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Autore: EliCF    06/09/2012    2 recensioni
Una raccolta di tre One-shot introspettive sul personaggio più amato di Hunger Games: Peeta. Tre momenti fondamentali per la crescita per il personaggio del ragazzo del pane. Dalla prima shot:
"ll grigio domina. Grigio surreale dal sapore di vecchio e sporco. Grigio che sembra voler sfidare l'azzurro del cielo, senza mai trovarne realmente il coraggio.
Nonostante le strade, come ogni domenica mattina, siano poco trafficate, gli abitanti del 12 sono svegli nelle loro case. Da qualche abitazione arriva fin qui il rumore dell'armeggiare di pentole e piatti per la prima colazione; da qualche altra sento lanciarsi auguri di buon giorno e buona domenica, accompagnati dal rumore di qualche tv che si accende. Non accendo mai quel dannato televisore. So che è troppo per me lasciare che anche quell'apparecchio malefico mi ricordi dei miei impegni da vincitore dell'ultima edizione degli Hunger Games, come il Tour della Vittoria.
Non sono felice di tutto questo: quello che desideravo era non diventare una pedina dei loro giochi sporchi e invece ora sento che, sì, mi stanno controllando."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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A promise
 


 
Ho sempre preferito il giorno, alla notte. 
Saranno i colori, saranno le voci, saranno le luci, gli elementi che permettono alla bellezza del giorno di diventare palpabile e di sfiorarmi la pelle, illudendomi di ricevere le carezze che mia madre mi ha sempre nagato. 
Ho sempre preferito il giorno alla notte, perché al buio ho paura di sentire colpi di cannone capaci di sfondarmi il petto, paralizzato dalla paura dell'arena e dalla consapevolezza del fatto che l'ennesima vittima potrei essere io. 
Ho sempre preferito il giorno alla notte, nonostante questa notte sia diversa. Non ci sono finestre nella mia camera, ma Finnick dice che non ci sono nemmeno nelle altre: siamo sotto terra. All'inizio non ci ho creduto. Qui nessuno sembra volermi dire la verità, perché tutti pensano che io sia cambiato. Tutti pensano che io sia diventato come Annie, l'innamorata di Finnick, entrambi vincitori dal Distretto 4.
Quando l'estate calava sulla panetteria, asfissiato dal caldo del forno, desideravo la vita di un qualsiasi abitante del Distretto 4: la città dove l'inverno non arriva mai. Non conoscevo molto di loro, ma sapevo che avevano l'acqua, il mare. E senza acqua non si impasta il pane, non crescono gli alberi, non si pesca nel  fiume. Senza acqua le mie labbra diventerebbero raggrinzite e secche, la gola arsa dall'aria sporca delle ceneri libere, i polmoni accartocciati su loro stessi. Ed è così che mi fa sentire questo posto che chiamano Distretto 13: asciutto e privo d'ogni tipo di emozione che non sia rabbia o tristezza.
Per questo stasera, nonostante sappia d'essere controllato da una fin troppo leggera distanza, ho avuto il permesso di prendere aria per un po', accompagnata da un prezioso bicchiere di acqua con delle bollicine che mi pare di aver conosciuto a Capito City ma che, nonostante questo, mi sono simpatiche. 
Fiotti di luce si riversano sull'erba come tappeti argentati e scintillanti. La luna è l'occhio del cielo, che si staglia con eleganza superba sul Distretto 13, così come sulle rovine di casa mia al 12, e sulla mia camera delle torture che in realtà è un'intera città, chiamata Capitol. 
Nonostante sia distratto dalla bellezza sfacciata dell'astro, sento di dover cogliere frammenti di eventi nascosti, non dal tempo, ma dalle violenze di Snow.
Nonostante mi sforzi, non ricordo. 
Nonostante sia calmo, non dormo. 
Nonostante mi stanchi, non mi lamento. 
Ho sempre preferito il giorno alla notte, ma non dico bugie: c'erano volte in cui aspettavo avidamente che il sole tramontasse, per condividere le coperte con lei, occhi negli occhi, mani tra le mani, cuore su cuore, incubi negli incubi.
E' strano, ma mi ritrovo a stringere l'erba in un pugno, mentre credevo di starla appena accarezzando. Mi sento ingenuo quando mi chiedo perché io non possa più condividere quelle coperte con colei che nonostante fosse chiamata "ragazza di fuoco", riusciva a placare la mia sete. 
Appena qualcosa pare ritornarmi alla mente: solo uno sguardo, un bacio, fiamme che non bruciano ma mi avvolgono, il mio continuo lottare per non perdermi nei suoi occhi grigi. Mi torna in mente il disegno di una Katniss che non riconosco; una Katniss diversa da quella che vedo ora: sfuggente, fredda, distante.
E' come se fosse lei quella ad aver dimenticato. Forse è per questo che non mi tende la mano e non mi aiuta a fare il salto per ritrovarmi fuori da questo buco nero che è la mia testa. Forse non era quello che credevo, forse non era la mia mano quella che realmente desiderava stringere, tra le lenzuola che profumavano di fiducia. 
Forse il fuoco è davvero fatto solo per bruciare, non per dissetare. 
Per tante notti sento d'essermi chiesto perché nei tuoi occhi non ci sia più calore, ma solo resa. 
Ma io so che, in fondo, non ti sei mai arresa. 
Quindi, perché non mi tendi la mano? 
Dev'essere a causa della ferocia che l'arena ti impianta nella mente e nel cuore, delle volte in cui ti ho detto di lasciarmi morire o di lanciarmi in pasto all'arena, oltre che alla sete che di nuovo mi scortica, qui dentro.
Potrebbe essere troppo tardi, ma te lo susurro ora, nonostante le parole che potrebbero rompermisi sulle labbra: 
«Se mai ti chiederò ancora di lasciarmi, non...»
Non farlo. Tienimi. 
Vorrei poter chiederti di non mollare la presa, ma inizia col tendermi la mano: la afferrerei senza esitazione. 
E poi aiutami a ritrovarmi, perché io sia di nuovo io, perché non rimanga uomo nel corpo e feto nell'animo, con ricordi e pensieri incompleti o distorti. 
Ho dei tagli sui polsi, poi manette: i segni della necessità di mettere un lucchetto alla mia violenza, ma testimoni della mia battaglia. 
Resta con me. 
E' quello che vorrei poterti chiedere come facesti tu, poco prima dell'Edizione della Memoria. 
Tristemente, mi sorprendo a ridacchiare pensando alla tua oramai improbabile risposta, che in quel tempo fu la mia: sempre.
Ho sempre preferito la notte al giorno... o forse no. 
I fili d'erba mi sfuggono dalle dita: non lo ricordo più. 
Continuo a dimenticare. E' come se una mano invisibile avesse sfilato via tutto quello che mi apparteneva, e la prima sei stata tu. 
Ho ancora qualcosa da dirti, prima di tornare, vivo, sotto tera. 
Con o senza il tuo aiuto, mi riprenderò ciò che è mio. E non smetterò di combattere perché, in ogni caso, non avrò mai più pace.
«E' una promessa».



NdA: Siamo giunti alla fine. Peeta tenta di ricordare.
Ringrazio chi mi ha seguita fin qui: è tutto. La mia trilogia di shot mi soddisfa abbastanza e sono felice.
Grazie.
Elicf
   
 
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