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Autore: Rota    04/09/2012    1 recensioni
[Imayoshi + Momoi + Aomine]
Vuota di presenze moleste, la vita di Shoichi si divideva tra sua madre e il mare – magari anche qualche bimbo che, perdendosi nel sulla spiaggia, arrivava fino a casa sua smarrito e spaurito, oppure quel negoziante tanto insistente che veniva a far loro visita portando di tanto in tanto vestiti nuovi e qualche strano utensile nonché un mucchio di libri che il bimbo leggeva durante gli inverni; per quanto sua madre odiasse quell'uomo, sembrava non poter essere libera di dire ciò che pensava realmente e quindi si adattava alle circostanze. Da una parte agiva, dall'altra pensava. E tutto quello doveva avere un grande scopo perché effettivamente Shoichi non pensava potesse essere diversamente. In quel modo, in compenso, lui aveva potuto assistere alla guerra tra un uomo e una balena gigante, ai viaggi di uno stupido fesso che non contento dei nani e dei giganti si era diretto dove gli animali parlavano, o anche all'esperienza formativa di un mozzo un po' goffo che per diventare grande devette difendere un tesoro e sconfiggere il proprio educatore morale. Nella libreria personale del bimbo, pochi testi non prevedevano il mare.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Autore: margherota

*Titolo: Trying to keep an eye on you

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Imayoshi Shoichi, Aomine Daiki, Momoi Satsuki/Sirena!Momoi, Altri

*Generi: Fantasy, Angst

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?

*Rating: Giallo

*Credits: Logins my religion, REM

*Note: Storia appartenente ad una lunga serie fantasy assieme alle due che l'hanno preceduta e alle altre che la seguiranno – bla bla bla bla, lo sapete ormai anche voi cosa sto per dirvi.

Questa volta si parlerà di Imayoshi, Aomine e Momoi. Sì, avete capito bene, un trio invece che un duo (L) perché sono cattiva e amo mettervi ansia (L) A differenza delle altre, qui la presenza di un OC sarà alquanto preponderante. Spero non ne abbiate a male per questo (L) Giusto per avvisarvi, ad un certo punto faccio specifici riferimenti ad un certo tipo di letteratura. Vediamo chi di voi coglie le allusioni (L)

E niente, ora sapete cosa vi attende. Buona lettura (L)

 

 

 

 

Every whisper
Of every waking hour
I'm choosing my confessions
Trying to keep an eye on you
Like a hurt lost and blinded fool
Oh no, I've said too much
I set it up
 

 

Non lo svegliò l'odore del pane fresco appena cotto o il vento leggero che entrava, delicato, dalla finestra spalancata, ma piuttosto la voce di sua madre che dalla cucina gridò per la terza volta al suo indirizzo senza avere l'intenzione di andare a dargli un bacio per incoraggiarlo.

Aveva solo otto anni ma già Shoichi conosceva alcune regole base della vita che prevedevano il crudele detto “prima il dovere e poi il piacere”. Nel suo caso, il dovere era rappresentato dall'alzarsi completamente da solo dal letto prima di obbligare sua madre ad entrare in camera sua brandendo un mattarello mentre il piacere era quello di ricevere un bel sorriso e una carezza sulla guancia nel caso fosse stato anche celere. Si appoggiò sulle mani, stese le braccia e voltò il viso verso l'esterno proprio nel momento in cui la tenda bianca si mosse e gli finì contro il naso. Tossì una sola volta e si mise a sedere sul materasso, stropicciandosi il naso per scacciare via la sgradevole sensazione di avere quel telo ancora addosso. Rinunciò ad arrivare in orario e quindi al proprio premio quando riuscì finalmente a vedere l'esterno: bello, con un sole alto, la natura rigogliosa.

Dietro di lui, la porta della camera si aprì di scatto e la giovane donna che lui chiamava “madre” - nei giorni buoni aggiungendoci davanti addirittura un “cara” fin troppo smielato – entrò baldanzosa e anche un po' isterica. Non le piaceva essere ignorata, così come neanche il figlio lo gradiva molto.

-Sho-chan, sei in ritardo. Se rimani ancora lì mangerò io tutta la tua colazione!-

Shoichi le sorrise un poco preoccupato, perché davvero non credeva di riuscire a resistere senza mangiare fino all'ora di pranzo e pareva, dall'odore che si sentiva ovunque, che la donna avesse appena cucinato qualcosa di molto buono. Probabilmente solo per lui.

-Madre, non ho dormito bene questa notte. Mi sono addormentato con fatica.-

Non era esatto dire che Shoichi facesse tutte le notti i suoi incubi, più che altro aveva imparato bene a sfruttare la paura del genitore a proprio vantaggio. D'altra parte, qualora ne avesse avuto bisogno, trovava sempre ad accoglierlo due braccia confortanti e una voce mai piegata all'odio – la “cara madre” era l'unica che sapeva acquietare paure e timori con la semplice presenza.

Vide una sorta di consapevolezza divertita negli occhi della donna, come se la malizia fosse una cosa genetica come il colore dei capelli oppure la forma degli occhi. Eppure, nonostante lei sorridesse in modo complice, le sue parole suonavano davvero preoccupate.

Oh, che bello: un nuovo gioco.

-Quindi hai pensato che guardare gli uccellini che cantano potesse aiutarti, Sho-chan?-

Shoichi non aveva ancora capito se sua madre si divertisse a prenderlo in giro oppure era così di natura, perché era consapevole che le persone che tanto soffrono hanno la tendenza a far soffrire molto a propria volta, e più sofferente della sua mamma non c'era nessuno su quella Terra – ed era per quel motivo che lui esisteva.

Aveva otto anni e aveva capito fin troppo bene come funzionava il mondo degli adulti.

La donna lo raggiunse sul letto, sedendosi sul materasso e prendendolo tra le proprie braccia. Lui si accomodò grato sul suo grembo e sentì la sua mano cominciare ad accarezzarlo sui capelli, lentamente: quello era il gesto d'amore più intenso che lui potesse mai intendere.

-Ora però ci sono io, Sho-chan. Nessuno ti farà del male...-

Sulla pelle nuda, le dita della donna andarono a toccare con un gesto naturale il fianco del bambino e il nero segno maledetto che l'assenza di una maglietta non nascondeva alla vista. Linee curve che si intrecciavano in strani disegni e si dilungavano dall'ascella al bacino con fantasie che ricordavano molto le linee che il mare assumeva in burrasca e la spuma bianca sulla spiaggia. Conseguenze evidenti di una natura parzialmente demoniaca.

-Lo so, madre.-

 

Vuota di presenze moleste, la vita di Shoichi si divideva tra sua madre e il mare – magari anche qualche bimbo che, perdendosi nel sulla spiaggia, arrivava fino a casa sua smarrito e spaurito, oppure quel negoziante tanto insistente che veniva a far loro visita portando di tanto in tanto vestiti nuovi e qualche strano utensile nonché un mucchio di libri che il bimbo leggeva durante gli inverni; per quanto sua madre odiasse quell'uomo, sembrava non poter essere libera di dire ciò che pensava realmente e quindi si adattava alle circostanze. Da una parte agiva, dall'altra pensava. E tutto quello doveva avere un grande scopo perché effettivamente Shoichi non pensava potesse essere diversamente. In quel modo, in compenso, lui aveva potuto assistere alla guerra tra un uomo e una balena gigante, ai viaggi di uno stupido fesso che non contento dei nani e dei giganti si era diretto dove gli animali parlavano, o anche all'esperienza formativa di un mozzo un po' goffo che per diventare grande devette difendere un tesoro e sconfiggere il proprio educatore morale. Nella libreria personale del bimbo, pochi testi non prevedevano il mare.

Mangiavano quasi tutti i giorni pesce, quello buono buono pescato apposta dalle lenze che avevano sugli scogli e quello che lui la sera riusciva a catturare con le reti. Molti crostacei, che di solito non erano così furbi e non riuscivano a nascondersi sotto i sassi della costa ma uscivano quando la marea cominciava ad alzarsi, oppure anche qualche gabbiano che la fionda del bimbo colpiva in testa. Le erbe le coltivava la donna nel proprio orto e altro non faceva tutto il giorno che preparare vestiti da vendere al mercato e rammendare cose per gli altri.

Lui, dove fosse questo “mercato” e chi fossero “gli altri” non lo sapeva proprio e neanche ci teneva troppo. Aveva il mare e quello occupava qualsiasi spazio vuoto, aveva sua madre e non sentiva la necessità di pretendere per sé altro.

 

Appoggiò il secchio pieno d'acqua e cozze vicino al fuoco prima di rizzarsi di nuovo in piedi e correre a prendere un altro pezzo di legno per le braci. La stagione aveva cominciato a far soffiare il vento, di sera, e non era bene prendere freddo inutilmente.

Sua madre, avvolta già nella propria mantellina grigia, lo ringraziò con uno sguardo dolce e uno sbuffo, aspettando che andasse da lei per fargli una carezza sul viso. Aveva in grembo un bizzarro vestitino rosa confetto, probabilmente destinato a qualche strana creatura sconosciuta a Shoichi, forse una di quelle che vivevano nelle abitazioni di legno oltre la spiaggia. Shoichi allungò le mani verso quello che era il pizzo chiaro, attirato dalla stranezza delle sue curve e dalla rotondità con la quale si ripiegava su sé stesso, ma la donna gli schiaffeggiò le dita prima che lo sporcasse con la salsedine e tutta quella sabbia.

-Non toccare. Deve rimanere pulito!-

Shoichi la guardò pieno di risentimento e si massaggiò la parte lesa, senza però dire una parola a tal proposito. Continuò a fissare interessato il vestito, come faceva con tutte le creature strane che individuava quando giocava con la sabbia.

-L'hai fatto te, questo?-

Sollevandolo un poco, la donna glielo mostrò interamente in modo tale da indicare alcune cuciture bianche lungo la manica destra e una parte della gonna.

-Solo questo.-

La vide sorridere al suo indirizzo con un'espressione furba.

-Vuoi cucire un po' anche tu? Ci sarebbero delle camice da rattoppare, sulla sedia...-

Il bambino le restituì lo sguardo ma fu evidente fin da subito che non aveva intenzione di darle corda, anche se faceva tutto il carino.

-Magari dopo cena, madre. Ora vorrei riposare.-

Con un altro sorriso ed una seconda carezza, la donna lo lasciò andare per appoggiarsi di nuovo contro la sedia – per alzarsi da quella posizione, la sera, lei necessitava di qualche secondo di tranquillità e ben due sospiri di incoraggiamento. A guardarla così Shoichi pensava ogni volta che era bella, benché non avesse termini di paragone con i quali confrontare la sua figura: occhi luminosi, labbra piene, capelli lunghi e nerissimi, alta e solida. Trovava molto logico arrivare a pensare d'essere nato perché anche qualcun altro l'aveva trovata bella, prima di lui. E per quanto ci provasse, senza malizia e con una buona intenzione, non trovava qualcosa di sbagliato in questo nonostante fosse evidente, in tutto quello che componeva e non componeva la sua vita, il contrario.

Quando la donna aprì di nuovo gli occhi, lui stava già saltellando verso la pentola che bolliva sul fuoco. Prese qualche mollusco dal secchio, un paio di granchietti che aveva avuto la fortuna di trovare, e li mise dentro senza neanche guardarli. Le spezie per condire i piatti erano finite e loro due si sarebbero dovuti arrangiare semplicemente col reale gusto del cibo – non che fosse male, ma Shoichi si era molto volentieri adattato a quello strano sapore di finocchietto selvatico che aveva profumato per un'estate intera i suoi pesci.

Sentì la mano di sua madre sulla schiena e poi i suoi passi che si dirigevano altrove, verso la credenza dove erano riposte le stoviglie con le quali apparecchiare la tavola.

E non importava, non importava affatto la consapevolezza pungente che il mondo che la donna stava proteggendo con tutta sé stessa non era altro che una gabbia dorata nella quale entrambi loro erano felici di rimanere. Nella mente semplice di bambino che si ritrovava a essere, nonostante la maturità aquisita, aveva deciso con convinzione che fintanto che lei aveva lui e lui lei sarebbe andato tutto bene.

 

Sulla spiaggia c'era ormai un gran vociare, risa allegre e pure lo spuntare timido del primo profumo di griglia. Il grande mucchio di alghe e fasci di rami veniva via via sempre più ingigantito con nuovo materiale, almeno finché qualcuno non fece notare che per bruciare la Strega sarebbe servito non altro che un grande fuoco, non tutto quell'incoraggiamento eccessivo.

La gran quantità di cibo aveva attirato in quelle zone anche animali poco gradito ma gli adulti avevano pensato bene di lasciar ai bambini il compito di far scappare gabbiani e gli altri ospiti indesiderati, permettendo loro di correre ovunque e di far più schiamazzo del solito.

Qualcuno aveva portato persino degli strumenti, a fiato e a corda, per intrattenere il pubblico fino a tarda serata – che di certo non sarebbe stato divertente rimanere lì fissi come mummie per tutto il tempo, neanche avessero tutto quel tempo da sprecare inutilmente.

Le fiamme furono applicate dal capo- villaggio quando ormai il cibo era pronto per essere distribuito e gli animi carichi di aspettativa. Si acclamò così l'arrivò della brutta stagione, con una grande festa e il sacrificio simbolico di ogni cattivo auspicio, tra applausi soddisfatti e sguardi ammirati.

Fu poco dopo, quando anche il naso adunco della megera impalata venne lambito dal rosso vivo, che una strana coppia fece la propria timida comparsa. Sakiko la Puttana e il suo sporco figlio, che aveva per la Strega bruciata due occhi talmente grandi e sorpresi che sarebbe stato fin troppo crudele mandarlo via. I due si avvicinarono al grande falò in silenzio, scortati da quale sguardo cattivo e da parole molto maligne, e riuscirono persino a farsi allungare un paio di spiedini di calamaro ciascuno e qualche sardina troppo cotta, quelle nere per il fumo e il carbone. Una larga maglia copriva tutto il busto di Shoichi ma non fu difficile scorgere le vecchie e le giovani donne che additavano il suo fianco destro con gli indici ben dritti e gli sguardi schifati; il bambino sorrise loro un paio di volte, cordiale, facendo un semplice inchino con la testa, che parve a tutte un gesto fin troppo irriverente per una creatura innocente.

Quello non era altro che il figlio del diavolo.

Finirono in fretta la propria sceneggiata e, appena Shoichi si disse soddisfatto della macabra visione, madre e figlio si diressero sulla via del ritorno, mano nella mano. Ogni tanto il bambino correva in avanti, dando calci alla sabbia oppure raccogliendo una conchiglia luccicante con la quale fare qualche monile per la donna, ma a parte le nuvole alte che col loro passaggio rendevano più o meno scuro il tragitto nessuno più li disturbò.

Sotto casa, Shoichi vide un granchio davvero molto grosso che zampettava con decisione verso uno scoglio e decise all'istante di inseguirlo: la polpa era buona e riusciva a soddisfare più persone per un giorno intero. Sua madre lo abbandonò per dirigersi in casa, assolutamente sicura che tanto il male che la Natura poteva fare loro non era neppure paragonabile a quello che avevano dovuto subire quella stessa sera. Entrò in casa senza badare a niente.

Il bambino seguì con una certa difficoltà il testardo crostaceo che, previsto l'arrivo del predatore, aveva accelerato la marcia ed era andato a infilarsi sotto un grande masso. Shoichi scavalcò l'ostacolo e cercò una via tra i massi per poter arrivare al proprio tesoro. Quello, quando le dita lunghe del bimbo si avvicinarono troppo, diede un colpo di chela che fece ritrarre il bambino di scatto; più deciso che mai a vincere quel maledetto animale, Shoichi restò almeno dieci minuti presso lo scoglio e il granchio, tentando di ogni modo di farlo uscire e quindi acchiapparlo.

Quando finalmente riuscì a prenderlo, riemerse dagli scogli con un sorriso cattivo e soddisfatto in viso mentre il suo bottino si dimenava violentemente. Fu un rumore non identificato che lo fece voltare di scatto all'indietro, all'erta.

In quel frangente non seppe dire se fosse un sogno nato dalla stanchezza o la semplice suggestione, ma nel mentre la mente si apriva ad un'esperienza che senza dubbio alcuno definiva “unica” le sue orecchie riconobbero e catalogarono l'entità del suono prodotto dalla bocca di quella sirena: musica.

Era bella, dai lunghi capelli rosati, e aveva tra le mani un lungo tridente scuro dalle lame affilate.

Quando si accorse d'avere pubblico, si mosse di scatto e sembrò nei movimenti pronta ad abbattere qualsiasi nemico, perché prese il manico della propria arma con decisione talmente evidente da non dare adito a dubbi. Poi incontrò lo sguardo di Shoichi e qualcosa cambiò, in lei, come se il pericolo avvertito si fosse dimostrato irreale. Arretrò completamente, muovendo la coda rossastra. E prima di sparire tra le onde del mare piegò le labbra all'insù, in una strana smorfia che pareva davvero un sorriso.

 

Giornate grige e piene di temporale avevano portato un mare in burrasca per più giorni e un freddo tanto insistente da essere molesto.

Gli abitanti del villaggio si erano rintanati tutti nelle proprie case e raramente uscivano dalla porta, giusto quel bastava per assistere alle funzioni religiose e comprare dai mercanti occasionali quel che mancava in casa. Il forno del paese, quello che cucinava pane e derivati, era ancora funzionante ed era l'unico che, in molti casi, riusciva ad apparecchiare i tavoli delle famiglie più disagiate.

Per Shoichi iniziava il quinto giorno con pasti esclusivamente a base di focaccia e formaggio stagionato – sua madre aveva cominciato a fare le conserve di pesce e in casa c'era un odore talmente pungente che, nonostante il clima, lui insisteva per aprire le finestre oppure per andare a giocare fuori all'aperto. Per la propria sopravvivenza, diceva, e lei lo mandava fuori quasi a calci urlandogli dietro.

Un pomeriggio, dove il solo cielo minacciava grandi tuoni e il mare era gonfio di rabbia, Shoichi si fece una lunga camminata sulla spiaggia: da casa sua, andò al villaggio e lo superò tutto, andando fino alla costa dall'altra parte dell'isola e salendo sopra la grande parete rocciosa per guardare giù, in basso, laddove le onde che si scontravano con la pietra divenivano bianche e spumeggianti, pure. L'odore di salsedine gli impregnò le narici e lui aprì le braccia al vento, per farsi travolgere in pieno.

Tornò indietro pigramente e portando con sé qualche alga raccolta per strada, per il caminetto. Trovò anche una medusa spiaggiata, ci giocò con un rametto almeno finché non gli fu evidente che era proprio morta.

Arrivò a casa saltellando tutto felice, quasi come un bimbo normale.

E la vide di nuovo, appoggiata sugli scogli, che cantava con la sua arma tra le mani; appena lo vide, la sirena scappò via tra i fluttui e non lasciò altro di sé che l'eco di una voce suadente.

 

La seguì, lasciando a terra tutto quello che aveva tra le braccia e con esso ogni altra cosa superflua.

La seguì, nonostante sua madre dalla finestra di casa gli urlasse di non andare via, di tornare indietro.

La seguì, con la coscienza di chi sa perfettamente che sta per perdere tutto quello che ha protetto con le proprie forze durante gli anni di vita.

La seguì, perché per amore di sua madre non avrebbe rinunciato a quell'unico sogno donatogli.

 

L'acqua del mare era fredda e sporca di sabbia almeno finché Shoichi non riuscì ad raggiungere un punto in cui era abbastanza profonda da non mescolarsi con la spiaggia e il fondo. La sirena cantava ancora e in lontananza la sua coda emetteva dei riflessi chiari, tanto da essere visibile anche a qualche metro di distanza. In compenso, era più veloce del pesci e nuotava sempre più in profondità.

Il bambino cercò di inseguirla mantenendosi al pelo dell'acqua ma ad un certo punto convenne di dover per forza immergersi e di seguirla in quel modo. Portò alla mente i pomeriggi passati in immersioni casuali, dove faceva gare di resistenza con sé stesso: cinque minuti senza aria riusciva a starci, tre minuti se nuotava. Immerse il viso la prima volta per valutare rapidamente quanti metri ci fossero sotto di lui, calmò il respirò più che poté e inglobò tanta, tanta aria nei polmoni.

Non aveva mai raggiunto il mare aperto a quel modo, almeno non senza barca né sostegno. Non aveva appigli ai quali aggrapparsi nel caso di bisogno e se perdeva l'orientamento non sarebbe più riuscito a tornare indietro.

La seconda volta che immerse il viso cominciò il suo viaggio.

Già dopo il primo metro l'acqua cominciò a essere ancora più fredda e la pressione cominciò a schiacciargli i polmoni e la cassa toracica. Non era niente di strano, Shoichi sapeva bene cosa riservava il mare a chi si avventurava nella sua intimità e non ne fu spaventato – anche se l'immagine del suo corpo gonfio e annegato, arenato su una spiaggia come un delfino spaesato, per qualche istante fu in grado di impressionarlo. Continuò la sua discesa, tenendo come punto di riferimento la luce lontana che si muoveva sotto di sé.

Contava, in mente, i secondi che passavano, per non perdere mai il controllo. Era arrivato quasi a settanta quando la luce sotto di sé sparì, all'improvviso, e lui fu lasciato solo in mezzo al mare. Fece ancora qualche metro ma poi decise di rinunciare, anche perché più di così sapeva che non sarebbe riuscito a fare.

Un movimento repentino e una massa scura di qualcosa di indefinito si avvicinò a lui con una velocità incredibile; predatori, probabilmente, uno squalo o un pesce carnivoro. Shoichi fece appena due bracciate, rapide ed energiche, che già quello lo aveva preso per la gamba e lo trascinava via.

Per gli umani Shoichi conservava soltanto la pietà, per sua madre qualcosa di simile all'affetto; solo il mare era stato in grado, per quei pochi anni di vita che aveva vissuto, di regalargli tutte le emozioni possibili: gioia, felicità, tristezza, irritazione, e anche la paura, il terrore, l'agonia, la disperazione. Di certo l'istinto disse alle mani del bambino di provare ad allungarsi verso la propria caviglia e che le unghie sarebbero bastate per nuocere all'aggressore e quindi farsi liberare, ma dentro c'era già qualcosa che, vinto dalla forza dell'acqua che sconvolgeva i sensi e faceva perdere totalmente l'orientamento, si era arreso all'evidenza di una fine vicina e prossima.

Fu quindi sorpreso, il bimbo, quando sul viso sentì il freddo del vento e l'insistenza della pioggia. Aprendo gli occhi riuscì a vedere il mare in burrasca sotto di sé e il temporale che lo circondava tutto – la spiaggia, in lontananza, percossa da onde altissime.

L'arto che lo teneva appeso per la caviglia lo scosse e lo girò, in modo che lui potesse vedere la creatura dalla bocca spalancata di cui avrebbe fatto da cena. Era grande, con tanti denti che assomigliavano alle stalattiti di marmo delle grotte più profonde, tanti tentacoli e un corpo che ricordava vagamente quello di un polipo, almeno per la parte di testa molliccia che emergeva dall'acqua come un bitorzolo gonfio e rosso. Emise un verso terribile, sputando bava e dimenandosi tutto. Anche Shoichi urlò di paura e terrore, ma con lo stomaco in gola e i muscoli che oltre a tirarlo come uno spago non gli permettevano il minimo movimento non riuscì a fare nient'altro.

Il mostro lo avvicinò al proprio viso, prendendogli il busto con un altro tentacolo e le gambe con un terzo; parve davvero che lo volesse fare a pezzi e quindi il bambino urlò di più, con tutte le proprie forze, nonostante i tuoni e i lampi che scorrevano dalle nuvole al terreno.

L'occhio, il grande occhio che il mostro indirizzò verso di lui, era più grande di tutta l'estensione di casa sua. Cercò di muoversi, ma il mostro serrò maggiormente la presa e fece scorrere le sue membra flaccide e umide sopra la pelle, fino ad alzare la maglia e scoprire il segno che aveva sul fianco – a quel punto sembrò interrompersi, come d'incanto. Shoichi se ne accorse dopo qualche secondo, quando notò la direzione dello sguardo del mostro; per una volta, fu felice di avere un segno abbastanza interessante da prolungargli di quel poco la vita.

Quando il mostro tornò a guardarlo in faccia, qualcosa era cambiato nel suo sguardo. E al di là del terrore che aveva in corpo e addirittura della logica che stava cercando di salvargli quel poco di ragione superstite, lo riconobbe: era lo sguardo della sirena.

 

Riuscì a tornare a casa a sera quando le onde si erano un poco calmate e la tempesta viaggiava ormai lontano. Sua madre lo accolse con le lacrime agli occhi e un abbraccio più stretto di quelli che aveva avuto in otto anni di vita, un singhiozzo che pareva non voler smettere di sconquassarle il petto e i capelli tutti spettinati, come quelli di una folle.

Shoichi rispose al suo gesto, calmo e tranquillo, rassicurandola su paure infondate e una scarsità di fiducia che quasi l'avrebbe potuto offendere.

Perché tanto lo sapeva, lo sapeva benissimo: sotto la finestra di casa sua, cantava una sirena bellissima e letale, attendendo il ritorno suo e di quel tridente di cui gli aveva fatto prezioso dono.

 


Consider this
The hint of the century
Consider this
The slip that brought me
To my knees failed
What if all these fantasies
Come flailing around
Now I've said too much

   
 
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