Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: sleepingwithghosts    03/09/2012    2 recensioni
Avevo voglia di fumare. Non avevo voglia di alzarmi.
Sospirai, e chiudendo gli occhi sentii i passi delicati di mamma avvicinarsi, il suo bacio umido sulla fronte, le sue mani sulle mie costole, il peso del lenzuolo e di una coperta a schiacciarmi sul materasso, la porta chiudersi.
Ero sola, di nuovo, con la mia pelle sottile, una voglia di nicotina indescrivibile e tanto freddo, persino dentro il cervello svuotato dall’alcol. Attorno e dentro me freddo, solo tanto freddo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I've lost who I am and I can't understand why my heart is so broken.  

 

Suggerimento musicale (canzone da cui deriva il titolo, canzone che mi ha sempre ispirato per loro, canzone che è l’amore, canzone che… la smetto): http://www.youtube.com/watch?v=w_LOOKssMpA

 

Gli stavo mordendo ancora una volta il labbro inferiore, quello che gli sporgeva un po’, quello che ormai sanguinava. Sentivo le sue mani pesanti sui fianchi, le gambe fra le mie, che spingevano per aprirle di più. Mi sfiorò il naso con il suo, mentre ansimavo. I suoi occhi sembravano più grandi, profondi, accesi di eccitazione com’erano. Ammettevo a me stessa che era bello da morire, che profumava di pulito, e che scoparlo era decisamente piacevole.

Gli baciai l’incavo del collo e feci scendere le mani sul suo corpo, lentamente, come sapevo fare. Gemé. «Cazzo», boccheggiò. Mise una mano sopra alla mia prima che arrivassi al suo membro. «Non siamo ne fatti ne ubriachi. Sei sicura di volerlo?».

Ero sicura di volerlo fare? No. Ma mi sarei sentita di merda a farlo godere, quindi annuii. Non era il caso di parlare, per qualche strana ragione mi capiva meglio di chiunque altro, e non mi conosceva nemmeno un po’. Con la bocca scese fino alla mia pancia, lasciandosi dietro una scia di baci. Mi contrassi: faceva ancora male. La pancia, i fianchi, le cosce. Tutto doleva ancora, come a ricordarmi quello che era successo. Non che avessi scelta, i lividi erano ancora lì, ben visibili, scuri e malati. Seth mi guardò con dolcezza, ma io gli tirai i capelli. «Non ti fermare». Con incredibile lentezza, allora, fece entrare due dita dentro di me, da sotto la biancheria. Gemetti. Era cominciata la tortura che conoscevo bene. Riuscii a non chiudere gli occhi, li tenni fissi per tutto il tempo nei suoi, come a dirgli che andava tutto bene, che sapevo resistergli. Ed era vero, ci riuscivo. Quella era l’abitudine per me, non provavo niente escluso il piacere involontario. Se ne accorse, si fermò. «Perché lo stai facendo?», mi chiese. Non seppi cosa rispondere, mi strinsi nelle spalle. Chiuse gli occhi a due fessure. «Tutto questo non dovrebbe farti schifo, farti soffrire?».

Sorrisi. «Come siamo perspicaci». Dilatò le pupille. Non l’aveva ancora capito, dopo tutto quello ce gli avevo detto, gli avevo dimostrato, che odiavo me stessa più di qualunque altro, più di lui? Gli presi la testa fra le mani e lo baciai, spingendo per fare entrare la lingua nella sua bocca. Non oppose resistenza. Forse perché aveva voglia di baciarmi, forse perché era confuso e stava ancora pensando alle mie parole, non lo sapevo, ma rispose al bacio con cattiveria, spingendo la lingua sempre più infondo, mordendomi, piantandomi le dita nella carne dei fianchi. Io, di rimando, gli tiravo i capelli, aggrappandomi alle sue spalle larghe. Continuando a baciarmi, infilò le dita sotto le spalline del reggiseno e le fece scendere sulle braccia, poi, con un movimento repentino, slacciò il gancetto e me lo tolse guardandomi il seno. Si morse il labbro inferiore e piantò i suoi occhi nei miei. «Non fraintendermi, ma sei bellissima». Non sorrisi anche se sapevo che dovevo farlo, non arrossii perché ero nuda davanti a lui, mi avvicinai soltanto e, abbassando il busto, gli leccai i peli del petto, una linea netta, fino alla fine. Poi alzai gli occhi e gli sorrisi. «Anche tu non sei niente male». Lui si accese e mi sbatté sul letto, sotto di lui. Mi fece aprire le gambe e vi si inserì in mezzo. Poi, come se avesse appena accolto una sfida, come se davvero volesse torturarmi, comincio a pizzicarmi i capezzoli con la bocca, facendoli indurire in un secondo. Chiusi gli occhi e mi godei quel piacere immenso che si espandeva dal centro del mio corpo fino a che non sentii tutto il suo peso mentre affondava in me. Spalancai gli occhi e urlai aggrappandomi a lui.

Mi guardò negli occhi. «Non voglio permetterti di farti del male. Non lo permetterò».

«Purtroppo è la mia vita, non hai voce in capitolo».

Serrò la mascella e cominciò a muoversi, velocemente, prepotentemente. Faceva male, quasi. Male e bene allo stesso tempo. Era arrabbiato e si stava sfogando su di me. Riuscivo ad assecondarlo, era facile sebbene fossi travolta da una miriade di sensazioni allo stesso tempo, sebbene stessi per crollare. Gemevo gemevo, continuavo a gemere sotto di lui. Mi stava facendo male sul serio.

Delle lacrime mi scesero sulle guance, gli morsi la spalla per non mettermi a singhiozzare. Lui continuava, dentro e fuori. Arrivò all’apice, e poco dopo lo feci anche io. Rimasi aggrappata alle sue spalle, le lacrime che scendevano silenziose, il respiro affannato e il mio cuore che batteva veloce contro il suo. Uscì da me e fui costretto a guardarlo negli occhi, le lacrime ancora evidenti.

Mi accarezzò il labbro inferiore con il pollice. «Scusami».

Scossi la testa e azzardai un sorriso, ma proprio non ce la facevo. Non riuscivo nemmeno a respirare bene. Inspirai forte, ma niente. Ci riprovai, ancora nulla. Le lacrime continuavano a scendere. I pensieri si erano fermati tutti di colpo, ora nella mia testa vedevo solo bianco. Poi, senza che me lo aspettassi, un conato di vomito mi salì in gola e feci sono in tempo ad alzarmi dal letto per rigettare tutto quello che avevo ingerito sul pavimento. Mi guardai le mani sporche e mi accasciai a terra, in ginocchio. Cominciai a singhiozzare forte, tutto intorno a quella pozza sparì. Appoggiai la testa al pavimento e mi raggomitolai in me stessa.

Stavo naufragando davvero questa volta. Stavo marcendo da dentro. Tutto le cose sbagliate che avevo fatto, tutte quelle che avevo subito, tutto il dolore che mi ero inflitta mi si stava ritorcendo contro. Guardai i segni ormai rosa sui polsi e singhiozzai, guardai le gambe senza più carne e singhiozzai, presi un ciuffo di capelli sfibrati fra le mani e singhiozzai, vidi quel livido sul fianco, quello più grosso ed evidente e singhiozzai. Stavo morendo, ero l’assassina di me stessa.

Mi alzai, e senza sentire davvero la voce preoccupata di Seth, mi divincolai dalle sue braccia e andai in bagno. Aprii l’acqua della doccia in modo che uscisse fredda, e vi entrai, già nuda. Guardai in alto e un getto gelato mi colpì in faccia, ripulendomi la bocca del vomito e le guancie dalle lacrime. Sentii l’acqua scendere fluida su tutto il mio corpo, spazzare via ogni cellula morta, lasciare una scia di pelle ustionata, fino a cadere dentro il buco dello scarico. Sapevo che si stava portando via anche me. Mi sedetti sul fondo della vasca e chiusi gli occhi cominciando a tremare. Mi lasciai andare alla stanchezza, mi lasciai portare giù per quel buco una volta per tutte, insieme alla pelle morta del mio corpo, allo sporco dei miei capelli, all’odore di sesso. Mi lasciai andare.

 

La vidi rannicchiata su se stessa, la guancia appoggiata al ruggine della vasca, immobile, bianca: mi sembrò un cadavere. Mi avvicinai, con la paura che mi montava in petto. Non ero pronto a lasciarla andare ora, ma avevo paura. Paura di averla già persa. Mi inginocchiai lì affianco e con un sospiro di sollievo notai che il suo petto si alzava e si abbassava, lentamente. “Sei viva”, pensai. Le scostai i capelli bagnati dal viso, le sue labbra si dischiusero lasciando uscire lo sgradevole rumore dei suoi denti che battevano. Solo in quel momento mi resi conto della temperatura dell’acqua: la spensi e presi Evie fra le braccia, facendola stringere a me. Ma lei non reagiva, le sue braccia rimanevano a peso morto, gli occhi chiusi, il respiro era irregolare, e tutto il suo corpo continuava a tremare. Le schiaffeggiai la faccia. “Non lasciarmi, non lasciarmi. Svegliati, ti prego”. Mentre ripetevo quelle preghiere, la portai nel mio letto e la coprii con tutte le coperte che trovai, stando attento a non schiacciarla troppo. Poi mi distesi accanto a lei e la strinsi forte a me. “Non lasciami Evie, non adesso, non farlo. Ti prego”. Le toccavo i capelli, carezzavo il viso, ma lei non reagiva. Immobile, morta. Le baciai le labbra viola per il freddo e lei aprì gli occhi. Mi guardo dritto in faccia. Stavano urlando qualcosa che la sua voce non le aveva mai permesso di fare. Stavano chiedendo aiuto. Il mio aiuto. Stavano dicendo «lasciami andare». Stavano dicendo «amami». Mi dicevano che non avevo scelta, che dovevo lasciare andare via perché “non innamorarti di me”, aveva detto. E io mi ero innamorato, innamorato perso di quella ragazza che continuava ad urlare con gli occhi. «Ho capito Evie, non mi devo innamorare di te».

Scosse la testa. «Devi lasciarmi».

«Lo so».

Chiuse gli occhi e con le ultime forze rimaste disse «…perché anche io ti amo e non posso, io non posso».

 

 

Ciao, scusatemi per il ritardo e per la lunghezza minima di questo capitolo. L’ispirazione è tornata solo oggi, e so che questo capitolo è forte e che probabilmente continuate ancora a non capire un tubo della storia, ma capirete prima o poi, abbiate fede. Grazie per le visite e le recensioni, siete i migliori **

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: sleepingwithghosts