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Autore: B Rabbit    05/09/2012    3 recensioni
Chissà per quale capriccio divino, guardare quella creatura rendeva felice l’animo del ragazzo che sospirava continuamente, mentre i suoi occhi erano posati su quel fiore di ciliegio caduto per lui, attirati come un ape. ~
Tratto dal Capitolo 1. ~ «Beginning» ~
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Len Kagamine, Miku Hatsune, Rin Kagamine, Un po' tutti | Coppie: Len/Rin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo so, sono in un megaultraiper-chi-ne-ha-più-ne-metta-ritardo, non ho scuse.
Sumimasen!!
*inchino*
Prima di leggere (e di uccidermi) scorrete giù per la pagina fino in fondo, poi tornate su.
Visto? E' un capitolo enorme XD
Ma soprattutto, non è tutto.
Vi spiego a fine capitolo.
Buona lettura!




Fatal Mistake

~ «Kagamine Twins Cest» ~
«Link or Bond?»





Una grande insegna accoglieva le genti con i suoi sfavillanti colori e con le varie lampadine che si illuminavano a tempo, coordinate l’une alle altre, in una grande armonia.
Alzando lo sguardo, era possibile intravedere le attrazioni più grandi, come le impervie montagne russe, capaci di strappare con estrema facilità le grida ai coraggiosi, o la docile ruota panoramica, donatrice di grandi emozioni e di ricordi meravigliosi, bianca come la neve vergine, scarlatte e zaffirine le cabine come gemme preziose.
L’aria frizzante era piacevole e la felicità aleggiava sui volti delle persone spinte ad entrare in quel luogo dalla gioia del divertimento.
Una ragazza dai capelli acquamarina si avviò sprezzante ed energica verso la piazzetta, tenendo per mano la compagna che la seguiva con tranquillità, un sorriso disegnato sulle labbra delicate.
Il povero Kagamine, abbandonato all’entrata del parco, prese la mappa variopinta offertagli con gentilezza dal ragazzo della cabina che gli regalò parole di incoraggiamento.
Dopo aver farfugliato tra loro, le ragazze afferrarono le mani del biondo, trascinandolo fino ad un tabellone esposto in mezzo alla piazzetta.
«Len-kun, io e Rin-chan abbiamo scelto dove andare!»
«Di già?»
«Si. Spero che ti piaccia, Len»
«Va bene. E sentiamo, dove sarebbe la giostra fortunata?»
«Qui!!»
Miku alzò il braccio contenta, puntando l’indice verso un punto preciso della mappa.
«Il … 15?»
Con gli occhi, il ragazzo scrutò la tabella dei numeri, facendo scorrere l’indice sulla lista, ma quando trovò la cifra, qualcosa dentro di lui si incrinò, frammentandosi in mille pezzi.
«Len…? Se la casa stregata ti spaventa, possiamo sempre cambiare»
Il giovane si specchiò gli occhi cielo della ragazza, abbozzando un sorriso sulle labbra.
Perché un malsano piacere nato dalla voglia di spaventare avrebbe dovuto turbarlo?
Erano tutte finzioni, rese reali solo dalla propria immaginazione.
«Rin-chan, tranquilla, l’orgoglio di Len-kun è più grande della sua fifa, quindi possiamo andare!»
«Ehi!»
Negata la possibilità di ribattere, il povero ragazzo si ritrovò in un istante davanti ad un grande cancello nero in ferro battuto, divorato dalla ruggine e preda del tempo.
Le aste verticali, sottili e robuste, erano decorate da elastici rovi di metallo che abbracciavano le sbarre nella loro morsa spinosa.
Le traverse superiori erano ad arco, ornate da fiori e gemme prossime allo sbocciare mentre le due inferiori erano ricoperte da muschio verde smeraldo.
La toppa riservata alla chiave ormai perduta era decorata da lineamenti dorati simili a motivi floreali.
Dietro al cancello, priva di cure e protezioni, vi era una casa in rovina dalla magnifica costruzioni passata. I gradini diroccati conducevano ad un grande portone dal legno color ciliegio, ornato da due maniglie placcate d’oro impreziosito da delicate foglie preziose.
Sul legno pregiato però, vi erano impressi tagli, buchi e segni, ma soprattutto sangue.
«Fate molta attenzione, ok? Soprattutto, non allontanatevi da sole, potrebbero esserci dei trucchetti camuffati.»
Le ragazze annuirono all'unisono.
Lasciato alle spalle lo sterile giardino, il ragazzo entrò nel gran salone principale, un tempo decorato da arazzi pregiati e stemmi familiari, ma che ora lasciavano posto solo a ragnatele e alla polvere.
All’improvviso, la grande porta si chiuse cigolando, portando via con sé l’unica luce che vi era in quel luogo.
«Rin, Miku! Usate i cellulari per far luce!»
Senza discussioni, le due ragazze presero i telefoni e rischiararono di poco la grande sala con i display, guidando il ragazzo verso un vecchio candelabro, tappezzato di ragnatele e polvere.
«Len-kun, hai un accendino con te?»
«No, sai che non fumo. Dovremo andare in cucina… anche se non so dove sia»
«Dobbiamo cercare di non separarci…»
La bionda strinse la mano dell’amica e rivolse lo sguardo verso Len, offrendogli l’altro palmo.
«…va bene?»
Il ragazzo annuì e, con un pizzico di esitazione, toccò la pelle candida della ragazza, per poi stringerle dolcemente la mano.
Lentamente, i quindicenni si diressero verso l’ala ovest della magione, percorrendo uno stretto corridoio dalle pareti color magenta, scempiate dalla rovina.
Dietro la prima porta vi era la cucina, grande e ampia, dove, grazie alle finestre, vi entravano fasci di luce dorata.
«Dobbiamo trovare qualcosa che possa accendere le candele»
Len si diresse verso i mobili pensili, aprendo ogni sportello alla ricerca di fiammiferi.
«Len-kun, forse l’ho trovato!»
Tra i utensili gettati a terra vi erano dei fiammiferi spezzati o già utilizzati.
«Vediamo… eccolo qui!»
Con cautela, il ragazzo sfregò la punta del fiammifero contro una superficie ruvida, inutilmente.
«…Len-kun, non dirmi che non sai accendere un fiammifero» «Non è colpa mia, non si accende!!»
«Fermo, se continuerai a sfregare così rovinerai il fiammifero!!»
Mentre i due litigavano per lo stelo di legno, Rin osservò gli altri fuscelli, prendendone uno in mano.
«Len, forse sono quelli svedesi»
Il biondo guardò la ragazza per poi osservare la punta colorata del fiammifero, sbattendosi il palmo della mano sul viso.
«Len-kun, mio dizionario vivente… allora?»
«Questi fiammiferi sono speciali, si infiammano solo se sfregati su una superficie contenente un dato tipo di combustibile»
La ragazzina acquamarina piegò il capo, guardando il biondo interrogativa.
«Vuol dire che se non troviamo la scatola di origine non possiamo accenderlo»
«…Cavolo»
I tre ragazzi incominciarono a cercare per la cucina, aprendo ogni sportello o barattolo, controllando sotto i mobili lo vicino ai fornelli.
«L’ho trovato!!»
Gridando felice, Rin alzò il braccio in alto, mostrando trionfante la scatolina rettangolare.
«Brava Rin!»
Mentre Miku abbracciava felice l’amica, Len prese la custodia, sospirando felice.
«Bene, ed ora accendiamo»
Hatsune si avvicinò al compagno e, congiungendo le mani, si mise a pregare.
Tenendo stretto il fiammifero tra le dita, Len fregò la punta colorata sulla superficie della scatola, ma lo stelo non si accese.
«Dio e Buddha non esistono…»
«No, semplicemente ho preso un fiammifero usato per fare uno scherzo al porro umano»
Mentre Miku si occupava del corpo ormai esanime di Len, Rin prese il fiammifero e lo accese, facendo divampare due piccole fiamme sulle candele consumate del candelabro.
«Ok, in queste attrazioni di solito bisogna trovare una via di uscita no?»
Il biondo si alzò, schiarendosi la voce, mentre Miku lo guardava con le braccia incrociate.
«Si, ma non ho visto porte secondarie o scale da fuori»
«Quindi ci tocca cercarla…»
L’azzurrina si avvicinò al ragazzo e gli diede una pacca sulla spalla.
«Ok, andiamo in avanscoperta!»
Il ragazzo sospirò, prendendo il candelabro ed avviandosi fuori dalla porta.
«Va bene, ma dopo scelgo io la giostra!»
Una volta abbandonata la cucina, i ragazzi chiusero la porta, ignari delle due luci azzurrine che brillavano nell'oscurità.
«Dove andiamo ora?»
«Che ne dite al piano superiore?»
Alzando l’indice, Miku indico la grande scalinata centrale del salone d’ingresso.
«Va bene, salgo io prima …»
Stringendo forte l’impugnatura del candelabro, Len salì il primo scalino con grande attenzione, lasciando scivolare il palmo sulla superficie liscia del corrimano della grande scala del salone principale.
Lentamente, il quindicenne salì la rampa decorata da un vecchio tappeto rosso privo di vivacità, guardandosi a volte alle spalle, incrociando gli sguardi delle altre.
Dopo aver controllato il corridoio del piano superiore fece segno alle compagne di raggiungerlo facendo attenzione ai gradini scricchiolanti.
Con i sensi acuiti dal buio, i ragazzi si avviarono per il corridoio con molta cautela, osservando le vecchie pareti e, trovata la prima porta, si fermarono. Combattendo il buio con il lieve bagliore sprigionato dalla fiamma del candelabro, Len osservò porta, le ragazze dietro di lui, e trovato il pomello, posò la mano sulla superficie fredda, girando l’impugnatura.
Davanti a loro si aprì una ampia stanza dalle pareti celate dalle librerie impolverate stipate di antichi tomi, portali di altri mondi e dimensioni.
Abbandonata nell’unico frammento delle mura, vi era una scrivania in legno asiatico, grande e spaziosa, dalla superficie lucente, rovinata da tagli profondi e macchie scarlatte.
Dalla finestra ormai in frantumi entravano dei raggi dorati che accarezzavano il nero del legno, illuminando l’inchiostro pece che era fuoriuscito dal calamaio trasparente, scivolando tra le pagine ingiallite sparse per la scrivania.
Il biondo si avvicinò alla scrittoio, posando il candelabro sulla sua superficie liscia, e, con delicatezza, prese un foglio, con la paura che si dissolvesse in una nube ocra.
«Sembra un diario…»


17 Aprile 1872

Oggi, mentre tornavo a casa, mi sono scontrato con un uomo. Aveva trentacinque anni circa, come me, dai lunghi capelli dorati e gli occhi smeraldi.
Per scusarmi dell’accaduto, ho invitato il malcapitato nella mia abitazione, ma dopo varie opposizioni, ha accettato.
Una volta entrati nel giardino, il nostro cane si Sebastian si è avvicinato contento a me, per poi guardare con curiosità il nostro ospite, scodinzolando.
Subito dopo è arrivata la mia bellissima compagna, Elizabeth, insieme alla nostra allegra bimba, Margaret, la mia piccola gioia.
Siamo stati tutti insieme in giardino e ho così potuto conoscere di più il nostro l’ospite, diventando suo amico.
Spero di incontrarlo ancora, per parlare insieme, come oggi.

Len incominciò a cercare i frammenti successivi delle cronache, facendo guizzare lo sguardo da una parte all'altra, scostando i fogli intrise di inchiostro, ormai illeggibili.


25 Maggio 1876

Oggi è il decimo compleanno di mia figlia, Margaret.
Abbiamo organizzato una festa in giardino, privata, tra la tranquillità degli alberi smeraldi, come desiderio della mia piccola.
Il mio nuovo amico si è presentato con il suo solito sorriso, non curante del suo lievemente in ritardo, estasiando così Margaret che lo considera ormai uno zio.
Per tradizione, mia moglie ha regalato alla festeggiata un pendente con un rubino incastonato, ceduto da generazione a generazione.
Nel vedere quel gioiello, la piccola si è emozionata, ed ha abbracciato la madre con dolcezza.
Non ho potuto non sorridere.


«Len-kun, guarda questi»
Miku diede al ragazzo alcuni fogli leggermente macchiati dall’inchiostro del calamaio.


25 Dicembre 1879

Natale.
Come ogni anno, nella nostra casa abbiamo organizzato un ballo, invitando compagni e conoscenti.
In disparte, io e il mio amico abbiamo discusso, incuranti della festa, perdendoci nei nostri racconti.
Però, quando è arrivata la mia bambina, il mio caro ospite si è assentato, allontanandosi dalla sala.
In quel momento, ho scorso negli occhi di Elizabeth dell’inquietudine, quell’insolita paura che la tormenta negli ultimi tempi quando il mio amico è con noi.


«Qualcosa incominciò a muoversi…»
«Continua a leggere, Len-kun»


8 Febbraio 1880

Oggi ho scoperto la ragione del turbamento della mia sposa.
Stavo ritornando nel mio studio perché avevo dimenticato delle pratiche da controllare, e con velocità salì le scale, percorrendo il corridoio.
Fu in quel momento che li vidi.
Mia moglie, senza vie di fughe, appoggiata alla parete, e lui, quello che consideravo un amico, che la ostacolava, le parlava, cercava il suo viso con le dita, ma lei si scostava, lo allontanava, ma lui la bloccava, la prendeva per le braccia e si avvicinava ancor di più a lei.
A quel punto non ho potuto reprimere la rabbia.
Mi sono avvicinato veloce a loro, i muscoli che si muovevano comandati dall’ira, e con questa ira, ho dato un pugno a quell’uomo, facendolo cadere a terra.
Elizabeth mi si è avvicinata terrorizzata ,e nascondendosi dietro di me, ha afferrato con debolezza i lembi del mio vestito, piangendo.
Quel vile spregevole non avrà più a che fare con le nostre vite.


19 Marzo 1880

Da qualche tempo ho notato che quell’infimo soggetto passeggiava per il perimetro della casa, scrutando porte e finestre, come in cerca di una via d’accesso.
Per paura e timore, decisi di mandare Margaret dai nonni, per farla vivere tranquilla in mezzo alla natura, come suo sogno, allontanandosi da questa grigia prigionia.
Per lei desideravo solo la felicità, ma il mio sogno non si è avverato, tramutandosi in un incubo nero.
Mi sono diretto nel bosco fuori paese a cavallo, accompagnato da mio fratello minore.
La carrozza su cui viaggiava Margaret era lontana dal sentiero, tra il verde di una radura rigogliosa.
Trovai il cocchiere vicino ai cavalli bianchi, privo di vita.
Mi recai subito verso la carrozza ribaltata e salì sul lato, facendomi leva con le braccia, e guardai all’interno del mezzo.
In quel momento mi si gelò il sangue nelle vene.
La mia Margaret, quella dolce bambina che, quando la chiamavi “piccola”, si arrabbiava, mettendo su un finto broncio scherzoso, era lì, distesa sulla portiera in legno, il viso delicato posato sulla stoffa morbida del sedile.
La presi con delicatezza, e la tirai fuori da quella gabbia.
Mi sembrava una bambola di porcellana, inerme, bianca.
Le accarezzai i capelli dorati, scostandoli dalle sue morbide guance.
La chiamai per nome più e più volte, stringendola al petto, come se potesse servire a qualcosa.
Ma lei non reagiva, era fredda.
Mi accorsi del sangue che le macchiava le vesti, lacerate all’altezza del petto.
Sgranai gli occhi.

Una lama me l’ha portata via.

Respiravo a fatica, volevo urlare, volevo gridare.
Ma la voce non usciva, si nascondeva nei meandri della mia gola.
Piangevo, stringendomi al petto la mia gioia.


Il ragazzo strinse con forza le pagine del diario, rileggendo più e più volte le parole d’inchiostro, memorizzandole.
Seppur quella storia fosse una fantasia dell’attrazione, una mera bugia, la rabbia e lo sconforto che provava erano reali.
Nella sua mente saettò veloce un immagine, un padre a terra che stringe la propria figlia morta a sé, ripudiando la realtà tra i singhiozzi, le lacrime che cadevano sul viso pallido della piccola, frantumandosi.
Il biondo risalì dai pensieri voltando lo sguardo verso Miku che, preoccupata, posò una mano su quella del ragazzo, facendogli allentare la presa.
«Len-kun, tut-»
Qualcosa ruppe il silenzio.
Un grido.
Un urlo dannatamente familiare.
I due ragazzi, terrorizzati, rivolsero lo sguardo verso la porta, ma non vi era più nessuno ad attenderli.
«Rin… Rin!!»
Len gettò le pagine dorate sulla scrivania, dirigendosi di corsa verso la porta della stanza.
Guardò per il corridoio, gridando più volte il suo nome, ma lei non rispondeva, al suo posto vi era solo il slenzio.
I battiti del cuore si fecero irregolari, il respiro affannato.
L’animo piegato dalla paura, le gambe che cedevano allo sconforto.
Il ragazzo sbattè con forza il pugno sulla parete, frantumandola lievemente.
«Le avevo promesso che non ci saremo separati, e invece…invece!»
«Len-kun!»
Miku prese le spalle del biondo e, girandolo verso di sé, lo fissò negli occhi tremanti.
Gli strisse le spalle con forza, quasi per infondergli sicurezza e coraggio, con un pizzico di buon senso.
«Calmati! Siamo in un’attrazione di un Luna Park, non le faranno del male, va bene? Ragione! E’ solo per fare scena!»
Il ragazzo fissò l’amica per qualche secondo, per poi abbassare lo sguardo imbarazzato.
«Scusami Miku, mi sono fatto prendere dalla paura»
Hatsune, sorpresa de quella scena, sorrise, alleviando la stretta sulle spalle.
«Tranquillo. Però, sia ben chiara una cosa: non ti lascerò Rin tanto facilmente, mio caro Kagamine!»
Il viso del giovine si tinse all’improvviso di rosso e la voce fu rapita dall’imbarazzo, lasciando muovere le labbra silenziose. «Len-kun, sei uno spasso!»
«Mi-miku…»
«Dai, cerchiamo la nostra principessa ora!»
Completamente spiazzato dalla situazione, Len rimase a fissare un punto indefinito del corridoio, un orizzonte conosciuto solamente da lui, mentre la compagna si diresse verso destra, aprendo la porta successiva.
«E’… di Margaret, giusto?»
Davanti ai loro occhi si aprì una stanza ampia, perennemente circondata dal buio, ad eccezione di una tenue luce che, allontanando le tenebre, rischiarava leggermente un tavolino dalla superficie in cristallo su cui poggiava un carillon bianco.
«Len-kun, dov’è il candelabro?»
Il ragazzo guardò gli occhi acquamarina per poi dirigersi fuori dalla stanza.
«L’ho lasciato nello studio… aspettami qui, vado a prenderlo!» A quell’affermazione la quindicenne cercò di afferrare la mano del biondo, senza successo.
« Len…kun…»
Adesso era sola, in balia della propria immaginazione che, in quella stanza buia e tetra come solo la splendida notte poteva esserlo, cresceva sempre di più, rafforzandosi.
Tastando con le mani il vuoto in cerca di oggetti, Miku trovò un letto e, controllando con la coda dell’occhio la porta, vi si sedette sopra, sospirando.
«Mamma!»
La ragazza si alzò di scatto lasciandosi uscire un urlo di spavento, il sudore che incominciava a imperlarle le tempie.
Con le mani tremanti, Miku prese il cellulare nella tasca e lo puntò verso il letto, illuminando il volto di porcellana di una bambola dalla notevole fattura.
Mentre la giovane osservava quei lineamenti freddi, dei rumori di ingranaggi si destarono dall’oggetto, intimorendola visibilmente, distillando maggiormente in lei la paura.
Le palpebre pallide della bambola si alzarono lentamente, rivelando dei magnifici rubini scarlatti dalla macabra vivacità, contornati da folte ciglia nere.
Miku indietreggiò di qualche passo, ansimando, senza mai distogliere lo sguardo da quegli occhi gelidi e vermigli, privi di qualsiasi emozione umana.
Quando sentì qualcosa di freddo e duro sfiorarle le gambe, la ragazza si voltò di scatto, notando il tavolino vicino alla finestra.
Con ancora il terrore negli occhi, Hatsune guardò il carillon che giaceva sulla superficie trasparente del tavolino, allungando la mano tremante.
Con le dita, la ragazza accarezzò la giostrina, percorrendo con la pelle le decorazioni dorate circolari.
La parte superiore, bianca a striature gialle, ricordava una corona, per via delle punte che si ergevano per il perimetro.
Quando le dita scivolarono sui cavalli bianchi, il meccanismo della giostrina si azionò, risvegliando la melodia sopita.
Le note del carillon rieccheggiavano lente e forti, scandite dal suono metallico dei vecchi ingranaggi, conferendoli un timbro solenne.
La ragazza, pallida in volto, si voltò verso la superficie trasparente del vetro dove, leggermente celata dalle vecchie tende sguarcite, intravide un volto freddo e bianco come la luna, un sorriso agghiacciante e folle disegnate sulle labbra inesistenti.
Le labbra di Miku si schiusero e, tremanti, produssero suoni inarticolati, privi di senso, alternati da respiri brevi.
La ragazza indietreggiò, ansimante, il corpo freddo e rigido come una bambola, come quella che le stava strattonando un lempo della playsuit.
«Basta… andate via… andate via!»
Coprendosi le orecchie con i palmi delle mani, Miku si accasciò a terra, ansimando, ormai preda della paura.
Serrò gli occhi con forza, inarcando sempre di più la schiena, fino a toccare le ginocchia con la fronte imperlata dal sudore.
Cercava di scacciare i pensieri dalla mente, i rumori dalle orecchie, divenendo sola con il mondo, ma qualcosa si posò sulla spalla della giovane, rendendo tutto impossibile.
La ragazza, terrorizzata, alzò lievemente il capo, voltando all’indietro lo sguardo.
Due luci azzurrine la fissavano nel buio, seguite da una voce, ma ormai Miku non sentiva più niente, il terrore ovattava i sensi.
Urlando, Hatsune colpì lo sconosciuta, facendolo scagliare sul pavimento.
Con gran fatica, la ragazza si alzò in fretta, evitando di cadere a causa dei barcollamenti, e si diresse verso l’uscita, la sua salvezza.
Ma qualcosa le afferrò il polso, trattenendola in quell’incubo divenuto realtà.
«Mi…Miku»
La quindicenne si voltò, guardando l’individuo inginocchiato a terra, la bestia che prima l’aveva terrorizzata con le sue zanne ormai cadute.
Si avvicinò a lui titubante, pronta a scappare se necessario, sedendosi sulle proprie gambe.
Lentamente, allungò la mano al volto della persona, sfiorando con le dita la guancia.
« … Len-kun?»
Il biondo sollevò lo sguardo, sorridendo dolcemente alla ragazza che, inconsciamente, aveva terrorizzato.
«Ti ho sentita urlare e sono corso qui»
La poveretta abbassò lo sguardo e, con le membra percorse dai singhiozzi, pianse, contenta della fine dell’incubo.
«Len…Len-kun…»
Il ragazzo aprì le braccia e, portandole ai lati della ragazza, l’abbracciò, stringendola a sé con forza, sussurrandole parole rassicuranti.
«Tranquilla, è tutto passat-urgh…»
Con un pugno nello stomaco, il biondo lasciò la ragazza, piegandosi in avanti per il dolore.
«Ma da quand’è che hai una forza del genere!?»
«Sta zitto, Bakagamine!»
«Ahi ahi…»
Massaggiandosi l’addome, il ragazzo si alzò in piedi e, sorridente, porse l’altra mano verso la compagna ancora seduta a terra.
«Proseguiamo?»
Dopo aver guardato l’offerta per qualche secondo, la ragazza accettò la mano, annuendo leggermente col capo, le guance porpora chiaro.
Senza mai separarsi, i due cercarono in altre stanze, guardando ovunque per il corridoio, arrivando all’ultima porta.
All’improvviso, un suono sommesso si alzò nel silenzio, attirando i giovani.
«Sembra… un gemito?»
«Proviene da questa stanza… allontanati Miku»
Il biondo si avvicinò lentamente all’ingresso e, posando l’orecchio sul legno ruvido della porta, si concentrò, udendo ancora una volta quel rumore sconosciuto.
«Non può essere…»
«…Len-kun?»
«Forza, entriamo!»
Senza esitazione, il ragazzo spalancò la porta, facendola sbattere contro il muro interno.
Una ragazzina era distesa a terra. La schiena posata sulla ringhiera in ferro battuto del vecchio letto matrimoniale, legata con delle vecchie catene arrugginite ai polsi e alle caviglie.
Le lacrime che le impreziosivano gli occhi scivolavano lente per i lineamenti del viso, fermandosi sulla fascia di seta nera che le imbavagliava le labbra.
«Rin-chan!»
Con euforia nella voce, Miku si avvicinò alla prigioniera, abbracciandola a sé con decisione, le lacrime che le umidivano gli occhi.
Sussurrandole parole di conforto, Hatsune accarezzò i capelli dorati della fanciulla, contenta di poter di nuovo giocare con quelle ciocche bionde.
Len, guardando la scena con un sorriso sulle labbra, allungò le mani al volto di Rin, carezzandogli la guancia con il dorso della mano.
«Mi sei mancata principessa»
Facendo scivolare le mani dietro la nuca, il biondo liberò l’amica dalla seta nera.
«Ragazzi… ragazzi…»
Il ragazzo posò una mano al lato del volto della fanciulla, accarezzandole la guancia con il pollice.
«Rin, quest’aria triste sul tuo volto non ti dona sai? Tu devi essere unicamente felice, perché sei bellissima quando sorridi»
Dopo averle baciato la fronte, Len si occupò delle catene, liberandole i polsi e le caviglie indolenzite, aiutando la ragazza ad alzarsi.
«Miku, tu e Rin andate avanti, io rimango un attimo qui»
«Eh!? Perché? Len-kun, potresti morire qui dentro!»
Il ragazzo sospirò, lanciando un’occhiataccia torva all’acquamarina.
«Miku, non esagerare… voglio solo controllare in giro, voi dirigetevi verso le scale, credo che l’uscita sia al piano inferiore»
«Len…»
«Rin, va tutto bene, vi raggiungerò presto. Avanti, andate»
Dopo averle perse con lo sguardo, il ragazzo si voltò verso l’unico angolo celato dal buio della stanza, e con un gesto del capo, disse a qualcuno di uscire.
«Che bravo, mi hai scoperta»
Abbracciata dalle ali nere dell’oscurità, una ragazza avanzò con grazia e compostezza, incantando il ragazzo con i suoi occhi azzurri, freddi e meravigliosi come i ghiacci perenni.
I lunghi capelli rosa cadevano morbidi sulle spalle nude della fanciulla, adagiandosi sui lineamenti delicati e femminili del suo volto angelico, decorato da labbra morbide e irresistibili, capaci di far vacillare qualsiasi animo maschile.
Un abito nero le cingeva il corpo, risaltandone la pelle candida, mentre la gonna in tulle, decorata da ricami e pizzi, le nascondeva le gambe fin poco sopra le ginocchia, regalandole leggerezza e grazia.
Un girocollo in perle nere le decorava il collo, impreziosendolo.
«Non è stato poi tanto difficile, mi creda»
La ragazza si avvicinò lentamente, il suono dei tacchi che risuonava forte e solitario nell’aria.
«Mi piaci un sacco, sai piccolo?»
Con la punta dell’indice, la fanciulla seguì i lineamenti del volto del ragazzo, percependone il calore della pelle.
«Saranno i tuoi capelli, dorati come i raggi del sole, oppure i tuoi occhi, frammenti degli abissi più scuri e inviolati del mare»
Con un gesto, Len allontanò la mano della ragazza, cessando le sue attenzioni leggermente “scomode”, ma con gran velocità e stupore, la giovane bloccò il biondo per i polsi, stringendoli con forza.
Il ragazzo cercò di liberarsi, dimenandosi con forza, ma con estrema facilità si ritrovò sul letto, immerso nel candido bianco delle lenzuola.
«Dai, non ti voglio mica fare male…»
La donna avvicinò il viso a quello del biondo lentamente, e con la punta della lingua, gli leccò la guancia con un movimento verticale.
«Sembri un cucciolo indifeso…»
La più grande morse con forza la guancia, facendola sanguinare lievemente.
Il battito del ragazzo accelerò incredibilmente, risuonava con forza nel suo petto, riecheggiando sulla pelle a contatto della fanciulla.
Con leggiadra, la ragazza fece scivolare una mano dal polso del biondo al suo petto, accarezzandoglielo.
«Hai avuto paura qui dentro, vero? Ti ho osservato. In cucina, nello studio, ovunque. Non riuscivo a staccare gli occhi da te…»
Con movimenti circolari, l’indice della mano ruotava sul petto del biondo, all’altezza del cuore.
«N-no… non è vero…»
Ormai, Len non capiva più niente, non riusciva più a muoversi, era paralizzato dalla situazione, impietrito da quei magnifici occhi zaffirini che lo fissavano divertiti.
«Sicuro? A me è sembrato di si, invece»
La mano scese lenta, solcando il ventre pulsante del biondo, intrufolandosi all’interno della maglietta.
La punta dell’indice scese impassibile, ignorando la paura e il terrore sempre più crescente nel cuore del quindicenne, quasi palpabili a pelle, arrivando alla stoffa dell’intimo e del pantalone e, con il pollice, accarezzò il brillante bottone argentato, sfilandolo dall’apertura.
«N-no! Ferma!»
Con un’incredibile forza, Len si alzò, liberandosi dalla morsa della ragazza.
«Che modi!»
La ragazza sbuffò e indietreggiò di qualche passo, senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo, inginocchiato a terra inerme.
«Questa casa è tutta una finzione, come la paura e il terrore che provoca!»
A quell’affermazione, la ragazza sgranò gli occhi e, rivolgendo l’attenzione verso l’ospite, sorrise divertita.
«Una finzione dici? Be, forse la casa, ma le pagine del diario no. Le hai lette, giusto?»
La donna si avvicinò verso il biondo e, piegandosi in avanti, afferrò il mento del ragazzo con forza, avvicinandolo al proprio viso.
«L’ha trovato il gestore del posto, quando ancora girava per il mondo in cerca di ispirazione. Era in una vecchia casa diroccata, in Europa mi sembra, identica a questa, ma con qualche differenza»
La ragazza alzò il braccio, indicando il soffitto ornato da ragnatele.
«Elizabeth ha visto morire la persona che amava, ucciso da quel mostro che consideravano amico. Fu rinchiusa nella sua camera da letto per sedici giorni, dove scrisse sulle pareti e sul soffitto “scusa”, fino a farsi sanguinare le dita»
«No… è impossibile»
«Si che è vero. Implorava perdono a suo marito Gilbert e a sua figlia Margaret per essere stata la rovina della loro felicità»
La ragazza sorrise divertita nel vedere gli occhi del quindicenne persi nel vuoto, privi di qualunque emozioni.
La fanciulla lasciò il mento di Len e si alzò, dirigendosi verso la finestra della camera.
«La vita umana è tormentata dalla tristezza e dall’orrore, ma anche confortata dalla felicità, dalla gioia e dall’amore meraviglioso e splendido come una rosa, ma anche sbagliato, decorato da moltitudini di spine»
Il ragazzo alzò lo sguardo, osservando cambiare l’espressione della ragazza che divenne seria, priva di quella finta maschera chiamata “terrore”.
«Purtroppo, lo proverai tu stesso, le stesse rose alimentate dai tuoi sentimenti ti stringeranno, ferendoti con i loro rovi avvelenati»
Il ragazzo si alzò barcollando, aiutandosi con l’appoggia della ringhiera del letto.
«Nessun amore è sbagliato. E’ considerato tale solo dalla malsana considerazione umana.»
Gli occhi zaffirini caratterizzati prima dalla freddezza e inespressività si riscaldarono, quasi impietositi per la forte determinazione del biondo che, ben presto, si sarebbe frantumata come uno specchio.
«Esci di qui, la porta d’ingresso è ora aperta. Siete liberi»
Il ragazzo si diresse verso la porta, i passi risuonavano nell’aria decisi.
«Come… ti chiami?»
«Megurine Luka»
Il quindicenne si voltò, il viso sorridente.
«Grazie Luka»

Nascosta dall’oscurità amica, la padrona della casa osservò il ritorno di Len e le attenzioni delle due ragazze, soprattutto quelle della più piccola, incredibilmente simile al biondo.
«Sarà lei la tua felicità e rovina, ragazzo?»













Lungo vero? Di solito non ho mai scritto cose paurose, quindi posso aver fatto leggermente (?)... schifo?
In questi mesi ne sono successe tante, troppe forse XD
Io e le college siamo andate a Rimini comix, è stato stupendo *-*
Poi, finalmente ho anch'io un soprannome XD
(per chi ha incominciato a leggere le mie storie, non può capire, quindi andate a leggere la firma!)
Per il titolo... "link" e "bond" significano la stessa cosa, solo che "bond" viene usato per legami più profondi, come l'amore ^ ^
In questo capitolo volevo scrivere le altre attrazioni, ma soprattutto lo Yozakura, ma... avete visto come è venuto con solo la casa stregata XD
Uffa però, doveva apparire Kaito-senpai ç-ç
Ora i ringraziamenti! Ringrazio Vocal_Dreamer, Claud10107 (non mi aspettavo di trovare anche te nei lettori! Sei grande! *-*), karikeehl e Bubble Gum!
Arigatou!
*inchino*
Ora vado a ringraziare i suddetti utenti XD
Alla prossima ^ ^
  
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