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Autore: damonslaugh    05/09/2012    2 recensioni
Come la vita di una perfetta adolescente puo' cambiare, facendola diventare un'altra persona e farla chiudere in se stessa.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Gender Bender
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No, non era possibile. Non era vero. La scena a cui avevo assistito pochi secondi fa non era vera. Era un sogno, anzi, un incubo. Salì di corsa senza pensarci due volte, le scale mi sembravano lunghissime e la mia camera una meta lontana. Finalmente arrivai, chiusi la porta alle mie spalla e iniziai ad urlare come se nessuno esistesse. In quel momento c'ero io, mio fratello e il mio dolore. Iniziai a rompere tutto senza pensare alle conseguenze. Mi vidi attraverso lo specchio: Gli occhi gonfi, le labbra sanguinavano, il viso pallido, le mani avevano assunto uno strano colore tra il viola e il verde, il collo rosso e pieno di lividi. Uscì dalla finestra e mi rifugiai nella casetta sull'albero, quella sera non mangiai e non parlai con nessuno. Ero sola contro il mondo. Mi addormentai aspettando che il mio angelo mi riportasse in camera, tutto era freddo e buio. Nessuno arrivò. Mi svegliai la mattina che tremavo, senza voce, avevo passato la notte ad urlare e a cercare di cacciar via gli incubi. Rientrai in camera, rovistai il mio armadio, presi una vecchia maglietta nera, una mini-gonna di stoffa, delle calze a rete e un paio di stivaletti neri. Raccolsi il mio zaino da terra e scesi di sotto, non parlai con nessuno ma sentivo occhi freddi che mi scrutavano, uscì velocemente da casa e sbattei la porta con violenza. Ero in anticipo. Mi fermai sotto un pino per strada, guardai il cielo e iniziai a piangere. 'Perchè te lo sei portato via?' pensavo, ma senza accorgermene stavo urlando << Ti dovevi prendere me! Non lui! >> continuai 
<< Era troppo presto! >> .
 Ormai non riuscivo a smettere di singhiozzare e tutto il mondo si fece grigio. Arrivai a scuola, mi guarardavano tutti con un'aria di superiorità, poi si giravano e continuavano a parlare per i fatti loro. Arrivò Jen, un attimo prima che la campanella suonasse, si fermò davanti a me  
<< Che diamine hai fatto? >>  mi disse in tono stridulo
<< Non è giornata, lasciami in pace >>  io risposi bruscamente, lei però continuò a criticare 
<< Essendo ormai popolare, devi curare la tua immagine ed essere più garbata. Non vestirti mai più come se fossi uscita da un film per fdepressi. >>  ripeteva, non  riuscì a calmarmi e le risposi ancora più infastidita << Non mi importa un fico secco di essere popolare! Non conosco neanche metà delle persone che mi salutano! E tu che ne sai che ho io? >>  volevo fermarmi ma ormai ero troppo arrabbiata << Mio fratello, è morto! Per colpa della tua stupida festa! Non sapete fare altro che giudicare una persona! Pensa a curare la tua immagine e tutti gli altri cavoli di cui non mi importa >> non feci in tempo ad accorgermi di quello che avevo appena detto che stavo già correndo dall'altra parte rispetto a lei, Jen era andata, ero sola. Sola per sempre. Ma il peggio doveva ancora venire. Le lezioni non passavano mai. Io occupavo il tempo disegnando angeli con lunghe ali, brillavano alti in cielo e vegliavano sulle persone. La pausa merenda la passai in classe, da sola, ad osservare il cielo. Finalmente la campanella di fine lezioni. Non andai in pullman, c'era troppa gente, quindi mi incamminai a piedi. Arrivai a casa, chiusi la porta e presi in braccio Summer dirigendomi in cucina per il pranzo, avevo tanta fame. I miei genitori erano seduti a tavola che mangiavano e mi guardavano con risentimento. Ne avevo abbastanza di tutti. 
<< Che succede? Ora che ho fatto? >>  vedevo il dolore negli occhi di mia madre e la delusione negli occhi di mio padre
 << Hai fatto una cosa veramente brutta lo sai? >> rispose mio padre
 <<  Non posso considerarti una figlia dopo ciò che è successo >>  era serio, io restai immobile come pietrificata
 << E' colpa tua se Sam non è qui, lo capisci? Te ne rendi conto? >>  sbottò mia madre, stava piangendo, si era alzata e mi scuoteva. Era fuori di se. Non capivo niente, tutto in torno a me girava e tante voci mi sovrappopolavano la testa. Mi mossi di scatto, scansai mia madre e corsi diretta in camera senza guardare indietro. 
<< Non scappare dalla realtà, cara >> era la voce di mio padre e fu l'ultima cosa che sentii. 
Mi rinchiusi in camera per tutta la serata, saltando la cena. I miei sogni erano popolati da incubi e così tutte le volte che mi addormentavo. La mattina mi svegliai a causa di un rumore che mi tartassava un orecchio, la mia sveglia. Mi alzai, mi lavai e mi inchiodai davanti all'armadio non sapendo cosa indossare per andare a scuola. Non ero dell'umore per indossare dei vestiti colorati, quindi optai per una maglietta nera con sopra disegnato un teschio che giocava a pocker e un paio di jeans strappati. Non feci colazione come tutte le mattine ma uscì direttamente dalla finestra, arrampicandomi sulla casetta e scendendo dalle scalette. Me la presi con comodo ed arrivai terribilmente in ritardo a scuola, mi fermai davanti al cancello immobile. Non avevo proprio voglia di entrare, di sentire i pettegolezzi, di far finta di ascoltare le lezioni e soprattutto di vedere Jen, perciò decisi di voltarmi e andare via. I giorni successivi passarono in fretta e senza accorgermene non ero più io, ero diversa. L'orecchio sinistro si riempì di pearcing così anche l'ombelico, il trucco nero, il viso pallido e spento. I miei vestiti, bruciati tutti. Avevo sostituito un intero armadio con magliette nere, jeans strappati, calze rete e minigonne nere di stoffa. Non parlavo e non interagivo con i miei genitori, li intravedo ogni tanto quando spizzicavo qualcosa. Non mangiavo, ero diventata una via di mezzo tra un'anoressica e una bulimica. Il solo pensiero di masticare qualcosa mi faceva salire il vomito, ogni volta che non mangiavo mi odiavo, ogni volta che mangiavo mi odiavo e con il passare dei giorni peggiorai sempre di più. La mia camera diventò un luogo spaventoso, buio e inquietante. Ogni mattina la stessa storia: Me la prendevo comoda, arrivavo in ritardo, mi fermavo davanti al cancello della scuola un paio di minuti e poi invece di entrare me ne andavo per i fatti miei. La mia media scolastica scese drasticamente, ricevevo ogni giorno una decina di chiamate dal preside e io ovviamente le ignoravo. I miei genitori se ne accorsero troppo tardi, ormai ero diventata un mostro. Fecero tutto il possibile per riallacciare i rapporti e mi segnarono da uno psicologo. Non fecero altro che peggiorare la situazione. Io puntualmente arrivavo in ritardo, mi sedevo e masticavo la mia gomma in silenzio per un paio d'ore, lo psicologo diceva che ero in una situazione disperata e che non collaboravo, i miei genitori si arrabbiavano e mi cambiavano psicologo. Tutti soldi sprecati a parer mio. Quello che mi serviva non era uno psicologo ma mio fratello che mi abbracciava e con la sua voce incoraggiante mi diceva 'Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Ne usciremo insieme' . Ma lui non c'era e io mi ritrovai in un labirinto senza uscita. Mi chiusi in me stessa, ero io contro il mondo. Sembrava di essere in una camera insonorizzata, non sentivo nessuno ma vedevo tutti. Ogni giorno che passava era una martellata al cuore, io mi odiavo sempre di più e il mio fisico ne risentiva. Il dolore man mano si trasformò in odio verso chiunque respirava e camminava. Quando le persone mi guardavano io le incenerivo con lo sguardo e loro iniziavano a borbottare a bassa voce. Il mondo era cupo, il mio mondo. Quello che una volta era una vita che tutti desideravano ora si è trasformato nel peggior incubo di una persona. Una sera decisi di andare a fare una passeggiata, camminavo lentamente a testa bassa e scalciavo via i ciottoli che mi si presentavano davanti. Ad un tratto alzai la testa, qualcosa aveva attirato la mia attenzione. Entrai in un negozio un po' cupo, la scritta ' Tabacchi ' mezza illuminata e una puzza incredibile. Mi fermai davanti al bancone e scelsi attentamente il mio prossimo acquisto. Pagai con i soldi che avevo preso dal portafoglio di mia madre e mi diressi velocemente fuori, arrivai in un vasto prato e mi sedetti sotto un pino. Presi la prima sigaretta e la accesi. Era la prima volta che mi avvicinavo minimamente al concetto chiamato 'fumo' . Ispirai e mi colpì subito un colpo di tosse, così per la prima sigaretta. Passai alla seconda, alla terza e così facendo finchè non finì il primo pacchetto. I giorni passavano e la mia dose di sigarette aumentava, i soldi dal portafoglio dei miei genitori sparivano e le sedute dallo psicologo ormai erano giornaliere. E' interessante come una cosa che provoca malessere possa essere tanto confortante e necessaria per me. Quando tenevo in mano una sigaretta era come se il mondo sparisse e quando il fumo passava la gola era come se rinascessi, quando la sigaretta finiva ritornavo alla cruda realtà e ne prendevo un'altra. Fumavo cinque o sei pacchetti al giorno e più i miei genitori mi davano punizioni più non li ascoltavo. Una mattina mi svegliai di soprassalto inseguita dagli incubi e trovai i miei genitori seduti ai piedi del letto
 << Buongiorno principessa >>  iniziò mia madre 
<<  Cosa vuoi? >>  ribattei subito freddamente 
<< Io e la mamma abbiamo una splendida notizia da darti >> si intromise mio padre, io li guardai perplessa e loro continuarono 
<< Ieri sera tua madre e io abbiamo parlato e abbiamo preso una decisione >> continuò mio padre mentre mia madre si sedette accanto a me e iniziò ad accarezzarmi i capelli 
<< Sappiamo che è un momento difficile per te, cara >> disse mia madre facendo una pausa
 << E abbiamo concordato che stare qui ti fa solo peggiorare>> la scansai di botto e chiesi << Che c'è mi volete cacciare di casa? >> mia madre e mio padre si guardarono e dissero all'unisono 
<< Nono, andrai in un posto speciale >>  Io mi pietrificai. Sapevo cosa intendevano con 'Posto spelciale' e non potevano farlo. Non potevano rinchiudermi. Volevo obbiettare ma le parole non uscivano. Ero immobile, gli occhi spalancati e la bocca spalancata che cercava di tirar fuori almeno un 'No'. Ma niente. Tra poche ore mi sarebbe toccato salire in macchina e partire per il loro 'Posto Speciale'. Un centro psichiatrico.
  
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