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Autore: Tyra Sunlow    05/09/2012    0 recensioni
Questa fan fiction è ambientato nel fantastico mondo creato da Licia Troisi, ho voluto scrivere l'avventura di una ragazza (Sahita) nell'era di Leven, padre di Nammen. Si ritroverà a dover vagare per il Mondo Emerso, sempre alla disperata ricerca di un modo per vendicarsi. Sarà un incontro particolare a cambiare la sua vita. Spero che vi piaccia!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina dopo fu un bambino a svegliarmi, non doveva avere più di quattro anni. Mi batteva la manina sulla spalla dicendo parole incomprendibili. Lo presi in braccio e lo portai fuori dalla tenda. Le donne erano già al lavoro e i primi gruppi di uomini si dirigevano già verso il bosco per cacciare.
Il sole era alto nel cielo, ma nell’aria c’era ancora il profumo di pioggia della notte passata.
-Dair! Dove ti eri cacciato?- una donna robusta e dalle spalle possenti si stava avvicinando a passo di carica. Sulla testa aveva un turbante che le teneva i capelli raccolti. Indossava una vestaglia logora che doveva usare per cucinare. Le porsi il bambino sorridendole.
-Scusa, ti ha dato fastidio?- chiese la donna preoccupata e lanciando un’occhiataccia al figlio.
-Non preoccuparti, mi piacciono i bambini…- la donna mi soppesò con lo sguardo e corrucciò la fronte. Dopodiché un largo sorriso si aprì sulle sue labbra.
-Hai detto che ti piacciono i bambini?- chiese. Io annuii. -Bene, allora vieni con me.-
Chiedendomi che cosa volesse fare, la seguii. L’accampamento era più grande di quello che pensassi, ma soprattutto era molto organizzato. Ogni persona aveva un ruolo ben specifico, ma la cosa che più mi sorprese fu che i bambini erano obbligati a fare tre ore al giorno di studio. Non era una cosa normale in quei tempi. La scuola era privata e i genitori dovevano pagare molto per mandare i propri figli a studiare. Così i bambini crescevano ignoranti e l’unico futuro prospero scritto nel loro destino era lavorare nei campi o nelle miniere. Era una realtà cruda, amara, ma era pur sempre la realtà.
Quando arrivammo al cospetto del rogo che avevo visto la sera prima, la donna annunciò:
-Date il benvenuto a…- mi guardò curiosa.-Sahita.- dissi un po’ intimorita. Un esercito di bambini mi guardava attentamente, da capo a piedi. Percepii mille occhi su di me e mi sentii subito impotente davanti a tutti quei piccoletti.
-Vi farà giocare e vi racconterà le storie…- la guardai allibita. Non sapevo proprio da dove iniziare. Ok, mi piacevano i bambini, ma non avevo la minima idea di come tenerli a bada.
-Se hai bisogno d’aiuto, io sono in quella tenda là in fondo…- disse indicandola col dito -Buona fortuna, ah, Areck mi ha detto chi sei e da dove vieni, mi dispiace molto per la tua famiglia e per il tuo villaggio, sappiamo bene come ci si sente. Ti occuperai di questo finché starai qui, dobbiamo tutti darci una mano.- ringraziai e mi girai verso i bambini. Ci fu un secondo di silenzio che ruppi chiedendo: -A che cosa volete giocare?-
Tutti e venti i bambini iniziarono a parlare contemporaneamente, ognuno proponendo qualcosa. Mi sedetti su una pietra e sospirai esasperata.
 
Per tutta la giornata cercai di tenerli a bada e di farli divertire, ma la cosa risultò piuttosto difficile. Pensai a quanto sarebbe stato bello andare nei boschi a cacciare, invece che stare al campo tutto il giorno. Purtroppo quel compito era riservato solo ed esclusivamente agli uomini e questo mi infastidì un poco. Persi il conto dei giorni che passavano, Ogni tanto si smontavano le tende e si partiva per andare in un altro posto. Non avevamo una meta, l’unico obbiettivo era scappare dai nemici, rimanere vivi. Areck mi spiegò meglio com’era la situazione: le Terre dei Giorni, del Sole, del Fuoco e della Notte erano alleate con Leven, mentre le Terre del Mare, dell’Acqua, delle Rocce e del Vento cercavano di ribellarsi. Nessuno sapeva il motivo di questa voglia di conquista. I mezz’elfi sembravano voler dominare su tutti e su tutto, fra questi Leven.
Successe una mattina. Ero lì da poco più di un mese.
Era notte e tutti stavamo dormendo quando le urla di alcuni uomini mi fecero sobbalzare e allarmata uscii dalla tenda. Un calore insopportabile mi avvolse. Davanti a me un muro di fuoco bruciava tutto quello che si trovava davanti. Le scintille attecchivano ovunque, inarrestabili. Pensai subito ai bambini. Mi diressi verso le altre tende e svegliai chi era ancora assopito. Poi arrivarono loro: i mezz’elfi. I soldati di Leven sembravano ovunque, sbucavano fuori dal bosco e trafiggevano chiunque cercasse di opporre resistenza. Molti prendevano le donne e le trascinavano via. Queste urlavano disperate chiamando il nome del figlio o del marito. Io guardavo tutto questo in preda all’orrore. Non ancora una volta. Mi imposi di muovermi e di aiutare chi ne avesse bisogno, ma mi sentivo così impotente, così piccola e fragile davanti a quello che stavo vedendo. Disperata mi chiesi perché un soldato non mi uccideva subito senza farmi assistere di nuovo a quello scempio. Perché? Un grido attirò la mia attenzione. Mi girai e vidi  che la madre di Dair era fra le grinfie di un saldato che cercava di trascinarla dentro a un bosco. Il mio corpo sembrò come risvegliarsi e corsi più velocemente possibile verso la donna. Mi buttai a peso morto contro il soldato facendogli perdere l’equilibrio. La spada volò poco più in là  e lui fece per rialzarsi, ma non lo lasciai andare. Lottai con tutte le mie forze: calci, pugni, graffi, morsi, ma niente potevo contro i muscoli allenati di quel mezz’elfo, niente. Dopo un po’ riuscì a sfilarsi un pugnale da dentro lo stivale e iniziò a menarlo nell’aria cercando di colpirmi. Mi stupii della mia agilità. I riflessi mi facevano spostare quando ce n’era bisogno, ma il soldato era altrettanto veloce e alla fine riuscì a sfiorarmi procurandomi un esteso taglio su un braccio. Gridai dal dolore mentre il sangue iniziava a fuoriuscire copioso. Mi allontanai e presi le distanze di sicurezza. Il soldato sbraitò:
-Piccola canaglia, non ti voglio fare niente, stai ferma!- il mezz’elfo mi si avvicinò e mi prese i polsi. Lottai con tutte le forze che mi rimanevano, ma ormai ero stremata. La vista iniziava ad annebbiarsi, stavo perdendo troppo sangue. Sentii le mani rudi del soldato afferrarmi anche le caviglie e portarmi dentro al bosco. Ormai non opponevo più resistenza. Dopo poco mi lanciarono contro qualcosa di duro. Gemetti e vidi che ero sdraiata dentro a un carro. Non feci in tempo a rendermi conto di quello che stava succedendo che una grata di ferro si chiuse stridendo davanti ai miei occhi increduli. 
  
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