Aluuura!
Prima di tutto ringrazio tutte le commentatrici (e gli eventuali commentatori
se ce ne sono), siete state davvero carine, anche perché non credevo questa fic
potesse piacere tanto.
Poi,
voglio solo comunicare che questo è un capitolo fondamentale, dove finalmente
si svelano i misteri del passato di Cassy; non so se sono riuscita a rendere
bene la faccenda, io lo spero, comunque aspetto i vostri commenti, che mi
chiariranno come sempre le idee. E mi raccomando, fate attenzione alle canzoni
che introducono i capitoli, spiegano alcune cose; e poi io le amo! Hanno
diritto pure loro ad un po’ di attenzione! ^_____^
Piccola
dedichina per la Moon, che c’ha avuto qualche problemino, spero che questo
capitolo serva almeno a farti tornare giù i capelli, visto che penso saranno
ancora dritti dall’incazzatura ^__- un bacione ciccia!
Divertitevi,
ciao a tutti!
Sara
-
Capitolo 4 -
E lontano
Mille miglia
A due passi da me
Non vedere l'azzurro che c'è
Non cercare più niente
(Lontano - Nomadi)
Il tempo passava, e si
avvicinava sempre di più il giorno in cui Orlando sarebbe dovuto partire per il
Canada; la riunione con il regista era stata un successo, così avevano deciso
che non c'era bisogno di troppe prove, era meglio cominciare a lavorare
direttamente sul set.
Cassy non si era più fatta
sentire, e questo era l'unico problema che il giovane attore avesse in quel
momento; in quei giorni si era reso conto che lei gli mancava in maniera
insopportabile. E' vero, quella ragazza era instabile, vaga e inaffidabile, ma cazzo,
lui si era innamorato, e gli mancavano tutti quei suoi piccoli gesti folli, il
suo trucco pesante, i suoi abiti strani, persino le catene e le borchie; ogni
tanto gli sembrava di sentire la sua risata echeggiare nella casa, di vedere le
sue scarpe colorate fuori del bagno, o di rimanere deluso tutte le volte che
non c'era la sua macchina parcheggiata davanti al vialetto, in modo da impedire
l'uscita dal garage.
Ma quello che gli mancava di
più era la sua tenerezza, sì, quella che teneva nascosta, e veniva fuori
timidamente, nelle piccole coccole, nei nomignoli, negl'abbracci improvvisi,
nei baci sulle guance, dopo aver fatto l'amore.
Era un po' depresso, così,
quando aveva saputo che si trovava in Inghilterra per un nuovo film, aveva
invitato Dominic a stare da lui; la casa gli sembrava troppo grande e
silenziosa a starci da solo. Almeno l'amico, con il suo carattere confusionario
e caciarone, lo distraeva un po' e potevano discutere, seriamente, della
grandezza del frigo come status symbol senza essere presi per due deficienti.
Orlando, però, nonostante
tutto, non poté fare a meno di "capitare" sotto casa di Cass e di
osservarla mentre rientrava o usciva; non ebbe in ogni caso mai il coraggio di
farsi vedere.
Un venerdì sera Dom e Orlando
furono invitati all'ennesimo evento vip della City: uno dei tanti cantanti
fighi organizzava una fighissima festa, per l'uscita del suo ultimo strafigo
disco, nella discoteca più figa della città. Non potevano mancare, si erano
detti, dopo aver passato una quindicina di crudeli minuti a fare il pelo e
contropelo al succitato cantante, dotato, secondo Dom, di microscopico, ma
fighissimo, pisello.
Si tirarono a lucido, se la
gente doveva guardare qualcosa, sarebbero stati loro; fu così che, appena
arrivati, gli si appiccicarono subito addosso tre o quattro ragazze in vesti
succinte. Dominic, come al solito, nelle due ore successive, si diede da fare,
ficcando le mani ovunque fosse possibile e suscitando l'ilarità delle
fanciulle; Orlando, invece, cominciava a chiedersi se la tipa che gli stava
parlando da circa un quarto d'ora avesse un cervello, o più una specie di
cocktail di scampi, dentro la scatola cranica. Il vestito rosa carne, coperto
di brillantini, che indossava la ragazza era cortissimo e quasi trasparente, ma
stranamente la cosa non lo eccitava per niente; era annoiato. Se fosse nello
stesso posto con Cassy, a quest'ora sarebbero stati a ballare sui tavoli;
oppure a fare l'amore in un bagno.
"Scusa..." Orlando
interruppe la ragazza alzandosi dallo sgabello. "...ho bisogno di una
boccata d'aria." Le disse allontanandosi.
"Ma... ma Orlando, posso
venire anch'io..." Non la sentì neanche, stava già spingendo la maniglia
antipanico.
Si ritrovò su un'ampia terrazza
da cui partiva la scala antincendio; c'erano due o tre persone, ma erano
lontane, dall'altra parte rispetto a lui, e parlottavano fitto, fumando.
Orlando si avvicinò al parapetto e ci posò le mani, prendendo un lungo respiro,
a stare dentro gli era venuta quasi un po' di nausea; guardò l'orizzonte, si
vedeva il Tamigi e la grande ruota panoramica del Millennium Dome, illuminata.
Chissà dov'era Cassy...
Basta pensare, era ora di
agire, e che cavolo! O non era più se stesso. Orlando, deciso, afferrò il
cellulare, ora l'avrebbe chiamata, era disposto pure ad ammettere di non aver
ragione... no, ora non esageriamo... ma comunque era disposto a spiegarsi, e a
sentire le sue ragioni.
Il telefonino, proprio quando
l'ebbe recuperato dalla tasca dei pantaloni, si mise a vibrare; il ragazzo
guardò il display e gli s'illuminarono gli occhi; la luce blu pulsante
evidenziava un nome: CASS.
"Pronto, Cassy?!"
Rispose entusiasta.
"Orlando?" Una voce
maschile lo gelò, aggrottò la fronte.
"Sì, chi parla?"
Domandò sospettoso e già leggermente preoccupato.
"Sono Malcom, non so se ti
ricordi..." Il suo ex, eccome se lo ricordava, sapeva perfino che le sue
prestazioni sessuali non erano il massimo, ma che cazzo voleva ora questo?
"Sì, mi ricordo, ma perché
mi chiami con il telefono di Cass?" Si decise a chiedere, con urgenza,
visto che l'ansia stava crescendo.
"Senti, non sapevo chi
chiamare..." Un pausa che non ci voleva, Orlando stava per spronarlo.
"...Cass si sta mettendo in un casino, io ho cercato di..."
"Dove siete?!" Chiese
con impeto l'attore, afferrando con tutta la forza la ringhiera del terrazzo.
Dominic stava sorseggiando un
drink, seduto su un divano, con una ragazza mezza spalmata addosso, senza
capire una beneamata cippa di quello che dicevano i suoi interlocutori, vista
la musica, il chiacchiericcio e lo struscio di scarpe che aveva attorno; la
mano di Orlando si strinse forte intorno alla sua spalla, facendolo voltare. La
faccia preoccupata che vide non gli piaceva per nulla, allora si alzò e seguì
l'amico nell'ingresso del locale.
"Mi accompagneresti in un
posto?" Gli chiese Orlando, tenendo una mano sulla sua spalla.
"Certo!" Aveva subito
acconsentito Dom. "Prima esco da questa secca di encefalitici, meglio
è." Aggiunse ridacchiando.
"Guida tu, non me la
sento." Riprese l'amico, allungandogli le chiavi della sua macchina,
mentre stavano ritirando le giacche al guardaroba.
"Oh, ma dove
andiamo?" Domandò preoccupato Dom.
"Conosci Gosford
Park?"
"C'è un vecchio circuito
da moto..." Rispose l'altro annuendo.
"Lì." Confermò
Orlando, sbrigandosi verso l'uscita; Dom lo seguì, in apprensione per tutti
quei misteri.
Le dita di Orlando afferrarono
la rete metallica, stringendo fino a far sbiancare le nocche; le auto
sfrecciavano sulla vecchia pista in abbandono, veloci da far paura, i
pneumatici sibilavano sulle curve lasciando segni scuri. Il circuito era
illuminato da fari posti su alti piloni, mentre il nastro d'asfalto era
percorso dai fanali delle macchine.
"Lei dov'è?" Domandò
con urgenza Orlando.
"La macchina gialla."
Rispose Malcom, accanto a lui.
L'auto che aveva indicato era
impegnata in un arduo sorpasso, in prossimità di una curva; le due macchine si
sfiorarono, sgommarono, percorsero qualche metro appaiate, finché quella gialla
dette un'accelerata e distanziò l'altra.
"Oh, cazzo..."
Commentò Dom, portandosi una mano alla nuca.
"Fermali subito!"
Ordinò Orlando a Malcom, afferrandolo
per le spalle.
"Ma non posso, non si può
fermare la gara!" Rispose lui preoccupato.
"Fermali, o ti giuro che
chiamo la polizia!" Replicò l'attore, incazzatissimo.
"Orlando, cerca di
calmarti, perdio!" Intervenne Dominic, dividendoli; l'amico respirava
forte. "Non serve a nulla che t'incazzi così!"
"E' l'ultimo giro."
Affermò Malcom, risistemandosi la camicia.
Orlando lo lasciò perdere con
un sibilo rabbioso, e tornò a seguire la gara. L'auto di Cassy era di nuovo
impegnata da quella blu che la seguiva; era l'ultima curva, e quello era il
duello di punta, benché i primi fossero già arrivati. La macchina blu entrò di
forza nel sorpasso, quella gialla fu costretta a sterzare bruscamente per evitarla,
e finì fuori strada, in testacoda. La gara era finita e tutti i presenti,
urlanti e parecchio alticci, visti gli ettolitri di birra che scorrevano,
invasero la pista. Orlando saltò un basso muretto e si diresse correndo verso
la macchina ferma a bordo pista; aprì lo sportello, dentro Cassy rideva
istericamente. La prese per un braccio, tirandola fuori.
"Smettila di ridere!"
Le gridò. "Ti rendi conto di che cosa hai fatto?!" Lei si divincolò
con violenza, assumendo un'espressione arrabbiata.
"Oh, ma che cazzo
vuoi?!" Replicò poi, incupita. "Levati dalle palle!" Gli ordinò.
"No, che non me ne vado
stavolta!" Orlando non era minimamente intenzionato a cedere terreno.
"Ti potevi ammazzare sul serio, e io non sono disposto a stare a guardare
mentre lo fai!"
"E chi ti ha detto che
devi farlo?! Io sono perfettamente in grado di gestire la situazione!"
Ribatté la ragazza.
"Ma se ti tremano le
mani!" Esclamò l'attore, indicando le sue estremità in movimento; lei se
le guardò sorpresa.
"E' l'adrenalina."
Rispose stringendo i pugni.
"No, è la paura."
Precisò lui; Cassy strinse anche i denti, assumendo un'espressione minacciosa.
"Ma lo vuoi capire o no,
che non ti voglio più vedere, ascoltare la tua voce, farmi sbattere da te,
sparisci dalla mia vita!" Urlò la ragazza.
"No!" S'impose
Orlando. "Non ne ho intenzione, perché io ci tengo a te, brutta cretina, e
se non lo hai capito mi dispiace!"
"Ma che cosa vuoi?"
Domandò allora lei, abbassando un po' il tono.
"Voglio che la smetti con
queste stronzate, Cass." Rispose Orlando. "Io lo so come ci si può
ritrovare..." Continuò. "Anni fa sono caduto dal terzo piano, mi sono
spezzato la schiena, potevo rimanere paralizzato e mi ci è voluto più di un
anno per rimettermi in piedi..." Raccontò serio. "...un anno di
fisioterapia, di dolore, di umiliazione. Credimi, tu non hai idea di cosa vuol
dire."
"E cosa dovrebbe farmi
capire, questo?" Chiese la ragazza.
"Fai un po' tu, se non ci
arrivi da sola." Fece lui allargando le mani. "Io sono stufo di tutto
questo, di correrti dietro e riacchiapparti quando stai per cadere... Io ti
voglio bene, ma se questo non è sufficiente, non so che altro fare."
Affermò arreso. "Pensaci, dove trovarmi lo sai." Furono le sue ultime
parole, si voltò, allontanandosi verso Dominic che lo aspettava.
Cassy sospirò, appoggiandosi
contro la fiancata della macchina; intorno a lei la gente urlava e rideva,
applaudendo i vincitori. Lei aveva l'ovatta nella testa e una strana voglia di
piangere; le sue mani tremavano ancora.
Dominic e Orlando si dirigevano
alla macchina in silenzio; nell'oscurità Dom aveva visto gli occhi lucidi
dell'amico, che dopo un po' si fermò.
"Cazzo." Esordì
Orlando. "L'ho mollata..." Mormorò poi.
"Eh, sì." Annuì
l'amico. "Ma sei innamorato, vero?" L'altro sbuffò, a quella domanda.
"Sì, puttana la
miseria!" Rispose poi. "Ma sono anche incazzato! Quella
stronza!" Aggiunse, riprendendo a camminare; Dom ridacchiò. "Guida
tu, va."
"Hm, non so se ti
conviene..." Replicò divertito l'amico; Orlando lo guardò, aggrottando la
fronte. "Tu sarai incazzato come una biscia tasmana, ma io c'ho in corpo
quattro coca e rum!"
"Che Dio ce la mandi
buona, allora!" Commentò soltanto l'altro e, ridendo, salirono in
macchina.
La verità era che Orlando per
questa cosa ci stava male da cani; non sperava davvero che Cass si sarebbe
fatta viva, la conosceva, era orgogliosa, col cazzo avrebbe fatto il primo
passo. Ma, del resto, quello era l'unico modo per capire se ci teneva a lui. Si
stava arrovellando, comunque, e, come sempre, quando era preda di quelle seghe
mentali, l'unico da chiamare era Viggo; il solo ascoltare la sua voce lo
rasserenava, e gli dava sempre buoni consigli.
"Allora, come mi devo
comportare, secondo te?" Gli chiese impaziente, alla fine del resoconto
degli ultimi avvenimenti; pausa alla Mortensen, dall'altra parte.
"A quanto mi sembra di
capire..." Mormorò infine l'uomo. "...tu sei interessato a sapere
perché lei si comporta così, il motivo per cui tiene così poco alla sua
vita?"
"Eggià." Rispose
Orlando, rassegnato ai tempi di Viggo.
"Ci tieni veramente a
questa ragazza?" Gli domandò l'amico.
"Te l'ho detto, sì, sì, e
sì."
"E muoviti, allora."
Lo spronò l'uomo, ma senza violenza. "Tu non sei mai stato uno che sta con
le mani in mano, datti da fare, qualcosa inventerai, ti conosco."
"Sembra facile..."
Biascicò Orlando, posando il mento su una mano. "...ma..." Sentì
ridacchiare sommessamente l'amico. "Che cazzo ti ridi?" Gli chiese
con un sorriso.
"Chi avrebbe immaginato
che, una scopata in uno stanzino, si sarebbe trasformata in una storia d'amore
in piena regola." Spiegò Viggo.
"Ma vaffanculo!"
Replicò divertito Orlando.
"Io ci vado anche..."
Ribatté l'uomo. "...ma la prossima volta che hai bisogno di farmi tornare
da quel beneamato paese, fammi il favore di ricordarti il fuso orario..."
Il ragazzo cominciava a ridere, anche per il tono assolutamente serio che
l'amico stava usando. "...io ho una vita, quando non sono al telefono con
te..."
"Viggo, se non ci fossi
andresti inventato!" Esclamò Orlando; entrambi scoppiarono a ridere.
"Buonanotte stellina,
fammi sapere, mi raccomando." Lo salutò infine l'uomo.
"Ci sentiamo presto."
Disse soltanto lui, prima di riagganciare.
Orlando fermò la macchina lungo
il marciapiede, davanti a quella villetta, in una via piena di altre villette,
tutte uguali. Il ragazzo, per un attimo si era chiesto se avesse fatto bene, ad
approfittarsi del suo vecchio amico Josh, per avere quelle informazioni alla
motorizzazione; poi si era detto che sì, era l'unico modo. Sospirò, mentre
scendeva dalla macchina e la chiudeva; percorse i pochi passi che lo separavano
dal portone con le mani sprofondate nelle tasche. Non capiva perché si sentisse
così teso. Suonò il campanello.
"Sì?" Gli fece la
donna che aprì; aveva un caschetto di capelli biondi, ben acconciati, una
maglia celeste a maniche corte, e jeans. A prima vista non somigliava molto a
Cassy, ma in un certo modo si capiva che erano madre e figlia.
"Salve..." Salutò
Orlando, con un po' d'imbarazzo. "Lei è la signora Wendy Simmons?" Le
chiese; lei lo guardò strano per un breve momento.
"Sono io." Rispose
infine.
"Mi chiamo Orlando, sono
un amico di Cassandra..." Si presentò il ragazzo.
"Non vive qui." Lo
interruppe la donna; lui la guardò.
"Sì, lo so." Affermò
poi. "Volevo parlare con lei un momento, mi fa entrare, sempre se non disturbo?"
Lei lo osservò attentamente per
qualche istante: non sembrava il solito morto di fame che portava di solito a
casa Cassy; nonostante l'abbigliamento semplice quel ragazzo aveva un qualcosa
che lo posizionava in una classe sociale superiore, e poi era troppo educato.
Questo lo pensò prima di vedere il grosso, sportivo, prestigioso e sicuramente
carissimo orologio che portava al polso; non un oggetto che si possono
permettere tutti.
"Accomodati."
L'invitò, scostandosi dalla porta; in quel momento alzò gli occhi e vide la
macchina parcheggiata lungo il marciapiede. "Ci conosciamo?" Chiese
al ragazzo, quando si girò verso di lui, dopo aver chiuso la porta.
"Perché hai un viso familiare..."
"No, non ci conosciamo, o
almeno, io non conosco lei..." Rispose un po' impacciato Orlando. "Mi
avrà visto al cinema..." Ipotizzò poi; Wendy si voltò di scatto e
l'osservò meglio.
"Sei un attore..."
Realizzò alla fine, continuando a studiarlo. "Sei... sei quello che ha
fatto Pirates of the Caribbean, e Troy, e...!" Esclamò infine.
"Eh, sì..." Ammise
lui, passandosi una mano sulla nuca.
"Ma senti un po'."
Commentò la donna. "Come vi siete conosciuti, con Cassy?" Gli
domandò.
"Al campo di
paracadutismo." Rispose Orlando.
"Ah..." L'espressione
della signora Simmons si fece più pensierosa, ma poco dopo rialzò gli occhi su
di lui, con un sorriso. "Ma siediti." Gli disse. "Ti va una
tazza di the?"
"Sì, grazie." Annuì
il ragazzo, accomodandosi sul divano. "E' molto gentile." Lei gli
sorrise di nuovo, poi scomparve in cucina.
"Che cosa sei venuto a
fare qui?" Domandò la donna a Orlando, poco dopo, mentre gli serviva il
the; lui esitò un attimo, poi parlò.
"Ecco..." Titubò.
"...non vorrei entrare nei particolari, ma Cass si sta mettendo sempre più
nei guai, non vorrei farla preoccupare, ma..."
"Non temere." Lo
interruppe lei, tenendo il capo chino, apparentemente concentrata nel servizio.
"Sono abituata alle intemperanze di Cass, sono cominciate molto tempo
fa."
"Vorrei saperne di
più." Intervenne il ragazzo.
"Hm..." Dopo aver preso
un sorso di the, Wendy posò la tazza sul tavolo. "Quasi due anni fa, una
notte, è tornata a casa con i capelli di tre colori ed un tatuaggio
sull'addome..." Raccontò senza guardarlo. "...poi ha conosciuto
Malcom, ed ha cominciato con gli sport estremi, da allora non si contano le
assurdità che ha fatto, dalle sbronze, alla marijuana, alla resistenza a pubblico ufficiale, finché, l'inverno
scorso, prima di Natale, se n'è andata anche di casa." Continuò. "Diceva
che le tarpavo le ali." Commentò con triste ironia. "Non la vedo da
sei mesi, e non la sento da tre."
Orlando si rammaricò, sapendo
quali erano i rapporti tra le due donne; lui, che adorava sua madre, non
riusciva a capire come si potesse arrivare ad un livello simile.
"Sono dispiaciuto che non
abbiate un bel rapporto." Mormorò il ragazzo.
"Non è sempre stato così,
un tempo ci dicevamo tutto..." Dichiarò Wendy, scuotendo il capo.
"Lo immaginavo." La
donna fu sorpresa da quell'affermazione dell'attore, così lo guardò negl'occhi.
"Fin dall'inizio ho pensato che la Cassy che ho conosciuto non fosse
quella vera." Lei gli sorrise.
"Non avrei dovuto
stupirmi, tu sei una persona di talento, e quelli come te sono più sensibili
della media." Affermò lei. "Vuoi sapere cosa l'ha trasformata?"
Gli chiese poi, lui annuì. "Vieni con me." Gli disse allora,
alzandosi dal divano.
La stanza era piccola e
rettangolare, Orlando si guardava intorno un po' sconcertato; gli scaffali
erano ingombri di coppe, targhe, medaglie, fotografie, allori, alla parete di
fondo erano appese un paio di scarpette chiodate, sembravano vecchie, forse
degl'anni 50.
"Tutti questi..."
Chiese il ragazzo spaesato. "...li ha vinti Cass?" Indicò i premi che
lo circondavano.
"No, ci sono anche cose
mie e di suo padre." Rispose Wendy. "Ma molti sì, li ha vinti
lei."
Orlando si avvicinò ad una
mensola e si mise ad osservare una fotografia; era Cassy, una Cassy molto
diversa da quella che conosceva, con una treccia di capelli chiari, quasi
biondi, su un podio, con dei fiori in mano e una medaglia al collo.
"Ma questi sono i colori
della nazionale!" Esclamò, quando si accorse del body bianco con le
strisce rosse e blu e un piccolo Union Jack sul petto.
"Sì." Annuì Wendy.
"Ha partecipato ai giochi giovanili del Commonwealth, vincendo la medaglia
d'argento, c'era un'australiana che andava come un treno..."
"Cavolo, Cass era davvero
brava, allora..." Commentò colpito Orlando, si guardarono.
"No, lei non era brava,
Cass era una campionessa, sarebbe andata alle Olimpiadi, credimi." Replicò
dolcemente la donna. "Se non avesse mollato, ora sarebbe in partenza per
Atene."
"Che disciplina
praticava?" Domandò incuriosito il ragazzo.
"La più dura dell'atletica
femminile, l'eptatlon." Rispose la signora Simmons. "Aveva cominciato
con la corsa, ma non era abbastanza per lei, le piacciono... le piacevano tutte
le discipline." Aggiunse poi.
Orlando continuava a fissare la
fotografia, quel sorriso felice, quegl'occhi lucidi, e l'aura di luminosa gioia
che circondava la ragazza; lui non l'aveva mai vista così, adesso Cass era come
una stanza dove hanno spento la luce, rispetto alla persona che era allora.
"Perché ha smesso?"
Domandò rammaricato, alzando gli occhi su Wendy; lei fece una smorfia, poi
prese un'altra foto e gliela mostrò.
"Questo è il padre di
Cassy, George." Gli disse, indicando un uomo alto, immortalato tra la
moglie e la figlia. "Era un martellista della nazionale inglese, io
correvo il mezzofondo, ci siamo conosciuti alle Olimpiadi di Monaco, se le
ricordano tutti."
"Quelle
dell'attentato..." Mormorò Orlando. "Io non ero nato, ma ne ho
sentito parlare." Lei annuì.
"Proprio quei tristi
giorni ci avvicinarono." Ricordò la donna. "Comunque, dicevo,
l'atletica è un po' una malattia di famiglia, anche mio padre era un atleta, e
così quello di George, il quale corse la maratona alle Olimpiadi di
Helsinki." Riprese poi. "Mio marito, ed io anche, trasmettemmo la
passione a nostra figlia, fin dall'infanzia, ricordo infatti che il primo
giocattolo di Cassy fu il martello di suo padre..." Il suo sguardo si
perse nei ricordi, per un attimo. "Lui era il suo allenatore, e la stava
portando a livelli altissimi, Cass lo adorava, nonostante le normali
incomprensioni che possono esserci, finché..." A quel punto, Orlando aveva
già capito dove sarebbe arrivata la signora Simmons. "Quasi tre anni fa,
ormai, George è morto, all'improvviso, a bordo pista, mentre lei si
allenava..." La donna chinava il capo, tenendo una mano appoggiata sullo
scaffale. "...non c'è stato nulla da fare."
"Oh mio Dio..."
Commentò soltanto il ragazzo; ora capiva molte cose.
"Per diverse settimane
Cassy rimase apatica, io cercai di convincerla a rivolgersi ad uno psicologo, a
me è servito molto, ma lei non ne volle sapere." Affermò Wendy. "Un
giorno, poi, circa sei mesi dopo, ricominciò ad uscire, ma non per allenarsi,
stava fuori fino a tardi, tornava sempre messa peggio, fino al giorno del
tatuaggio e all'incontro con Malcom." Aggiunse. "Per carità, tra
tutti i disgraziati che mi ha portato dopo, lui è stato il migliore, almeno le
voleva bene..." Affermò sconsolata la donna, poi guardò Orlando. "Io
ho cercato di riportarla in pista, le ho proposto di continuare ad allenarla
io, ma è stato inutile, non ha più rimesso le scarpette."
Il ragazzo si scostò dallo
scaffale, aggirandosi per la stanza; tutta la faccenda adesso aveva i contorni
più definiti. Lui si era immaginato molte cose, rispetto al motivo che aveva
spinto Cassy a mollare lo sport, ed ora che sapeva, si sentiva in colpa per
averla lasciata in quel modo. Se solo avesse saputo, avrebbe cercato una soluzione
insieme a lei... Si girò verso la signora Simmons.
"Io..." Esordì.
"...posso capire il suo dolore, ma perché rinunciare a tutto questo?"
Indicò ciò che lo circondava. "...il sogno di una vita." Aggiunse
tristemente. "Io vivo e lavoro in un mondo crudele, uno vede l'aspetto
esteriore, la fama, la bellezza, ma non sa cosa c'è dietro, gli anni di
sacrifici, di particine, di umiliazioni, di porte sbattute in faccia, perciò
questa rinuncia mi addolora." Affermò. "Anche lo sport agonistico è sacrificio
e rinuncia, in più c'è anche la fatica, non posso credere che lo abbia fatto
senza rimpianti."
"Infatti non lo credo
nemmeno io." Gli disse la donna. "Ma, come ti ho detto prima, io
penso che le persone di talento siano più sensibili, ma anche più fragili... e
Cassy di talento ne ha tanto."
"Non la accetto questa
cosa." Dichiarò Orlando deciso. "Non se ne parla proprio, non si
butta nel cesso una vita d'impegno." Aggiunse scuotendo il capo. "Ci
parlerò."
"E credi di
convincerla?" Fece Wendy, con tono scettico; lui alzò i suoi occhi
profondi in quelli della donna, serio.
"So essere molto
convincente, se voglio." Rispose. "Qualcosa succederà, lei stia
pronta." Le garantì poi, determinato.
La donna, per un qualche
misterioso motivo, si sentiva fiduciosa, nei confronti di quel ragazzo, non
aveva mai visto nessuno così determinato ad aiutare Cassy, chissà, forse aveva
abbastanza palle da riuscirci; soprattutto, sperò che sua figlia fosse
sufficientemente presa da lui, da dargli retta. Lo guardò di nuovo, mentre lo
accompagnava alla porta, era veramente un bel ragazzo, viso gentile, ma non si
può mai dire con gli attori; chissà che tipo di rapporto avevano quei due, dove
andavano insieme, se Cassy era già finita su qualche rivista insieme a lui, se
facevano sesso... si diede della scema, certo che lo facevano, non erano mica
bambini! Adesso stava facendo dei pensieri da mamma, ed erano mesi che non le
succedeva.
"Sai..." Disse ad
Orlando, dopo avergli aperto la porta. "...mi fa piacere che Cassy si sia
messa con uno come te." Lui la guardò sospettoso.
"Non le ho detto che
stiamo insieme." Affermò poi.
"Se non è così, scommetto
che non è colpa tua." Il ragazzo fece un sorrisino mesto. "E poi, di
solito, i fidanzati di Cass arrivano su cessi ambulanti, non su fuoristrada
Mercedes coi vetri scuri, perciò." Aggiunse, alludendo alla macchina
parcheggiata in fondo al vialetto.
"Grazie." Fece lui,
dopo un sorriso sincero.
"Di nulla, è stato un
piacere." Rispose Wendy. "Spero che ci rivedremo."
"Anch'io." Replicò
Orlando, stringendo la mano che gli veniva porta. "Arrivederci."
Salutò allontanandosi; lei restò a guardare finché non salì in macchina e mise
in moto.
Un tramonto limpido, strano per
l'Inghilterra, illuminava la pista; Orlando si diresse al magazzino, passando
proprio davanti alla porta della rimessa dove lui e Cass avevano fatto l'amore
per la prima volta. Il ricordo di quella scopata, sì perché solo quello era,
gli diede un po' fastidio, alla luce di quello che provava ora; del resto, se
non fosse successo, non l'avrebbe conosciuta, e forse questo era peggio.
La vide che piegava il suo
paracadute sul grande tavolo lungo la parete del magazzino, stranamente era
sola; si avvicinò, senza curarsi troppo di non farsi vedere, ma lei era
distratta e non se ne accorse. Cassy si girò dopo qualche minuto, trovandoselo
davanti; Orlando era serio, portava una t-shirt grigia e jeans, giocherellava
con le chiavi della macchina, e questo tradiva un po' di nervosismo. Lei
s'incupì.
"Deponiamo per un attimo
le armi." Esordì il ragazzo. "Vorrei solo parlarti." Cassy
lasciò bruscamente quello che aveva in mano, poi s'incamminò lungo la pista;
lui la seguì. "Sono stato da tua madre." Affermò poi, dopo alcuni
metri; la ragazza si girò di scatto, con espressione adirata; Orlando si
aspettava quella reazione.
"Cosa?!" Sbottò
infatti Cass. "Ma come ti sei permesso?!" L'accusò poi.
"Io avrei voluto sapere da
te, che problemi avevi, ma tu mi chiudi tutte le porte." Replicò
rammaricato l'attore. "Non è colpa mia se sono dovuto entrare dalla finestra."
"Bell'analogia, non c'è
che dire." Commentò sarcastica, dandogli di nuovo le spalle. "Io,
comunque, non ho alcun problema."
"Oh, sì che ce
l'hai." Ribatté Orlando annuendo.
"Humpf..." Sbuffò
lei. "Immagino che ti avrà fatto vedere la sua adorata stanzetta dei
trofei, tutte quelle inutili medaglie, targhe, coccarde..." Proclamò
allora la ragazza, mostrando distacco. "...mh... immagino che tu abbia
visto anche le scarpette del nonno attaccate al muro, patetiche, come mia
madre."
"Non dire così, io credo
che un tempo anche tu hai amato quelle cose che ora chiami inutili."
Affermò Orlando. "E tua madre non è affatto patetica, considerato il
dolore che ha provato e le preoccupazioni che le dai tu." Cassy taceva,
vagando con lo sguardo.
"Non avevi comunque il
diritto d'impicciarti delle cose nostre." Dichiarò dopo un po',
continuando a non guardarlo.
"Cassy, tu hai bisogno di
aiuto." Le disse il ragazzo, posando una mano sul suo braccio; lei gli
lanciò un'occhiata gelida, lui scosse il capo. "No, io so che non sei
stupida, che ti rendi conto di quello che ti sta succedendo, vuoi veramente
continuare così?" Le chiese.
"Mi dici a che serve
impegnarsi tanto, allenarsi ogni giorno, costruire il futuro, se il giorno dopo
puoi essere morto?" Replicò accorata la ragazza. "Come mio
padre." Aggiunse chinando il capo.
"Dimmi tu, a cosa serve
vivere, senza cercare di realizzare i propri sogni." Ribatté calmo lui.
"Vuoi arrivare alla fine della tua vita con un pugno di mosche, rendendoti
conto di aver seppellito le tue speranze ben prima del tuo corpo?"
"Preferisco vivere come se
non ci fosse domani, come se ogni giorno fosse l'ultimo, e godermi ogni attimo,
senza pensare." Affermò lei, ma dall'espressione non si sarebbe detto che
fosse convinta delle proprie parole.
"Questo non toglie che,
comunque, un domani esiste." Precisò dolcemente Orlando. "E tu hai un
dono, un talento, che non puoi buttare via così."
"Ma cosa ne sai
tu..." Mormorò Cassy, alzando su di lui degl'occhi che non riusciva a far
rimanere asciutti; il ragazzo le strinse delicatamente le spalle.
"Abbastanza da sapere che
ora non sei felice, ma un tempo lo sei stata." Rispose poi, con ancora
negl'occhi quella ragazzina piena di gioia vista nella foto.
"Tu non capisci... niente
sarà più come allora..." Riprese la ragazza, sempre più abbattuta.
"...lui non c'è più..."
"Ma è anche per tuo padre
che devi tornare ad allenarti." L'interruppe Orlando. "Ha creduto in
te per tanti anni, realizzando il tuo sogno realizzi anche il suo."
Continuò. "Perché non puoi negarlo, sfondare come atleta era il tuo sogno." Aggiunse; Cassy
guardava verso il basso ora, combattuta tra la voglia di scappare e quella di
abbracciarlo. "E non sei sola, c'è tua madre, che aspetta solo una tua
parola, e ci sono io." Le sorrise.
"Tu?" Fece lei, con
espressione interrogativa.
"Sempre per te, se mi
vorrai." Dichiarò Orlando, carezzandole i capelli.
"Io..." La ragazza
chinò di nuovo lo sguardo. "...io non so... devo riflettere, sì..."
Balbettò poi. "Ho bisogno di stare da sola..." Affermò infine, scostandosi
da lui.
"Lunedì pomeriggio parto
per il Canada, cominciano le riprese." Le disse l'attore, mentre Cassy si
allontanava. "Ma se hai bisogno di me, come rintracciarmi lo sai."
Lei ebbe solo la forza di annuire e, prima di scoppiare in lacrime, corse via.
Si fermò solo davanti al suo
armadietto, nel magazzino, respirando forte e poggiando le mani sullo
sportello; Malcom, vedendola in quelle condizioni, si avvicinò, posandole una
mano sulla spalla.
"Cass, stai bene?" Le
chiese.
"No." Rispose la ragazza.
"NO!" Ripeté alzando la voce. "Non sto bene, non sono mai stata
bene, sono tre anni che sto male!" Gridò poi, il ragazzo si scostò
allarmato. "Lasciatemi in pace!" Aggiunse piangendo, dopodiché
scappò, rifugiandosi nella rimessa dei paracadute, dove si gettò sulle
attrezzature, dando libero sfogo al suo dolore.
CONTINUA...