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Autore: Nyra    03/09/2012    1 recensioni
Sono passati otto anni dall'ultima volta che Adam è stato allo ''Street Blue'', il campo estivo in cui passava tutte le estati. Era la sua casa. Ma ciò è stato possibile solo grazie a James, il suo migliore amico, il fratello che non ha mai avuto...la persona che amava. E ora che lui se n'è andato, dopo otto anni Adam è ritornato in quel luogo così familiare, che ora profuma di ricordi lontani. Ricordi di un passato che, come la pioggia, sono destinati a finire, a dissolversi... Ma l'odore della pioggia si sente anche dopo un lungo temporale.
Buona lettura a tutti.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un altro fulmine.
La luce accecante illumina il corridoio attraverso le grandi finestre di legno.
Percorri con passi lenti il tragitto che ti divide da quella stanza.
Hai le scarpe sporche di fango, i jeans sono bagnati, così come anche la tua giacca, la camicia, i capelli, tutto. Ma non ti importa. Non ti ha dato fastidio che le gocce ti bagnassero il viso.
Hanno nascosto il tuo dolore.
 
Corri.
Corri come non hai mai fatto prima.
Hai freddo, l’acqua ti entrata anche nelle ossa.
Hai il respiro pesante, il cuore stenta a stare al tuo passo, ma corri lo stesso.
 
Lo stesso dolore che ti ha travolto quella sera.
 
All’improvviso ti fermi e il freddo che credevi di sentirti addosso si trasforma in gelo.
I tuoi occhi sono fermi, vitrei.
La tua bocca si apre e si richiude, ma il tuo respiro si spezza.
Ti sembra che anche il tuo cuore abbia smesso di battere.
E la pioggia continua a cadere.
 
Scuoti il capo. Non devi pensarci perché potresti tornare indietro.
E poco più di due porte più in là, la vedi: la sua stanza.
Il vento fa sbattere le ante contro i vetri della finestra a te più vicina, facendoti sobbalzare.
Alcune gocce entrano attraverso le fessure dei vecchi cardini.
Passi una mano sul legno umido e di nuovo la tua mente inizia a vagare nel passato.
Serri le palpebre con forza e ti allontani di poco dalla finestra.
Ma qualcosa ti costringe a riaprirli e ritorni a guardare sulla base della finestra.
Sotto le tue dita percepisci qualcosa che non assomiglia al legno.
Vedi quella che sembra un vecchia gomma da masticare.
Non ci metti più di dieci secondi per ricordarti anche di quella.
 
Sei appena arrivato al campo estivo “Street Blue” e finora l’unica cosa che ti occorre è l’auto di tua madre che torni indietro a prenderti.
Stai passeggiando per il corridoio che conduce alle stanze da letto del dormitorio e una folla di ragazzini urlanti, forse di due o tre anni meno di te, ha pensato bene di darti il benvenuto sparandoti addosso palline di carta stracolme di saliva. Per staccartele ci hai messo più di un quarto d’ora e in quel tramite due zanzare ti hanno punto sul collo e sulla guancia. Ciliegina sulla torta, in questo posto c’è un odore molto strano e sei quasi sicuro che non si tratti solo del polpettone unticcio della mensa.
Sospiri, mentre ti chiedi perché mai i tuoi genitori abbiano deciso di lasciarti lì per tutto il resto dell’estate.
-Ne hai lasciata una.- dice una voce alle tue spalle. Ti volti e vedi un ragazzo alto più o meno quanto te, con dei capelli neri lunghi fino al collo e gli occhi blu. Dovrebbe avere più o meno la tua età e ti sta guardando insistentemente la spalla. Segui il suo sguardo e vedi che una pallina di carta è rimasta appiccicata alla tua maglietta arancione. La togli con una smorfia schifata, che fa ridere il ragazzo. Lo vedi avvicinarsi alla finestra dove ti sei appoggiato e ti accorgi che sta masticando una gomma.
-Non te la prendere.- Si toglie la gomma di bocca e la attacca sotto l’anta in legno della finestra. -Fanno così con tutti i nuovi.- aggiunge.
-Bene.- borbotti sarcasticamente.
Alzi di nuovo lo sguardo e vedi che il ragazzo ti sta fissando. Senti i suoi occhi correre dai tuoi capelli castani ai tuoi occhi verdi e poi sui tuoi vestiti.
Ti senti un po’ in soggezione, ma ricambi lo sguardo osservando anche tu i suoi vestiti. Indossa la divisa del campo, e cioè una maglietta bianca, dei pantaloni blu lunghi fino al ginocchio e un berretto celeste con su scritto “Street Blue”.
-Qual è la tua stanza?- ti chiede. Tiri fuori dalla tasca un bigliettino che la direttrice ti ha dato quando tua madre ti ha lasciato da lei. C’è scarabocchiato sopra il tuo cognome e poi un numero a penna.
-La 261.- dici, infilando nuovamente il bigliettino in tasca.
-La 261 è proprio davanti alla mia!- esclama, con un sorriso aperto.
-Bene, mi ci puoi accompagnare?-
Annuisce e ti fa strada.
Non appena arrivate davanti a quella che sarà la tua camera per tutto il resto dell’estate, lo ringrazi ed entri. Posi la tua borsa sul lettino e ti giri per guardare il piccolo tavolino accanto all’armadio, il comodino e la finestrella che dà sul boschetto dove giocano dei bambini.
Senti qualcuno schiarirsi la voce, ti volti e vedi di nuovo il ragazzo.
-Mi sono dimenticato di presentarmi.- Ti si avvicina, porgendoti la mano. –Mi chiamo James.- Il tuo sguardo cade sulla sua mano e poi di nuovo sui suoi occhi e non sai per quale ragione, ma questo James ti è già simpatico.
-Adam.- E ricambi la stretta.
 
Sorridi al ricordo del vostro primo incontro, quando avevate appena sedici anni. Sembra passata un’eternità.
Il tuo sorriso svanisce, meccanicamente. Succede ogni volta che pensi a lui, ormai: sorridi ripensando a un ricordo felice, ma poi quel ricordo sfuma e il tuo sorriso se ne va, così com’è venuto.
I tuoi occhi seguono le linee del legno della finestra, poi si posano sui vetri punteggiati da piccole gocce di pioggia e un altro fulmine illumina il tuo viso.
Quel fulmine ti riporta nel passato senza neanche chiederti il permesso e ti ritrovi ancora su quel prato, quella giornata di Luglio.
 
Il vento ti carezza il naso e le guancie, scosta appena i tuoi capelli dalla fronte.
-Adam?- La voce di James ti ridesta, volti il capo verso di lui e ti scontri con i suoi occhi blu. Ti piace guardarli, assomigliano al mare che hai visto quando sei andato in vacanza con i tuoi in Francia.
-Tu cosa vorresti fare?- ti chiede.
-In che senso?-
-Da grande. Dopo che avrai lasciato casa tua.- Ci pensi un po’ su, ma non trovi una risposta.
-Non lo so ancora.- Vedi gli occhi di James spostarsi a guardare il cielo. -Tu, invece, James?-
Un sorriso compare sulle sue labbra.
-Vorrei diventare capitano della marina militare e fare il giro del mondo. Anzi, no. Vorrei avere semplicemente una mia barca, una di quelle con le vele e vedere tutti gli oceani.- I suoi occhi brillano mentre comincia a raccontarti tutte le isole che visiterà e i pericoli che affronterà. E tu, senza neanche accorgertene, gli sorridi.
-Ovviamente indosserò lo stesso il cappello da capitano, sennò come farei ad affrontare i contrabbandieri!- esclama, entusiasta.
Ti metti a ridere al pensiero di James solo con un cappello da marinaio e una barca a vela davanti a un esercito di pirati, senza neanche una spada o un cannone. Ridi così tanto che James, infuriato, ti sale a cavalcioni sulla pancia.
-Cos’è il mio sogno ti fa ridere, filibustiere?!- urla, cercando di sembrare minaccioso ma tradendosi con un sorrisetto. E alla fine scoppiate a ridere insieme.
 
Serri la presa intorno al braccialetto che tieni in mano. Quello che tu gli avevi regalato.
 
-James!- lo chiami a squarciagola, vedendolo giocare a pallone con un gruppo di bambini.
Lui ti sorride non appena si accorge di te e lascia stare il pallone per venirti incontro.
Sono passate tre settimane da che non vi vedete, ma ti è sembrato un secolo. Lui è venuto a trovarti a casa tua, durante le vacanze di Natale, quelle di Pasqua e anche poco prima che finisse la scuola, ma ora sei di nuovo allo “Street Blue” e ne sei felice. Tua madre non ti aveva visto entusiasta, l’anno precedente, e aveva deciso di ritirarti, ma tu hai insistito per tornarci e lei ti ha guardato stupefatta. Non se l’aspettava
Ma come potevi rinunciare a vedere James per un’intera estate?
Non appena vi abbracciate, senti le sue braccia che ti stringono forte.
-Mi sei mancato, idiota.- dice contro la tua spalla e tu sorridi.
-Anche tu, Jamie.- Immagini la sua reazione e già inizi a ridere. Infatti lui li stacca da te e ti punta contro un dito.
-Piantala di chiamarmi così.- sibila, ma il sorriso che cerca disperatamente di nascondere ti istiga a ridere ancora.
-Jamie, Jamie, Jamie, la bella Jamie...- inizi a canticchiare quella canzoncina che lui detesta e alla fine anche lui non riesce trattenersi. Ti abbraccia di nuovo e tu sospiri beato. Essere di nuovo vicino a lui, tra le sue braccia, è paragonabile solo a una boccata d’aria fresca.
Dopo aver consumato la merenda, vi dirigete al prato dove passate la maggior parte del tempo.
Ti sdrai accanto a lui e osservi le nuvole bianche, così simili alla panna dei gelati.
All’improvviso ti ricordi del regalo che gli hai portato, ti tiri subito su a sedere e lui ti guarda curioso.
-Che hai?- ti chiede.
-Una sorpresa per te.- dici soltanto, prendendo dalla tasca il braccialetto che gli hai comprato. Fai in modo di non farglielo vedere subito e lo nascondi dietro la schiena. Lo chiudi in un pugno e poi porti entrambi i polsi davanti a lui.
-Scegline uno.-
Lui guarda i tuoi pugni in silenzio, poi alza lo sguardo verso di te e sorride, toccando con l’indice la tua mano destra. La apri ed ecco il braccialetto. E’ molto semplice, un cinturino di pelle a cui è legata una piccola ancora di bronzo.
James emette un sospiro sorpreso e poi si illumina con un sorriso.
-Questo…è per me?-
Sbuffi sonoramente e alzi gli occhi al cielo.
-No, è per l’albero.- dici, dandogli mentalmente dello stupido. -Per chi vuoi che…-
Ti travolge in un abbraccio e entrambi cadete sull’erba.
-Questo significa che ti piace?-
Annuisce contro la tua spalla e il tuo sorriso si allarga.
Quando si tira su glielo allacci al polso, lui lo guarda e lo accarezza. Poi il suo sguardo ricade su di te e un istante dopo le tue labbra sono attaccate alle sue. Sgrani gli occhi sorpreso e quando James si stacca, le sue pozze blu ti guardano con qualcosa che non riesci a definire.
-Questo è per ringraziarti.- E si distende sull’erba verde del prato.
 
Ti sfiori le labbra con le dita. E’ buffo, ti sembra di sentirle ancora, morbide e delicate sulle tue.
I tre giorni successivi lo hai evitato in tutti modi, neanche fossi una ragazzina delle medie.
Quando lui entrava in mensa, tu cambiavi posto. Quando c’erano gli esercizi sportivi, tu facevi finta di esserti fatto male e chiedevi di andare in Infermeria. Hai attaccato persino un foglio di carta con su scritto “Non disturbare. Sto dormendo” sulla porta della tua stanza.
L’hai fatto perché eri confuso. Hai tirato su tutta quella pagliacciata (perché lo era, eccome) solo per evitare di guardare ancora quegli occhi che sapevano leggerti dentro, perché temevi avrebbero potuto scoprire qualcosa che neanche tu conoscevi, qualcosa di cui avevi un timore assoluto. Ti rifiutavi anche di pensarci, quando la notte non riuscivi a chiudere occhio per colpa di due insistenti pozze azzurre e due labbra che proprio non ne volevano sapere di uscire dalla tua mente.
Lo hai anche sognato, più volte, e questo avrebbe dovuto farti capire che non potevi fuggire per sempre da quella situazione, che per giunta James fingeva di ignorare, come se non fosse mai accaduta. O come se se ne vergognasse.
Te ne sei reso conto quando i vostri occhi si sono incrociati, quel pomeriggio nella sala mensa, e tu hai voltato il capo troppo in fretta per non fargli capire che c’era qualcosa che non andava.
Lo ricordi come se fosse soltanto ieri.
 
Ti allontani correndo verso l’uscita della mensa, forse fin troppo platealmente.
Afferri la maniglia ed esci fuori, continui a correre per altri due o tre metri, poi ti fermi.
O meglio, qualcuno ti ferma.
Ti volti di scatto e vedi il tuo polso intrappolato nella presa di James, che ti guarda piuttosto arrabbiato.
E’ la prima volta che lo vedi così, con te almeno.
I suoi occhi si sono scuriti e le sopracciglia sono aggrottate.
Ed è fin troppo palese che non lascerà la presa sul tuo braccio.
-Vieni.- sbotta, trascinandoti verso il prato.
Non appena siete lì, cerchi di liberarti, ma la sua stretta è ferrea.
Lui si volta e nei suoi occhi, oltre alla rabbia e alla confusione, vedi anche una punta di dolore.
Il tuo cuore perde un battito solo a quella vista.
-Perché mi eviti? Che cosa ti ho fatto?-
Abbassi lo sguardo.
-Ti sei già scordato?- sussurri, ma lui ti sente lo stesso.
-Di cosa?-
Non hai voglia di girarci intorno e arrivi dritto al punto.
-Voglio sapere perché mi hai baciato.-
Tutti i sentimenti precedenti scompaiono dai suoi occhi, lasciando spazio solo alla sorpresa.
-Eh?- La sua espressione è qualcosa di incredibilmente ridicolo, ma sei troppo confuso persino per ridere di lui.
-Che significa?- chiedi ancora.
-Non significa niente.- Dovresti essere sollevato, invece sei più in agitazione di quanto lo eri prima.
Notando la tua espressione, lui alza gli occhi al cielo.
-Adam, era solo un bacio.- dice, con ovvietà.
Fa per aggiungere qualcos’altro, ma rimane con la bocca spalancata, senza dire nulla. I suoi occhi, increduli, sono fissi nei tuoi. Non sai cosa c’è nel tuo sguardo, ma dalla sua espressione immagini non sia affatto bello.
Poi lui sospira, come se avesse capito qualcosa che a te sfugge.
-Ma per te non era solo un bacio…- conclude. Ora sei tu quello che è rimasto a bocca aperta. Tuttavia ci rimugini sopra e ti rendi conto che…forse ha ragione.
Altrimenti perché avresti pensato e ripensato a quel bacio così tante volte?
Perché lo avresti sognato la notte?
Certo, eri parecchio sconvolto, ma se ti avesse turbato e basta ti saresti toccato le labbra immaginando quel momento prima di andare a dormire? Ti saresti chiesto se anche lui era sveglio e se ci stava pensando?
Ma il punto è: ti è piaciuto oppure no? E a lui?
No. Per lui “era solo un bacio”.
All’improvviso ti senti triste.
Che diavolo ti succede?
-Per te lo era invece.- Senti un bruciore pericoloso agli occhi. Ti volti e fai per andartene, ma il tuo polso è ancora bloccato nella sua presa.
-Lasciami.- Stai cominciando ad arrabbiarti.
-Adam, è meglio che ne parliamo.-
Con un strattone finalmente ti liberi, ma invece di andartene, lo affronti.
-Non dobbiamo parlare proprio di niente! Abbiamo già chiarito tutto.-
-Non è vero.-
Ha ragione, lo sai. Ma non vuoi ascoltarlo.
Ti volti, ma James poggia una mano sulla tua spalla.
Senti gli occhi farsi umidi. Almeno lui non può vederti così.
Poi le sue labbra si appoggiano suoi tuoi capelli e lo senti respirare il tuo odore.
Ti eri dimenticato che lui ti conosce, forse anche troppo bene. Sa persino come calmarti.
-Adam, quello era un bacio di ringraziamento. Mi dispiace se l’hai confuso con qualcos’altro.-
Il primo istinto è quello di scrollartelo di dosso, spingerlo a terra e magari dargli addirittura un pugno. Il secondo è quello di stare zitto e tornartene di sopra in stanza, chiudendo a chiave la porta.
Eppure non segui nessuna delle sue opzioni. Rimani lì, aspettando che lui aggiunga qualcosa, qualunque cosa.
Ma non lo fa.
E allora sei tu a voltarti e sei proprio tu a poggiare le tue labbra sulle sue, strappandogli un mugolio sorpreso e stupendo così anche te stesso.
Infatti appena te ne rendi conto ti allontani di un passo e chini il capo per evitare di guardarlo.
-Allora questo era un bacio per dirti addio.- pronunci quelle parole con voce funerea e poi, lasciandoti alle spalle solo il vostro silenzio, ti allontani.
Non hai visto il cielo annuvolarsi e non ti sei neanche accorto della pioggia che ha iniziato a cadere.
Almeno adesso la lacrima che ti scende sul viso verrà confusa con la pioggia.
 
Il ricordo di quanto è accaduto dovrebbe rattristarti e invece sorridi.
Perché?
Perché non era ancora finito.
 
Stai per varcare l’entrata del dormitorio. Sei bagnato come un pulcino e la tua divisa perde così tanta acqua che dovrai strizzarla nei bagni in comune fino a farle perdere tutto il colore.
Non vedi l’ora di avvolgerti nelle coperte e fare una lunga dormita.
Non hai voglia neanche di cenare.
Ma sembra che le tue speranze di un bel letto caldo siano vane, perché un mano ti afferra la spalla e ti tira indietro con violenza, facendoti quasi cadere.
-Che cos...?!- Le parole ti si bloccano in gola, o meglio, muoiono al contatto con le labbra di James, che ti ha afferrato per la maglietta, trascinandoti sotto la pioggia e stringendoti a lui con l’altro braccio. Sei scioccato, ma ciò non ti impedisce di tentare di spingerlo via.
Non ci riesci, ti stai trattenendo dal piangere e non senti più un briciolo di forza nei tuoi muscoli appena accennati. Ridotto come sei ora, non riusciresti neanche a sollevare un barattolo di marmellata.
James, non appena nota il tuo sforzo per allontanarlo, ti si avvicina di più e fa una cosa che ti gela il sangue nelle vene.
La sua lingua riesce a entrare nella tua bocca e si incontra con la tua. Inizia ad esplorare il tuo palato, saggiando il tuo sapore con foga. Poi, proprio come la tempesta sul mare, si calma poco a poco, finchè la presa su di te non si trasforma in una timida carezza, che ti fa arrossire.
E in quel momento preghi che lui tenga gli occhi chiusi abbastanza a lungo perché il tuo rossore se ne vada.
Ma lui li apre e i vostri occhi si incrociano. Il suo oceano e la tua foresta.
Dalla tua spalla la sua mano si posa delicata sulla tua guancia e la accarezza con il pollice.
E poi si stacca.
Hai il respiro corto, la tua mente è annebbiata.
Le sue labbra, ancora umide della vostra saliva, si arricciano in un sorriso malizioso.
Poi si avvicina al tuo orecchio.
-Quello che ti ho dato sul prato era un bacio di ringraziamento. Questo, invece, è quel tipo di bacio che intendevi tu.-
Si allontana e torna a guardarti faccia a faccia.
-Noti la differenza?- Alza un angolo della bocca con fare soddisfatto e i suoi occhi ti spogliano.
Serri le labbra, accorgendoti che per tutto il tempo le hai tenute aperte, e le copri con una mano, mentre un brivido percorre tutta la tua spina dorsale.
A quel gesto così timido e un po’ infantile, James scoppia a ridere di cuore ed entra nel dormitorio.
Non sai per quanto tempo sei rimasto lì fuori, forse un’ora o appena due minuti. Fatto sta che appena ti sei ripreso, hai alzato gli occhi al cielo e un sorriso è spuntato sincero sull’angolo destro della tua bocca.
Aveva smesso di piovere.
 
Ti allontani dalla finestra e raggiungi la stanza 261. Accarezzi la superficie in legno e il numero intagliato della tua vecchia stanza.
Poi ti volti e vedi la sua.
E ti sembra di vederlo ancora li, sulla soglia.
Improvvisamente ti torna in mente quella notte in cui non hai chiuso occhio, immaginandotelo che dormiva beato, mentre tu eri afflitto da mille pensieri.
 
Ti senti un tantino perplesso.
Allora, mente locale.
Ti ha baciato per ringraziarti.
Tu l’ha baciato perché…ok, è meglio tralasciare questo particolare, visto che neanche tu lo sai.
(Per fargliela pagare in qualche modo? Per chiudere con lui anche se non c’era niente da chiudere?)
Lui ti ha ribaciato.
Ma la domanda che ti frulla in testa da undici lunghissime ore, durante le quali non hai chiuso occhio nemmeno per un minuto, è la seguente:
Perché l’ha fatto?
Le possibili risposte:
1. Per darti una lezione sull’uso esatto dei vocaboli e sui gesti appropriati di ringraziamento tra coetanei.
2. Si è voluto vendicare in qualche strano modo a te completamente sconosciuto, o perlomeno incomprensibile.
3. Ti è sfuggito qualcosa.
Finora ritieni che la tre sia la più appropriata.
Ti servirebbe un consiglio utile.
Il tuo buon senso ti dice di parlarne con lui.
…Forse dovrai attaccare sulla bacheca dell’entrata del dormitorio un foglio con scritto: “Cercasi consigli disperatamente!”
Ti rigiri nel letto per la mezz’ora successiva, poi finalmente riesci a dormire almeno un paio d’ore.
Quando ti svegli, hai perso la colazione.
Ti siedi a uno dei tavoli della mensa, deserta tranne che per qualcuno che gioca a carte, stanco e con un grosso buco allo stomaco.
Poggi la guancia sulla superficie del tavolo, senti il sonno ritornare e sospiri beatamente, sperando di risvegliarti in tempo per il pranzo.
-Ehilà!- L’urlo di qualcuno ti fa sobbalzare sulla sedia con un grido. Ti volti profondamente incazzato verso il tipo che ti ha urlato alle spalle, trovandoti davanti la causa della tua notte insonne.
James ti sorride.
Ora l’idea di prenderlo a pugni non è poi così orrenda.
Ma qualcosa ti trattiene e no, non sono i suoi occhi, ma bensì un invitante odorino proveniente dalla busta di carta che tiene in mano.
James, notando il tuo sguardo famelico rivolto verso il sacchetto, fa una risatina e comincia a dondolarlo davanti al tuo naso.
Alla fine ti rendi conto di quanto idiota possa essere quella situazione e afferri il sacchetto, trovandoci dentro un cornetto.
Quelli della mensa non hanno il minimo sapore, ma la fame è fame e lo addenti senza pensarci due volte.
James ride sonoramente e si siede accanto a te.
-“Grazie James per avermi tenuto da parte un cornetto visto che non sono sceso in tempo per fare colazione.”- dice, con la voce che ti pare quella di una maestrina delle elementari che insegna l’alfabeto a un bambino.
-Grazie.- borbotti tu, tra un boccone e l’altro.
Quando hai finito, senti il tuo stomaco rilassarsi soddisfatto.
-Hai un aspetto orribile.- commenta James.
-Grazie, sei gentile.- rispondi, lanciandogli un’occhiataccia.
-Si può sapere che ti è successo?- Il suo sguardo è fisso sulle tue occhiaie scure.
-Non ho dormito molto bene.- “A causa tua”, aggiungi nella tua mente.
-A causa mia?- Ti volti, sbalordito. -Prima che tu me lo chieda, non ti leggo nel pensiero.-
-Accidenti. Quindi la mia ipotesi che tu sia un vampiro è da scartare?- commenti, sarcastico.
-Completamente.- sorride. -Comunque, non hai dormito per me? Mi sento lusingato.-
-Semmai dovresti sentirti in colpa.- sbotti.
-E perché? Mi piace sapere che riempio anche le tue notti.-
Arrossisci di botto. Forse sei addirittura color melanzana.
Ma che diavolo va dicendo?!
-Dai, alzati. Ci aspetta una lunga giornata.- E si avvia verso l’uscita, lasciandoti ancora più perplesso.
 
Stavolta ridi sul serio al ricordo e ti senti sollevato dal sapere che non c’è nessun’altro, a parte te e alcuni animatori in riunione con la direttrice, allo “Street Blue”.
Ti calmi quasi subito, appena posi nuovamente lo sguardo sulla sua porta.
Sarà cambiata molto dall’ultima volta che ci sei stato?
Accarezzi la maniglia ed entri.
 
Spalanchi la sua porta senza pensarci troppo.
Ma lui non è lì. Strano.
Eppure non l’hai visto alla mensa in compagnia di…quella.
Ti tornano in mente i giorni successivi a quella famosa giornata di pioggia.
James ti ha trattato esattamente come prima. Ti invitava a giocare a pallone ma tu rifiutavi, dato che quel gioco non ti era mai interessato, ma lui insisteva perché tu gli facessi il tifo ugualmente. Alla mensa vi sedevate vicini e lui ti raccontava del più e del meno. Durante le corse mattutine deviavate verso il vostro prato e poi vi infilavate di nuovo nel gruppo. Sei finito anche in infermeria e lui ti ha seguito. Non appena l’infermiera si è allontanata, si è sdraiato accanto a te e ha iniziato a farti il solletico.
Considerato questo, avresti dovuto riuscire a dimenticare quei baci, cosa potevano significare e cosa no.
Se non fosse per un dettaglio: James non perdeva mai occasione per stamparti un bacetto sulle labbra. E se non sulle labbra, pericolosamente vicino.
Gli chiesto una mezza spiegazione, una sera dopo cena, e lui ti ha risposto che era un normale saluto tra voi due.
L’ha detto con così tanta tranquillità che ci hai quasi creduto, quasi.
Finchè al campo non è arrivata una ragazza nuova, Olivia, che vedendolo baciarti a stampo sulla bocca ha sgranato gli occhi e si è avvicinata, chiedendovi se eravate fidanzati. E in quel momento hai avuto la conferma che non era una cosa “da amici”.
Hai negato, arrossendo come un peperone.
James ha riso e basta.
Poi vi siete presentati.
E da quel momento Olivia si è attaccata al tuo migliore amico come la colla.
Non siete riusciti quasi più a vedervi, se non c’era di mezzo anche lei.
Era una ragazza molto divertente e anche carina, tuttavia tu non riuscivi proprio a sopportarla.
Persino alla mensa si autoinvitava al vostro tavolo e allora tu venivi ignorato, mentre lei parlava e parlava.
Olivia di qua, Olivia di là, e alla fine non hai resistito più.
Quella mattina a colazione ti sei alzato, hai borbottato qualcosa e te ne sei andato sbattendo la porta.
E James non ti ha seguito.
A quel pensiero ti sei fermato.
Perché avrebbe dovuto seguirti? Non c’era ragione.
…O avresti voluto che lo facesse?
Tutto il resto della mattina e del pomeriggio lo hai passato da solo. Poi, verso l’ora di cena, sei ritornato alla mensa. E li hai visti.
Olivia e James, che si baciavano.
E qualcosa dentro di te si è spezzato.
A questo ricordo ancora senti la mano bruciare, dopo il pugno che hai dato a un albero lì vicino.
Non hai perso sangue, ma fa male lo stesso, quasi quanto il tuo cuore e il tuo stomaco.
Sei rimasto a guardarli per un tempo che pareva infinito, anche se si trattava soltanto di pochi attimi. Poi ti sei messo a correre verso il dormitorio, più veloce che potevi.
Lì hai preso a pugni il leccio, ma non era ancora abbastanza.
Qualcosa ti ha spinto a tornare indietro a cercarli. Dentro la mensa hai visto Olivia chiacchierare allegramente con delle sue amiche e hai sentito qualcosa nel tuo stomaco formicolare.
Ma non hai avuto tempo di pensarci. James non era lì.
Sei tornato verso il dormitorio e ti sei fermato davanti alla sua porta.
Non sapevi cosa speravi di ottenere, avevi solo una gran voglia di urlare.
Così te ne sei fregato delle conseguenze e hai spalancato le porta della stanza, trovandola vuota.
Ed eccoti qua.
Pesti un piede in terra e calci con violenza il pallone accanto al tavolino, che rimbalza sulla parete andando a colpire in pieno la lampada sul comodino.
“Dove diamine è finito?!” ti chiedi, sbuffando.
Fai dietro-front e non resisti all’impulso di sbattere la porta con tutta la forza che hai.
Anche se ci fosse qualcuno, non te importerebbe nulla.
Sospiri e poi rientri nella tua stanza.
E il cuore perde un colpo.
James, seduto sulla sedia della tua scrivania, ti guarda con un sorriso pienamente soddisfatto.
-Allora aveva ragione lei.- dice, più a se stesso che a te.
-Chi?-
-Olivia.- Il suo nome fa nascere un lampo omicida nei tuoi occhi e serri i pugni fino a sbiancarti le nocche. Lui trattiene a stento una risata e la cosa ti fa parecchio incazzare.
Si alza e ti viene incontro.
-Ci hai visti vero?- pronuncia la domanda con sadico divertimento, cosa che non aiuta affatto i tuoi nervi. -Mentre ci baciavamo.- aggiunge. Serri i denti in una morsa d’acciaio, ficcandoti le unghie nei palmi delle mani.
Poi, improvvisamente, ritrovi la calma e ti rilassi. Ti sposti, indicandogli la porta.
-Esci, per favore.- dici, tranquillo.
-Adam, non mi dire che sei davvero geloso!- esclama, con un certo entusiasmo che a te fa ribollire il sangue. Ma no, devi stare calmo.
-Credo che tu abbia sbagliato stanza. La tua è quella di fronte.-
-Adam.-
-Esci.- Stavolta lo sibili, minaccioso. Lui si para di fronte a te e vi guardate negli occhi.
-Sei geloso?- I suoi occhi ti squadrano con attenzione, pronti a vedere la risposta nei tuoi.
Non rispondi.
-Il silenzio vale come affermazione?-
-Ti pregherei di uscire dalla mia stanza e tornartene nella tua.- dici un’ultima volta, sperando che ti dia ascolto.
-Lo farei se tu non l’avessi distrutta.- Ora, una persona normale sarebbe arrabbiata. James, invece, sorrideva beatamente.
-Non ho distrutto proprio niente. Ho solo spalancato la porta.-
-E calciato il mio pallone contro il resto della stanza.-
Sbuffi sonoramente.
-Come ti pare, ora vai.-
-Perché? Se sei entrato in camera mia significa che mi cercavi. Dimmi.-
-Non ho assolutamente niente da dirti.- Chiudi gli occhi con fare altezzoso, avvicinandoti alla porta.
Una mano sbatte sul legno accanto al tuo viso, impedendoti di aprirla, mentre il suo petto si poggia sulla tua schiena. James si è alzato di qualche centimetro rispetto a te e mai hai odiato quel particolare tanto quanto adesso. Ti fa sentire indifeso e la cosa non ti piace.
-Non hai nessun motivo di essere geloso.- sussurra vicino al tuo orecchio.
-Non sono geloso.-
-Davvero? E questo cos’è?- Prende la tua mano ferita, carezzando il punto dolente. La allontani con uno strattone e te la porti al petto. Il tuo cuore batte così forte che hai paura ti venga un infarto.
-Non sono affari tuoi.- sbotti.
-Adam, io e Olivia non ci siamo baciati.-
-Ah, bene! Quindi ho problemi di vista?-
-No. Intendevo che non ci siamo baciati per quello che pensi tu. E’ stata lei a propormelo.-
Il suo profumo entra prepotentemente nelle tue narici, fino a raggiungere i polmoni. Hai la sensazione di essere ubriaco.
-Perché?- Ti senti spaesato. La voglia insensata che hai di abbracciarlo sta diventando troppo forte.
-Per vedere la tua reazione.-
Hai sentito male.
Per forza.
Dev’essere senz’altro così. Non ci hai sentito bene.
-Cosa?- chiedi, la tua voce trema.
-Ci siamo baciati per vedere se ti dava fastidio. Eravamo d’accordo.-
Questa volta hai sentito bene.
Chini la testa, tremi visibilmente.
-Adam?- La sua voce è preoccupata e fa bene ad esserlo.
Ti volti di scatto e gli lanci un pugno dritto sullo stomaco, facendolo piegare in due con un gemito strozzato. E’ la prima volta che lo prendi a pugni, o meglio, che prendi a pugni qualcuno.
-Sei un bastardo!- urli, infuriato. Gli occhi ti bruciano e lo stesso vale per la mano con cui l’hai colpito, che è la stessa che ha preso in pieno l’albero alcuni minuti prima.
Si rialza e sul suo volto c’è ancora il sorriso.
La mano formicola pericolosamente. Hai voglia di togliergli quel sorrisetto dalla faccia a suon di legnate.
Il tuo pugno scatta nuovamente, ma stavolta James ti blocca, spingendoti contro la porta e privandoti di ogni via di fuga. Ti costringe a guardarlo, prendendoti il mento con le dita.
-Sei geloso, Adam?- chiede ancora.
-Stronzo!-
Sorride a trentadue denti.
-Mi va bene anche questa risposta.- E ti bacia, posizionando una gamba tra le tue.
Fai resistenza, ma non appena le vostre lingue si mettono a giocare e il suo sapore invade il tuo palato, ti lasci andare e circondi il suo collo con le braccia, stringendoti a lui come se la tua vita dipendesse da questo.
 
La stanza è esattamente come la ricordavi. Sul muro c’è ancora il segno che ha lasciato il vecchio pallone sporco che avevi calciato. La lampada è stata cambiata.
L’armadio è vuoto, così come i cassetti della scrivania, ovviamente.
Ti avvicini alla finestra. Il paesaggio è sempre lo stesso.
La apri, facendo vibrare i vecchi cardini, e respiri a pieni polmoni l’aria fresca dell’autunno. Non ha ancora smesso di piovere, ma almeno i fulmini non ci sono più.
Ti sporgi un po’ alla tua sinistra e riesci a vedere il vecchio albero che hai preso a pugni.
Fortunatamente, col tempo, il brutto ematoma se n’è andato, anche se hai dovuto tenerlo fasciato per un mese intero.
Ancora ricordi l’espressione di Olivia quando ti ha visto.
 
-Oh, santo cielo!- esclama Olivia, guardando la tua mano gonfia e violacea. La sua faccia è divisa tra l’orrore e lo sconcerto. –Non pensavo vi sareste addirittura picchiati!-
James scoppia in una risata, che ti fa arrossire. Non ti sei mai accorto di quanto potesse essere chiara e melodiosa.
-No, no, tranquilla. Non ci siamo picchiati. O, almeno, io non gli ho fatto niente.-
Gli lanci uno sguardo di ghiaccio, mentre Olivia prende la tua mano e la osserva come fosse un oggetto proveniente da un’altra galassia.
-Quindi lo hai picchiato tu?- Si volta verso James, sbalordita. -Ma che sei fatto di roccia?!-
A questo punto ridi anche tu.
-No, me lo sono fatto…prima. Incidente.- James ti guarda con un sopracciglio alzato. Gli hai raccontato la storia dell’albero dopo che avete…smesso di baciarvi, a patto che non lo dica a nessuno.
-Ah, allora sarà meglio che vai a medicarla.- dice, indicando la tua mano.
-Ti accompagno.- si offre James. –Vieni anche tu?- chiede poi a Olivia.
Lei ti fa l’occhiolino e ti chiedi cosa voglia intendere con quel gesto.
-No, no. Devo incontrarmi con delle mie amiche. Andate pure voi.- dice, salutandovi con un cenno della mano prima di dirigersi verso la mensa.
-Forza, muoviti infortunato.- dice poi James, scompigliandoti i capelli.
-Di chi sarà la colpa?- borbotti, mentre entrambi vi dirigete in Infermeria.
Sorridi.
James non ti ha lasciato l’altra mano per tutto il tempo.
 
Ti allontani dalla finestra e guardi verso il suo letto.
Arrossisci ancora come un ragazzino.
Ci avete provato.
Pioveva forte, era notte fonda e c’erano i fulmini.
Hai bussato timidamente alla sua porta, portandoti dietro il cuscino.
Ti sei steso sul letto con lui, stavate stretti l’uno all’altro per scaldarvi. E lui ti ha baciato.
Le sue labbra erano calde sulle tue, le sue mani ti infondevano un’enorme dolcezza ovunque ti toccasse.
Ma all’ultimo istante, quando la sua mano ha sfiorato il tuo membro, non ce l’hai fatta e gli hai chiesto di fermarsi.
Non avevi paura, né ti faceva schifo.
Solo non eri pronto, ancora.
E lui ha detto la stessa cosa. In quel momento ti sei sentito in colpa, pensavi che lui lo volesse fare davvero, che lo desiderasse ma era troppo buono per dirtelo.
Le lacrime sono scese copiose dai tuoi occhi, mentre non facevi che ripetere “Mi dispiace”.
Lui ti ha accarezzato i capelli e ti ha sorriso.
“Va tutto bene” ha detto e hai capito che era sincero.
Ti baciato un’ultima volta e poi ti ha stretto tra le sue braccia, iniziando a cantarti una ninna nanna inventata sul momento.
Ti senti uno stupido, perché la ricordi ancora.
 
-Ho oltrepassato le onde
Volando sopra gli abissi più profondi
Mi lasciavo sospingere dal vento
Verso terre sconosciute
Ho viaggiato a lungo
Nella mia solitudine
Solo per raggiungerti
Perché il pensiero dei tuoi occhi
Mi impediva di piangere
Correvo verso le tue braccia
Per non lasciarti mai più
Nonostante il dolore
E tutte le lacrime
Io volavo da te
E tu mi dicesti che “Andava tutto bene”
E ora è giunto il momento
Sto tornando da te
Mio unico amore
Torno da te
E tutto andrà bene
Resisti ancora un po’
Rispetterò quella promessa
E tutto andrà bene
Sarò sempre lì per te
Mio unico amore
E andrà tutto bene.-
 
E scoppi a piangere, come sempre, bagnandoti tutta la faccia nel tentativo di far sparire le lacrime. Aveva una voce così melodiosa, così piacevole.
E il pensiero che non potrai più ascoltarla ti strazia il cuore. Un dolore lancinante alla testa quasi ti fa precipitare a terra. Dopo tutto questo tempo, ancora piangi.
Sei uno stupido.
Ti appoggi al muro, dandogli un pugno e fregandotene del dolore e del sangue.
E ti chiedi perché dev’essere tutto così ingiusto.
Pensi a quanto sei stato egoista, dopo che se n’è andato, incolpandolo per averti lasciato.
Ti chiedi se abbia pensato a te, in quel momento.
Se se ne sia accorto.
E senti la vista appannarsi di nuovo.
Guardi di nuovo fuori dalla finestra.
Sono passati otto anni, da quando è accaduto. Otto anni che non venivi in quel posto, tormentato dai ricordi.
Però hai avuto il coraggio di tornare, lui dovrebbe essere fiero di te.
Adesso ti chiedi se quello che ha detto la direttrice sia vero oppure una pallida bugia per consolarti.
Sono certa che lui ti guarda da lassù.
Era una bugia, sicuramente.
Sorridi.
James era un marinaio nel cuore, non se ne sarebbe mai andato in cielo. Lui avrebbe viaggiato per mare a bordo della barca a vela dei suoi sogni, avventurandosi negli oceani.
Lui ti guarda.
Istintivamente porti il volto verso il cielo scuro, la pioggia ti bagna i capelli.
-Mi manchi.- sussurri, chinando il capo. –Mi manchi da morire.- E le lacrime cadono ancora.
Ti allontani, chiudi la finestra, ed esci dalla stanza.
Sospiri, affranto.
Guardi le tue scarpe sporche di fango e umide di pioggia e i ricordi tornano da te, riportandoti a quella sera di otto anni prima.
 
L’ultimo giorno dell’ultima estate allo “Street Blue” è passato.
Alla mensa, durante la cena, tutti hanno festeggiato ballando e cantando a squarciagola.
Olivia, seduta accanto a te, si è messa a piangere, ricordando tutti i bei momenti che abbiamo passato insieme.
Tu l’hai abbracciata, dicendole che avrete comunque modo di vedervi, anche se non al campo.
Hai scoperto che è una ragazza davvero speciale ed è diventata una tua grande amica, dopo quel piccolo malinteso.
Per quanto riguarda James, lui è seduto accanto a te e ti tiene la mano.
Ora state insieme e Olivia, quando lo ha saputo, vi ha baciati entrambi commossa.
Sei rimasto di sasso da quella reazione, invece James ha riso.
Poi ti ha preso in braccio e ti ha baciato appassionatamente, neanche foste in un film, e ha guardato Olivia con finta arrabbiatura, dicendole che eri solo suo e che da quel momento chiunque ti avrebbe baciato avrebbe dovuto vedersela con lui e i suoi calci micidiali.
Sei scoppiato a ridere e l’hai baciato a tua volta, togliendogli il fiato e minacciandolo di spaccargli la testa con il suo pallone se avesse osato baciare ancora qualcun altro oltre te.
La sua faccia scioccata era così adorabile che ti viene da ridere al solo pensiero.
-Che hai da ridere?- dice lui, guardandoti con curiosità.
-Niente, niente.- dici in fretta, trattenendo un sorrisetto.
-Perché ho l’impressione che centri con me?- Lo guardi nei suoi occhi blu come l’oceano.
-Perché ormai tutto quello che penso riguarda te.- dici, con un sorriso.
James arrossisce e tu e Olivia lo guardate a bocca aperta.
Poi lui posa una mano dietro il tuo collo e ti trascina a un soffio dalle sue labbra.
-Idem.- bisbiglia, prima di baciarti intensamente. Sei sicuro che tutto l’amore che prova per te sia racchiuso in quel gesto e il semplice fatto che l’abbia fatto davanti a tutti, ti fa battere il cuore all’impazzata. Perché James è fatto così. Per quanto sappia usare bene le parole, quando si tratta di esprimere i suoi sentimenti lo sa fare solo a gesti. E a te sta benissimo così, ti piace quando ti dimostra il suo affetto.
E’ successa la stessa cosa quando tu, dopo un allenamento di tennis, gli hai detto di amarlo.
La sua reazione è stata istintiva, ha lasciato cadere a terra la racchetta e ti ha preso tra le braccia.
Ti ha appoggiato alla rete alta a bordo campo e ti ha baciato profondamente, fregandosene delle ragazze che vi guardavano dall’altra parte e vi facevano un applauso di incitamento.
Tu l’hai abbracciato a tua volta e non vi siete staccati finchè una ragazza del gruppetto ha urlato il nome dell’allenatore, salvandovi la pelle.
James l’ha poi ringraziata baciandole la mano.
Tu l’hai tirato via per un orecchio e lei è scoppiata a ridere, tornando poi dalle sue amiche.
A quel pensiero non puoi che arrossire.
Dopo un po’, James si alza, dicendo di voler tornare al dormitorio per finire di preparare le sue cose. Prima di andarsene, si avvicina al tuo orecchio.
-Dopo devo dirti una cosa importante.- E sorridente se ne va, chiedendo la porta della mensa dietro di sé.
 
Quella è stata l’ultima volta che l’hai visto sorridere.
Tiri fuori dalla tasca il suo braccialetto e lo stringi forte, sperando che ti sorregga in qualche modo, mentre il resto di quella notte riaffiora nella tua mente.
 
L’ora successiva l’hai passata con Olivia e il resto del gruppo, a festeggiare.
Poi non hai più resistito, al pensiero di James che doveva dirti quella cosa importante.
E adesso stai salendo le scale verso il corridoio che porta alle stanze del secondo piano, dove si trova la sua.
Ti senti emozionato e ti chiedi se lui voglia dirti proprio quello che pensi.
Bussi alla sua porta, annunciando la tua presenza, ma nessuno risponde.
Allora entri, trovando la porta aperta.
-James?- lo chiami, ma la stanza è vuota.
Richiudi la porta ed entri nella tua camera, sperando di trovarlo lì. Ma resti nuovamente deluso.
Torni indietro, alla mensa, e incroci Olivia. Le chiedi se ha per caso visto James e lei risponde che da quando ha lasciato la mensa non l’ha più visto.
Inizia a piovere.
Cominci ad agitarti. Dove può essere finito?
Accortasi della tua agitazione, Olivia ti propone di cercarlo insieme.
Andate vicino al prato ma lui non c’è.
Cercate nei dintorni del dormitorio, ancora niente.
Alla fine decidete di dividervi. Olivia va ai campi di allenamento, tu invece verso il lago.
Ogni passo che fai ti senti più preoccupato, finchè non ti decidi a correre.
Percorri una larga distanza ma di lui nessuna traccia.
Cerchi di mantenere la calma e immagini lui che ti abbia cercato a sua volta, vedendo che non arrivavi, e che forse con l’arrivo della pioggia si sia andato a riparare all’entrata del dormitorio.
Così giri i tacchi e torni indietro. Il cuore ti batte forte nel petto e hai una brutta sensazione.
Corri.
Corri come non hai mai fatto prima.
Hai freddo, l’acqua ti entrata anche nelle ossa.
Hai il respiro pesante, il cuore stenta a stare al tuo passo, ma corri lo stesso.
All’improvviso ti fermi e il freddo che credevi di sentirti addosso si trasforma in gelo.
I tuoi occhi sono fermi, vitrei.
La tua bocca si apre e si richiude, ma il tuo respiro si spezza.
Ti sembra che anche il tuo cuore abbia smesso di battere.
Vedi James. A terra.
Ti precipiti accanto a lui, non riesci a respirare.
Vedi il suo volto e i capelli bagnati dalla pioggia. Le palpebre sono chiuse, le labbra semiaperte.
Tocchi la sua mano ed è fredda.
-No…-
Ti rifiuti di pensarlo. Non può essere.
Forse è solo la pioggia.
-James, alzati.- gli dici. –Dai, dobbiamo tornare.- dici ancora, scuotendogli una spalla.
Ma lui non si muove.
-James…-
E il suo respiro non c’è.
La tua mano tremante si avvicina al suo collo, raggiunge la vena.
E il battito non c’è.
-James!- lo afferri per la giacca, scrollandolo con forza. –Non farmi certi scherzi! James! Svegliati!- Il suo corpo è come quello di un burattino, immobile e…
-NO!- piangi disperato, poggiandoti sul suo petto e abbracciandolo con forza.
E la pioggia continua a cadere.
Nell’aria ti sembra di sentire quella canzone, mentre cadi in un sogno soffuso. Tu e lui che giocate sul prato e tu che gli regali il braccialetto.
L’ultima cosa che ricordi è la tua mano che si stringe con forza alla piccola ancora che gli hai regalato, bagnata dalla pioggia e dal fango.
Poi perdi i sensi.
 
Vi hanno trovati abbracciati, alcune ore dopo.
Da quel giorno non sei più riuscito a tornare in quel posto.
Hai passato otto anni a cercare di trovare una causa, anche in te stesso.
I medici ti hanno detto che si è trattato di un attacco cardiaco improvviso.
Tu non sapevi cosa pensare. Volevi solo riaverlo con te.
Hai conservato il braccialetto perché speravi, nel profondo del tuo cuore, di rivederlo un giorno.
Ma così non è stato.
E ora, dopo tutti questi anni, sei riuscito a tornare.
-Sono tornato da te.- dici, guardando la sua porta come se lui potesse sentirti.
Ti rigiri il suo braccialetto tra le mani e lo annusi.
Ti sembra di sentire ancora il suo odore.
Poi lo appoggi alla maniglia, mentre un tenue raggio di sole illumina la piccola ancora di bronzo.
-Ciao, Jamie.-
Sorridi, mentre una lacrima bagna il tuo viso. E glielo prometti, questa sarà l’ultima che verserai per lui.
Ti allontani senza voltarti indietro e silenziosamente dici addio anche a quel posto.
Appena varchi la soglia, guardi in alto nel cielo.
 
-Adam?-
-Si?-
-Guarda. Ha smesso di piovere.-
 
 
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
[Angolo dell’Autrice]
Spero vi sia piaciuta, ma anche se così non fosse ci terrei a sapere che ne pensate. In entrambi i casi, insomma^^
 

  
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