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Autore: CowgirlSara    07/06/2004    1 recensioni
Orlando conosce una ragazza che vive la vita come se non ci fosse domani; inizia tra loro una relazione che sembra non avere lunga durata, ma le cose non sono mai come sembrano.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Monaghan, Orlando Bloom, Viggo Mortensen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aluuura

Aluuura! Prima di tutto ringrazio tutte le commentatrici (e gli eventuali commentatori se ce ne sono), siete state davvero carine, anche perché non credevo questa fic potesse piacere tanto.

Poi, voglio solo comunicare che questo è un capitolo fondamentale, dove finalmente si svelano i misteri del passato di Cassy; non so se sono riuscita a rendere bene la faccenda, io lo spero, comunque aspetto i vostri commenti, che mi chiariranno come sempre le idee. E mi raccomando, fate attenzione alle canzoni che introducono i capitoli, spiegano alcune cose; e poi io le amo! Hanno diritto pure loro ad un po’ di attenzione! ^_____^

Piccola dedichina per la Moon, che c’ha avuto qualche problemino, spero che questo capitolo serva almeno a farti tornare giù i capelli, visto che penso saranno ancora dritti dall’incazzatura ^__- un bacione ciccia!

Divertitevi, ciao a tutti!

Sara

 

- Capitolo 4 -

E lontano

Mille miglia

A due passi da me

Non vedere l'azzurro che c'è

Non cercare più niente

(Lontano - Nomadi)

 

Il tempo passava, e si avvicinava sempre di più il giorno in cui Orlando sarebbe dovuto partire per il Canada; la riunione con il regista era stata un successo, così avevano deciso che non c'era bisogno di troppe prove, era meglio cominciare a lavorare direttamente sul set.

Cassy non si era più fatta sentire, e questo era l'unico problema che il giovane attore avesse in quel momento; in quei giorni si era reso conto che lei gli mancava in maniera insopportabile. E' vero, quella ragazza era instabile, vaga e inaffidabile, ma cazzo, lui si era innamorato, e gli mancavano tutti quei suoi piccoli gesti folli, il suo trucco pesante, i suoi abiti strani, persino le catene e le borchie; ogni tanto gli sembrava di sentire la sua risata echeggiare nella casa, di vedere le sue scarpe colorate fuori del bagno, o di rimanere deluso tutte le volte che non c'era la sua macchina parcheggiata davanti al vialetto, in modo da impedire l'uscita dal garage.

Ma quello che gli mancava di più era la sua tenerezza, sì, quella che teneva nascosta, e veniva fuori timidamente, nelle piccole coccole, nei nomignoli, negl'abbracci improvvisi, nei baci sulle guance, dopo aver fatto l'amore.

Era un po' depresso, così, quando aveva saputo che si trovava in Inghilterra per un nuovo film, aveva invitato Dominic a stare da lui; la casa gli sembrava troppo grande e silenziosa a starci da solo. Almeno l'amico, con il suo carattere confusionario e caciarone, lo distraeva un po' e potevano discutere, seriamente, della grandezza del frigo come status symbol senza essere presi per due deficienti.

Orlando, però, nonostante tutto, non poté fare a meno di "capitare" sotto casa di Cass e di osservarla mentre rientrava o usciva; non ebbe in ogni caso mai il coraggio di farsi vedere.

Un venerdì sera Dom e Orlando furono invitati all'ennesimo evento vip della City: uno dei tanti cantanti fighi organizzava una fighissima festa, per l'uscita del suo ultimo strafigo disco, nella discoteca più figa della città. Non potevano mancare, si erano detti, dopo aver passato una quindicina di crudeli minuti a fare il pelo e contropelo al succitato cantante, dotato, secondo Dom, di microscopico, ma fighissimo, pisello.

Si tirarono a lucido, se la gente doveva guardare qualcosa, sarebbero stati loro; fu così che, appena arrivati, gli si appiccicarono subito addosso tre o quattro ragazze in vesti succinte. Dominic, come al solito, nelle due ore successive, si diede da fare, ficcando le mani ovunque fosse possibile e suscitando l'ilarità delle fanciulle; Orlando, invece, cominciava a chiedersi se la tipa che gli stava parlando da circa un quarto d'ora avesse un cervello, o più una specie di cocktail di scampi, dentro la scatola cranica. Il vestito rosa carne, coperto di brillantini, che indossava la ragazza era cortissimo e quasi trasparente, ma stranamente la cosa non lo eccitava per niente; era annoiato. Se fosse nello stesso posto con Cassy, a quest'ora sarebbero stati a ballare sui tavoli; oppure a fare l'amore in un bagno.

"Scusa..." Orlando interruppe la ragazza alzandosi dallo sgabello. "...ho bisogno di una boccata d'aria." Le disse allontanandosi.

"Ma... ma Orlando, posso venire anch'io..." Non la sentì neanche, stava già spingendo la maniglia antipanico.

Si ritrovò su un'ampia terrazza da cui partiva la scala antincendio; c'erano due o tre persone, ma erano lontane, dall'altra parte rispetto a lui, e parlottavano fitto, fumando. Orlando si avvicinò al parapetto e ci posò le mani, prendendo un lungo respiro, a stare dentro gli era venuta quasi un po' di nausea; guardò l'orizzonte, si vedeva il Tamigi e la grande ruota panoramica del Millennium Dome, illuminata. Chissà dov'era Cassy...

Basta pensare, era ora di agire, e che cavolo! O non era più se stesso. Orlando, deciso, afferrò il cellulare, ora l'avrebbe chiamata, era disposto pure ad ammettere di non aver ragione... no, ora non esageriamo... ma comunque era disposto a spiegarsi, e a sentire le sue ragioni.

Il telefonino, proprio quando l'ebbe recuperato dalla tasca dei pantaloni, si mise a vibrare; il ragazzo guardò il display e gli s'illuminarono gli occhi; la luce blu pulsante evidenziava un nome: CASS.

"Pronto, Cassy?!" Rispose entusiasta.

"Orlando?" Una voce maschile lo gelò, aggrottò la fronte.

"Sì, chi parla?" Domandò sospettoso e già leggermente preoccupato.

"Sono Malcom, non so se ti ricordi..." Il suo ex, eccome se lo ricordava, sapeva perfino che le sue prestazioni sessuali non erano il massimo, ma che cazzo voleva ora questo?

"Sì, mi ricordo, ma perché mi chiami con il telefono di Cass?" Si decise a chiedere, con urgenza, visto che l'ansia stava crescendo.

"Senti, non sapevo chi chiamare..." Un pausa che non ci voleva, Orlando stava per spronarlo. "...Cass si sta mettendo in un casino, io ho cercato di..."

"Dove siete?!" Chiese con impeto l'attore, afferrando con tutta la forza la ringhiera del terrazzo.

Dominic stava sorseggiando un drink, seduto su un divano, con una ragazza mezza spalmata addosso, senza capire una beneamata cippa di quello che dicevano i suoi interlocutori, vista la musica, il chiacchiericcio e lo struscio di scarpe che aveva attorno; la mano di Orlando si strinse forte intorno alla sua spalla, facendolo voltare. La faccia preoccupata che vide non gli piaceva per nulla, allora si alzò e seguì l'amico nell'ingresso del locale.

"Mi accompagneresti in un posto?" Gli chiese Orlando, tenendo una mano sulla sua spalla.

"Certo!" Aveva subito acconsentito Dom. "Prima esco da questa secca di encefalitici, meglio è." Aggiunse ridacchiando.

"Guida tu, non me la sento." Riprese l'amico, allungandogli le chiavi della sua macchina, mentre stavano ritirando le giacche al guardaroba.

"Oh, ma dove andiamo?" Domandò preoccupato Dom.

"Conosci Gosford Park?"

"C'è un vecchio circuito da moto..." Rispose l'altro annuendo.

"Lì." Confermò Orlando, sbrigandosi verso l'uscita; Dom lo seguì, in apprensione per tutti quei misteri.

 

Le dita di Orlando afferrarono la rete metallica, stringendo fino a far sbiancare le nocche; le auto sfrecciavano sulla vecchia pista in abbandono, veloci da far paura, i pneumatici sibilavano sulle curve lasciando segni scuri. Il circuito era illuminato da fari posti su alti piloni, mentre il nastro d'asfalto era percorso dai fanali delle macchine.

"Lei dov'è?" Domandò con urgenza Orlando.

"La macchina gialla." Rispose Malcom, accanto a lui.

L'auto che aveva indicato era impegnata in un arduo sorpasso, in prossimità di una curva; le due macchine si sfiorarono, sgommarono, percorsero qualche metro appaiate, finché quella gialla dette un'accelerata e distanziò l'altra.

"Oh, cazzo..." Commentò Dom, portandosi una mano alla nuca.

"Fermali subito!" Ordinò Orlando a  Malcom, afferrandolo per le spalle.

"Ma non posso, non si può fermare la gara!" Rispose lui preoccupato.

"Fermali, o ti giuro che chiamo la polizia!" Replicò l'attore, incazzatissimo.

"Orlando, cerca di calmarti, perdio!" Intervenne Dominic, dividendoli; l'amico respirava forte. "Non serve a nulla che t'incazzi così!"

"E' l'ultimo giro." Affermò Malcom, risistemandosi la camicia.

Orlando lo lasciò perdere con un sibilo rabbioso, e tornò a seguire la gara. L'auto di Cassy era di nuovo impegnata da quella blu che la seguiva; era l'ultima curva, e quello era il duello di punta, benché i primi fossero già arrivati. La macchina blu entrò di forza nel sorpasso, quella gialla fu costretta a sterzare bruscamente per evitarla, e finì fuori strada, in testacoda. La gara era finita e tutti i presenti, urlanti e parecchio alticci, visti gli ettolitri di birra che scorrevano, invasero la pista. Orlando saltò un basso muretto e si diresse correndo verso la macchina ferma a bordo pista; aprì lo sportello, dentro Cassy rideva istericamente. La prese per un braccio, tirandola fuori.

"Smettila di ridere!" Le gridò. "Ti rendi conto di che cosa hai fatto?!" Lei si divincolò con violenza, assumendo un'espressione arrabbiata.

"Oh, ma che cazzo vuoi?!" Replicò poi, incupita. "Levati dalle palle!" Gli ordinò.

"No, che non me ne vado stavolta!" Orlando non era minimamente intenzionato a cedere terreno. "Ti potevi ammazzare sul serio, e io non sono disposto a stare a guardare mentre lo fai!"

"E chi ti ha detto che devi farlo?! Io sono perfettamente in grado di gestire la situazione!" Ribatté la ragazza.

"Ma se ti tremano le mani!" Esclamò l'attore, indicando le sue estremità in movimento; lei se le guardò sorpresa.

"E' l'adrenalina." Rispose stringendo i pugni.

"No, è la paura." Precisò lui; Cassy strinse anche i denti, assumendo un'espressione minacciosa.

"Ma lo vuoi capire o no, che non ti voglio più vedere, ascoltare la tua voce, farmi sbattere da te, sparisci dalla mia vita!" Urlò la ragazza.

"No!" S'impose Orlando. "Non ne ho intenzione, perché io ci tengo a te, brutta cretina, e se non lo hai capito mi dispiace!"

"Ma che cosa vuoi?" Domandò allora lei, abbassando un po' il tono.

"Voglio che la smetti con queste stronzate, Cass." Rispose Orlando. "Io lo so come ci si può ritrovare..." Continuò. "Anni fa sono caduto dal terzo piano, mi sono spezzato la schiena, potevo rimanere paralizzato e mi ci è voluto più di un anno per rimettermi in piedi..." Raccontò serio. "...un anno di fisioterapia, di dolore, di umiliazione. Credimi, tu non hai idea di cosa vuol dire."

"E cosa dovrebbe farmi capire, questo?" Chiese la ragazza.

"Fai un po' tu, se non ci arrivi da sola." Fece lui allargando le mani. "Io sono stufo di tutto questo, di correrti dietro e riacchiapparti quando stai per cadere... Io ti voglio bene, ma se questo non è sufficiente, non so che altro fare." Affermò arreso. "Pensaci, dove trovarmi lo sai." Furono le sue ultime parole, si voltò, allontanandosi verso Dominic che lo aspettava.

Cassy sospirò, appoggiandosi contro la fiancata della macchina; intorno a lei la gente urlava e rideva, applaudendo i vincitori. Lei aveva l'ovatta nella testa e una strana voglia di piangere; le sue mani tremavano ancora.

Dominic e Orlando si dirigevano alla macchina in silenzio; nell'oscurità Dom aveva visto gli occhi lucidi dell'amico, che dopo un po' si fermò.

"Cazzo." Esordì Orlando. "L'ho mollata..." Mormorò poi.

"Eh, sì." Annuì l'amico. "Ma sei innamorato, vero?" L'altro sbuffò, a quella domanda.

"Sì, puttana la miseria!" Rispose poi. "Ma sono anche incazzato! Quella stronza!" Aggiunse, riprendendo a camminare; Dom ridacchiò. "Guida tu, va."

"Hm, non so se ti conviene..." Replicò divertito l'amico; Orlando lo guardò, aggrottando la fronte. "Tu sarai incazzato come una biscia tasmana, ma io c'ho in corpo quattro coca e rum!"

"Che Dio ce la mandi buona, allora!" Commentò soltanto l'altro e, ridendo, salirono in macchina.

 

La verità era che Orlando per questa cosa ci stava male da cani; non sperava davvero che Cass si sarebbe fatta viva, la conosceva, era orgogliosa, col cazzo avrebbe fatto il primo passo. Ma, del resto, quello era l'unico modo per capire se ci teneva a lui. Si stava arrovellando, comunque, e, come sempre, quando era preda di quelle seghe mentali, l'unico da chiamare era Viggo; il solo ascoltare la sua voce lo rasserenava, e gli dava sempre buoni consigli.

"Allora, come mi devo comportare, secondo te?" Gli chiese impaziente, alla fine del resoconto degli ultimi avvenimenti; pausa alla Mortensen, dall'altra parte.

"A quanto mi sembra di capire..." Mormorò infine l'uomo. "...tu sei interessato a sapere perché lei si comporta così, il motivo per cui tiene così poco alla sua vita?"

"Eggià." Rispose Orlando, rassegnato ai tempi di Viggo.

"Ci tieni veramente a questa ragazza?" Gli domandò l'amico.

"Te l'ho detto, sì, sì, e sì."

"E muoviti, allora." Lo spronò l'uomo, ma senza violenza. "Tu non sei mai stato uno che sta con le mani in mano, datti da fare, qualcosa inventerai, ti conosco."

"Sembra facile..." Biascicò Orlando, posando il mento su una mano. "...ma..." Sentì ridacchiare sommessamente l'amico. "Che cazzo ti ridi?" Gli chiese con un sorriso.

"Chi avrebbe immaginato che, una scopata in uno stanzino, si sarebbe trasformata in una storia d'amore in piena regola." Spiegò Viggo.

"Ma vaffanculo!" Replicò divertito Orlando.

"Io ci vado anche..." Ribatté l'uomo. "...ma la prossima volta che hai bisogno di farmi tornare da quel beneamato paese, fammi il favore di ricordarti il fuso orario..." Il ragazzo cominciava a ridere, anche per il tono assolutamente serio che l'amico stava usando. "...io ho una vita, quando non sono al telefono con te..."

"Viggo, se non ci fossi andresti inventato!" Esclamò Orlando; entrambi scoppiarono a ridere.

"Buonanotte stellina, fammi sapere, mi raccomando." Lo salutò infine l'uomo.

"Ci sentiamo presto." Disse soltanto lui, prima di riagganciare.

 

Orlando fermò la macchina lungo il marciapiede, davanti a quella villetta, in una via piena di altre villette, tutte uguali. Il ragazzo, per un attimo si era chiesto se avesse fatto bene, ad approfittarsi del suo vecchio amico Josh, per avere quelle informazioni alla motorizzazione; poi si era detto che sì, era l'unico modo. Sospirò, mentre scendeva dalla macchina e la chiudeva; percorse i pochi passi che lo separavano dal portone con le mani sprofondate nelle tasche. Non capiva perché si sentisse così teso. Suonò il campanello.

"Sì?" Gli fece la donna che aprì; aveva un caschetto di capelli biondi, ben acconciati, una maglia celeste a maniche corte, e jeans. A prima vista non somigliava molto a Cassy, ma in un certo modo si capiva che erano madre e figlia.

"Salve..." Salutò Orlando, con un po' d'imbarazzo. "Lei è la signora Wendy Simmons?" Le chiese; lei lo guardò strano per un breve momento.

"Sono io." Rispose infine.

"Mi chiamo Orlando, sono un amico di Cassandra..." Si presentò il ragazzo.

"Non vive qui." Lo interruppe la donna; lui la guardò.

"Sì, lo so." Affermò poi. "Volevo parlare con lei un momento, mi fa entrare, sempre se non disturbo?"

Lei lo osservò attentamente per qualche istante: non sembrava il solito morto di fame che portava di solito a casa Cassy; nonostante l'abbigliamento semplice quel ragazzo aveva un qualcosa che lo posizionava in una classe sociale superiore, e poi era troppo educato. Questo lo pensò prima di vedere il grosso, sportivo, prestigioso e sicuramente carissimo orologio che portava al polso; non un oggetto che si possono permettere tutti.

"Accomodati." L'invitò, scostandosi dalla porta; in quel momento alzò gli occhi e vide la macchina parcheggiata lungo il marciapiede. "Ci conosciamo?" Chiese al ragazzo, quando si girò verso di lui, dopo aver chiuso la porta. "Perché hai un viso familiare..."

"No, non ci conosciamo, o almeno, io non conosco lei..." Rispose un po' impacciato Orlando. "Mi avrà visto al cinema..." Ipotizzò poi; Wendy si voltò di scatto e l'osservò meglio.

"Sei un attore..." Realizzò alla fine, continuando a studiarlo. "Sei... sei quello che ha fatto Pirates of the Caribbean, e Troy, e...!" Esclamò infine.

"Eh, sì..." Ammise lui, passandosi una mano sulla nuca.

"Ma senti un po'." Commentò la donna. "Come vi siete conosciuti, con Cassy?" Gli domandò.

"Al campo di paracadutismo." Rispose Orlando.

"Ah..." L'espressione della signora Simmons si fece più pensierosa, ma poco dopo rialzò gli occhi su di lui, con un sorriso. "Ma siediti." Gli disse. "Ti va una tazza di the?"

"Sì, grazie." Annuì il ragazzo, accomodandosi sul divano. "E' molto gentile." Lei gli sorrise di nuovo, poi scomparve in cucina.

"Che cosa sei venuto a fare qui?" Domandò la donna a Orlando, poco dopo, mentre gli serviva il the; lui esitò un attimo, poi parlò.

"Ecco..." Titubò. "...non vorrei entrare nei particolari, ma Cass si sta mettendo sempre più nei guai, non vorrei farla preoccupare, ma..."

"Non temere." Lo interruppe lei, tenendo il capo chino, apparentemente concentrata nel servizio. "Sono abituata alle intemperanze di Cass, sono cominciate molto tempo fa."

"Vorrei saperne di più." Intervenne il ragazzo.

"Hm..." Dopo aver preso un sorso di the, Wendy posò la tazza sul tavolo. "Quasi due anni fa, una notte, è tornata a casa con i capelli di tre colori ed un tatuaggio sull'addome..." Raccontò senza guardarlo. "...poi ha conosciuto Malcom, ed ha cominciato con gli sport estremi, da allora non si contano le assurdità che ha fatto, dalle sbronze, alla marijuana, alla resistenza  a pubblico ufficiale, finché, l'inverno scorso, prima di Natale, se n'è andata anche di casa." Continuò. "Diceva che le tarpavo le ali." Commentò con triste ironia. "Non la vedo da sei mesi, e non la sento da tre."

Orlando si rammaricò, sapendo quali erano i rapporti tra le due donne; lui, che adorava sua madre, non riusciva a capire come si potesse arrivare ad un livello simile.

"Sono dispiaciuto che non abbiate un bel rapporto." Mormorò il ragazzo.

"Non è sempre stato così, un tempo ci dicevamo tutto..." Dichiarò Wendy, scuotendo il capo.

"Lo immaginavo." La donna fu sorpresa da quell'affermazione dell'attore, così lo guardò negl'occhi. "Fin dall'inizio ho pensato che la Cassy che ho conosciuto non fosse quella vera." Lei gli sorrise.

"Non avrei dovuto stupirmi, tu sei una persona di talento, e quelli come te sono più sensibili della media." Affermò lei. "Vuoi sapere cosa l'ha trasformata?" Gli chiese poi, lui annuì. "Vieni con me." Gli disse allora, alzandosi dal divano.

 

La stanza era piccola e rettangolare, Orlando si guardava intorno un po' sconcertato; gli scaffali erano ingombri di coppe, targhe, medaglie, fotografie, allori, alla parete di fondo erano appese un paio di scarpette chiodate, sembravano vecchie, forse degl'anni 50.

"Tutti questi..." Chiese il ragazzo spaesato. "...li ha vinti Cass?" Indicò i premi che lo circondavano.

"No, ci sono anche cose mie e di suo padre." Rispose Wendy. "Ma molti sì, li ha vinti lei."

Orlando si avvicinò ad una mensola e si mise ad osservare una fotografia; era Cassy, una Cassy molto diversa da quella che conosceva, con una treccia di capelli chiari, quasi biondi, su un podio, con dei fiori in mano e una medaglia al collo.

"Ma questi sono i colori della nazionale!" Esclamò, quando si accorse del body bianco con le strisce rosse e blu e un piccolo Union Jack sul petto.

"Sì." Annuì Wendy. "Ha partecipato ai giochi giovanili del Commonwealth, vincendo la medaglia d'argento, c'era un'australiana che andava come un treno..."

"Cavolo, Cass era davvero brava, allora..." Commentò colpito Orlando, si guardarono.

"No, lei non era brava, Cass era una campionessa, sarebbe andata alle Olimpiadi, credimi." Replicò dolcemente la donna. "Se non avesse mollato, ora sarebbe in partenza per Atene."

"Che disciplina praticava?" Domandò incuriosito il ragazzo.

"La più dura dell'atletica femminile, l'eptatlon." Rispose la signora Simmons. "Aveva cominciato con la corsa, ma non era abbastanza per lei, le piacciono... le piacevano tutte le discipline." Aggiunse poi. 

Orlando continuava a fissare la fotografia, quel sorriso felice, quegl'occhi lucidi, e l'aura di luminosa gioia che circondava la ragazza; lui non l'aveva mai vista così, adesso Cass era come una stanza dove hanno spento la luce, rispetto alla persona che era allora.

"Perché ha smesso?" Domandò rammaricato, alzando gli occhi su Wendy; lei fece una smorfia, poi prese un'altra foto e gliela mostrò.

"Questo è il padre di Cassy, George." Gli disse, indicando un uomo alto, immortalato tra la moglie e la figlia. "Era un martellista della nazionale inglese, io correvo il mezzofondo, ci siamo conosciuti alle Olimpiadi di Monaco, se le ricordano tutti."

"Quelle dell'attentato..." Mormorò Orlando. "Io non ero nato, ma ne ho sentito parlare." Lei annuì.

"Proprio quei tristi giorni ci avvicinarono." Ricordò la donna. "Comunque, dicevo, l'atletica è un po' una malattia di famiglia, anche mio padre era un atleta, e così quello di George, il quale corse la maratona alle Olimpiadi di Helsinki." Riprese poi. "Mio marito, ed io anche, trasmettemmo la passione a nostra figlia, fin dall'infanzia, ricordo infatti che il primo giocattolo di Cassy fu il martello di suo padre..." Il suo sguardo si perse nei ricordi, per un attimo. "Lui era il suo allenatore, e la stava portando a livelli altissimi, Cass lo adorava, nonostante le normali incomprensioni che possono esserci, finché..." A quel punto, Orlando aveva già capito dove sarebbe arrivata la signora Simmons. "Quasi tre anni fa, ormai, George è morto, all'improvviso, a bordo pista, mentre lei si allenava..." La donna chinava il capo, tenendo una mano appoggiata sullo scaffale. "...non c'è stato nulla da fare."

"Oh mio Dio..." Commentò soltanto il ragazzo; ora capiva molte cose.

"Per diverse settimane Cassy rimase apatica, io cercai di convincerla a rivolgersi ad uno psicologo, a me è servito molto, ma lei non ne volle sapere." Affermò Wendy. "Un giorno, poi, circa sei mesi dopo, ricominciò ad uscire, ma non per allenarsi, stava fuori fino a tardi, tornava sempre messa peggio, fino al giorno del tatuaggio e all'incontro con Malcom." Aggiunse. "Per carità, tra tutti i disgraziati che mi ha portato dopo, lui è stato il migliore, almeno le voleva bene..." Affermò sconsolata la donna, poi guardò Orlando. "Io ho cercato di riportarla in pista, le ho proposto di continuare ad allenarla io, ma è stato inutile, non ha più rimesso le scarpette."

Il ragazzo si scostò dallo scaffale, aggirandosi per la stanza; tutta la faccenda adesso aveva i contorni più definiti. Lui si era immaginato molte cose, rispetto al motivo che aveva spinto Cassy a mollare lo sport, ed ora che sapeva, si sentiva in colpa per averla lasciata in quel modo. Se solo avesse saputo, avrebbe cercato una soluzione insieme a lei... Si girò verso la signora Simmons.

"Io..." Esordì. "...posso capire il suo dolore, ma perché rinunciare a tutto questo?" Indicò ciò che lo circondava. "...il sogno di una vita." Aggiunse tristemente. "Io vivo e lavoro in un mondo crudele, uno vede l'aspetto esteriore, la fama, la bellezza, ma non sa cosa c'è dietro, gli anni di sacrifici, di particine, di umiliazioni, di porte sbattute in faccia, perciò questa rinuncia mi addolora." Affermò. "Anche lo sport agonistico è sacrificio e rinuncia, in più c'è anche la fatica, non posso credere che lo abbia fatto senza rimpianti."

"Infatti non lo credo nemmeno io." Gli disse la donna. "Ma, come ti ho detto prima, io penso che le persone di talento siano più sensibili, ma anche più fragili... e Cassy di talento ne ha tanto."

"Non la accetto questa cosa." Dichiarò Orlando deciso. "Non se ne parla proprio, non si butta nel cesso una vita d'impegno." Aggiunse scuotendo il capo. "Ci parlerò."

"E credi di convincerla?" Fece Wendy, con tono scettico; lui alzò i suoi occhi profondi in quelli della donna, serio.

"So essere molto convincente, se voglio." Rispose. "Qualcosa succederà, lei stia pronta." Le garantì poi, determinato.

La donna, per un qualche misterioso motivo, si sentiva fiduciosa, nei confronti di quel ragazzo, non aveva mai visto nessuno così determinato ad aiutare Cassy, chissà, forse aveva abbastanza palle da riuscirci; soprattutto, sperò che sua figlia fosse sufficientemente presa da lui, da dargli retta. Lo guardò di nuovo, mentre lo accompagnava alla porta, era veramente un bel ragazzo, viso gentile, ma non si può mai dire con gli attori; chissà che tipo di rapporto avevano quei due, dove andavano insieme, se Cassy era già finita su qualche rivista insieme a lui, se facevano sesso... si diede della scema, certo che lo facevano, non erano mica bambini! Adesso stava facendo dei pensieri da mamma, ed erano mesi che non le succedeva.

"Sai..." Disse ad Orlando, dopo avergli aperto la porta. "...mi fa piacere che Cassy si sia messa con uno come te." Lui la guardò sospettoso.

"Non le ho detto che stiamo insieme." Affermò poi.

"Se non è così, scommetto che non è colpa tua." Il ragazzo fece un sorrisino mesto. "E poi, di solito, i fidanzati di Cass arrivano su cessi ambulanti, non su fuoristrada Mercedes coi vetri scuri, perciò." Aggiunse, alludendo alla macchina parcheggiata in fondo al vialetto.

"Grazie." Fece lui, dopo un sorriso sincero.

"Di nulla, è stato un piacere." Rispose Wendy. "Spero che ci rivedremo."

"Anch'io." Replicò Orlando, stringendo la mano che gli veniva porta. "Arrivederci." Salutò allontanandosi; lei restò a guardare finché non salì in macchina e mise in moto.

 

Un tramonto limpido, strano per l'Inghilterra, illuminava la pista; Orlando si diresse al magazzino, passando proprio davanti alla porta della rimessa dove lui e Cass avevano fatto l'amore per la prima volta. Il ricordo di quella scopata, sì perché solo quello era, gli diede un po' fastidio, alla luce di quello che provava ora; del resto, se non fosse successo, non l'avrebbe conosciuta, e forse questo era peggio.

La vide che piegava il suo paracadute sul grande tavolo lungo la parete del magazzino, stranamente era sola; si avvicinò, senza curarsi troppo di non farsi vedere, ma lei era distratta e non se ne accorse. Cassy si girò dopo qualche minuto, trovandoselo davanti; Orlando era serio, portava una t-shirt grigia e jeans, giocherellava con le chiavi della macchina, e questo tradiva un po' di nervosismo. Lei s'incupì.

"Deponiamo per un attimo le armi." Esordì il ragazzo. "Vorrei solo parlarti." Cassy lasciò bruscamente quello che aveva in mano, poi s'incamminò lungo la pista; lui la seguì. "Sono stato da tua madre." Affermò poi, dopo alcuni metri; la ragazza si girò di scatto, con espressione adirata; Orlando si aspettava quella reazione.

"Cosa?!" Sbottò infatti Cass. "Ma come ti sei permesso?!" L'accusò poi.

"Io avrei voluto sapere da te, che problemi avevi, ma tu mi chiudi tutte le porte." Replicò rammaricato l'attore. "Non è colpa mia se sono dovuto entrare dalla finestra."

"Bell'analogia, non c'è che dire." Commentò sarcastica, dandogli di nuovo le spalle. "Io, comunque, non ho alcun problema."

"Oh, sì che ce l'hai." Ribatté Orlando annuendo.

"Humpf..." Sbuffò lei. "Immagino che ti avrà fatto vedere la sua adorata stanzetta dei trofei, tutte quelle inutili medaglie, targhe, coccarde..." Proclamò allora la ragazza, mostrando distacco. "...mh... immagino che tu abbia visto anche le scarpette del nonno attaccate al muro, patetiche, come mia madre."

"Non dire così, io credo che un tempo anche tu hai amato quelle cose che ora chiami inutili." Affermò Orlando. "E tua madre non è affatto patetica, considerato il dolore che ha provato e le preoccupazioni che le dai tu." Cassy taceva, vagando con lo sguardo.

"Non avevi comunque il diritto d'impicciarti delle cose nostre." Dichiarò dopo un po', continuando a non guardarlo.

"Cassy, tu hai bisogno di aiuto." Le disse il ragazzo, posando una mano sul suo braccio; lei gli lanciò un'occhiata gelida, lui scosse il capo. "No, io so che non sei stupida, che ti rendi conto di quello che ti sta succedendo, vuoi veramente continuare così?" Le chiese.

"Mi dici a che serve impegnarsi tanto, allenarsi ogni giorno, costruire il futuro, se il giorno dopo puoi essere morto?" Replicò accorata la ragazza. "Come mio padre." Aggiunse chinando il capo.

"Dimmi tu, a cosa serve vivere, senza cercare di realizzare i propri sogni." Ribatté calmo lui. "Vuoi arrivare alla fine della tua vita con un pugno di mosche, rendendoti conto di aver seppellito le tue speranze ben prima del tuo corpo?"

"Preferisco vivere come se non ci fosse domani, come se ogni giorno fosse l'ultimo, e godermi ogni attimo, senza pensare." Affermò lei, ma dall'espressione non si sarebbe detto che fosse convinta delle proprie parole.

"Questo non toglie che, comunque, un domani esiste." Precisò dolcemente Orlando. "E tu hai un dono, un talento, che non puoi buttare via così."

"Ma cosa ne sai tu..." Mormorò Cassy, alzando su di lui degl'occhi che non riusciva a far rimanere asciutti; il ragazzo le strinse delicatamente le spalle.

"Abbastanza da sapere che ora non sei felice, ma un tempo lo sei stata." Rispose poi, con ancora negl'occhi quella ragazzina piena di gioia vista nella foto.

"Tu non capisci... niente sarà più come allora..." Riprese la ragazza, sempre più abbattuta. "...lui non c'è più..."

"Ma è anche per tuo padre che devi tornare ad allenarti." L'interruppe Orlando. "Ha creduto in te per tanti anni, realizzando il tuo sogno realizzi anche il suo." Continuò. "Perché non puoi negarlo, sfondare come atleta era il tuo sogno." Aggiunse; Cassy guardava verso il basso ora, combattuta tra la voglia di scappare e quella di abbracciarlo. "E non sei sola, c'è tua madre, che aspetta solo una tua parola, e ci sono io." Le sorrise.

"Tu?" Fece lei, con espressione interrogativa.

"Sempre per te, se mi vorrai." Dichiarò Orlando, carezzandole i capelli.

"Io..." La ragazza chinò di nuovo lo sguardo. "...io non so... devo riflettere, sì..." Balbettò poi. "Ho bisogno di stare da sola..." Affermò infine, scostandosi da lui.

"Lunedì pomeriggio parto per il Canada, cominciano le riprese." Le disse l'attore, mentre Cassy si allontanava. "Ma se hai bisogno di me, come rintracciarmi lo sai." Lei ebbe solo la forza di annuire e, prima di scoppiare in lacrime, corse via.

Si fermò solo davanti al suo armadietto, nel magazzino, respirando forte e poggiando le mani sullo sportello; Malcom, vedendola in quelle condizioni, si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.

"Cass, stai bene?" Le chiese.

"No." Rispose la ragazza. "NO!" Ripeté alzando la voce. "Non sto bene, non sono mai stata bene, sono tre anni che sto male!" Gridò poi, il ragazzo si scostò allarmato. "Lasciatemi in pace!" Aggiunse piangendo, dopodiché scappò, rifugiandosi nella rimessa dei paracadute, dove si gettò sulle attrezzature, dando libero sfogo al suo dolore.

 

CONTINUA...

 

   
 
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