluire degli eventi. Un comportamento che però non faceva altro che urtare Sesshomaru. Perché, se già il bel demone sopportava a fatica l’idea di essere costantemente analizzato da Kumamoto, il pensiero di essere quotidianamente sottoposto ad un ulteriore esame da parte del maestro di suo padre lo rendeva estremamente nervoso.

 

Eppure, Sesshomaru era perfettamente consapevole del fatto che era lui che doveva ringraziare. Se il Sensei non fosse andato ad avvertirlo, benché con il suo solito modo sibillino di parlare, Alessandra non se la sarebbe cavato solo con uno spavento e alcuni lividi e contusioni. Sarebbe potuta andare molto peggio. Scosse la testa. Non ci voleva neanche pensare, a cosa sarebbe potuto succedere. Non l’aveva protetta. Aveva permesso che le facessero del male. Benché la ragazza avesse la sua parte di colpa per esser uscita in piena notte  senza avvertire nessuno, tuttavia quella consapevolezza non lo sollevava per nulla. Si sentiva il sangue ribollire nelle vene al solo pensiero di quello che era successo. Probabilmente, anche suo padre doveva essersi sentito allo stesso modo. Con la differenza che lui aveva protetto la madre di Inuyasha. Da solo. Anche se a costo della sua vita. Al contrario, se non fosse stato per una serie di fortuite coincidenze, Alessandra non avrebbe avuto alcuna protezione.

 

Le passò il braccio attorno alla schiena, e l’attirò a sé, facendole poggiare la testa nell’incavo della sua spalla. La strinse forte, facendo comunque attenzione a non svegliarla. Non ce n’era motivo. Aveva diritto di riposare. Diritto di recuperare le forze. Di superare anche quella brutta esperienza.

 

Gliela avrebbe fatta pagare, a quel generale. Per aver osato alzare la mani su di lei. Per averla considerata un oggetto. Un qualcosa da usare e poi gettare. Per aver tentato di sporcarla con la sua arrogante, presunta superiorirità.

 

Gli venne da ridere. Possibile che quei pensieri fossero suoi? Possibile che davvero fosse lui a considerare arrogante e fasulla la superiorità che gli era stata inculcata? La superiorità che aveva sempre avuto sulle labbra, ogni volta che si rivolgeva a qualcuno? Non ci credeva, eppure sapeva che erano suoi quei pensieri. Suoi e di nessun altro. E che era stata Alessandra a regalargli quella nuova visione del mondo. Una concezione che forse avrebbe anche potuto attenuare il dolore sordo che gli pulsava nel petto quando ripensava a suo padre.

 

 

*****

 

 

 

Sole.

Un raggio fastidioso la colpì. Si mosse, cercando di rincorrere il sonno che scappava. Non voleva ancora svegliarsi. Non voleva aprire gli occhi e tornare alla realtà di tutti i giorni. Non voleva dover andare di nuovo al campo, vedere sangue, corpi martoriati; raccogliere gli ultimi spasimi di demoni che la fissavano ora con gratitudine ora con disprezzo. Non voleva doverlo rivedere.

 

Lì dov’era stava così bene. si sentiva protetta. C’era un tepore rassicurante. La sensazione di un abbraccio, un respiro tranquillo. Alla fine, dovette arrendersi. Si era svegliata. La prossima volta, pensò, la porta l’avrebbe chiusa meglio. Così non sarebbe stata costretta ad alzarsi all’alba, se non per necessità.

 

“Ben svegliata”

 

Alessandra impiegò alcuni secondi a riconoscere la voce calda del demone. Era ancora leggermente intontita dal sonno. Si riprese completamente sentendo le labbra di Sesshomaru sulle sue. Un bacio leggere, a rassicurarla. Quando era andata da lui? Non ricordava. Non ricordava di essersi addormentata fra le sue braccio. Anzi, non ricordava neanche di essere andata a letto.

 

Si sollevò su un braccio. Adesso, avrebbe dovuto andarsene. L’youkai si sveglia sempre prestissimo e un attendente lo raggiunge per comunicargli la situazione. Se l’avessero trovata lì, nel suo letto, sarebbe successo il finimondo. Doveva alzarsi prima che il sole sorgesse del tutto.

 

Gettò una rapida occhiata alla finestra e quasi urlò per la sorpresa. Altro che appena sorto il sole. Dovevano esser già passate le nove, con tutta quella luce. Tentò di alzarsi, ma un capogiro la costrinse a fermarsi. Rimase seduto nel futon, con la testa che le pulsava e un’orribile sensazione di nausea. Si abbandonò alle mani di Sesshomaru, seguendo i loro movimenti che la invitavano di nuovo a sdraiarsi.

 

“Come ti senti?”

 

Come si sentiva? Male, questo era certo. Le scoppiava la testa. Ma perché? Cos’era successo? Guardò Sesshomaru: i capelli leggermente arruffati, il kimono blu. Aveva dormito vestito. Perché? Perché non aveva smesso l’abbigliamento formale? Sentì la bocca insolitamente secca. Ruvida. Faticava anche a parlare.

 

“…Avrei sete…”

 

Sesshomaru sorrise. Aveva un tono umile e colpevole. Come se anche il solo chiedere dell’acqua potesse suonare troppo sfacciato. Le passò un dito sulle labbra e si alzò. Erano secche e screpolate. Colpa del freddo. E forse anche di quello che le avevano fatto bere perché dormisse. Quando l’aveva baciata, aveva sentito una punta di amaro. Verbena, o forse lavanda…Non si era preoccupato di riconoscere il sapore.

 

Alessandra bevve quasi con avidità. Se non fosse stato per il fatto che era Sesshomaru a reggere il bicchiere, probabilmente avrebbe tracannato tutto d’un fiato. Almeno così non rischiava di soffocare. La sentì risistemarsi sui cuscini e cercò di capire se stesse dissimulando il suo stato psicologico o se davvero fosse tranquilla. Possibile che avesse dimenticato? L’youkai se lo augurò, anche perché la botta che aveva ricevuto poteva davvero aver provocato una piccola amnesia. O forse la mente di Alessandra non aveva ancora iniziato a elaborare completamente la realtà e quindi a restituirle le immagini di quella notte.

 

“…Perché non mi hai svegliata? Così rischiamo che ci scoprano…”

 

Sesshomaru sospirò impercettibilmente. Lo sapevano che era lì a dormire; ce l’aveva fatta portare lui. Kagome aveva dovuto preparare delle erbe e l’odore delle loro foglie in macerazione era troppo penetrante. Faceva venire mal di testa. Non aveva accettato che Alessandra dovesse restare nella sua stanza-laboratorio. Lì non sarebbe mai riuscita a riposare bene, anche se svenuta. Per questo aveva ordinato che fosse portata nei suoi alloggi. Ma lui se ne era andato. Con la ragazza erano rimaste Kagome e Homoe. Lui aveva un’importante questione da risolvere.

 

“Non preoccuparti di questo. Pensa solo a rimetterti”

 

Le sfiorò il viso con il dorso della mano, e si piegò a baciarla di nuovo. La sentì mugugnare qualcosa, e poi addormentarsi stringendogli il braccio. La polverina aveva fatto effetto. Avrebbe dormito ancora alcune ore. Giusto il tempo di rimettersi completamente e di dare a lui la possibilità di sistemare le cose.

 

Sesshomaru sapeva che Alessandra non avrebbe approvato. Sapeva che si sarebbe arrabbiata, una volta venutane a conoscenza. Perché non le piaceva quando doveva uccidere. Non le piaceva sentire quella parola. L’aveva sempre rifiutata. Eppure, per quanto detestasse vedere le proprie mani tinte di rosso, non si era sottratta alle incombenze che la sua carica di archiatra le comportava. Da quando era iniziato l’assedio e i conseguenti scontri giornalieri, lei aveva messo tutta se stessa nello svolgere al meglio i suoi incarichi.

 

Aveva fatto allestire una specie di…come lo aveva chiamato? Ospedale…Sì; aveva usato quel nome. Un luogo dove radunare tutti i feriti, dove ci fosse sempre almeno un guaritore pronto a prestare i primi soccorsi; dove i demoni indisposti potessero recuperare le forze. Ne erano morti molti, di youkai, sotto quella grande tenda. Sotto le mani della ragazza. Non era riuscita a salvarli. L’aceto era un buon antidoto, ma non sempre era sufficiente. Spesso i demoni avevano ferite tanto gravi che anche riuscendo a trattenere il loro youki non sarebbero sopravvissuti.

 

Sesshomaru era entrato più volte in quel luogo. E ogni volta un fortissimo senso di vertigine lo prendeva. L’ambiente era saturo dell’odore di aceto, di sangue, di sakè caldo che Alessandra faceva usare come disinfettante. Però, nessuno gridava. C’era solo un brusio sommesso. Quasi rispettoso dell’altrui agonia.

 

Alessandra era stata più volte allontanata da quel luogo con una scusa. Sesshomaru lo sapeva. Era a conoscenza del fatto che Inuyasha o Koga andassero a prenderla. Per farla riposare almeno qualche ora. Molto difficile. Se non era impegnata nella tenda, restava chiusa in camera a preparare nuovi rimedi. Almeno, parte del lavoro le era alleggerito dall’aiuto di Kagome, Ayame e Homoe. Lei dirigeva tutto, ma qualcuno accanto che l’aiutasse c’era. Anche perché, il Principe era perfettamente consapevole del fatto che i chirurghi presenti a palazzo erano più propensi a ostacolarla che ad aiutarla. Se solo ci avessero provato quando lui era presente…

 

Scosse la testa. Avrebbe voluto non doverla ai costringere a vedere ancora la morte. Avrebbe voluto che non dovesse più sentire l’odore del sangue. Inutile. Inutile. Lui era un demone e sangue e morte avevano sempre ruotato attorno a lui con una naturalezza impressionante. Erano sempre stati parte della sua vita, e non riusciva, per quanto si sforzasse, a immaginare un’esistenza diversa da quella. Era arrivato in alto. Giovanissimo, era stato reverito e acclamato, si era guadagnato il rispetto di moltissimi demoni più potenti e anziani. Era ancora un ragazzo. Eppure…quanti cadaveri avevano segnato la sua strada? Quanti esseri viventi, youkai o ningen, erano morti sotto i suoi artigli? Aveva sempre combattuto per il solo gusto di farlo. Per le sensazioni che gli venivano dall’youki che scorre impetuoso nelle vene.

 

Sesshomaru si ritrovò per la prima volta costretto a confrontarsi con se stesso. Non si sentiva in colpa per le uccisioni che aveva perpetrato. Erano nella sua natura demoniaca. Però, un brivido gli corse lungo la schiena. Cosa ne avrebbe pensato di lui Alessandra se davvero avesse conosciuto tutta la sua vita? Se fosse venuta a conoscenza di tutto quello che realmente aveva compiuto, gli sarebbe stata ancora al fianco? E…e se poi lo avesse visto nella sua vera forma? Cosa sarebbe successo se lo avesse visto combattere, quel giorno? Se avesse assistito al duello che doveva sostenere?

 

<<…Ti farei terrore…Vorresti solo fuggire lontano da me…Dal mostro che sarei ai tuoi occhi…>>

 

Se fosse stato necessario, sarebbe ricorso alla sua forma animale. Pur di non morire da solo. Pur di portare con se chi aveva osato scavalcare la sua autorità. E ferire Alessandra. Anche se sperò di riuscire a risolvere il tutto con la sola spada. In passato, ne sarebbe stato certo. Quel generale avrebbe potuto ucciderlo in un attimo. Adesso, invece…

 

Gli allenamenti con Inuyasha, doveva ammettere suo malgrado, iniziavano a dare i loro frutti: riusciva reggere un buon ritmo, prevedeva le mosse da sensazioni quasi impercettibili, schivava e affondava sempre con maggior precisione. Avesse avuto più tempo, sarebbe andato perfettamente preparato a quello scontro. Purtroppo, il tempo era una cosa che in quel momento gli faceva difetto.

 

Quando sentì bussare, non si mosse. Si limitò a ritrarre la man prima che qualcuno entrasse. Profumo di pesca. La miko che viaggiava assieme al suo fratellastro. E Rin. Ne avvertì la presenza, accanto a sé. La bimba lo abbracciò e gli posò la testolina sulla spalla. Aveva pianto tanto quando Alessandra era stata portata a palazzo. Fino a non aver più voce. Fino a tossire per riuscire a respirare; le sembrava che le lacrime le avessero bloccato la gola, la bocca, i polmoni.

 

Anche quando ormai si era certi che ad Alessandra non fosse capitato nulla di estremamente grave, Rin non era riuscita a calmarsi subito. Sesshomaru non era ancora arrivato e lei aveva tanta paura. Aveva lasciato Kiba fuori dalle stanze dell’youkai, ed era rimasta a fissare le persone salire e scendere per le scale che conducevano alla camera da letto. Nessuno le diceva nulla. Allora, si era rannicchiata in un angolino continuando a piangere.

 

Inuyasha l’aveva trovata così. Raggomitolata su se stessa, rannicchiata fra le ombre dello studio del fratello. Le si era inginocchiato accanto, per tranquillizzarla. Appena si era accorta di lui, Rin gli aveva gettato le braccia al colle e aveva nascosto il viso pieno di lacrime nel suo petto. L’hanyou l’aveva stretta e sollevata in braccio. Aveva cercato di tranquillizzarla passeggiando per lo studio, con pochi risultati. Quando però aveva visto finalmente Sesshomaru entrare dalla porta gli si era parato davanti mettendogli letteralmente in braccio la bambina.

 

“Ha bisogno di te”

 

Non gli aveva detto altro, e aveva raggiunto Kagome che lo stava chiamando dalla camera da letto del demone. Sesshomaru si era ritrovato stretto al petto il corpicino tremante della bambina. Non aveva più pensato e si era lasciato guidare dall’istinto. Come quando era vicino ad Alessandra. In quel momento, solo l’istinto gli avrebbe detto esattamente cosa fare per tranquillizzare Rin. Inconsciamente, si era resto conto che in quel frangente un ordine, per quanto la bimba fosse abituata a ubbidirgli, avrebbe solo aggravato la situazione. Aveva congedato koga con alcuni ordini da eseguire immediatamente e aveva chinato la testa verso il visetto rosso di Rin. Quasi senza accorgersene, Sesshomaru aveva iniziato a mormorare sommossamente una canzoncina. Come una ninna-nanna. Neanche lui avrebbe saputo da dove gli veniva, ma mano a mano che il tempo passava il suono si trasformava in parole, che uscivano sempre più chiare e sicure dalle sua labbra.

 

Grazie a quell’inaspettata cantilena, Rin si era calmata e addormentata in braccio al suo signore. Finalmente tranquilla. Solo allora il Principe si era deciso a salire per aver notizie di Alessandra. Il suo cuore aveva urlato per tutto il tempo, ma non se l’era comunque sentita di ignorare Rin. Aveva trovato Kagome vicino alla ragazza. E con lei c’era Inuyasha. Lo capiva dall’odore. Riusciva a definire la posizione di ogni cosa in quella stanza solo grazie all’olfatto.

 

“Se la svegli, te ne pentirai”

 

Inuyasha era rimasto dapprima sorpreso nel vederlo porgergliela, poi si era sfilato la giacca del kimono e vi aveva avvolto Rin, prima di scendere al paino inferiore. Dopo pochi minuti, aveva viso il fratello uscire. E sapeva benissimo dove stava andando.

 

Padron Sesshomaru…mi perdoni, ma…”

 

La voce gracchiante di Jacken. Era ora. Annuì, pur restando concentrato sul respiro si Alessandra. Le regalò un’ultima carezza e si alzò, facendo scivolare a terra Rin. Passò accanto a Kagome, ancora ferma sulla soglia, e si diresse al paino inferiore. Doveva prepararsi per il duello. Lasciò solo un sussurro, rivolto alla miko.

 

“Abbi cura di lei”

 

 

 

 

Un sibilo.

Vicinissimo. Sesshomaru piegò leggermente la testa ed evitò la lama. Appena pochi millimetri, e adesso sarebbe morto. Fendette l’aria davanti a sé, e con un salto distanziò il suo avversario. Cercava di recuperare la concentrazione e il fiato. Quel duello si stava rivelando più impegnativo del previsto. Aveva sperato di aver recuperato il suo svantaggio dovuto alla cecità, ma non si era fatto molte illusioni. Effettivamente, riusciva a reggere il ritmo e a parare, ma rischiava sempre molto e per on abbassare la guardia era costretto a limitare anche la portata degli attacchi. Il suo avversario, invece, aveva campo libero.

 

Eppure…eppure non poteva perdere. Quando sentiva la voce del generale che aveva davanti, il sangue gli ribolliva nelle vene. Aveva attirato al campo Alessandra con uno stratagemma. Perché sapeva che la ragazza non si sarebbe mai tirata indietro ad una richiesta di aiuto. Le aveva fatto credere che ci fosse un youkai in fin di vita. E lei si era precipitata fuori, nella notte, senza avvertire nessuno. Non ne avrebbe neanche avuto il tempo. Non ci aveva neanche pensato.

 

Al campo, la aspettava una brutta sorpresa. Di feriti non c’era traccia. Invece, quel generale l’aveva intrappolata nella sua tenda. Alessandra sapeva bene chi fosse. lo stesso che aveva provocato la morte del soldato sopravvissuto all’attacco ai confini. Si era scontrata ancora con lui, soprattutto negli ultimi giorni, quando aveva dovuto richiedere l’aiuto di uomini per la costruzione del padiglione da campo. Lui si era opposto, e la ragazza gli aveva risposto per le rime. Alla fine, solo un intervento di Kumamoto aveva evitato che la situazione degenerasse e il generale era stato costretto a ritirarsi.

 

Kumamoto aveva cercato di metterla in guardia, ma Alessandra non se l’era comunque sentita di rifiutare aiuto neanche a lui. Così, si era cacciata in un guaio. Erano soli, in quella tenda, e il demone la superava di molto in forza fisica. Alessandra non credeva per nulla all’incontro amichevole. Anche perché era stata attirata lì con l’inganno. No. Quel demone voleva qualcos’altro da lei. Lo capì da come la guardava, da come cercò di afferrarla e toccarla.

 

Alessandra non sapeva combattere, ma comunque non sarebbe rimasta inerte. Un po’ per sicurezza, un po’ per abitudine, portava sempre con sé almeno il tanto. Lo aveva afferrato ed era anche riuscita a ferire di striscio il suo aggressore, ma il generale si era spazientito del carattere ribelle della ningen. Con uno schiaffo l’aveva fatta cadere a terra, fuori dalla tenda. Rotolando, Alessandra aveva battuto la testa su una pietra, ed era rimasta svenuta a suolo. Inerte. Se non fosse stato per i lupi di Koga, aizzati in difesa della ragazza dall’Ookami, e perché il Sensei era andato ad avvertirlo dello scompiglio che c’era al campo, Sesshomaru non voleva neanche immaginare cosa sarebbe potuto succedere ad Alessandra. Alla sua Alessandra.

 

Digrignò i denti e riprese ad attaccare. Il generale, quando era stato colto in flagrante, contravvenendo agli ordini del Principe che aveva espressamente ammonito tutti i suoi subordinati a non osare toccare la ragazza, si era appellato al suo diritto di duello. Invece di essere sottoposto a un processo, il cui esito era scontato, aveva chiesto di battersi con il Principe, come era nei suoi diritti. E Sesshomaru non aveva potuto rifiutare. Adesso, era lì, che cercava di ristabilire la sua autorità e di farla pagare a chi aveva anche solo pensato di toccare Alessandra.

 

Tuttavia, nonostante il desiderio di rivalsa fosse fortissimo, l’inuyoukai dovette ammettere che non era ancora pronto per un duello simile. Abituato a scontrarsi col fratello nel silenzio della palestra, le voci, le grida, le imprecazioni degli uomini che delimitavano l’area dello scontro lo confondevano e gli impedivano di cogliere i particolari più sottili dell’avversario. Se non avesse trovato una soluzione in fretta, quel duello si sarebbe protratto troppo a lungo. E con un menico alle porte non era il caso.

 

“Para di tre quarti!”

 

Di riflesso, seguì quel consiglio, evitando senza difficoltà la lama dell’avversario. Non lo aveva percepito. C’era mancato davvero poco. Lo ricacciò indietro, e si getto su di lui. Di nuovo, quella voce lo mise in guardia, guidando il suo braccio a deviare un nuovo attacco. Nonostante tutto il rumore che lo circondava, Sesshomaru riusciva sempre a coglierlo, quel timbro vocale. Non era più forte degli altri, si confondeva con le altre voci, ma comunque era la più nitida che gli arrivasse alle orecchie.

 

<<…Chi sei?...>>

 

Pensò ad Alessandra, ma scartò subito l’ipotesi. Non era uno voce da donna. Era di un uomo. Anzi, di un ragazzo. Forse Koga. No. Neanche lui. Il demone-lupo gli era di fronte, oltre il suo avversario. La voce, invece, proveniva dalle sue spalle.

 

Riprese a duellare. Si faceva sempre più sotto, serrando l’avversario e non lasciandogli molte possibilità di fuga. E quando eccedeva troppo, quella voce distorta dalla lontananza era sempre pronta a richiamarlo. Ad avvertirlo del pericolo. Si fidò. Lasciò che fossero gli occhi di quella persona a vedere per lui.

 

“Taglia il vento!”

 

Sesshomaru si accorse solo in quel preciso istante che l’ultimo attacco lo aveva portato in ginocchio sotto il suo avversario. D’istinto, fece ruotare la katana e se stesso con lei, mentre si alzava in piedi. Tokijin tracciò un solco profondo nella carne del demone, che stramazzo al suolo privo di vita. Sesshomaru aggirò il cadavere e ne spiccò la testa, come voleva l’usanza per chi moriva in quel combattimento. Prima di colpire, però, aveva velocemente annusato l’aria. Niente. Non era stata di Alessandra la voce che lo aveva guidato nello scontro. Poco probabile, d’altro canto. Il sonnifero che gli aveva fatto bere era potente.

 

D’un tratto, il vento gli portò un odore conosciuto. E improvvisamente si ricordò con chi avesse provato quella tecnica che gli aveva dato la vittoria. Esistevano solo tre persone che l’avessero vista: una era morta, ed era suo padre; l’altra era Alessandra. La terza era quella contro cui l’aveva rivolta la prima volta, con il solo intento di mostrare la propria abilità.

 

<<…Inuyasha…Non è possibile…>>

 

Alzò lo sguardo alla torre che si affacciava sulla piazza d’armi. Nessuno. Nessun odore. Forse si era sbagliato. Rinfoderò la katana e si allontanò dal cortile, con Kumamoto e Koga. Doveva decidere le azioni militari per quel giorno.

 

Non vide il sorriso di soddisfazione che si delineò sul viso dell’hanyou. Inuyasha riemerse dalle ombre in cui si era nascosto. Anche se il fratello non lo poteva vedere, avrebbe percepito il suo odore se fosse stato vicino al parapetto come pochi istanti prima. Era andato ad assistere allo scontro come tanti altri, ma nel vedere Sesshomaru in difficoltà, anche se limitata, qualcosa si era ribellato in lui. Si era diretto alla torre e lo aveva guidato nel duello. La sua voce giungeva distorta ai sensi dell’youkai, Inuyasha lo sapeva bene, ma sperava che si fidasse di quel tono e ne seguisse i consigli.

 

E con sua grande sorpresa era avvenuto. Non ci aveva mai sperato, ma era accaduto. Sesshomaru si era fidato di lui. Anzi, di una voce forse sconosciuta. Anche se alla fine si era tradito, usando il nome di quel colpo. In quel momento, Inuyasha aveva avuto la conferma che il fratello si era battuto seguendo le sue indicazioni. Che la sua non era stata una semplice voce fra le altre mille.

 

Sorrise soddisfatto e incrociò le mani dietro la testa, incamminandosi verso gli appartamenti dello youkai. Adesso, voleva sapere se Alessandra si fosse ripresa completamente. Cosa di cui non dubitava neanche molto. Benché gli sembrasse quasi incredibile, suo fratello ci teneva a quella ragazza. Lo aveva capito da come aveva gito quella notte; dal fatto che si fosse precipitato da lei non appena aveva fatto imprigionare il generale; perché aveva passato ore a interrogare soldati e ufficiali con il preciso intento di sapere cosa era esattamente successo. Un interesse insensato se per lui Alessandra non avesse significato davvero niente.

 

<>

 

Spiccò un breve salto e atterro su un balcone più basso e da lì nei giardini del Principe. Suo fratello innamorato. Sembrava delirio anche solo il pensarlo. Eppure…eppure in fondo agli occhi dell’youkai c’era un’ombra nuova. Qualcosa che Inuyasha non aveva mai visto. Come davvero non si era capacitato del fatto di averlo sentito cantare, per tranquillizzare Rin. Anzi, era stato quasi sicuro che l’avrebbe fatta scendere a terra e ignorata. Invece…invece sembrava che anche l’inuyoukai avesse una specie di cuore. Un muscolo che batteva.

 

Sorrise amaramente, prima di salire nella camera da letto di Sesshomaru. In fondo, i miracoli non avvengono mai troppo spesso. E il Principe ne era stato già oggetto. Inutile illudersi troppo. Avrebbe potuto davvero amare Alessandra, ma lui non lo avrebbe mai degnato di nessuna considerazione.

 

<<…In fondo, resto sempre un mezzo-demone…Non sarai mai fiero di me…vero, Sesshomaru?...>>

 

 

  
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